Dove la storia si infrange
di Rita Sozzi
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com l’11 marzo 2023. Il post rientra nella rubrica “Il movimento delle donne solitarie”, curata da Emanuela Provera. Qui il link alla rubrica per coloro che fossero interessati a leggere ulteriori contributi)
Foto di Pierluigi Mondani, di Raymond Puill e di persone incontrate per strada “di cui l’autrice non sa il nome“
È in uno dei più remoti paesini della Siberia, ormai prossima al confine con la Mongolia, che mi rendo conto di quanta strada io abbia percorso in questo viaggio. Ai passi, sulle alture, non ci sono più né croci né statue di Lenin, ma rotoli di preghiera buddisti. “Sono lontana da casa più di quanto non lo sia mai stata”, penso con un brivido misto di orgoglio e paura. Ma la parola giusta per descrivere questa sensazione è consapevolezza. Di sé e degli altri. Due mesi fa, a inizio di luglio (2017), 6000 km or sono, ho caricato la Signora, la mia fedele bicicletta rossa, con tutto il necessario per affrontare un viaggio lungo la Transiberiana e la Transmongolica, da Mosca alla capitale della Mongolia, Ulan Bator. Da sola. Volevo esplorare questi luoghi che sono continenti interi, dove la storia si è infranta a ondate e quasi mai è stata gentile.

L’anno precedente avevo già percorso, sempre in solitaria, la via che da casa, fuori Milano, conduce a Mosca, attraverso un’Europa sempre meno riconoscibile, soprattutto quando dalla Polonia si sconfina in Bielorussia e poi nella Federazione. Quelle culture mi avevano affascinata al punto da spingermi a ripetere l’esperienza questa volta ripartendo da dove avevo interrotto il viaggio, raggiungendo la capitale russa in aereo. E quindi via, pedalando tra steppe sconfinate e boschi di betulla a perdita d’occhio, valicando gli Urali, storico confine tra i mondi, e l’Altopiano Siberiano. Gli Urali li ho passati, salendo dal lato europeo e scollinando dal lato asiatico; in verità sono poco più che colline, essendo di formazione molto antica. È stato interessante constatare quanto questo confine sia del tutto arbitrario: cultura e società sono identiche, da un lato e dall’altro.
Ho conosciuto tantissime persone, perché quando si viaggia soli è più facile entrare in contatto con gli altri. Ma soprattutto ho conosciuto me stessa, perché questi viaggi portano sempre ad un doppio movimento di esplorazione: verso l’esterno, verso l’orizzonte che sta sempre un passo più avanti, verso nuove culture e persone; ma anche verso l’interno, seguendo l’antico adagio del “gnothi s’auton“, conosci te stesso, che campeggiava, inciso nella pietra, al santuario di Delfi. Mi rendo conto, così, che forse non sono cambiata, in questi mesi, ma semplicemente ho sondato più a fondo i miei limiti e le mie capacità. Mi sono messa alla prova. Ho compreso meglio fin dove posso spingermi, quanto riesco a sopportare. Da che punto in poi non mi basto più. Per questo parlo, ora, di una accresciuta consapevolezza. Tutto si fa più chiaro, e la tavola dei valori diventa cristallina. Il viaggio è tutt’altro che finito, mi aspettano il deserto del Gobi e le notti in yurta, o ger (le tipiche tende circolari in legno e pelli riscaldate con stufe e sterco essiccato), con i pastori nomadi. Ma ora ho meno timori che mai. Ho vissuto sulla pelle tutte le stagioni, nonostante i miei 26 anni, mi sono riconosciuta straniera accolta, e, soprattutto, ho disinnescato gli effetti devastanti che la coscienza della finitudine può avere.
Siamo di passaggio, nel grande fiume di Eraclito, ed è per questo che il tempo è prezioso, che i grani della clessidra da sabbia vanno trasformati in oro. Ognuno trovi la formula per questa opera al bianco d’alchimia: la mia è conoscere, che significa viaggiare, amare, ascoltare, ascoltarsi, accogliersi, così come si è. Umani, mortali, pieni di limiti, capaci di superarli tutti.

Biografia: Volpe a pedali, al secolo Rita Sozzi, classe 1990, prof. di lettere seminomade che cerca la poesia nei libri e sulle strade del mondo. Viaggio per incontrare l’altro e per ritrovarmi a casa anche sotto cieli diversi. Volti, profumi, orizzonti, suoni che si fanno parole sono il solo bagaglio che conta per me, nulla sottraendo al vero. Ho raccontato dei miei viaggi in tre libri pubblicati da La memoria del mondo: “Ciao mamma, vado a Mosca in bici!” (pedalata in solitaria da Milano a Mosca), “Una bici per cammello” (Iran e Via della seta) e “Canto notturno di una ciclista errante per l’Asia” (Transiberiana e Transmongolica pedalate in solitaria). Contatti social: FB una volpe a pedali, IG e TikTok: volpe.a.pedali
Blog: http://volpeapedali.blogspot.com
Sito: https://volpeapedali.wixsite.com/ritasozzi
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Son felice che qualcuno in più ami andar lento, per darsi tempo di assorbire il paesaggio esteriore e quello interiore (che solo in apparenza sono diversi).
E sono contenta anche che Rita racconti in maniera così sobria i suoi viaggi, dando voglia di scoprire altri racconti.
@Bruno
Francamente questo accanimento verso chi pratica ciclismo sportivo non lo capisco. Di quale aggredire pedoni e veicoli e pedoni stai parlando?
Forse qualcuno di loro è maleducato, a volte girano affiancati ed è necessario strombazzare per farli spostare, ma non mi sembra che abbiano mai fatto del male a qualcuno
Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,E gli occhi guardavano cose mai visteE poi disse al vecchio con voce sognante:“Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!”
The Road. Una lunga strada asfaltata e deserta che corre verso Sud attraversando monti e vallate. Il paesaggio è apocalittico. Prima sceneggiatura. Esterno alba. Il padre e il figlio pedalano lenti e riflessivi. “Babbo, come è iniziata la fine del mondo? “ “Con la Velocità figlio mio, quando inconsapevoli gli uomini iniziarono a pedalare veloci e vestiti con tute aderenti e colorate sul Ghisallo”. Seconda sceneggiatura. Esterno pomeriggio. Padre e figlio pedalano veloci e nervosi. “Babbo, come è iniziata la fine del mondo? “ “Con la Lentezza figlio mio, quando inconsapevoli gli uomini iniziarono a pedalare lenti e vestiti casualmente e con colori politicamente corretti sul Ghisallo”. Terza sceneggiatura. Esterno notte. Padre e figlio si rilassano nell’ultima sauna a botte collocata in cima al Ghisallo “Babbo, quando è iniziata la fine del mondo?” “Figlio mio, quando gli uomini annoiati iniziarono a scrivere cazzate sui social e ad accusarsi a vicenda alla ricerca di un colpevole sul quale sfogare la loro aggressività repressa”. Stretta è la foglia, larga e’ la via…..
A rappresentare una certa crisi di valori, non c’è solo la categoria dei ciclisti. La platea è piuttopsto ampia.
Ovviamente i ciclisti non sono tutti uguali. Ci sono anche i vecchi alpinisti di Gian Carlo Petroni, i figli di Marcello Cominetti e la moglie di Alberto Benassi. Come tanti altri che girano il mondo per conoscere sé stessi e gli altri. Come la stessa Rita Sozzi. Poi ci sono gli sportivi che inquinano le strade d’Italia perlopiù raggruppati in bande per aggredire gli automobilisti e i pedoni. Basta uscire di casa per vedere i pericoli del ciclismo nella crisi dei valori. Sarebbe facile anche per Roberto Pasini riconoscere i ciclisti sportivi dall’abbigliamento e dalla velocità. Proprio il contrario della lentezza che segna giustamemte il senso del rinnovamento necessario per sopravvivere al soffocamento della tecnica: i ciclisti sportivi farebbero meno danni rinchiusi in un velodromo!
io non sono un grande appassionato, ma ho una moglie che in bici ha fatto dei giri impressionanti (almeno per me) per il mondo. Potrebbe dirne tante ma non ama parlarne, dice che sono esperienze sue. La bici è muoversi lento (ma non troppo) guardandosi intorno.
Forse oggi, più di qualche decennio fa, i giovani, certi giovani, sentono il bisogno di mettersi alla prova in un mondo più autentico e meno ovattato com’è divenuto il nostro. È quello che noto anche nei miei figli.
Il mezzo lento e semplice che è la bici, insieme alla fatica per spostarla, sono la giusta antitesi all’andazzo stantio che c’è a casa nostra.
Mio figlio maggiore partirà in bici per l’India a breve e queste testimonianze sono sempre di buon auspicio. Soprattutto per un genitore.