Franz Lochmatter

Nel 1906, la guida alpina vallesana Franz Lochmatter, insieme al fratello Josef e all’illustre capitano irlandese Valentine John Eustace Ryan, compì la prima ascensione della Cresta di Santa Caterina sul Nordend 4608 m, la cima più settentrionale del massiccio del Monte Rosa. Ancora oggi questa cresta è avvolta in una nebbia di mistero. I pochi fortunati che hanno scalato la via concorderanno sul fatto che Lochmatter era in anticipo sui tempi.

Franz Lochmatter
(la più grande guida alpina del suo tempo?)
di Robert Eckhardt

È già sera quando saliamo gli ultimi pendii di neve verso lo Jägerjoch. Il fianco settentrionale del massiccio del Monte Rosa è in ombra e si alza un vento gelido. Più velocemente che possiamo, arriviamo alle rocce dello Jägerhorn dal passo. Poi poche decine di metri fino al bivacco Gallarate 3960 m, uno dei bivacchi più alti d’Italia. Come sempre, siamo grati per il modesto ma importantissimo comfort del ‘rifugio’, dalle dimensioni di uno scompartimento ferroviario”.

Così Siep Stuurman nel libro Bergland (1) inizia il suo emozionante resoconto di una delle più belle ascensioni che abbiamo fatto insieme: la Cresta di Santa Caterina sulla Nordend, nel 1995.

Sulle orme di Lochmatter. Line van den Berg nella traversata sul primo bastione di roccia (2021). Foto: Jorian Bakker.

Dopo tutti questi anni, trovo ancora che sia stato un miracolo che abbiamo salito quella via. Pochi giorni prima, avevamo vissuto una brutta avventura sulla Dent Blanche che per poco non si era rivelata fatale: un violento e inaspettato cambiamento del tempo ci aveva travolti. Dopo due terribili notti di bivacco, Siep e io non potevamo più muoverci a causa della roccia ghiacciata e del pericolo di valanghe. Seguì uno spettacolare salvataggio in elicottero, che ci scaricò a Ferpècle. Il freddo è rimasto a lungo nelle nostre ossa e abbiamo giurato all’unisono: “Al sud della Francia. Ora solo percorsi di guerra e rocce solatie”. Tuttavia, una forza quasi mitica aveva attirato Siep e me verso il bivacco Gallarate. Era la misteriosa Cresta di Caterina? O forse il fantasma del leggendario Franz Lochmatter già aleggiava dentro di noi?

La vetta della Nordend 4608 m. Foto: Robert Eckhardt.

Franz Lochmatter
A volte vedo elenchi dei “migliori scalatori di tutti i tempi” in cui compaiono spesso nomi come Riccardo Cassin, Catherine Destivelle, Walter Bonatti e Reinhold Messner. Mai quello di Franz Lochmatter (1878-1933), che però, per quanto mi riguarda, appartiene sicuramente a questa categoria. Lochmatter ha scalato le vie più difficili di tutte le Alpi, dalle Dolomiti agli Écrins. Solo due contemporanei sono arrivati a quel livello: Angelo Dibona e Josef Knubel. Nel 1906, il suo primo anno come guida alpina diplomata, Lochmatter era davvero in forma. Nella sua “zona d’origine”, le Alpi vallesane – Lochmatter era originario di Sankt Niklaus – aprì due vie senza precedenti da decenni: la Cresta di Caterina sulla Nordend 4608 m e la parete sud del Täschhorn 4491 m. Quest’ultima parete fu la sua più difficile. Solo tre decenni dopo, altri sono riusciti a scalarla una seconda volta. Rispetto alla famosa parete nord del Cervino – per la quale i primi scalatori ricevettero addirittura una medaglia olimpica – la parete sud del Täschhorn è di qualità nettamente superiore.

Nella cordata c’era, tra gli altri, il britannico Geoffrey Winthrop Young. La storia che Young scrisse sulle dure condizioni di quella parete fa rizzare i capelli in testa. Appare nel suo libro On High Hills, pubblicato nel 1927 – in netto ritardo se si considera che prima di allora non era stato pubblicato nulla sul Täschhorn.

Se fosse stato menzionato prima, le discussioni sui confini tra coraggio e temerarietà irresponsabile sarebbero potute scoppiare già allora e non solo negli anni Trenta intorno alla parete nord dell’Eiger…

Della Cresta di Santa Caterina non è stato scritto nulla. Né sulla prima ripetizione della via nel 1923, anch’essa attribuita a Lochmatter (attraverso una pericolosa variante sulla parete nord). Nella cordata c’era anche Louise Kuhn: da notare che nemmeno lei ha lasciato una traccia scritta. Solo 31 anni dopo la prima salita, altri, oltre a Lochmatter, riuscirono a salire la via (2). Due italiani effettuarono la terza salita nel 1937.

Tre pagine della guida di Franz Lochmatter. A sinistra due pagine scritte a mano da Valentine John Eustace Ryan, con una nota a pagina 55 sulla Cresta di Caterina (righe 5 e 6 sottolineate dal basso). A pagina 56 nota di Geoffrey Winthrop Young sul Täschhorn. Proprietà di Phillips Christiaan Visser.

Scalatore gentiluomo
Lochmatter ha fatto piazza pulita dell’immagine che le guide fossero dei buzzurri o dei montanari sempliciotti. Lui proveniva da una famiglia famosa, l’aristocrazia delle guide di St-Niklaus. Secondo Young, era “un uomo alto e snello, elegante e di belle maniere, non aveva nulla in comune con lo stereotipo della guida alpina tarchiata, forte e un po’ indisciplinata, ma dotata di tecnica di arrampicata, agilità e velocità favolose“.

I miei superlativi si stanno lentamente esaurendo. Ma ciò che rende Lochmatter ancora più speciale è che egli si recò sulle catene montuose dell’Asia centrale quattro volte tra il 1912 e il 1930. Nella sua prima spedizione, nel 1912, raggiunse l’impressionante altezza di circa 7400 metri sul Monte Kamet 7755 m, nell’Himalaya indiano.

Il capo spedizione Charles F. Meade scrisse: “Non riesco a immaginare un uomo più adatto a guidare la conquista delle vette vergini dell’Himalaya. Non soffre mai gli effetti dell’alta quota“. Nel 1919 Lochmatter iniziò a scalare con il grande esploratore olandese Phillips Christiaan Visser e sua moglie Jenny Visser-Hooft.

Tra il 1922 e il 1930 Lochmatter intraprese tre spedizioni nel Karakorum, nell’Hindu Kush, nell’Himalaya, nel Kunlun e nel Turkestan cinese. Quelle spedizioni furono ben più che semplici trekking e portarono a diverse prime ascensioni. Erano viaggi epici di scoperta che a volte duravano quasi un anno.

Franz Lochmatter (1878-1933). Foto: Emile Gos, Losanna.

Agosto 1995
Siep prosegue: “Proprio di fronte a noi, la Santa di Caterina si staglia contro il cielo scuro. Non è una vera e propria cresta, anzi è più simile a un pilastro, delimitato a destra dalla parete nord dove corre la maggior parte della via. In silenzio guardiamo in alto: siamo entrambi impressionati. Per l’ennesima volta, leggiamo la descrizione e cerchiamo di capire esattamente dove passa la via. Non è ancora chiaro. Nel frattempo la temperatura si abbassa. La parete sembra irradiare freddo in modo quasi tangibile. Robert si chiede disperato con quali temperature dovremo affrontare la mattina dopo passaggi di quinto grado“.

La Cresta di Santa Caterina si staglia contro le pareti scure a sinistra dietro di essa. La cresta è in realtà il limite sinistro della parete nord della Nordend 4608 m. Foto: Robert Eckhardt.

Vedremo domani. La notte è proprio quella che ogni alpinista sperimenta prima di una grande ascensione: sonnecchiare, aspettare e poi finalmente cadere in un sonno profondo, che viene subito bruscamente disturbato dal suono duro dell’orologio della sveglia. Mentre fuori inizia la giornata, nel bivacco prepariamo corde e attrezzatura.
Pochi istanti dopo siamo sullo Jägerjoch e poi accade l’incredibile: la luce del sole nascente è già in cima alla cresta e comincia a scendere costantemente. La parete scura e dimessa si trasforma lentamente ma inesorabilmente in un’invitante struttura di gneiss giallo-rosso.

Dopo alcune lunghezze di corda, ci troviamo sotto i grandi strapiombi che rendono impossibile ogni ulteriore salita della cresta. Per far fronte a questi, Lochmatter aveva eseguito un’audace traversata in parete nord. Inizia con una fascia di roccia: è visibile un vecchio chiodo. L’ambiente è grandioso, siamo già sopra i 4000 metri. Diagonalmente sopra di noi ci sono le enormi masse di ghiaccio, a volte strapiombanti, dell’armatura di ghiaccio di cui è dotata la  Nordend. Il resto della traversata è una fessura verticale con maniglie arrotondate e piccoli gradini. Chiodi non se ne vedono più. Noi siamo ben contenti della nostra moderna attrezzatura di sicurezza: friend e dadi si lasciano piazzare facilmente qui. La nostra soggezione nei confronti di Lochmatter aumenta a ogni metro che percorriamo: ha salito quel lungo traverso di quinto grado con le scarpette chiodate, senza usare un solo chiodo da roccia, legato solo con una corda di canapa attorno alla vita.

Siep Stuurman all’inizio della traversata (1995). Foto: Robert Eckhardt.

Una vista incommensurabile
Ripensando al privilegio di aver assistito alla prodezza miracolosa di Lochmatter, ho il coraggio di metterlo in cima alla lista dei “migliori scalatori”.

Per l’epoca ha scalato gradi di difficoltà inverosimilmente elevati (V+) per le Alpi occidentali. Questo lo poneva generazioni avanti rispetto al resto del mondo. Siep ha anche detto: “Trovare questa traversata, affrontare la parte più ripida della parete senza esitazione, deve essere stato qualcosa di incredibile. Ci sentiamo quasi letteralmente dei nani sulle spalle dei giganti. Lochmatter era un genio dei grandi pilastri e delle pareti“.

Devo scrivere del resto della nostra ascesa? No, perché a questo alpinismo in grande stile sono legati indissolubilmente altri ricordi più significativi. Siep e io eravamo soli in una grandiosa selva di pareti scoscese e ghiacciai sospesi, tra i quali vertiginosi canaloni di ghiaccio si proiettavano per due chilometri nell’abisso. L’atmosfera selvaggia era in qualche modo attenuata dalla bellezza del panorama. In lontananza, sotto di noi, la terra si estendeva all’infinito sotto una leggera foschia, in cui erano visibili i contorni di innumerevoli colline e montagne. Più vicino c’erano cime innevate, ma eravamo già così in alto che sembrava di galleggiarvi al di sopra. Ancora più su si estendeva un cielo blu intenso nel quale si stavano sviluppando le prime nuvole. Non ci giungeva alcun suono dalla valle.

Solo il rombo delle rocce che cadevano interrompeva il profondo silenzio del pomeriggio. Emozioni che, a quanto pare, ha provato anche Siep: “Davanti a noi si estende la grande calotta glaciale della Nordend, un fianco di neve che sale lentamente e che si trasforma nell’esile cresta sommitale più in alto. Tutte le grandi difficoltà sono alle nostre spalle. La tensione cade e nasce una sensazione di totale euforia. I giorni grandi, come nel titolo del libro di Walter Bonatti, ecco come ci si sente. Di fronte a noi c’è la Dufourspitze, la cima più alta del massiccio del Monte Rosa. Robert vorrebbe salire anche quella, ma io penso che il mondo sia già perfetto così“.

Nordend (a sinistra) e Dufourspitze. A sinistra, stagliata nel cielo, la Cresta di santa Caterina.

Il Weisshorn
All’improvviso, come un tuono in un cielo limpido, il destino ha colpito. Lochmatter tornava sempre sulla montagna che amava di più, il Weisshorn 4505 m sopra il suo villaggio natale di Sankt Niklaus. Il 17 agosto 1933, mentre scendeva la cresta est, perse l’appoggio sulla torre rocciosa inferiore e, assieme al suo cliente Hermann Hotz, precipitò fatalmente per quattrocento metri sul Bisgletscher. Dopo quel triste evento, quella torre porta il nome di Lochmatterturm.

La notizia si diffuse veloce nel mondo dell’alpinismo. Young telegrafò alla Svizzera: “… il più grande alpinista e il più nobile degli amici“. E Alpinisme, la rivista dell’élite alpinistica francese, ammise con rammarico: “In modo tragico abbiamo perso una delle più grandi guide che abbiamo mai conosciuto, che merita di occupare un posto unico nella storia delle Alpi“.

26 anni dopo
Nonostante i due contributi di Siep su Berggids e su Bergland e anche a dispetto dei superlativi con cui ho pubblicizzato la via dopo il 1995, non vi fu alcuna ripetizione olandese della Cresta di SantaCaterina prima del 2021. Prima ci sono stati Niek de Jonge e Boris Textor. “Che posto meraviglioso!”, hanno scritto nel libro del bivacco. Poco dopo ci sono stati anche Line van den Berg (3), Mats Wentholt e Jorian Bakker.

Line mi ha scritto per e-mail: “Il mistero della Cresta di Santa Caterina mi ha interessata immediatamente: scalare lontano da Zermatt, partendo da un bivacco a 4000 metri, che conoscevo principalmente per sentito dire, prometteva avventura. E a ragione, la via è davvero stupefacente. Con solo 45 registrazioni nel libro del rifugio negli ultimi 11 anni, si ha subito la sensazione di una spedizione. Il tratto in fotografia è stato uno dei passaggi più difficili della via, soprattutto a causa delle minuscole tacche su cui bisognava fare cambio di piede con gli scarponi. Le condizioni erano difficili, perché la neve nei tratti di misto non si era ancora assestata bene. È stato fantastico averlo fatto con Jorian e Mats. Sono cinque anni che arrampichiamo insieme e questo ha creato un grande legame. Sappiamo esattamente cosa abbiamo in comune“.

Note
(1) Bergland. Een eeuw Nederlands Alpinisme (Bergland – Un secolo di alpinismo olandese)(2002). Libro giubilare della NKBV sul centenario dell’ex Royal Dutch Alpine Association (che con la NBV precedette la NKBV).

(2) Nel 1925, Willo Welzenbach scese la cresta con manovre di calata a corda doppia. Nel corso di tale operazione, tutti i passaggi rocciosi discesi furono scalati in salita. Naturalmente, tale esplorazione non valeva come ascensione. Una salita è data per buona solo se si inizia dal fondo della via e si termina in cima.

(3) La scalatrice olandese Line van den Berg è morta assieme ai suoi due compagni nel maggio 2023 durante la discesa del Grosshorn (Oberland Bernese), dopo aver salito la parete nord-ovest. Una tragedia che ha suscitato grande tristezza, specialmente nell’autore di questo articolo che non molto tempo prima l’aveva intervistata per Bergen Magazine. Di quella pubblicazione lei era felicissima: “Wow, che piacere che mi fa essere su Bergen Magazine… ‘Climbing feminist’… non potrei esserne più orgogliosa”. Nell’intervista si può avere un’idea della sua importanza, non solo per ciò che riguarda l’alpinismo. “Perché la giovane Line ti prendeva il cuore (Robert Eckhardt)”.

Sommario
– Cresta di Santa Caterina: TD/TDsup, IV, V e V+, da 7 a 9 ore. Dallo Jägerjoch 3912 m 700 metri di dislivello fino alla cima della Nordend 4608 m. Le difficoltà terminano sulla spalla a quota 4353 m, dove il percorso si trasforma nella calotta glaciale che porta alla Nordend.

– Discesa alla Monte Rosa Hütte 2882 m: PD.

– Prima salita: luglio 1906, Valentine John Eustace Ryan con Franz e Josef Lochmatter.

Rifugi e bivacchi
Bivacco Città di Gallarate 3960 m c., appena sotto la vetta dello Jägerhorn.

Guide e carte
– Alpenglow, le più belle salite sui 4000 delle Alpi. Editore/autore Ben Tibbetts, ISBN: 9781916123106.
– Landeskarte der Schweiz 1348 Zermatt, 1:25.000.

Franz Lochmatter ultima modifica: 2023-12-26T05:00:00+01:00 da GognaBlog

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14 pensieri su “Franz Lochmatter”

  1. Grazie . Storia carica di fascino e di vita  . Grazie del bellissimo e accurato racconto degno di un filologo.
    Per fortuna le  moderne Guide Alpine .. Parlo ad esempio del grande  Alberto Bolognesi o del bravissimo  Carlo Giuliberti…Guide alpine del Piemonte.
    antepongono la sicurezza all’eroismo e quello insegnano ai giovani. 
    Rimangono comunque Storie cariche di fascino che parlano di vite e di coraggio  storie di altri tempi ma sempre straordinarie che meritano rispetto e ricordo imperituro. 
    Leggendo il resoconto
    meno male che esistono i bivacchi ..
    ove non vengano vandalizzati .
    Meno male che esistono le squadre di soccorso
    che rischiano la vita per il prossimo.  
    Alessandro Giacoletto 

  2. La Guida dei Monti d’Italia – Monte Rosa – S.Saglio – F.Boffa ed.1960 indica che la cresta fu percorsa prima in discesa (1899) che in salita (senza spiegare questa stranezza) e che Welzenbach fece la quarta discesa “per rendersi conto delle difficoltà” (sembra avvalorare il malizioso commento 12) e scrivere la relazione. Di seguito stralcio delle pagg.280-81.
    159l) per la cresta Nord-est (Cresta di Santa Caterina), difficilissima. – Dalla vetta del Nordend la cresta si abbassa con la larga sua groppa di ghiaccio fino alla quota 4352, dalla quale si sprofonda con una serie di salti verso lo Jagerjoch m 3910. Questa cresta fu per molto tempo circondata di mistero; fu dapprima percorsa in discesa il 5 settembre 1899 da W. Flender con Heinrich Burgener, poi a metà agosto 1910 da E. Chrìsta, H. Pfann e F. Pfaum, infine nel 1912 da G.Leuchs e A. Schulze. La prima salita è stata fatta nel.1906 da V. J. E. Ryan con Franz e Joseph Lochmatter. Alcuni anni dopo le guide e i portatori di Macugnaga si proposero di fissare le corde destinate a facilitare il percorso della cresta, ma il progetto non venne poi messo in opera e il materiale venne abbandonato nelle prime rocce dello sperone Morshead, dove sono tuttora ancora visibili.  La seconda ascensione venne fatta da Louise Kuhn con Franz Lochmatter e Albert Fuchs, il 31 luglio 1923, con una variante a destra per evitare le difficoltà del primo salto (variante esposta alla caduta di pietre). Il 15 agosto 1925 A. Matschunas e W. Welzenbach effettuarono la quarta discesa e rimontarono ogni passaggio per rendersi conto delle difficoltà e per descrivere l‘itinerario, che qui sotto vien tradotto, dal testo francese, riportato nella guida di Marcel Kurz. Il 25 luglio 1935 C. S. Houston e T. Graham Brown con Alexander Graven e Theodor Biner scalarono il Nordend per la via Brioschi e discesero per la per la Cresta di Santa Caterina. L’8 e 9 agosto 1937 Mario Pinardi, Giacomo Molinatto, Giacinto Cristofaro e Remo Minazzi riuscirono a compiere la 3a salita, senza guide. ………….. (segue elenco delle prime dieci ripetizioni con relativa bibliografia)
    A pag.282 viene data una spiegazione dell’origine del nome: -Il nome di Cresta di Santa Caterina, che sorprende per la sua stranezza, viene così spiegato da Ugo di Vallepiana in MM 1947, 215. Al principio del secolo villeggiava a Macugnaga un alpinista che si era messo in mente di scalare con un’amica di nome Caterina questa famosa cresta del Nordend, senza però riuscirvi. La gente del luogo adottò pertanto il nome e credette di fare bene aggiungendovi la qualifica di Santa.
     
     

  3. @Cominetti: a parte alcune lacune tecniche, nelle note al punto 2 è specificato che Welzenbach discese i tratti impegnativi in doppia risalendoli in arrampicata per gradarli. Ciò che sorprende è il fatto che Willo era già un alpinista affermato (nello stesso anno salì la nord della Dent d’Herens) e tecnicamente non inferiore al primo salitore di quasi un ventennio prima. Forse diffidava della prima salita….?

  4. 7), mi sembra un po’ tutto strano. Quelli che scendono la cresta per farne la prima relazione e ripetononin salita i passaggi più difficili per gradarli.
    Da che mondo è mondo arrampicare in discesa è più difficile che farlo in salita.  O no?
    Mi dico allora che la salita raccontata dai due dell’articolo è una cosa gonfiata nell’impegno o che chi scrive di questa storia è assolutamente incompetente tecnicamente.

  5. Me lo ricordo il Luciano mentre da solo con cemento e pala attrezzata la base del futuro Bivacco Città di Luino …con Gianpaolo si usciva da una nuova variante sulle cime di Roffel..sempre di casa …grandi ambienti..anche Paolo non cè più quante volte passati fuori dallo Jagerhorn …altri tempi

  6. Penso sia giusto segnalare anche la prima salita invernale. Fu effettuata tra il 13 e il 16 febbraio del 1967 dalla guida Luciano Bettineschi detto “il gatto del rosa”con altre guide di Macugnaga. Grazie.

  7. Il racconto, che dà un lustro meritevole ad una grande guida, è molto apprezzabile. La Cresta di S,Caterina fu nei miei programmi per almeno un decennio, ma le condizioni meteo per la fattibilità si trovavano raramente e le informazioni raccolte sulla sua bellezza poco confortanti. In questi ultimi anni di forti cambiamenti climatici, isoterma molto alto e stabilità atmosferica estiva, sembrerebbe alla portata di molti (io non ho più l’età) – eppure rimane poco frequentata, malgrado facilitata da scarpette – ci sarà un perchè?

  8. Willo Welzenbach e Alexander Matschunas scesero la Cresta Santa Caterina per scrivere la relazione della via all’epoca non disponibile. Per valutare i passaggi più difficili li ripeterono in salita. Credo sia stato un modo di procedere da grandi professionisti quali erano.

  9. 15 agosto 1925 percorsero la cresta Santa Caterina al Nordend in discesa arrampicando in libera e ripetendo in salita i passaggi più difficili. 
     
    Scusate ma, commento 1, questa non l’ho proprio capita.. salivano, scendevano o cosa…??

  10. Questa storia è bellissima, non la conoscevo.C’è un’altra salita che ben rappresenta la straordinaria capacità di Lochmatter, in questo caso i fratelli Franz e Josef:  la cresta Est dell’Aig. du Plan (1906), meglio conosciuta, ingiustamente, come aréte Ryan… del resto le montagne sono piene di vie che portano il nome di ricchi clienti.Chi l’ha ripetuta sa bene quale livello era nei piedi e nelle mani dei Lochmatter, soprattutto di Franz.

  11. I primi quaranta anni di storia della Cresta Santa Caterina al Nordend
    La cresta Santa Caterina al Nordend fu percorsa per la prima volta in discesa il 5 settembre 1899 da Walter Flender, Heinrich Burgener e Ferdinand Furrer, il 16-17 agosto 1901 da Emannuel Christa, Hans Pfann e Fritz Pflaum e il 20 agosto 1902 da Georg Leuchs e Adolf Schulze. Le prime due ascensioni videro protagonista Franz Lochmatter: in data imprecisata nel luglio 1906 con il fratello Joseph e Valentine John Eustace Ryan e il 31 luglio 1923 con Louise Kuhn e Albert Fuchs. La prima relazione della via apparve sul Mitteilungen des Deutschen und Österreichischen Alpenvereins (15 settembre 1925, n. 17, pp. 212-213) e fu opera di Willo Welzenbach e Alexander Matschunas che il 15 agosto 1925 percorsero la cresta Santa Caterina al Nordend in discesa arrampicando in libera e ripetendo in salita i passaggi più difficili. Soltanto l’8-9 agosto 1937 ebbe luogo la terza salita della cresta Santa Caterina da parte di Mario Pinardi, Giacomo Molinatto, Giacinto Cristofaro e Remo Minazzi.

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