Extradiario – 06 – Un assaggio di Monte Bianco

Extradiario 06 – (6-24) – Un assaggio di Monte Bianco (AG 1966-002)
(scritto il 24 maggio 1967)

Lettura: spessore-weight(1), impegno-effort(2), disimpegno-entertainment(3)

Il 2 luglio 1966 alle 14 arriviamo a Courmayeur in pullman, poi prendiamo la corriera per il Portud e piantiamo tende. A tardo pomeriggio ci spostiamo verso Entrèves-La Palud per andare al rifugio Torino, ma perdiamo l’ultima funivia. Siamo costretti a passare la notte sui prati di Entrèves! Dopo una svogliata colazione, ci avviamo verso la sospirata funivia. Sonno e stenti sono dipinti sulle nostre facce e con i carichi disumani che abbiamo sul groppone il morale non è troppo alto.

Non è che abbiamo fatto il bivacco per essere “uomini forti”, ma di tornare alle tende era fuori questione. In ogni caso i programmi sono notevoli. Per oggi la Nord della Tour Ronde, di cui intendiamo fare un solo boccone. Senza neppure tornare al rifugio Torino, alla sera ci trasferiremo al bivacco della Fourche, dal quale domani partiremo per lo Sperone della Brenva. Il grosso delle masserizie sarà lasciato alla base della Tour Ronde.
Dopo un po’ ci troviamo sbalzati a 3400 m, a camminare sulla neve, sempre decisi a spaccare tutto. Arrivati in vista della Nord, vediamo dei puntini che quasi non si muovono, tanto che subito ci sembrano delle rocce.

La via Berthod alla parete nord della Tour Ronde

Poi comprendiamo che quelli sono alpinisti come noi. No, anzi, non come noi: perché noi non andremmo così lenti. Pensiamo già che, se vanno così, li raggiungeremo di sicuro prima della vetta. Poi però grandi chiazze grigie nel bianco della parete ci fanno pensare che le condizioni non sono proprio perfette come invece la nostra immaginazione con ottimismo ci dava a credere.

Dopo le cerimonie preliminari, incordati, ramponati e piccozzati ci avviamo sul pendio. Sono le 10. In testa è Bestialino (Giuseppe Grisoni) che non vede l’ora di menare le mani e di picchiare botte da orbi sul pendio. Io, sempre ottimista, ritengo ancora che non si tratti di ghiaccio ma di neve un po’ sporca e poi si sa, i riflessi… già.

Chicco (Bernardo De Bernardinis) segue brontolando il capataz. Dietro di me Gian (Gianfranco Negro) che, nel suo abituale mutismo, non lascia trapelare alcun sentimento.

Vetta della Tour Ronde, 3 luglio 1966: da sinistra, Alessandro Gogna, Bernardo De Bernardinis e Gianfranco Negro. Foto: Giuseppe Grisoni

Alle prime difficoltà sadicamente la piccozza di Bestialino comincia a martellare, al che una gragnuola di blocchetti di ghiaccio ci investe senza pietà. La foga combattiva aumenta e le “tonnellate” di ghiaccio spedite verso il basso minacciano di riempire la crepaccia terminale. Voluttuosamente il capocordata affonda lo scarpone nella caverna che costituisce il primo gradino. Il secondo è senz’altro più ridotto, fenomeno che progressivamente riscontrerò per tutto il pendio. Tanto che alla fine quasi il bombardamento cessa. Minore lavoro di picca + condizioni immutate = maggior lavoro di ramponi.

Bestialino spacca una punta di un Grivel superleggero e zoppicando sui 60° di pendenza ugualmente guadagna un punto di sosta. Classica salita da macellai; chiodi, piccozzate a vanvera, ramponate negli stinchi dei compagni, scivolate trattenute a stento, i numeri di pattinaggio si susseguono disordinatamente. Tanto che un osservatore attento avrebbe potuto cogliere due danzatori in contemporanea, mentre il terzo e il quarto, disperatamente avvinghiati ai loro chiodi di sosta, pensavano alla responsabilità che avevano, alquanto pesante.

Le due cordate a un certo punto si dividono, ciascun capocordata cerca, secondo la smisurata fiducia in se stesso, generalmente affiancata a una momentanea scarsa opinione che ha dell’altro, di trovare il passaggio più comodo, più furbo. Così succede che il capocorda della seconda cordata (io) debba arrendersi all’evidenza e quindi traversare a destra verso alcune roccette, quelle seguite invece da Bestialino.

Alessandro Gogna in marcia sul Glacier du Géant verso la Pyramide e il Mont Blanc du Tacul, 4 luglio 1966. Foto: Giuseppe Grisoni

Sì, la corda è un po’ elastica, ma più di 40 metri non può essere lunga. Mi rendo conto che tirare è inutile e non riuscirò a raggiungere quel bel masso che affiora dall’orrido pendio e che costituirebbe un mio possibile relax.

Sul più bello Gian si sente male e attacca a vomitare. Dato che non può vomitare, farmi sicurezza e progredire quei due metri che mi permetterebbero di raggiungere il masso, ci rassegniamo a pericolare nella situazione attuale.

Mentre da sotto arrivano rantoli e si notano sbocchi di sangue, io mi affanno a piantare un chiodo da ghiaccio. Ma non ho più moschettoni: tenendomi allora con un dito nell’anello, frugo nelle tasche alla ricerca di cordini. Ne trovo uno di canapa. Sotto, un rumore di denti sbattuti m’informa che Gian è in piena crisi. Allora scavo archeologico con la piccozza e successivo installamento in stato di allarme. Ora può anche svenire che non lo mollo.

Finalmente le sue guance riprendono un po’ di colore, l’occhio diventa un po’ meno vitreo, l’efflusso stomachevole cessa. Tirando come un pazzo lo faccio salire di due metri, indi mi avvento pattinando sul masso che ricopro di chiodi.

Intanto i nostri due compagni, con la scusa che almeno una cordata deve sopravvivere e raggiungere la vetta, ci hanno abbandonati soli e soletti. Al che si vede una belva ripartire, scavando gradini sulla sua via con raffiche di piccozzate, cosicché dopo poco tempo i quattro sono di nuovo assieme.

Il quarto si sente un po’ meglio. Con la ben nota sensibilità che lo contraddistingue, Bestialino offre a Gian un panino col salame per “tirarlo su”. Ma Gian è un calmo e rifiuta cortesemente.

Sulle ultime rocce i nostri ramponi grattano su passaggi di buon IV e il brutto tempo che si avvicina accresce i malumori e le apprensioni. In vetta si è fatto un po’ tardi e Gian vomita ancora.

Alessandro Gogna sale sulla via Burgasser-Leitz alla parete sud del Dente del Gigante, 9 luglio 1966. Foto Giuseppe Grisoni

In discesa nei canalini ghiacciati della via normale ne combiniamo altre, tipo quella di calare il “malato” per 80 m + 80 m con le corde unite. Recuperati i carichi seppelliti nella neve, nella nebbia ci orizzontiamo malamente fino al rifugio Torino, dove entriamo in piena bufera. Qui sentiamo una vaga notizia circa la morte di Gianni Ribaldone.

4 luglio 1966. Sono col Bestialino Grisoni all’attacco della via Ottoz, cresta est della Pyramide. Il granito del Monte Bianco mi riserva qualche sorpresa, specie sul passo chiave. Nel complesso però questa è una salita di scarso interesse, da farsi quando le condizioni non permettono altro.

Alessandro Gogna in vetta al Dente del Gigante dopo aver salito con Giuseppe Grisoni la parete sud, 9 luglio 1966

Alessandro Gogna scende le corde fisse della via comune del Dente del Gigante, 9 luglio 1966. Foto: Giuseppe Grisoni

Gianni è morto, trascinato da due allievi giù per il Canalone Gervasutti del Mont Blanc du Tacul. 24 anni, dal 1959 si dedicava all’alpinismo. Aveva percorso una splendida trafila di salite e uno sviluppo spirituale fuori del comune. Io che lo seguivo, che sapevo a memoria le sue imprese, che l’ho sempre ammirato, che ho copiato da lui parecchio, non ho più l’Esempio.

Dopo tre giornate di pioggia spese al campeggio in arrampicata sugli abeti e sui massi, con Grisoni l’8 luglio saliamo al rifugio Torino. Non c’è chiarezza sul cosa fare, tutto pieno di neve. Vado da solo sulla cresta nord del Grand Flambeaux, Grisoni non ne ha voluto sapere. C’è una cresta esilissima e veramente bella, peccato sia così breve. In discesa trovo Bestialino che mi è venuto incontro, così subito dopo saliamo assieme il Petit Flambeaux per la via normale e la Aiguille des Toules 3534 m, fianco est. Poi torniamo al rifugio.

9 luglio 1966. Finalmente bel tempo. Con Bestialino Grisoni partiamo prestissimo. Per arrivare alla Salle à manger ci picchiamo con il misto e procediamo in cordata. Fa freddo e tira un forte vento, ma il sole non tarderà molto. Splendida salita la Burgasser-Leitz sulla Sud del Dente del Gigante, fatta con un compagno d’eccezione, tranquillo e sicuro. Un po’ di artificiale a 4000 m. Bella anche la discesa, addomesticata dalle funi fisse che richiedono un bel po’ di forza.

10 luglio 1966. Stiamo riposando, domani abbiamo in programma la via Bonatti-Ghigo al Grand Capucin. Ma io non resisto all’inattività: alle 19 parto dal rifugio Torino e mi salgo da solo le Aiguilles Marbrées, cima sud 3483 m.

Mettiamo la sveglia per l’una del mattino, ma solo per accorgerci che sta nevicando. Al mattino scendiamo in funivia. Io posso stare qui solo fino al 13 sera. Ora nevica, le condizioni fino al 13 saranno pessime e così decido di andarmene. Con corriera e treno vado a Cuneo. Lì pernotto in stazione. Ho un po’ di mal di gola e non sto tanto bene.

Il Canalone di Lourousa, Alpi Marittime

Però la mattina dopo, 12 luglio, c’è tempo bellissimo e vado lo stesso alle Terme di Valdieri. Alle 10 parto da lì e alle 13, dopo tre ore di cammino abbastanza estenuanti per il caldo, sono all’attacco del Canalone di Lourousa. Alle 16 esco sul Colletto Coolidge, stanco morto perché non sto bene. Passando per la Punta del Gelas di Lourousa traverso al Colletto Günther, per poi scendere il Canale Günther, senza neve, per 600 metri fino alla base della parete ovest dell’Argentera. Da qui al rifugio Bozano, dove mi fermo un po’ di tempo perché sono esausto. Arrivo alle Terme di Valdieri alle 19, poi autostop e corriera fino a Cuneo. Alle 0.45 sono a Genova.

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Extradiario – 06 – Un assaggio di Monte Bianco ultima modifica: 2018-05-13T05:16:29+02:00 da GognaBlog

6 pensieri su “Extradiario – 06 – Un assaggio di Monte Bianco”

  1. Fabio, quella frase non è di Alessandro ma di uno che non ha mai lavorato, tirava madonne e l’arte gliel’hanno sempre raccontata. Di conseguenza ha fatto solamente ipotesi prosaiche, per fare lo sborone coi suoi contemporanei. Ciao.

  2. Mi è venuto un dubbio: l’arte era nobile o bella? E la fede era bella o nobile? Mah… Devo controllare nella mia vecchia tessera CAI.

  3. Io credetti e credo

    la lotta coll’Alpi

    utile come un lavoro,

    nobile come un’arte,

    bella come una fede.

    (A. Gogna, luglio 1966)

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