Fotografare con personalità
di Massimo Malpezzi
Mi capita spesso di osservare le foto che, specialmente sui social, riempiono le pagine. A parte tre o quattro professionisti che si occupano di reportage, la situazione è desolante: qualche giorno fa intervenni a difesa di chi fotografa con qualsiasi mezzo a patto che il messaggio attraverso l’immagine fosse forte ed emozionante, insomma ho sempre pensato che una fotografia debba avere il dovere primario di raccontare una storia, non importa se scattata con uno smart phone, una compatta o una professionale.
A supportare tanta provocazione, mi sono stupito nell’archiviare alcune mie immagini, di trovare alcune foto fatte con il mio Samsung trovandole addirittura di qualità: ero riuscito a cogliere l’attimo solo grazie alla velocità di azione proprio del telefonino immortalando quella storia che, viceversa, sarebbe sfumata via senza la prontezza di un mezzo che per molti è diventato qualcosa di ben di più che un mezzo di comunicazione.
Certo, fare fotografia è un altra cosa, non dimentichiamolo. L’abuso dell’immagine, che immortala tutto perché ormai figlia di un “voyeurismo” esasperato, sta brutalizzando quella che sembrava una nicchia di appassionati, non parliamo poi dei video.
Diversa è invece la riflessione sulla fotografia di montagna, di alpinismo o più semplicemente di arrampicata. I social stanno mettendo in evidenza l’imbarazzante pochezza di fantasia e di creatività: importante è apparire, farsi vedere, cercare notorietà attraverso tutto quello che può fare invidia, non stupire o emozionare, ma richiedere più “mi piace “ possibili.
Certamente non tutti vogliono o hanno la pretesa di catturare un’immagine come fosse una foto da mostra, ma vedo troppo spesso superficialità e dozzinalità nello scatto, tanto da rendere noiosa l’immagine, se non fosse per una performance o per chissà quale altra idea legata comunque a un attimo di illuminazione fisica, non avrebbe nessun senso pubblicare centinaia di immagini.
Alcuni amici fotografi, che operano nel campo dell’arrampicata e più in generale di montagna, sanno bene il significato di postare una foto: infatti nelle loro immagini esce brillantemente quella fantasia e quella ricerca importante che costruisce una storia in un singolo scatto, penso a Michele Caminati, a Klaus Dell’Orto, Davide Necchi, David Morresi, Andrea Gallo, nomi noti che da alcuni anni ci regalano immagini emozionanti raccontando percorsi affascinanti. E’ da loro che bisogna attingere, curiosare, carpire, personalmente mai mi sono sottratto al confronto con gli amici citati, anzi spesso sono state fonti di ispirazioni, anche se ognuno di loro vive la fotografia in maniera molto intima e caratteristica.
Dare personalità ed esclusività ai propri lavori, ecco il vero salto di qualità, distinguersi da tutti.
Io fotografo soprattutto l’azione del bouldering ma non solo, amo stare il più vicino possibile all’arrampicatore, all’azione, nel bouldering viene più facile. Cerco le prospettive, alzo la linea della ripresa da terra per dare profondità, metto in risalto i particolari della natura, una felce, un albero, i sassi. Appigli e appoggi diventano i protagonisti dalla lente che amo di più, il grandangolo spinto.
Poi ci sono i visi e gli occhi degli arrampicatori, nel loro immenso sforzo le smorfie raccontano l’attimo esplosivo, la concentrazione che va a fissarsi sul prossimo obiettivo. Trasporto tutto anche in parete, in maniera più faticosa… risalire la linea dal basso con le jumar è spesso devastante quando le pareti sono molto strapiombanti, ma è l’unica maniera per osservare metro su metro l’inquadratura migliore nei passi chiave e tornare vicino all’arrampicatore.
Esiste poi la seconda parte assai delicata, la scelta delle foto e il post produzione. Ho ormai adottato un sistema particolare che si basa sulla primissima sensazione, le foto aperte in visione le faccio scorrere velocemente una dietro l’altra come in una sorta di filmica sequenza, ripeto tutto tre o quattro volte, man mano rallentando sempre più, mi appaiono immediatamente “le foto”. Quelle che a impatto mi colpiscono di più. Se solo ho una piccola percentuale di dubbio, la foto è già scartata.
Molto soggettivo, chiaro ma efficace. Ora le foto sono in una cartella con la scritta “foto ok”.
Il mio post produzione è essenziale e si basa su tre soli passaggi:
1 – apertura del soggetto se scuro, regolazione – luminosità e contrasto;
2 – strumento scherma – agendo sui chiari e sugli scuri per andare a recuperare cose sopite nella foto;
3 – strumento taglio, impaginare la foto è basilare e con essa la risoluzione e le dimensioni finali (solitamente 30×40) per obbligarmi a tenere uno schema fisso.
Naturalmente, non voglio con questo scritto indirizzare nessuno, proprio perché abbiamo fatto della personalità un momento essenziale nei nostri lavori, ma solo dare qualche consiglio stimolante… insomma proviamo a sforzarci di fotografare meglio regalando emozioni e raccontando storie oltre che esibirci…
Massimo Malpezzi – giornalista e fotografo dal 1982 – ha scritto molto per le riviste settoriali di arrampicata e alpinismo come Alp e Pareti, ha girato “Lo strappo”, che fu menzionato e premiato come video alla settimana della montagna qualche anno fa a Milano; sua e di Andrea Pavan è la prima guida interattiva con vhs e poi dvd Bloc notes con le aree più famose di bouldering del nord.
Premiato insieme ad altre 30 foto selezionate su migliaia all’International Mountain Summit.
Istruttore titolato di arrampicata sportiva nella scuola CAI Parravicini di Milano, oggi sta revisionando il suo primo libro sugli anni storici del nuovo mattino rivisitando i suoi percorsi dal 1975 al 1985. www.massimomalpezzi.com
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Aggiungerei che la stragrande maggioranza di noi frequentatori di social posta foto solo per il piacere di condividere una giornata vissuta insieme, oppure un luogo o una cosa vista, senza alcuna pretesa di essere grandi fotografi. I social servono a questo.
Poi ci sono photoblog dove professionisti fotografi et similia espongono le loro opere. Ecco, magari è lì che andrebbero mosse lievi critiche tecniche.