Metadiario – 135 – Friedl Mutschlechner (AG 1986-001)
In Alto-Adige il 26 gennaio 1986 non era una bella giornata, perché assai fredda e grigia, con brevi interruzioni di pallido sole. Con Nella, da Funes salimmo con gli sci fino alla Malga Brogles, che trovammo chiusa. Ma le Odle si vedevano tutte, per nulla amichevoli. Ed eravamo soli, in tutto il giorno non incontrammo nessuno.
Il 9 febbraio mi ritrovai con Popi Miotti per salire la Cascata del Grande Antro. Questa cascata costituisce il salto inferiore della magnifica colata che si trova prima del Sasso Remenno, sul lato sinistro della valle. Quando è presente molta acqua essa compie uno spettacolare salto nel vuoto di circa 100 metri, dopo aver percorso in alto una liscia placconata. Impressionante è l’enorme concavità granitica dalla quale precipita la cascata. Dopo il grande salto l’acqua riprende a scendere percorrendo alcune lisce placche per poi giungere su ripidi prati a poca distanza dalla strada. Proprio queste ultime placche, se ghiacciate, si offrono alla salita in piolet-traction.
In circa 15’ fummo all’attacco. Attaccai la prima parte di placche (60°-65°) e dopo una quarantina di metri mi fermai su una cengia innevata. Popi continuò nella seconda parte (65°-80°) più ripida e anche meno facilmente proteggibile, concludendo dopo 50 metri. Scendemmo a sinistra, aiutandoci con una corda doppia.
L’ultima settimana di febbraio Nella ed io ce l’eravamo riservata per un piacevole soggiorno al Passo Monte Croce di Comelico (Kreuzbergpass) 1636 m: l’hotel era il Kreuzberg, tenuto dal 1956 dall’affiatata coppia Hansi Innerkofler e Michel Much Happacher. Quest’ultimo, oltre a essere un conoscente di Nella, era una delle più famose guide alpine di Pusteria, autore di alcune belle prime ascensioni. Happacher scomparirà nel 2011 e di lui Hans Kammerlander disse: “È morta una grande guida alpina e un uomo che amava la montagna. Per me Much Happacher è sempre stato un grande esempio; l’ho visto anche di recente, quando non stava più bene. Di certo ha lasciato tracce importanti nelle Dolomiti di Sesto”.
Il 23 febbraio da Malga Nemes 1877 m iniziammo la salita con gli sci al Pullkopf 2381 m: ma a circa metà, vuoi per una leggera indisposizione, vuoi per la giornata grigia e abbastanza schifosa, con freddo e vento, Nella rinunciò lasciandomi proseguire da solo verso la vetta.
Il giorno dopo il tempo era migliore, ma ci limitammo a salire con gli sci fino al fondo della Val Fiscalina (rifugio Fondovalle) perché ci fu l’incontro con i miei suoceri, in vacanza lì per qualche giorno. A metà pomeriggio andammo a trovare l’amico Friedl Mutschlechner nella sua casetta di Brunico. Era dal tempo del K2 che non lo vedevo, ma avevo seguito le sue imprese. Mi fece piacere questo incontro, e penso che la cosa sia stata reciproca. Avemmo modo di conoscere anche la moglie. Decidemmo che il 26 avremmo fatto insieme una gita e il pomeriggio trascorse sereno.
Il 25 febbraio era finalmente una bella giornata. Nella non era ancora del tutto a posto e inoltre voleva preservarsi per l’escursione del giorno dopo. Così, giunti in macchina a Selvapiana e proseguiti al rifugio Lunelli 1568 m, lei preferì stendersi al sole e lasciarmi proseguire con gli sci fino al solitario rifugio Antonio Berti 1967 m, escursione decisamente non pericolosa e immersa in un ambiente spettacolare, quello della parte orientale del gruppo del Popera.
Il 26 mattina presto, al luogo dell’appuntamento con Friedl, faceva un freddo siderale. La nostra meta era una delle cime delle Crode Fiscaline, perciò dalla Val Fiscalina ci avviammo lungo lo stretto vallone in cui s’incuneano i pendii della Croda dei Toni e delle Crode Fiscaline. Fummo raggiunti da una banda di scialpinisti che viaggiava decisamente più veloce di noi: erano nientemeno che Franco Gionco con cinque suoi amici. Non conoscevo di persona Gionco, ma sapevo della sue enorme esperienza scialpinistica e dei libri che aveva pubblicato. Fu lui a riconoscermi e dopo le necessarie presentazioni decise che avremmo proseguito assieme, tanto per chiacchierare un po’. Gionco era una forza della natura, capace di emettere parole a raffica anche sotto sforzo prolungato… ma a ben riflettere lo sforzo era solo mio, per lui quel passo era da passeggiata tra gli olivi. Oltrepassato il rifugio Zsigmondy-Comici, ci dirigemmo alla Cima Orientale delle Crode Fiscaline (Oberbachernspitzen Hauptgipfel) 2677 m.
Dopo una prolungata sosta in vetta, nel tripudio dei colori di quella giornata e gustando prelibatezze offerte dai nostri amici, cominciammo a scendere: e fu una discesa fantastica, la neve non si era trasformata. Era un piacere fare curve, ma forse era anche più bello osservare gli altri farle, vederli interpretare la loro porzione di terreno vergine a seconda del proprio estro e capacità.
Il giorno dopo Friedl era ancora libero, così decidemmo di fare un’altra escursione assieme. La meta la scelse Friedl, che evidentemente conosceva quelle zone come le sue tasche. Partiti dal rifugio dei Tre Scarperi 1617 m, Nella fu con noi per almeno metà della salita alla Cima Piatta Alta (Hochebenkopf) 2905 m: quindi noi proseguimmo veloci fino in vetta per poi tornare, recuperarla e scendere assieme a valle.
Non fu l’ultima volta che vidi Friedl, ma di certo fu l’ultima volta che andammo in montagna assieme. Mutschlechner era nato il 14 ottobre 1949 a Brunico, ottavo di dieci figli. Cresciuto a Teodone e a Brunico in un contesto modesto, dopo la scuola media svolse l’apprendistato come idraulico. A 15 anni aveva iniziato a scalare le montagne circostanti fino a diventare, negli anni Settanta, un noto e apprezzato rocciatore grazie alle sue prime ascensioni e alle solitarie sulle Dolomiti e sulle Alpi Orientali. Diplomatosi guida alpina nel 1979, lavorava nella Scuola alpina di Reinhold Messner ed era stato con noi alla spedizione del K2 nel 1979. In seguito accompagnò Reinhold in diverse altre spedizioni sull’Himalaya, alla conquista degli Ottomila. Per tre volte raggiunse con successo gli Ottomila: Shisha Pangma nel 1981, Kangchenjunga nel 1982 e Makalu nel 1986. Nel 1991 Friedl si unì ad Hans Kammerlander e Karl Grossrubatscher per la salita al Manaslu. Grossrubatscher durante il tentativo finale decise di abbandonare e iniziò a scendere da solo, andando incontro a un solitario incidente mortale. Ignari di questo, Hans e Friedl proseguirono fino a 7100 metri, ma le avverse condizioni li costrinsero al ritorno. Nella tempesta che si scatenò durante la loro discesa, Friedl fu colpito a morte da un fulmine. Era il 10 maggio 1991: e ancora oggi Friedl Mutschlechner riposa nel ghiaccio eterno del Manaslu.
Fa venire i brividi pensare a un amico perduto in questo modo e immerso da decenni nella sua rigida solitudine glaciale. Non oso neppure pensare alla tragedia vissuta da Hans Kammerlander e preferisco indulgere sul mio sgomento. Al K2 più volte avevo visto il volto di Friedl e la sua barba corazzati dal ghiaccio e sferzati dalla bufera. Mai avrei pensato però che quella sarebbe stata l’immagine nella quale il suo ricordo sarebbe stato prigioniero per tutti questi anni nella mia mente, deformata dal pallore cadaverico di una morte così subitanea. E’ difficile sopportare quelle sembianze, e allora il ricordo rincorre altri momenti, altre espressioni di quel viso così forte, generoso e limpido. Gli occhi azzurri che figurano grandi sogni mentre in un italiano approssimativo cerca di capire il perché ci trovassimo così bene assieme. Mi costa scrivere queste righe, sento la lama del dolore che si affonda in un’anima così simile alla sua, perché lui non c’è più, ed è rimasta solo l’emozione del ricordo, purtroppo trasmessa a senso unico.
Il 28 febbraio Nella ed io ci facemmo l’ultima escursione della nostra “settimana bianca”: fu quasi spontaneo scegliere di risalire la Valle Sassovecchio (Altensteiner Tal), passando sotto la poderosa parete nord di Cima Una, fino a svalicare la Forcella di Toblin 2405 m e ammirare l’incredibile spettacolo delle Tre Cime di Lavaredo in una luce diafana, quasi irreale. C’era aria di neve, ma riuscimmo a scendere alla macchina in tempo.
L’8 marzo 1986 con Giovanni Rosti andai alla Cascata Centrale di San Giuseppe, in Val Malenco.
Non tra le più impegnative, quella cascata comunque non deve essere sottovalutata. Ha un dislivello di 250 metri e una pendenza tra i 60° e gli 80° gradi. Dalla chiesetta di San Giuseppe scendemmo al torrente Màllero, la cascata era lì evidente. Salii io la prima lunghezza di 35 m su un risalto a 70°. Subito dopo Giovanni traversò a sinistra brevemente fino alla base di una stretta candela, che superò (80°) fino a raggiungere una zona più abbattuta, alla base di una nuova impennata del ghiaccio. Proseguii io e superai questo nuovo salto di 45 m (70°-75°) raggiungendo un tratto meno impegnativo, interrotto a metà da un risalto a 70°. La quinta lunghezza (45 m) fu ancora mia, con un tratto a 70°-75°. Ormai le difficoltà erano finite e risalimmo il corso ghiacciato fino a trovare il sentierino innevato (circa a quota 1594 m) che lo attraversa. Per quello scendemmo a sud-est e poi giù ancora prima fino al ripiano dell’Alpe Zocca 1438 m poi fino al ponte sul Torrente Màllero.
Di quella giornata non ho un ricordo positivo, probabilmente perché la temperatura non così rigida rendeva pericolosa la nostra salita. Almeno, questa è l’impressione che mi è rimasta.
Dopo una mia conferenza a Padova il 14 marzo, Nella ed io ne approfittammo il giorno dopo per fare una puntata a una guglia che mi aveva sempre incuriosito, la Gusela di Cismon in Val Brenta. E’ quella bella torre che dal paese di Cismon appare come un gendarme, assai aguzzo e snello, che affonda le sue rocce cespugliose allo sbocco della Val Goccia. Umberto Marampon, da solo, l’11 e 12 settembre 1976, vi aveva tracciato (sulla parete sud-sud-ovest) un itinerario di tipo misto, decisamente elegante a vedersi, con uno sviluppo di 220 m circa. L’aveva dedicata a Paolo De Tuoni, un alpinista di Spresiano morto sullo Spigolo del Velo alla Cima della Madonna. La scalata con Nella andò molto bene per le prime sei lunghezze di corda, le difficoltà erano contenute, tra il IV e il V grado. Ma era l’ultimo tiro che incombeva e minacciava di rovinare gioia ed entusiasmo. Piuttosto arcigno, superato in artificiale da Marampon, sale un caratteristico “rombo” che termina proprio sotto la croce dell’acuminata vetta. Volli provare la salita in libera (senza sapere che c’era già riuscito Luigi Leandro il 5 novembre 1983), ma l’ora un po’ attardata e la preoccupazione che Nella ci potesse trovare “lungo” mi fecero presto desistere, pertanto salii usando anche qualche staffa. Segnalo che oggi questa via è diventata una bella classica, anche perché ripulita e attrezzata a fix nell’autunno del 2012 da Ermes Bergamaschi e Mario Carollo.
Da segnalare in quel fine inverno 1986 (in febbraio) l’uscita della guida Scalate scelte nel Bergamasco, di Andrea Savonitto. Debbo riconoscere che con quella pubblicazione, Melograno Edizioni faceva un leggero passo indietro rispetto alla qualità di Arrampicate scelte in Dolomiti, Arrampicate scelte nel Lecchese e soprattutto di Il granito del Monte Bianco. Non che la guida non fosse accurata, anzi. Fu la qualità dei disegni, decisamente inferiore, a determinare un giudizio di scarsa appetibilità da parte del pubblico. Peccato, per lo sforzo fatto dal Gigante e noi meritavamo di più che una stentata vendita della prima e unica tiratura.
Come ormai di consueto, ecco la tabella delle salite di quel periodo.
Ricordi…
ho avuto l’enorme piacere di arrampicare con Friedl per tre o quattro stagioni (beninteso, lui come guida e io come cliente) e ne conservo un bellissimo ricordo. Ma sopratutto, verso il 1986-87 lo ingaggiai per due settimane per fare il corso di roccia alle Cinque Torri ai miei tre figli (allora 12, 1o e 8 anni) – cosa di cui vanno (e vado) ancora orgogliosi. Ancora oggi, capita che qualcuno li veda scendere a corda doppia con ambedue le mani sotto il discensore, e chieda “‘ma dove avete imparato a scendere così?” ricevendo la risposta, “Friedl Mutschlecher! Sudtiroler Kletterschule!!”
Il racconto che Hans Kammerlandet fa del fulmine che lo uccise è qualcosa di allucinante. Tutti sappiamo di alpinisti uccisi da fulmini, ma questo a quanto pare questo era un fulmine globulare – fenomeno molto raro e che in genere si vede solo in mare – una specie di “palla” di energia elettromagnetica con tempi di formazione enormemente più lunghi rispetto ad un fulmine normale. Hans raccontava che lo videro avvicinarsi, oscillare per un po’ e poi “saltare addosso” a Friedl.
Tra l’altro, sciaguratamente in quella spedizione gli amici avevano fatto in modo che la moglie di Friedl potesse per la prima volta partecipare ad un campo himalaiano.
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Ancora una volta ho partecipato con entusiasmo alle uscite di Alessandro, grata per la sua costante volontà di condivisione.
purtroppo non ho mai avuto modo di conoscere Fred Mutschlechner nei miei viaggi himalaiani ma ho sempre pensato ad una persona forte e tranquilla, in grado di affrontare quelle montagne che per me erano ancora troppo grandi.
per lavoro ho passato mesi a Longega in Val Badia ospite in un albergo della famiglia Mutschlechner, cugini, ….ho dei bei ricordi dei racconti e dei discorsi che si facevano riguardo questa persona, per me un mito, e riguardo l’himalaia che stavo vivendo a tempo pieno
E ora, che sono passati tanti anni, sempre piú spesso mi domando:
“Che cosa rimane della gloria di Roma?’.
Ho un ricordo anch’io di Friedl che incontrai sulla seconda cengia della Cima Scotoni in una freddissima e ventosa giornata estiva. Teneva una mano in una moffola di piumino per i postumi di un congelamento himalayano recente ma aveva poco prima scalato la Via dei Fachiri con un cliente mentre io avevo fatto lo stesso ma sull’adiacente Via degli Scoiattoli.
Al rifugio, complice Helga Agreiter e suo marito Erwin, padroni di casa, ci fu una bella merenda. Altri tempi.
Si dice che l’alpinista migliore è quello che muore nel suo letto. Ma quando il fato usa i fulmini il giudizio andrebbe sospeso. Quanti bei incontri nella Sua vita Sign Alessandro