Sardegna: vietato rubare la sabbia
di Carlo Crovella
Ogni isola è una montagna. Alcune lo sono in modo indiscutibile, perché il loro diametro coincide con la base di un monte, come a Stromboli. Però tutte le isole sono le vette di montagne sottomarine, almeno è bello considerarle così. Sarà per questo che sono particolarmente affezionato alle isole. Alle isole del Mediterraneo, in particolare. Per uno come me, esplicitamente impostato sulla tradizione “classica”, il Mediterraneo è il Mare nostrum, il centro di gravità universale delle nostre esistenze.
Mi piacciono tutte le isole del nostro mare, ma ad alcune sono particolarmente legato. Saranno le mie vicende personali o le loro caratteristiche geomorfologiche, non saprei dire. Alcune di queste isole presentano l’interno dai chiari caratteri alpini, come la Corsica. Altre sono selvagge e dirupate, come Marettimo nelle Egadi, le cui scogliere sono chiamate le Dolomiti del Mediterraneo. Altre ancora, pur senza vette rinomate, risultano poco antropizzate, come le isole minori dell’Arcipelago toscano.
Su tutte le isole del Mediterraneo spicca e domina la Sardegna, l’Ichnusa degli antichi greci: ichnùsa, impronta, perché il perimetro ricorda l’impronta del piede umano. Descrivere la Sardegna sarebbe ridicolo. Anche perché, in lei, c’è un qualcosa di misteriosamente affascinante che non si riesce a esprimere con parole umane. Il mare, l’acqua trasparente, le scogliere, le cale immacolate, l’interno arso, il calcare bianco grigio (a volte rosso-ocra e perfino nero), la macchia mediterranea. Ecco, quel profumo pungente di macchia mediterranea è, per me, la sintesi inconscia della Sardegna. Chiudo gli occhi e sento il profumo e penso alla Sardegna.
Per tutti questi motivi la notizia che in Sardegna si sta diffondendo la brutta abitudine di “rubare” sabbia (ed altro) è stata per me una vera coltellata. Non solo per me. Una coltellata profonda, dolorosissima. Occorre urlare il proprio dissenso, schierarsi a favore di un controllo rigidissimo e per la repressione di questo crimine.
Il fenomeno ha un precedente, ma era circoscritto. Anni fa si diffuse l’abitudine di portarsi via un po’ di sabbia della Spiaggio Rosa dell’Isola di Budelli (Arcipelago della Maddalena, Sardegna settentrionale).
Immortalata da Michelangelo Antonioni nel film “Deserto rosso”, la Spiaggia Rosa è un luogo fiabesco, un simbolo di fragilità e di bellezza: situata a Cala di Roto, deve il suo colore ai frammenti microscopici di coralli e conchiglie come la Miriapora truncata e Miniacina miniacea. Questi microrganismi si trovano in mare fra le posidonie a pochi metri dalla riva e, quando muoiono, le conchiglie vengono trascinate verso la spiaggia, sminuzzandosi grazie all’azione delle onde e degli agenti atmosferici. Purtroppo l’eccessiva presenza di turisti stava alterando l’eccezionalità della spiaggia: nonostante le restrizioni e contro ogni buon senso, in molti portavano via un po’ di sabbia come souvenir. Per fortuna la spiaggia è ora sottoposta ad un rigidissimo regime di tutela.
Ma il fenomeno, che pareva stroncato perchè limitato al solo episodio di Budelli, ha preso invece un’altra piega, estendendosi a quasi tutte le spiagge dell’intera isola. Nell’estate appena terminata è emersa prepotentemente la presa di coscienza di molti appassionati, alcuni residenti e altri no. Pare si sia addirittura concretizzata una “conversione”: un turista romano è tornato, dopo 40 anni (!), a riportare la sabbia nella spiaggia di Is Arutas (Sardegna occidentale).
In una fase storica in cui stiamo finalmente rendendoci conto che l’attività antropica sta distruggendo il pianeta, le grandi lotte non sono solo a livello di gas serra e inquinamento industriale. Anche i piccoli comportamenti individuali incidono. Per questo mi schiero apertamente contro agli atti di vandalismo descritti nell’articolo di cronaca riportato in calce. Dobbiamo educare i nostri consimili a comportarsi come siamo stati educati noi.
C’è un passo in più da fare: non è solo una questione di maleducazione o di mala fede (cioè dolo), a volte occorre modificare comportamenti che, in sé, potrebbero anche essere accettabili. Il punto è che l’eccesso di pressione antropica sta mettendo a rischio l’incolumità dell’ambiente e occorre camminare in punta di piedi per non rovinarlo. Atti che a prima vista appaiono “innocenti” possono oggi avere significative ripercussioni per l’effetto moltiplicatore connesso all’aumentato numero di fruitori.
Faccio un esempio: un amico dei miei genitori, appassionato escursionista ed alpinista di medio livello, ha costruito in casa la personale “vettoteca”. In una teca di vetro ha inserito piccoli pezzi di roccia prelevati sulle vette dove era stato. Ciascun frammento (in genere grossi come noci, all’incirca) ha un piccolo basamento dove viene riportato il nome della montagna e la data di prelievo. Dopo decenni e decenni di attività, la “vettoteca” è piuttosto consistente.
Si tratta di un vezzo, una collezione, una forma alternativa delle foto di vetta. Non c’è dubbio sulla buona fede dell’iniziativa (anche perchè iniziata in un periodo – anni ’50 – in cui non esistevano i problemi di oggi).
Eppure occorre interrogarsi a fondo: cosa accadrebbe alle cime delle montagne se ogni alpinista se ne portasse a casa un pezzettino? I topografi svizzeri, che registrano le quote con la precisione del decimetro (vedere per credere!) dovrebbero forse ristampare le carte ogni anno? (Carlo Crovella)
Sabbia, conchiglie e teschi di delfino
(L’assalto dei predoni delle spiagge)
di Nicola Pinna
(pubblicato su La Stampa del 18 agosto 2019)
La giustificazione più assurda l’hanno dovuta sentire le guide ambientali che ogni giorno accompagnano (e controllano) i turisti nel paradiso naturale del Golfo di Orosei. I quattro romani che provavano ad andar via dalla spiaggia di Cala Mariolu con un sacchetto di sassi bianchi, esattamente quelli che rendono bella e quasi irreale la costa orientale della Sardegna, si sono indignati per il rimprovero: «Sono solo pietre, mica è un pezzo di Colosseo».
E non è un caso che i tanti bloccati e sanzionati provino sempre a giustificarsi con un «non sapevamo fosse proibito». Solo negli ultimi tre giorni sono stati scoperti, nell’ordine: una modella russa che scriveva frasi d’amore per il suo «Miguel» con una bomboletta spray direttamente sulla roccia all’arcipelago della Maddalena; una coppia di turisti francesi con 40 chili di sabbia di Chia in partenza da Porto Torres; un’altra coppia nella zona di Bosa che aveva rubato esemplari di pinna nobilis (rarissimo mollusco) per rivenderli su Internet.
Così le località più prestigiose della Sardegna diventano terra di conquista per vandali in costume da bagno. Ladri travestiti da innamorati della natura.
I furti e le aste on line
Nell’isola che tenta di difendersi dall’assalto con cartelli, campagne social, multe e persino controllori-volontari mimetizzati tra i bagnanti, i vacanzieri sciacalli non si fanno scoraggiare. E c’è anche qualcuno che ha ben pensato di rivendere a caro prezzo le bellezze naturali asportate di nascosto. I furti di sabbia e conchiglie restano ancora i più frequenti e sulle aste online pare che le vendite vadano a gonfie vele. I più richiesti sono sempre i bianchi granelli di quarzo che arrivano dalla spiaggia di Is Arutas, sulla costa occidentale, in provincia di Oristano, ma anche la finissima spiaggia di Stintino ha acquirenti affezionati. A Villasimius, tra i lidi di Porto Giunco e Punta Molentis, la razzia è davvero quotidiana e solo negli ultimi tre mesi sono stati recuperati ben 400 chili di sabbia.
Le sorprese non mancano e capita che qualcuno tenti di salire sul traghetto nascondendo nel bagagliaio dell’auto un esemplare, come accennato in apertura, di pinna nobilis, e che altri mettano in valigia un teschio di delfino.
«Ogni granello di sabbia è un pezzo di futuro che se ne va – dice l’assessore regionale all’Ambiente, Gianni Lampis – Dobbiamo spiegare ai giovani che per garantire il futuro della nostra terra, comportamenti del genere vanno combattuti».
La mappa degli assalti
A Is Arutas, la località più incantevole della costa della provincia di Oristano, hanno provato in ogni modo a scoraggiare i furti di sabbia. Qui la tentazione sembra irresistibile, perché la spiaggia è formata da milioni di granelli di quarzo. A qualcuno ricordano i chicchi di riso, di certo c’è che quella distesa bianca è il frutto di un processo naturale: dura da milioni di anni ed è legato allo sgretolamento delle rocce della vicina isola di Maldiventre. I cartelli piazzati sulle passerelle, i volantini, i forestali e i volontari che sorvegliano tra gli ombrelloni non sono bastati. Ogni giorno si rischia la rissa, tra i bagnanti che intervengono per sventare i furti, e c’è sempre bisogno di attendere l’arrivo dei carabinieri e degli agenti della Forestale.
I blitz in aeroporto
Nel quotidiano assalto alle località più prestigiose non c’è solo una motivazione economica. Resiste, purtroppo, l’idea di portarsi a casa il solito souvenir proibito. Basta trascorrere qualche ora all’area partenze dell’aeroporto di Cagliari, dove gli addetti alla sicurezza portano avanti una battaglia di salvaguardia della natura. In quasi tutti i bagagli che passano sotto il metal-detector a raggi infrarossi c’è un pacchetto da sequestrare. Nel giro di alcuni anni i vigilanti hanno sequestrato un po’ di tutto: quintali di sabbia, conchiglie e piante protette. In queste settimane di grande caos tra arrivi e partenze, gli scaffali del magazzino dell’aeroporto sono già pieni di scatole, bottiglie piene di sabbia e bustine di ogni dimensione. In autunno, anche quest’anno, si ripeterà il rituale di restituzione di tutto il maltolto. Nell’altro scalo aereo più frequentato, quello di Olbia, c’è un deposito di sabbia che nelle prossime settimane sarà consegnato all’Area marina protetta di Tavolara, da dove arrivava gran parte di ciò che è stato sottratto. «Dieci tonnellate – dice il direttore del parco, Augusto Navone – Pensavamo che si trattasse di qualche bottiglietta di sabbia e invece abbiamo scoperto che avremmo recuperato una ricchezza inestimabile. Nei depositi c’erano pure tantissime conchiglie e frammenti di roccia». I geologi hanno compiuto una serie di comparazioni, che hanno permesso di stabilire da dov’erano stati sottratti. E così quintali di quel tesoro sono tornati nella spiaggia di Porto San Paolo e il resto è stato riportato sull’isola di Tavolara.
“I sequestri non bastano”
«I sequestri sono importanti ma non bastano – riflette il direttore del parco di Villasimius, Fabrizio Atzori – Preferiamo spiegare e convincere le persone, farle diventare nostre alleate affinché si sparga la voce. Una strategia che sta dando buoni frutti: quest’estate due persone hanno restituito spontaneamente sabbia e conchiglie. Ma riceviamo anche le telefonate di turisti che si sentono in colpa». Talvolta il pentimento si materializza dopo una (lunghissima) maturazione. E nelle scorse settimane un turista romano ha riconsegnato al sindaco di Cabras la sabbia di Is Arutas che aveva rubato quando era bambino. Ci sono voluti 40 anni. Ma per riformare questi granelli luccicanti ci vorranno molti secoli.
Quattro domande ad Antonio Casula
di Nicola Pinna
(pubblicato su La Stampa del 18 agosto 2019)
Antonio Casula è il comandante del Corpo forestale della Sardegna. Guida un esercito di agenti che durante l’estate trascorre giorno e notte a fronteggiare anche gli incendi.
1 Comandante, non è che si faccia poco per prevenire i blitz dei predoni? «Nei giorni dei roghi, ovviamente, le nostre forze devono essere concentrate su quel fronte. Ma alla salvaguardia delle nostre bellezze rivolgiamo molta attenzione. Forse i Comuni dovrebbero fare di più per presidiare le spiagge».
2 Le sembra che quest’anno gli episodi siano più frequenti?
«Purtroppo sono frequenti e continui. In queste ore l’ultimo: alcuni turisti stranieri hanno inciso il nome di un loro amico defunto nella parete di un grande arco naturale, nella spiaggia di S’Archìttu, nell’Oristanese. Speriamo di rintracciarli, ma temo che anche loro riusciranno a farla franca».
3 In che senso? Nessuno paga le multe?
«Quando i responsabili di questi episodi sono stranieri, difficilmente riusciamo a riscuotere le sanzioni. Così si diffonde il senso di impunità. La Regione sta valutando se applicare il sistema delle ganasce fiscali: chi viene sanzionato si ritrova con l’auto o la barca sotto sequestro finché non paga».
4 Cosa accade tutte le volte che in aeroporto viene sequestrata una bottiglia di sabbia?
«Scatta anche la denuncia, male multe spesso e volentieri non vengono pagate».
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Carlo Crovella says:
2 Ottobre 2019 alle 19:08
“Una curiosità, chissa’ se qualcuno sa rispondermi. Come mai i miei articoli dei due giorni precedenti hanno innescato così tanti interventi e questo invece (di fattura altrettanto rinarchevole) lascia pressoche’ indifferenti?”
La risposta mi sembra talmente lapalissiana che ho quasi paura a darla: questo articolo, a differenza degli altri due, non dà l’impressione che le persone vengano arbitrariamente divise in frequentatori “legittimi” (i c.d. “veri appassionati”) e “illegittimi” (i c.d. “cannibali”).
Inoltre la soluzione (sempre nel caso di questo articolo), è una e semplice (il che non implica che anche la sua attuazione sia semplice): non si ruba la sabbia, punto.
Cordiali saluti
Grazie per questo post, mi avete gia’ fatto tornare il desiderio del mare della Sardegna. Potenziare i controlli non deve uscire più nemmeno un granello di sabbia.
Tranquillo. A volte ci si accende perché qui siamo tutti appassionati 🙂
Lo capisco.
Paolo rileggendo bene penso di aver mal interpretato il tuo intervento e di non aver dato il corretto significato a quel..”duro”…in tal caso mi scuso con te.
Ma no, ci mancherebbe. Esprimo anche io un’opinione sulla tua. Si chiacchiera con tranquillità.
Il sei un po’ duro caro Paolo puoi tenertelo per te….come tutti esprimo la mia opionione…oppure tu siedi su di uno scranno più alto?
Bé, sei un po’ duro Simone… Non sono così arcinoto. Semmai sono temi da dibattere ora invece, prima di danni irreversibili. Carlo non ha proposto soluzioni ma nei commenti lo hanno fatto in tanti, ciascuno a suo modo. È da questo sentire diffuso che magari nasce una spinta a tentare una via, o un’altra.
Secondo me in entrambi i post hai finito per parlare di argomenti stranoti a chi vive la natura senza indicare nessuna innovativa via d’ uscita (ammesso che poi ne esistano).
Fastidioso l’ impegno che metti nel sottolineare le tue credenziali e tessere le tue lodi.
Il tutto mi lascia molto perplesso…
Si’, peccato che si sprechino miliardi di righe a sminuzzare se il concetto di cannibale da me utilizzato sia confacente o meno, delirante o azzeccato, esauriente o squintetnato… e invece non si provi nessun interesse ad approfondire il tema della difesa dell’ambiente anche in riva al mare. Ecco questo disinteresse totale per l’ambiente è la controprova dell’approccio “sportivo” che io tanto denigro. Lo sportivo (il cannibale) è concentrato solo sul “fare” il Cervino o sul fare la tal via o la tal discesa in sci. Invecr un vero appassionato delle montagne ama talmente l’ambiente che il suo amore scende dalle vette fino alle spiagge marine (con tutte le sfumature intetmedie).
Comunque un post di successo… Peccato.
Io lavoro nella sensibilizzazione pubblica nei confronti degli ambienti caratterizzati dalle acque, siano oceani, stagni o ghiacciai. Lo facciamo a un buon livello, per un acquario pubblico in una delle città più importanti d’Italia, per una delle più importanti aziende di gestione idrica del nord, infine collaborando con tour operatori di livello, mondo della ricerca, organizzazioni non profit nazionali. La scuola è il nostro target primario, poi il grande pubblico. Sono 27 anni che lavoro in questo ambito. Una dei fenomeni più vistosi di cui ci siamo resi conto negli anni è che, dopo una stagione felice negli anni 90, c’è una regressione di sensibilità ambientale da parte del pubblico, marcata soprattutto nell’ultimo decennio. Sembra assurdo dirlo in un epoca in cui pare vero l’esatto opposto. Eppure è così. Esiste una “sensibilità” di superficie, direi più sociale, capace di indurre a comportamenti e consumi apparentemente sostenibili. Ma una irreversibile ignoranza dei meccanismi naturali, del senso e del rapporto con la Natura, direi c’è una preoccupante confusione su cosa sia la Natura stessa. C’è più voglia di soddisfare un ego “ambientale” del “io faccio”, comunque e spesso ostentando. Ma manca la voglia, il desiderio di ” io voglio sapere, voglio capire, voglio conoscere” quello che sta dietro la dimensione sociale del nostro agire o del nostro pensiero sostenibili. Che spesso, alla fine, non lo sono affatto.
Provo ad essere più chiaro chiedendo scusa per la caduta di stile: “Come posso essere sensibile verso l’ambiente quando non lo conosco questo ambiente, non mi frega un cazzo di sapere cosa sia davvero la Natura, se non percependola come un luogo di svago o, a seconda delle mie private necessità (o peggio, per questioni amministrative o normative), una rottura di coglioni”?
Una curiosità, chissa’ se qualcuno sa rispondermi. Come mai i miei articoli dei due giorni precedenti hanno innescato così tanti interventi e questo invece (di fattura altrettanto rinarchevole) lascia pressoche’ indifferenti? Eppure se siamo davvero appassionati del territorio in quanto tale (che sia la vetta del Cervino o la spiaggia di Is Autas), dovremmo esprimerci con altrettanto coinvolgimento emotivo, anzi fin di più, perché a Is Arutas stanno letteralmente rubando la sabbia. Un danno irreversibile. Ciao!
“Cannibali” al mare, oseri dire…
Le spiagge sarde quanto a wilderness ce le siamo già giocate, (negli anni ’70 ce n’era molta di più in Sardegna che sul Brenta); vediamo se riusciamo a fare qualcosa per le Alpi