La lunga notte dell’anima
di Beppe Ley
(pubblicato su camoscibianchi.wordpress.com il 7 aprile 2023)
“Adesso proviamo a camminare in silenzio per qualche minuto mentre ascoltiamo il rumoreggiare del torrente e mettiamo in connessione il nostro silenzio interiore con lo scorrere dell’acqua“.
“Ascoltare il flusso di un rio con un certo atteggiamento interiore è un potente antistress: lo abbatte del 60-70% e non a caso in paesi come la Scozia molti professionisti sanitari iniziano a prescrivere le esperienze in natura per alcune problematiche“.
Comincia così un’escursione in Val Grande, all’ombra del Monte Bellavarda, organizzata dal CAI di Lanzo e accompagnati da Nicolò Starnai, psicologo outdoor.
Sì, inizia così ma ora non potrò mai sapere dove finisce perché questa volta l’escursione non termina con lo zaino che entra in macchina. L’escursione si conclude con lo spalancarsi di enormi portali di cui prima di adesso potevo solo avvertirne l’esistenza ma non sapevo dove fossero.
Nicolò in sei ore di escursione dà voce alla montagna: parlano i rii, le vette, l’azzurro del cielo, come il marrone e il verde della terra. Anche gli alberi finalmente riesco a sentirli. Sarebbe successo lo stesso se avessimo incontrato degli animali.
Avverti qualcosa ma non sai dargli voce. Ti succede per decenni, lungo gli infiniti percorsi che si dispiegano nelle montagne. Senti che c’è qualcosa di immensamente potente tra quei frattali, così li identifica Nicolò, osservando le miriadi di punte che si stagliano all’orizzonte, mentre ad ognuna di esse do un nome affinché i nostri compagni di escursione possano ammirarle e sognarle.
Ma ho sempre pensato che non basta vedere, leggere, ascoltare per comprendere davvero. Non basta fare tutto questo per capire davvero l’enorme importanza dell’”ambiente” per la nostra vita.
Qualche giorno prima di conoscere Nicolò lungo il sentiero 326 mi è venuta voglia di scrivere un tweet, mentre osservavo una foto sul pc:
L’ho scritto dopo essermi abbandonato ad una bellissima ed inaspettata nevicata nel Vallone di Crosiasse, un’esperienza che tutti dovrebbero provare a vivere mentre ti trovi ad ore di distanza dalle false e distorte sicurezze della civiltà putrescente.
Non basta tutto questo: bisogna saper sentire. E bisogna impararlo.
Quando si riesce a percepire la vita che ci circonda ad un livello profondissimo, allora forse comprendi quanto siamo intimamente connessi con il creato. E soprattutto senti quanto ne facciamo parte: noi sapiens non siamo un qualcos’altro rispetto alla natura, sebbene la cultura occidentale e il cristianesimo (da cui deriva la nostra civiltà) abbiano fatto di tutto e di più per convincerci ad auto-estrarci dalla natura e posizionarci così sulla somma vetta del comando. In cima al mondo ci siamo noi, occupiamo il vertice della piramide ecologica e lo facciamo da secoli con estrema miseria intellettuale, comportandoci come mocciosi capricciosi che combinano un sacco di pasticci.
Se capirai tutto questo, se ne sentirai le vibrazioni estatiche, allora finalmente comprenderai che la parola ambiente – un “oggetto” oscuro e distante da noi – non ha alcun significato perché l’ambiente siamo noi con la nostra mente. L’ambiente è uno stato della mente. Uno stato che si attiva quando si impara a sentire. E a farsi sentire.
I frattali. In verità la nostra mente non vede vette, creste, pareti, canaloni… Vede frattali.
Ma per arrivare fin qui, abbiamo dovuto vivere la lunga notte dell’anima.
Grazie Nicolò. Per me la più bella escursione mai fatta. E grazie al CAI Lanzo, in particolare a Marco Barchi.
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Quando sto in mezzo alla natura mi sento leggera e felice non vorrei mai allontanarmi
Credo di essere abbastanza allineato con quanto dice Marcello Cominetti. Sarà perché anch’io ho un rapporto quotidiano con la montagna. Credo anche nella validità di riuscire a creare un dialogo intimista con la natura e di individuare una “spiritualità”. Tuttavia ho poca fiducia nelle mediazione perché ritengo fondamentale trovare un proprio percorso e una propria sintonia. E ho l’impressione che oggi si abbia la complicare cose che sarebbero naturalmente più semplici.
Caro Marcello, tu abiti in montagna e sei guida alpina da una vita, ti conosco da tanti anni, e penso che tu hai raggiunto da un bel pezzo l’equilibrio di cui parlava quel maestro buddista del Khumbu. Ma chi, come me, ha sempre abitato in città e non è abituato ad un rapporto paritario con l’ambiente naturale e la sua energia, per come la vedo io ha necessità di trovare qualcuno che lo guidi a capire quanto è importante entrare in sintonia con questa energia, se non altro per provare a ritrovare quell’equilibrio con se stesso ed il mondo della natura che, prima dell’avvento del Cristianesimo, era prerogativa dei nostri antenati.
Attualmente siamo tutti troppo impegnati a fare soldi, ad avere fretta, a vivere come se il tempo presente non esistesse, a non fermarci mai per restare un po’ da soli con noi stessi. Sono le persone come te, come l’estensore dell’articolo e come quel monaco, che possono insegnare a noi cittadini come ritrovare questo equilibrio. Un abbraccio.
Io cerco di tagliare corto ma non ne posso più di chi ama teorizzare cose banali per ricondurle a discorsi da fare a una platea di babbei.
Ti piace salire i monti? A piedi, scalando sul terzo o sul decimo grado? Bene fallo e goditela. Per ognuno ha un significato e determinate sensazioni di conseguenza. Tutto normale.
Mi è capitato di accompagnare varie volte escursionisti con cui facevo un giro tra i monasteri buddisti della valle del Khumbu in Nepal. Il tutto prevedeva fare yoga ogni giorno con un maestro locale. Alla fine, una signora romana molto “devota” chiese al maestro quale sarebbe stato il passo successivo per migliorare il suo yoga. Costui le rispose candidamente che avrebbe dovuto raggiungere uno stato in cui non avrebbe più avuto bisogno di “fare” yoga perché avrebbe avuto un un’atteggiamento costante teso al massimo equilibrio. Lei ci restò malissimo entrò in crisi e non ne volle più sapere.
Marcello Cominetti la dice un po’ brutalina, ma.
Parto dal mio alpinismo scarso (chiedo scusa al consesso di veri grandi alpinisti che scrivono qui, ma tant’è) di decenni fa.
1976 Canale della Forcella all’Argentera. Partendo dal Bozano avevo il naso che colava sangue, avevamo un po’ di apprensione perché era al ns/ limite, alle 7,40 eravamo alla Forcella, il cielo era d’un blu da lacrime. Goduti come treni, panorama bellissimo, ansia sciolta (anche se la cresta successiva non è banalissima, però tupenda). Altro che ambiente stato della mente.
2004 Cresta est del Viso. Causa ginocchia scricchiolanti del compagno e sua predisposizione a non guardare mai l’orologio, passiamo dal Chiaretto al Fiorenza dopo le 20,30. Luna piena, Visolotto, Gastaldi, Roma, Udine, ecc ricoperte da una luce lattiginosa come se fosse tutto sotto un lenzuolo bianco. Pazzesco, bellissimo. Lo stato fisico e mentale era bruttino vista l’ora, l’ambiente era divino di suo, altro che stato della mente.
Vero che Bonatti aveva detto che la montagna più alta è dentro di noi (più o meno), ma adesso forse si esagera con la montagna e l’ambiente, grandi terapie ( in alcuni casi, es. certe disabilità, può certamente essere utile). Sa quasi di moda, per diversificare.
Quanti animali ho visto fuggire, quanti silenzi interrotti dall’arrivo delle pattuglie di non cannibali del cai…col loro vociate ininterrotto…cou loro coloro sgargianti…con la loro furia di arrivare!!
Avevo scritto SCARNAMENTE E NON SCARSAMENTE. Ma rileggendo può andare anche in entrambi i modi.
Ho come la sensazione diffusa che chi scrive e tratta comunque di montagna oggi, lo faccia partendo da una situazione di malessere e consideri la montagna come una terapia ai mali cittadini.
Ho avuto questa sensazione anche leggiucchiando la nuova Rivista del Cai. Tutto lecito per carità, ma personalmente ho una visione così diversa e scarsamente realistica di tutto ciò che mi sembrano tutte farneticazioni senza senso. Problema mio.