Lotta per la montagna
Intervista ad Alessandro Gogna di Gian Luca Gasca
(pubblicata su montagna.tv il 1° novembre 2017)
Lettura: spessore-weight**, impegno-effort*, disimpegno-entertainment**
Trent’anni dopo la sua fondazione Mountain Wilderness continua a portare avanti la sua battaglia per una montagna pulita e sostenibile. Ne abbiamo approfittato per fare qualche domanda ad uno dei suoi fondatori e garanti: Alessandro Gogna.
In quale ambiente nasce Mountain Wilderness?
Erano altri tempi. Parliamo del 1987, ormai trent’anni fa. Un periodo in cui ci si conosceva tutti nell’ambiente alpinistico, ma dove quasi nessuno aveva piena coscienza di quello che poteva essere il suo impatto personale sull’ambiente. Non ci rendevamo conto che noi con l’alpinismo potevamo incidere sulla natura arrivando a mutarla e a trasformarla.
Quando arriva questa consapevolezza?
Credo nel 1986 quando, in occasione del bicentenario della prima salita del Monte Bianco, un bel po’ di alpinisti firmano un documento a tutela del tetto d’Europa. Una dichiarazione che chiedeva rispetto per questa montagna, per i progetti che la riguardavano. Quello è sicuramente stato il momento in cui abbiamo capito che noi, con il nostro andare in montagna, possiamo davvero mettere in pericolo la salute della montagna. Da qui fiorisce tutto un movimento che porta, nel giro di un anno, alla nascita dell’associazione con ventuno personalità a garanti.
Dopodiché nasce MW Italia…
Diciamo che da subito il coinvolgimento iniziale si tramuta in interesse attivo e, una volta approvate le tesi di Biella (manifesto programmatico di MW, nda), abbiamo cominciato ad interessarci alla fondazione di Mountain Wilderness Italia perché giustamente ogni nazione doveva poter agire nel suo ambito. Una volta nata l’associazione italiana io ne sono diventato subito segretario perché ero quello con più tempo libero da dedicarci. All’epoca ero un attivista convinto e ho fatto lotta attiva per cinque anni andando sempre alla ricerca di nuovi tesserati, di abbonamenti. Organizzavo manifestazioni che avevano come scopo quello di convincere l’opinione pubblica che quella per l’ambiente e la montagna era una lotta da fare.
Credi di esserci riuscito?
No, perché la lotta continua ancora adesso e molte battaglie le abbiamo perse. Sicuramente però sono cambiati i tempi. Oggi non c’è più la mania dell’associazionismo e la perdita di questa passione non gioca certo a favore. A questo si aggiunge poi che noi di MW non eravamo molto malleabili ed essendo duri e puri non era facile incontrare l’approvazione delle masse. Abbiamo dovuto cambiare, abbiamo dovuto sostituire il ‘no’ con delle affermazioni propositive, che mirassero a trovare soluzioni.
Nel complesso però abbiamo mancato anche l’obiettivo primario che era quello di arrivare a diecimila, ventimila iscritti, mentre MW Italia non è mai riuscita a superare i mille, millecinquecento tesserati. Forse, ma non ne ho la certezza, essere duri e puri fino all’ultimo non ci ha premiati. Ma la credibilità è rimasta intatta.
Con MW avete condotto tante battaglie, qual è quella che ricordi con più affetto?
Più che affetto voglio parlare di risultati e, se devo essere sincero, tra tante manifestazioni l’unica veramente riuscita è quella della Marmolada dove, oltre a pulire, abbiamo anche vinto una causa contro chi gestisce le funivie e ci aveva portato in tribunale. Riuscendo in quest’obiettivo abbiamo anche segnato un buon punto a nostro favore e abbiamo fatto sì che le ulteriori pulizie fossero fatte a loro spese.
Carlo Alberto Pinelli e Alessandro Gogna
E quella del Bianco?
Quella è stata sicuramente la più eclatante dal punto di vista mediatico, ma non è stata capita fino in fondo. Molti hanno pensato che noi veramente volessimo lo smantellamento del tratto di funivia da punta Helbronner all’Aiguille du Midi, invece noi volevamo lanciare un segnale. Era un sogno utopico. A distanza di trent’anni infatti la funivia c’è ancora, e amen. Per me quella del Bianco è stata una manifestazione riuscita parzialmente perché buona parte dell’opinione pubblica non ha compreso il messaggio, tant’è che due anni fa hanno aperto la Skyway. La funivia andava sicuramente rifatta perché vecchia, ma tra rifarla e rifarla con queste megalomanie ci passa tanta acqua. Potevano fare una cosa più modesta, con meno ambizioni di rivalsa sui francesi, e sarebbe costata molto meno.
Cos’è oggi MW?
Un’onestissima associazione fatta da volontari, persone che ci credono, che tentano di difendere le montagne e fare il vero interesse dei montanari. Si è infatti capito con il tempo che senza gli uomini che abitano la montagna si può fare ben poco.
Non vorrei sembrare retorico, ma sono fermamente convinto che MW Italia sia ancora lotta pura. Un tipo di lotta diversa, che non utilizza più i fuochi artificiali fatti per stupire la gente, ma che opera un lavoro sommesso, sottobanco, per cercare di tutelare la montagna e fare in modo che i parchi funzionino e non siano solo dei modi per fare marketing.
Cosa vedi nel futuro di MW?
Non lo so. Mi auguro che sempre più persone prendano fiducia e coscienza della giustizia di questa lotta. Ho però un’età in cui so di non poter essere più così ottimista. Lo ero un tempo. Credevo che la lotta avrebbe conquistato gli animi delle persone. Di certo si continuerà a lottare, ma ci vorrebbero forze nuove. Dovranno arrivare volti giovani a prendere in mano la causa e fare cose nuove. È l’unica speranza. Noi anziani siamo tagliati fuori sia per il retaggio che per le lotte già fatte.
io credo che per poter salvaguardare l’ambiente ci sia da fare un passo indietro. Nel senso: “MENO tecnologia” – meno tecnologia “distruttrice” e più amore verso un ambiente che è il nostro capitale di cui dovremmo fare tesoro perchè è la nostra vera ricchezza. Il passo indietro non vuol dire tornare poveri. Ma saper solamente rinuncia a molte cose che sono superflue.
E’ chiaro che non si può solo e sempre dire di NO. E dopo il No bisogna saper proporre e costruire.
Ma quando ci vuole bisognerebbe essere capaci di saper lottare, non solo per noi stessi ma anche per gli altri, facendo fronte comune. E questo non c’è .
Se la gente è stufa, che dica la sua. Non si può pretendere ci sia qualcuno che lo faccia per noi.
Il problema è che ognuno di noi pensa a salvaguardare il proprio orticello e se ne frega degli altri.
I proclami, le manifestazioni, gli scioperi, le rivoluzioni, sono tutte cose che servono, in una prima fase, a smuovere le coscienze ma poi il vero lavoro si fa dietro le quinte.
Mi piace il passaggio in cui Alessandro evidenzia che si è dovuti passare dal “no” a delle affermazioni propositive. Secondo me questo cambio di rotta è cruciale per tutti i movimenti, anche politici.
La gente è stufa di sentir dire NO senza un’alternativa valida. Tanto quando poi ci si impasta nelle cose si comprende immediatamente come molto di rado la realtà sia bianca o nera.
Per tornare alla questione montagna (sarebbe più corretto parlare di ambiente naturale) la sfida è quella di trovare soluzioni che consentano di slavaguardare l’ambiente da una parte dando lavoro e soddisfazione a chi in questo ambiente vive. Credo altresì che sarà difficile trovare delle soluzioni se non si cambia il modo di vedere le cose a livello generale. Forse la distinzione fra agglomerato urbano e ambiente è diventata anacronistica perchè, a seguito dello sviluppo tecnologico, le due realtà si sovrappongono.
oramai non LOTTA più nessuno. Chi scende in Piazza a protestare, magari prendendosi anche delle manganellate?
NESSUNO !
Rassegnazione, menefreghismo, appagamento, panza piena, mancanza di ideali…??
Forse il WWF non dovrebbe più usare il verbo “LOTTARE”. Poca gente vuole ancora lottare per qualcosa, è abbastanza convinta di stare bene e di avere quasi tutto ciò che desidera. Di ideali poi è meglio evitare di parlare, ora solo ciò che è spettacolare affascina e crea proseliti. Io direi che c’è troppo benessere democratico maggioritario: si abbassano i contenuti con l’obiettivo (misero) della ricerca di sicurezza a qualsiasi costo e con bassa responsabilità.