Nostalgia di una grande Nord
di Ugo Manera
Il Monte Rosa non è mai stato tra i gruppi montuosi da me preferiti. Ho salito nel 1970 la via Brioschi alla Nordend per mettere, almeno una volta, mani e piedi sull’immensa parete est poi ci sono ritornato solo saltuariamente.
Dopo il breve periodo iniziale del mio alpinismo, orientato alla collezione di cime, i miei obiettivi erano mutati, rivolti a pareti e difficoltà che il Monte Rosa offre in scarsa misura.

Esiste però un’eccezione in questa mia personale visione ed è il versante settentrionale della catena dei Breithorn. Quella serie di pareti rivolte a nord mi ha conquistato e ci sono ritornato numerose volte ricavando sempre grande soddisfazione dalle salite compiute. Recentemente i miei ricordi sono ritornati su quelle pareti perché François Cazzanelli, giovane guida alpina di Cervinia, e tra i massimi esponenti dell’attuale alpinismo di punta, mi ha cercato per avere informazioni su una via che avevo aperto, con quattro compagni, nel lontano 1980 sulla parete nord della Torre Maggiore della cresta est del Breithorn Centrale. Ho incontrato François che mi ha conquistato per la sua simpatia e per il grande entusiasmo che traspare quando parla di scalate e progetti alpinistici. Entusiasmo che mi fa ritornare indietro di 40 o 50 anni, quando anch’io avevo il fuoco dentro che mi spingeva a scalare senza sosta.
Cazzanelli è andato su quella parete con un altro dei giovani big dell’alpinismo attuale: Leonardo Gheza, e assieme hanno tracciato una nuova difficile via che segue un percorso posto a destra della nostra: la via dell’Estate Indiana.
L’episodio ha portato la mia memoria a rievocare quelle lontane avventure. Avventure vissute con vari amici, alcuni dei quali non ci sono più. L’occasione di scrivere di quelle salite mi consente anche di rinnovare il loro ricordo.

La prima volta sul versante nord dei Breithorn è stata nel 1965 e percorsi la bella Kleine Triftjigrat. I miei compagni erano: Giuseppe Agnolotti, Luigi Bosio ed Eugenio Ferrero. Purtroppo, dei tre, il primo avrebbe perso la vita in un incidente sulle montagne della Groenlandia, mentre gli altri due sarebbero morti prematuramente per cause naturali.

Ero rimasto affascinato da quell’ambiente e mi convinsi subito che ci dovevo ritornare. L’occasione si presentò nell’estate 1967, l’obiettivo era la bella via Mellano-Pianfetti sulla parete nord della Quota 4106 m. Ero in compagnia di un giovane molto promettente, Guglielmo Rubinetto proveniente dalla scuola di alpinismo Giusto Gervasutti. La sua vita fu breve, la perse in un incidente automobilistico mentre si recava a scalare nelle Dolomiti. A lui è dedicata una via al Becco di Valsoera nel Gran Paradiso: la via di Guglielmo.
Quella scalata alimentò il mio entusiasmo tanto che vi ritornai con Claudio Sant’Unione per la prima invernale. Era il 3 marzo 1975 ed è stata, tra le “invernali” realizzate, una di quelle che mi hanno dato più soddisfazione. Ancora d’inverno salii il canalone nord-est del Breithorn Orientale con tre cari amici che non ci sono più: Mariangelo Cappellozza, Costantino Piazzo e Tullio Vidoni.
Arriviamo così al 1980 e alla più importante delle mie realizzazioni su quel grande versante nord: la Via della Torre Maggiore che supera la parete nord dell’ultima grande torre della cresta est del Breithorn Centrale.
In quegli anni uno dei massimi e più bravi concorrenti alla ricerca di novità nelle Alpi Occidentali era la guida francese Patrick Gabarrou. Nel 1979 aveva aperto con Pierre-Alain Steiner una via diretta sulla parete nord del Breithorn Centrale. Questo fatto aveva destato il mio interesse ed osservando l’ampia parete di quella cima avevo notato la rocciosa parete nord della Torre Maggiore (l’ultima della cresta est del Breithorn Centrale). Nessun itinerario sfiorava quella parete. Depositai l’idea di scalarla nel cassetto della mia memoria dedicato ai progetti alpinistici, già ben colmo di problemi da risolvere.

L’occasione si presentò all’inizio del mese di settembre 1980 senza essere stata programmata. Ci trovammo in cinque diretti in valle d’Ayas: oltre a me erano Lino Castiglia, Pietro Crivellaro, Claudio Persico, Luciano Pezzica. Tutti amici ma non erano i miei soliti compagni di cordata. Luciano e Pietro erano stati miei allievi alla scuola di alpinismo Giusto Gervasutti, con Lino avevo scalato in falesia mentre cercavo di convertire la mia mentalità alla nascente “arrampicata sportiva”. Con Castiglia stava nascendo il progetto di una spedizione himalayana molto impegnativa ed eravamo desiderosi di affrontare insieme qualche cosa di serio. L’obiettivo lo avevo indicato io, la comitiva l’aveva messa insieme Lino.

Il Gran Gendarme della Kleine Triftjigrat presenta un pilastro est che non era mai stato scalato: vi era stato un tentativo da parte di Andrea Mellano ma poi più nulla. La mia proposta, condivisa dagli altri, era di andare a vederlo.
Al momento di partire da Saint-Jaques in valle d’Ayas, il tempo si era guastato e dovemmo desistere. Il maltempo durò poco e ritornò presto il sereno ma non avevamo però più il tempo sufficiente per il primitivo progetto. Per non restare a mani vuote occorreva qualche obiettivo alternativo. Mi venne in mente la parete nord della Torre Maggiore al Breithorn Centrale. Potevamo scendere dalla valle d’Ayas, risalire la Valtournenche, prendere una delle ultime funivie per Plateau Rosa, scendere dal versante svizzero, bivaccare al Triftjisattel e tentare il giorno dopo la nostra parete.

Cosi facemmo e raggiungemmo la sella glaciale in tempo per osservare il nostro obiettivo nella luce di uno stupendo tramonto. Il percorso appariva evidente: seguire una costola di seracchi che sembrava non presentare tracce di valanghe, aggirare sulla sinistra un affioramento roccioso e raggiungere, per ripido pendio di ghiaccio, le rocce sotto la Torre Minore. Con traversata verso destra portarsi sulle rocce della parete della Torre Maggiore puntando poi, il più direttamente possibile, alla sua cima.
Il bivacco sulla sella nevosa fu quasi piacevole, la temperatura notturna era quella giusta: freddo da far gelare la neve sui pendii ma non tale da rappresentare una sofferenza per noi. Partimmo al buio, superammo una linea affiorante di seracchi e la prima luce ci trovò già impegnati sul ripido pendio. Il sole ci raggiunse con i suoi primi raggi per un breve periodo prima di nascondersi dietro la cresta sommitale, lasciandoci all’ombra per il resto della giornata.
Salivamo divisi in due cordate. Davanti, legati con me, Castiglia e Pezzica; seguivano Crivellaro e Persico. Avevamo necessità di progredire veloci per non rischiare un bivacco su quella fredda ed inospitale parete per cui conducevo io, un po’ più esperto nella progressione su ghiaccio. Superammo una crepaccia terminale, aggirammo sulla sinistra un affioramento roccioso e per un ripido pendio ghiacciato raggiungemmo le rocce della Torre Minore. Il pendio era di ghiaccio ma salendo con tecnica frontale lo superammo abbastanza rapidamente. Una lunga e delicata traversata verso destra ci portò sulla parete della Torre Maggiore. Abbordammo le rocce in corrispondenza di un diedro verticale poi, obliquando sempre verso destram, superammo impegnativi tratti rocciosi alternati a zone di terreno misto. Alla base di un canalino di ghiaccio molto ripido che portava sotto a degli strapiombi chiesi a Lino se aveva voglia di passare un po’ in testa, mi rispose con la solita schiettezza:
“Se passo io in testa su questo terreno siamo certi di bivaccare, continua pure tranquillo”.
Gli strapiombi si dimostrarono decisamente impegnativi e dovetti superare alcuni tratti in artificiale. Intanto dietro avevano deciso di unirsi in una unica cordata. Lino badava alla mia assicurazione e gli altri si assicuravano a vicenda.
Il tratto più impegnativo venne superato e la salita continuò alternando tratti di roccia salda a tratti di misto in direzione della cima della Torre. Da ore eravamo all’ombra in un ambiente freddo e severo ma a suo modo anche esaltante. Il giorno volgeva al termine e noi cercavamo di salire il più velocemente possibile onde evitare che il buio ci cogliesse ancora in parete. Uscii sulla cresta una ventina di metri sotto la cima della Torre Maggiore che raggiunsi quando il sole era tramontato, in una luce surreale e meravigliosa. Uno alla volta i miei compagni mi raggiunsero, tutti stanchi ma pienamente soddisfatti della salita compiuta. Ogni preoccupazione era svanita, c’era in noi solo più spazio per l’allegria.
Al buio continuammo verso la cima del Breithorn Centrale poi giù, scivolando lungo la facile via normale. Lentamente, ormai deconcentrati, raggiungemmo le costruzioni deserte di Plateau Rosa dove, al meglio, trascorremmo la notte. La severa parete nord della Torre Maggiore aveva la sua via.


François Cazzanelli mi ha inviato alcune foto scattate durante l’apertura della loro via insieme ad una panoramica della parete nord sulla quale sono tracciate le vie esistenti. Guardando la fotografia della parete ho notato che tra la loro via Estate Indiana e la prima delle vie poste a destra (ovest), Nektar, vi è ancora un ampio settore “intonso” ed è il settore più ripido. Quando ci siamo sentiti al telefono gli ho fatto questa osservazione ed egli mi ha risposto:
“Eh, sì, su quella parete c’è ancora da divertirsi…”.
Per loro c’è da divertirsi, per me solo più un po’ di nostalgia.
24Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
Si, allora era lui.
Lo avevo incrociato in qualche uscita CAI Modena, quando anche io ero ancora attivo.
Silverio Leporati, di Carpi. Dapprima socio della sezione CAI di Carpi, poi di quella di Modena. Frequentò l’ambiente modenese dal 1976-77 alla metà degli anni Ottanta. Morí nel 2001.
@Fabio
Silverio… mi sa che lo avevo conosciuto anch’io… Cognome?
“We few, we happy few, we band of brothers.”
Scusate ma, pensando al discorso di san Crispino e al 3 gennaio 1982, mi sono commosso. Dei quattro di quel giorno, uno se n’è andato, per malattia: Silverio, uomo buono e leale, amico fraterno.
https://www.youtube.com/watch?v=BuZjHSsNbqw&pp=ygUkZGlzY29yc28gZGkgc2FuIGNyaXNwaW5vIHNoYWtlc3BlYXJl
Alberto, come ben sai, l’etica alpinistica nel corso del tempo è cambiata. Oggi si aprono vie che si sviluppano a due metri e mezzo da altre preesistenti oppure le intersecano piú volte o coincidono in parte con quanto già esiste.
Il caso peggiore è quello di vie che ne cancellano altre. È ciò che successe alla Pietra di Bismantova, dove furono eliminate due famose vie in artificiale (via Doretta e via Paola) per lasciare spazio all’arrampicata sportiva.
Quando eravamo giovani si ragionava in modo diverso. Una via, per essere considerata indipendente, doveva trovarsi a debita distanza da quelle vicine.
Se invece avessimo applicato la concezione moderna ai nostri tempi, chissà quante vie – anche facili o di media difficoltà – ne sarebbero nate. Mi riferisco, per esempio, a molti itinerari invernali sulle Prealpi (Piccole Dolomiti, Pasubio, Grigne, ecc.) che allora noi non prendevamo nemmeno in considerazione (forse sbagliando), ma che ora riempiono le guide alpinistiche. Anche sulla parete NE del Rondinaio (Appennino Modenese) ora esistono tanti itinerari invernali, ma quando la salii nel gennaio 1982 con la mia “Band of brothers” (We few, we happy few, we band of brothers), con innevamento eccezionale (tantissima neve, dura come un mattone!) era praticamente terra incognita. In precedenza ci era salito solo forse la cordata di Marcello Pesi, ma per un altro itinerario.
Quello che ho descritto è bene o è male? Io credo che sia bene. Abbiamo piú possibilità di scelta, anche se ora si è aggiunto un nuovo pericolo: le orde in parete.
In ogni caso, anche nei miei tempi migliori, sulla parete nord del Breithorn Centrale avrei potuto affrontare al massimo la via che attacca dal Triftjiplateau menzionata da Buscaini. Magari con partenza dalla base del ghiacciaio, seguendo la prima parte della via Frachey e poi deviando a destra una volta giunti all’altezza del Triftjiplateau per imboccare il ripido canalino (visibile in foto) che solca l’estremità destra della parete e che dovrebbe corrispondere a quanto descritto da Buscaini.
Verrà buona quando tornerò a nascere… 😂😂😂
Alcune di queste 9 vie , se non ho capito male, si sovrappongono
Nella guida Monte Rosa di Silvio Saglio e Felice Boffa (collana Guida dei Monti d’Italia, 1960) figura una sola via sulla parete nord del Breithorn Centrale, quella del 1953 dei Frachey.
Nella guida di Gino Buscaini (1991) ne sono descritte sei.
Attualmente, in base alle fotografie allegate all’articolo, ne esistono nove. Eccone la cronologia: 1953, 1979, 1980, 1984, 1985 (due vie), 1997, 2022 (via Chatelan), 2023.
In piú, Buscaini descrive un’ulteriore via sulla parete nord del Breithorn Centrale: quella che attacca dal Triftjiplateau. Volendo considerare pure questa (il che mi pare corretto), il totale sale a dieci.
Come mi disse una sera Cesare Maestri: diventar veci l’è ‘na gran ciavada!
Manera “pan e pera” ma anche … “pan e giassa” leggendo queste righe …Un mito della mia gioventù !
Per un normale amante della montagna, che fa canali banali rispetto a queste ascensioni, c’è sempre la curiosità, il rispetto, e il sogno che in un’altra vita ci possa essere la speranza di rinascere con le vostri doti. Grazie per la condivisione.
Errore di definizione dell via
Scandere 1980 foto di copertina della Via Maggiore Centrale,all interno articolo di Ugo Manera….settimogradisti parassiti sociali?
conclusione: “Per loro c’è da divertirsi, per me solo più un po’ di nostalgia.”
Eh sì, come ti capisco grande Ugo, trovandomi in simile situazione – è la ruota che gira. Ricordo con nostalgia anche la ripetizione di alcune tue belle vie e una splendida serata nel Lecchese di molti anni fa. Felice di rileggerti, grazie!
Tutto molto bello. Ambiente, storia e vedere che per chi ha occhi la ricerca ha ancora spazio di espressione anche vicino a casa
Allegria, divertimento, amicizia! il bello dell’alpinismo. Grazie Ugo.