Fa ridere?

Sebbene la tendenza al tempo disastroso che permane sulla cultura sia ben affermata e senza necessità di dimostrazione, ogni volta che qualche vicenda riesce ad aumentarne la media negativa, la questione torna al dolore della carne viva.

Fa ridere?
di Lorenzo Merlo
(ekarrrt – 3 novembre 2024)

“Nel tempo libero curo mio figlio”. Questa affermazione è apparsa nei titoli dei giornali di qualche giorno fa. Non ho nulla contro colei che l’ha pronunciata. Non è necessario riferire chi sia in quanto ciò che importa è un livello più ampio, è il livello culturale che ha permesso la formulazione della frase citata.

Frase e concezione di madre che dice tutto sulla direzione, più che esiziale, in cui va la cultura, cioè tutto.

Frase passata senza reazioni scioccate da parte della stampa, della politica, di qualche istituzione civile, e neppure religiosa.

Frase dolorosa che contiene in sé quanto ci siamo allontanati dalla natura che siamo. Una distanza che abbiamo percorso sulla scia del progresso e la sua promessa di felicità come somma di acquisti. Anche in nome del femminismo, forse il movimento che, più di altri, si è nel tempo deformato. Da diffusore della consapevolezza della pari dignità delle donne, è divenuto un mostro, replicante del peggior modello maschile, anche agli occhi di molte donne. Persone dal respiro libero, non asfissiato dall’ideologia che, come tutti i fideismi, con il rispetto, la dignità e la parità non ha nulla a che vedere.

Frase sconsolante, che seppellisce la forza delle donne. Quella degli uomini è caduta, da tempo, per prima sotto lo stesso maglio che ha dato forma a quella fila di parole, di pensieri, di concezione, di, ancora inavvertita, disperazione e perdizione. Che ha permesso le politiche oggi sulla cresta dell’onda, integralmente intente ad alimentare la mortificazione di quanto è ancestrale in noi, totalmente dedicate a sottrarci la bussola naturale, assolutamente impegnate a fare di noi oche da foie gras di falsi valori materiali.

Eccessiva reazione per una frase in fondo vera? Tanta reazione per niente? Per così poco? Le parole rivelano uno spettro più ampio dello stretto significato letterale. Le parole impiegate per descrivere rivelano la prospettiva con la quale guardiamo il mondo.

“Nel tempo libero curo mio figlio”. Non deve passare sotto silenzio una frase così, neppure se pronunciata da persone che lavorano. Se tecnicamente non fa una piega – ma non la farebbe neppure dire che le donne sono un buco – in quanto allude al tempo libero dal lavoro, è la legittimazione di quelle parole per il loro significato tecnico, che le fa diventare il sintomo di una cultura che non ha più niente di natura. Dovrebbe, invece, accadere il contrario, cioè che nel tempo libero dall’educazione e dalla cura della prole ci si può dedicare ad altro. Ma neppure così è abbastanza. In una cultura non pregna di metastasi della mercificazione, la cura genitoriale non ha il diritto di interruzioni, soprattutto spirituali. Diversamente siamo al turismo genitoriale per caso. Siamo all’appropriazione indebita e impunita delle nuove vite. Siamo infatti alla maternità surrogata, al figlio della carta di credito di chi compra e della miseria di chi giunge a mettere a disposizione se stessa, magari per una lavatrice. Non è da escludere.

Fa ridere? Oh, sì, fa ridere chiunque si sia piegato agli imperativi culturali, non ultimo, ma primo, al suo linguaggio pieno di io e di realtà oggettiva, di jingle e di repliche di luoghi comuni. Vite consumate entro il calderone di petulante, insistente e invadente comunicazione dei notiziari, della pubblicità, delle canzonacce (gran parte), dei dj. Goccia dopo goccia la cultura ci costruisce, così, si diviene, senza sforzo quando non con comodità, la stalagmite che essa ci impone di essere per sostenersi, per propagarsi. Una moltitudine di persone calcificate, che senza difficoltà alcuna, se interpellate, in quattro e quattrotto trovano le ragioni, culturalmente e, a volte, legalmente autorizzate, della propria lascività etica. Ma mai lo spunto per afferrare la narrazione che cola giù dall’alto, quella che trovano pronta in tavola, e provare, tentare, sforzarsi di vederne l’origine e il significato, perché è in quel modo (TINA) e non in altro per, eventualmente, condividerla a ragion veduta o prenderne le distanze.

E se così andasse, madri o padri, si guarderebbero dall’esprimere quella frase senza avvertire di aver abiurato a se stessi. Senza la consapevolezza di aver dato un calcio in avanti al macigno che ci sta travolgendo.

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Fa ridere? ultima modifica: 2025-02-02T04:48:00+01:00 da GognaBlog

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4 pensieri su “Fa ridere?”

  1. “Nel tempo libero curo mio figlio”. Non deve passare sotto silenzio una frase così, …è la legittimazione di quelle parole per il loro significato tecnico, che le fa diventare il sintomo di una cultura che non ha più niente di natura. Dovrebbe, invece, accadere il contrario, cioè che nel tempo libero dall’educazione e dalla cura della prole ci si può dedicare ad altro. …In una cultura non pregna di metastasi della mercificazione, la cura genitoriale non ha il diritto di interruzioni, soprattutto spirituali.”
     
    Credo di non essere d’accordo con l’assunto di base, che credo sia basato su una visione alquanto erronea della storia dell’uomo.
    Intendo dire che non penso proprio che nelle culture del passato ce ne sia mai stata una fondata sull’educazione e la cura della prole e in cui nel tempo libero ci si dedicasse ad altro. O che siano mai esistite famiglie così concentrate sui figli e la loro educazione.
    Per lo più i figli arrivavano (e non si sceglieva certo di averli) e costituivano un peso rilevante -sopratutto per le donne- che li curavano per tre-quattro anni al massimo nel tempo libero dal lavoro di sopravvivenza (raccogliere, coltivare, cucinare, portare acqua ecc.) e appena potevano li scaricavano ai figli maggiori. Sopratutto alle femmine, in realtà.
    I bambini diventavano grandi vivendo per lo più in branchi fino ai dieci-undici anni, al massimo controllati ogni tanto a distanza da un adulto. Poi venivano messi a lavorare, le femmine sposate e i maschi dietro agli uomini, imparando a calci in culo.
    Ne moriva un discreto numero, ma vabbé, ce n’erano tanti.
    I ricchi e i nobili di solito pagavano qualcuno per la cura ed l’educazione.
     
     

  2. Tutto vero,  la situazione è questa ; le matrici potrebbero anche essere quelle indicate, ma non ci metto la mano sul fuoco.

    Le famiglie , la loro cultura, il senso di appartenenza ad una famiglia, le differenze educative fra una famiglia e l’altra, hanno perso di fronte al Moloch della standardizzazione , della televisione , della scuola vista più come formattazione che come arricchimento di qualcosa di pristino.

    Riguardo  alla denatalita’ per esempio , ho sempre pensato che le nostre coppie in realtà non facciano pochi figli per motivi strettamente economici , come dice la narrazione , ma per motivi squisitamente individualistici e di amor proprio: ci e’ cambiato il mondo sotto i piedi e non ce ne siamo accorti.

    Durante le vacanze di fine anno ,chiacchieravo seduto a un bar con due ragazze sulla trentina, una tedesca e una belga , entrambe carine e sportive.

    Mi chiedono , “Ma perché non resti qui fino alla fine delle festività ?” 

    Rispondo che ho una mamma anziana a casa e che cerchiamo di alternarci fra fratelli e sorelle , in modo da garantire un minimo di assistenza in caso di necessità.

    Le due ragazze sono sorprese: mi guardano come una viadi mezzo fra una suffragetta ,  un santo laico e un coglione.

    Non c’è chi ha torto o ragione , ma 50 anni fa la famiglia era una cosa diversa , e non è detto che fra 30 anni  dovremo considerare un nostro diritto avere i figli che ci *badano” part time.

  3. guardandomi intorno, nel giro della mia quotidianità (sia di lavoro che di altri interessi, fra cui la montagna), questi esempi estremamente negzativi di fatto non esistono. Non sto dicendo che, purtroppo, non esistono in assoluto nella realtà, anzi. Lo sbagasciamento della famiglia è una delle caratteristiche della società liquida, per dirla alla Baumann. Quindi è vero che la famiglia è squinternata, come istituzione, e quindi che l’affetto e l’attenzione dei genitori verso i figli è ridotto al lumicino. Ma, attenzione, è fenomeno che NON invade tutti i comparti della società. certo esistono eccezioni anche in famiglie altolocate, dove proprio l’eccesso di risorse economiche determina un disinteresse di fondo verso i figli e quindi l’unità familiare. Ma, attenzione, non sono un sostenitore delle famiglie rigide. Io penso che la forma miglior di educazione NON sia quella cattedratica che “impone” regole severissime, con un netto distacco emotivo fra genitori (gerarchicamente superiori) e figli (simil sudditi). Ogni famiglia deve trovare il suo equilibrio, cercando cose belle da fare insieme. Noi che siamo appassionati di montagna, abbiamo una fortuna di base: quella di poter fare delle uscite in montagna insieme ai nostri figli. Ovviamente adatto alle loro progressiva età. per esempio nella nostra famiglia sciare tutti insieme, quando i figli, ormai 20 anni fa circa, hanno iniziato a sciare (imparando con maestri professionisti e sciando poi con noi nel pomeriggio) è stato un momento che ci ha unito molto. Questa unione emotiva fra genitori e figli si protrae tutt’ora, anche se i figli (ormai adulti) sciano e fanno montagna con i loro amici. Non è sciare l’unico viatico per cementare il rapporto genitori-figli, ogni famiglia deve trovare le sue soluzioni.  Ma quel che mi sento di affermare, in conclusione, è che quando i genitori sono esclusivamente concentrati sui propri desiderata, allora l’unione emotiva con i figli (e, al limite, anche fra i genitori stessi) va a farsi benedire. Esempio: se 20 anni fa io non avessi saputo rinunciare alle mie esigenze personali di fare scialpinismo a livello individuale (escursioni lunghe, con tanto dislivello e magari discese ripide…), avrei perso l’occasione di vivere momenti indimenticabili insieme a mia moglie e ai miei figli. Per cui è l’egocentrismo dei genitori che impedisce, oggi, l’unità emotiva delle famiglie.

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