Go aid a pitch 03

Go aid a pitch 03 (3-4)
di Gabriele Canu

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Selvaggio Blu, Day 0 – Blu Moon (Prologo)
“ogni zaino dev’essere massimo 15kg, altrimenti vi tocca pagare di più!”. Aereoporto di genova, ore 15. Comincia così, da buoni liguri – con bagagli all’aria per spostare i pesi e per bagagli a mano dei bei sacchetti della coop – l’avventura di 4 loschi liguri in terra sarda. Ad attenderci nella Terra Promessa, un signore con un cartello con scritto “Gapclimb”. E vi ho già detto tutto, anche considerato che riconoscere 4 scapestrati in partenza per questa avventura, vi assicuro, non era impresa sì ardua. Dopo un viaggio di 2 ore con le schiene ben incollate ai sedili – scopriremo come alcuni sorpassi possano essere ben più pericolosi della permanenza plurigiornaliera in ambiente ostile – eccoci sbarcare a Santa Maria Navarrese, 8 di sera in pieno centro (…) città (…). Fontanella! Bene, riempiamo le taniche da 15 e 10 litri, e via verso la partenza. Inutile dire che, giunti alla partenza – un deserto piazzale dal tetro aspetto – scopriamo a malincuore il colore dell’acqua: gialla, forse un po’ arancione… non male, per essere l’acqua dei giardini dove giocano i bimbi! Ancora non siamo partiti, e già siamo alla prima decisione strategica… prendiamo coraggio, svuotiamo tutto, e ci fidiamo di un ipotetico punto di raccolta acqua “quasi certo”… a tre orette da qui. Un’ora a rifare gli zaini, un panino, una birra, e poi… e poi parte qui, dopo tempo che lo aspettavamo, il nostro “Selvaggio Blu”. Sappiamo che sarà una grande avventura, questa volevamo… e ora siamo qui, pronti, sicuramente felici di esserci anche se forse un minimo “intimoriti” da quel che potrà essere. Ma siamo stati noi ad aver voluto venire qui, l’abbiamo studiato bene e preparato, e ora che sono le dieci di sera, che abbiamo gli zaini in spalla, che siamo pronti a partire… beh, non sapremo cosa ci aspetterà… ma siamo pronti ad andare a vedere! Il cielo è terso, una bella stellata, e non fa neanche freddo… si parte! … è notte fonda ormai, ma bellissimo, questo lunghissimo sentiero che traversa mezzacosta un centinaio di metri sopra il mare! Andiamo via bene, veloci, fa fresco e camminare così quasi non pesa, e poi, finito il “prologo”, siamo alla -vera- partenza del percorso… e dopo aver camminato un’altra oretta, siamo al rifornimento d’acqua… che per fortuna c’è! Due a riempire le taniche e potabilizzarle, gli altri due a cercare la traccia per il giorno dopo e un buon posto dove passare la nostra prima notte… e tra mille risate, e un po’ di stanchezza, verso l’una e mezza le stelle ci danno la buonanotte… il prologo è finito: che l’avventura abbia inizio!

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Selvaggio Blu, Day 1 – Persi nel Blu
“tappa di non difficile individuazione”. Il team Gap mette subito le cose in chiaro: … chi sei tu, o omo, a mettere limiti alle nostre capacità di perderci?! … giammai! Così, illuso il nostro mistificatore non sbagliando una virgola sulla prima delle due tappe del selvaggio contro cui ci prenderemo a schiaffi oggi, non facciamo che un’oretta della successiva tappa prima di cominciare a non distinguere nemmeno un sentiero da uno stradone delle dimensioni pari al Grande Raccordo Anulare, e cominciare pertanto, seduti sconsolati su una pietra, a girare la cartina in tutti i versi possibili, autoconvincendoci di essere sulla Laurentina, e di avere a fianco il monte ginnircu. Resta un mistero capire come il ginnircu possa distinguersi da tutte le altre collinette a fianco, di eguali forme e quote, metro più, metro meno. Distinguere il ginnircu dal Su runcu nieddu, vi assicuro, non è come distinguere il Medale dal Fitz Roy… Fatto sta che, persi per persi, troviamo un’anima viva, un pastore della zona, e chiediamo con candida gioia, “… scusi, per porto quau?!”… un po’ come essere in piazza dei miracoli a pisa e chiedere informazioni per il colosseo. Tra l’altro, come chiederlo non all’APT, quanto piuttosto ad un individuo camuffato da pastore sardo, ma con l’accento più intorno al rumeno andante. La risposta “… per di là”, è tutto dire. Ore a ravanare nella fitta vegetazione, finché, tornando all’ovile (… che di solito è un modo di dire, ma qui no!) troviamo il vero pastore, che con accento sardo doc, ci illumina: “ah, porto quau?! Ci si arriva da ovunque!!!”. Essì, certo. Io e andre rimaniamo allibiti nel sentire tutte le spiegazioni dei vari itinerari per giungere a destinazione, e ubriachi di indicazioni, torniamo dai soci… ovviamente non ricordandoci nemmeno più se il “recinto di legno con cancelletto” è sull’itinerario 1,2,3,4… né tantomeno dove si collochino “i resti di un ovile abbandonato e distrutto”, e per giunta se siano prima o dopo della “straducola verso sinistra che poi scende e si prende l’altra discesa verso i resti di un ovile che si passano a destra, poi a sinistra, prima di prendere un’altra straducola da sinistra a destra”. Insomma, praticamente il pastore ci aveva fatto una bella supercazzola come fosse Antani, per giunta con scappellamento a destra… e noi ancora stavamo a ringraziarlo!!! E vabbè, via, si naviga “a vista” (… sì,

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vabbè, ‘a voglia, vedersi lì in mezzo a quella vegetazione!), finché, traversa traversa, giungiamo sul bordo di un grosso canale. Fortuna che da piccoli i nostri quattro bipedi avevano letto tutti i manuali delle giovani marmotte, e infatti concordarono tutti e quattro: “… ma certo, questo non può che essere bacu mudaloru!”. E poco dopo, concordarono che in effetti, vada per il possibile errore di taratura dell’altimetro, vada la pressione che andava cambiando, ma se l’attraversamento del bacu era dato a quota 170, e noi eravamo a quota 630, qualcosa in quel vecchio biplano a motore… e qui altro che amaro montenegro, qui di amaro c’è solo l’infinita discesa: 2h abbondanti per ben 400 metri di dislivello. Però! Fatto sta che a quota 200 nulla, 180, 170, 160, 130, 110… e i nostri quattro eroi, sconsolati e senza la minima idea di dove si siano cacciati, e con il buio sopra le loro teste, e nel cuore un’emozione, decidono per la soluzione finale: dritti per il bacu fino al mare, poi, domattina, se ne riparla!
… e non so come raccontarvi i restanti 100 metri di dislivello (e ottomilaquattrocento di sviluppo o giù di lì!), in un ambiente simil foresta tropicale: la lotta con l’alpe, qui portata ad una più congrua lotta con la giungla mediterranea ha inizio, dopo 10 ore di cammino è quello che ci vuole, si lotta, lo zaino si impiglia ovunque, si suda, ci si avvinghia alle liane, si sfondano muri di arbusti prendendo la rincorsa, si cammina a quattro zampe… ormai vale tutto! … ma a un certo punto, ore dopo, Mich penetra la notte stellata con un urlo: “IL MAREEEEEEEEEEE!!!!”. Per tutto questo tempo, da qualche ora a questa parte, non facevamo che chiederci dove fossimo finiti. Non era passato che un giorno, ed eravamo già abbrutiti, vestiti strappati, sguardo stravolto, schiena distrutta… e non avevamo la minima idea di dove fossimo. Poi, mentre Mich e Ricky iniziano le pratiche per accendere un bel fuoco per chiudere questa giornata, io e Andre scendiamo alla caletta pochi metri sotto, guida alla mano… “però, questa foto ci assomiglia…” – “c’è anche la placca liscia a destra, gli alberi lì…” – “… siamo a Porto Quau, ga!!!”.

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A questo punto inseriamo la presentazione che Gabriele fa dell’amico Ricky:

Ricky giunge al GAP dopo una lunga preparazione atletica; interi tiri da rinvio a rinvio, seguendo l’arte del mitico Richard (l’unico uomo al mondo a tirare TUTTI i rinvii della INPS a Pianarella TRANNE UNO!). In grado di addormentarsi due volte nel giro di quattro giorni su due soste di due vie diverse. Noto per il suo eclettismo, passa dalle grotte, alla mountain bike, al curling, alle gare di pentathlon acrobatico, il tutto nella stessa giornata, e la sera passa da chiaretta. Effettivamente nell’elenco fatto manca la scalata, ma fatta come la fa lui può tranquillamente rientrare nelle quattro attività menzionate. Ex maratoneta, ex ammaestratore di girini, ex campione di UNO (autore tra l’altro della prima solitaria invernale di un torneo del noto gioco da tavola), attualmente pare abbia la tendenza a sopravvivere inventando gare di mountain bike, e si dice che le organizzi in modo tale che almeno uno si sperda per le colline del finalese per dare alla gara un brivido finale. Il tutto mentre tutti ormai mangiano e bevono e se ne battono i maroni del poveraccio disperso, salvo il medesimo individuo, i vvff, i carabinieri, la questura, il comune di finale; inoltre ha la tendenza a distruggersi le caviglie sfracellandosi su lunghi rettilinei pianeggianti. Da consumarsi preferibilmente entro il 20 ottobre 2011.
NDA: per dovere di cronaca, in seguito a dura contestazione ricevuta a mezzo sms dall’interessato, si precisa che il sig. Richard, in arte Richard, si ritiene “certo di aver tirato TUTTI i rinvii sulla INPS, anche quelli sull’imbrago di chi mi aspettava in sosta”….
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Selvaggio Blu, Day 2 – … ma il cielo è sempre più Blu!
Ancora increduli dell’essere giunti a Porto Quau senza nemmeno aver capito se eravamo nella regione giusta – fatto confermato solo dall’accento del pastore di cui al Day One – eccoci al risveglio per una tappa che, almeno questa!, non dovrebbe crearci troppi problemi, giungendo nella splendida Cala Goloritzé… un deja-vu per tre quarti del gruppo. E in effetti, quattro minuti dopo essere partiti, ga è già disperso nelle fresche frasche sarde, ma dopo una lotta corpo a corpo con enormi corbezzoli, ha la meglio e torna sulla retta via… scuoiato come un cinghiale, ma ancora in grado di intendere e di volere. Non riusciamo a perderci nemmeno nella discesa di un enorme bacu – cosa sulla quale avremmo potuto scommettere oro! – e poi, risalendo, le patetiche scene per riempire le nostre taniche ormai a metà, con un meraviglioso seppur pericolante canale di scolo poggiato su un albero che porta la poca acqua piovana che riesce a strappare all’arido terreno dentro una grossa tanica. Inutile descrivere il colore dell’acqua… lo lascio alla vostra fervida

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immaginazione. In compenso l’opera di potabilizzazione sembra andare a buon fine, nonostante il colorito un po’ smorto… e noi sopravviveremo. Forse!Poco dopo, dopo averci regalato scorci stupendi su tutto ciò che sarà di noi nei prossimi giorni, la natura si vendica con noi ingrati e ci piazza davanti la ripidissima e durissima risalita – incredibile come 400 metri di dislivello possano essere così massacranti! – che ci toglie ogni energia, sembra sempre lì sta sommità, invece si sale, si sale, si sale per pietraie ed enormi distese rocciose lavorate dall’acqua e dai millenni… finché non giungiamo laddove non c’è più da salire, dopo cinque o sei ore, sotto il sole e con gli zainoni – chi più, chi meno – a schiacciarci la schiena. Lo svacco è massimo, siamo contenti di essere qui, siamo nei tempi, vicini a un bellissimo ovile, il meteo è dalla nostra… e ormai da qui è solo discesa. Ahhhh, già già, bella bella la discesa su sto tipo di terreno e con sti zaini…!! Rischiamo di perderci proprio qui sul più bello, ma un attento sguardo alla carta (sì, vabbè, dai, si fa per dire) ci riporta sulla retta via, e dopo otto ore, finalmente su una mulattiera degna di tal nome, giochiamo a chi riconosce per primo l’Aguglia… ed eccoci qui, Porto Quau-Cala Goloritzé è in saccoccia, sono le due e mezza… è presto, e possiamo rilassarci (?!?) in vista delle prossime due tappe, la prima la più ostica e facile da disperdere, la seconda… beh, quinta e sesta tappa da unire, altrimenti altro che traghetto Olbia-Genova, martedì sera!… ma prima di andare a nanna, c’è andre che aveva un sogno: salire sull’Aguglia – per lui la prima volta! – durante queste folli giornate… sono quasi le tre, ga ha visto la roccia e non capisce più niente, le scarpette – e solo quelle, e solo le sue! – nello zaino ci sono… e perché non dare una mano agli amici per realizzare un sogno? “Dai andre… presto che è tardi!!”.

Selvaggio Blu, Day 2 – Easy Gymnopedie
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Selvaggio Blu, Day 2 – Easy Gymnopedie
… e così, anche quest’idea malsana l’abbiamo realizzata! … come dire, scalare l’aguglia dopo 8 ore e mezza di avvicinamento con lo zainetto da 20 chili ti dà tutta una soddisfazione diversa… ma che voglia di scalare! … e così, la giornata è bella, non fa freddo… ma ci son solo due ore di luce! … ma ga, senza zainetto in spalla e con le sue inseparabili katana (i 450 grammi portati più volentieri sulle spalle) ai piedi, dopo aver racimolato un po’ di moschettoni singoli e ghiere li centellina quanto può lungo i tiri, andre con le scarpe da trekking non perde un colpo, e così… di nuovo qui, questa volta a goderci il tramonto!… bella l’aguglia, bellissima, un “missile” stampato in questa cala splendida… andre è felice, ci teneva a salire quassù… ed eccoci qua! … e ora è il momento di scendere… c’è da far legna, accendere il fuoco, preparare cena, riordinare… è lunga prima di nanna! … domani si torna a scarpinare, niente più tacchette, buchi, reglettes… d’altra parte – e questo penso si fosse capito – … non siamo mica qui per divertirci!!

Selvaggio Blu, Day 3 – Impegnativo Blu
Ed eccoci qui. Chi l’avrebbe mai detto, il giorno prima metà team poco prima del tramonto era nel punto più alto della cala, l’altra metà – sfiorando l’ibernazione – era nel punto più basso, immersi nelle stupende acque blu di questo luogo magico… La splendida alba dalla cala è un momento imperdibile, ormai in compagnia di un simpatico cagnetto, che da ieri alle 3 ci tiene compagnia. Ci facciamo prendere – e come, no?! – dalla voglia di una bella sboulderata su un masso nella cala… la tentazione di farsi male in maniera idiota proprio alla vigilia della tappa più impegnativa del percorso, è troppo grande… Ma è ora di finirla con questi stupidi momenti poetici… è il momento di tornare a scarpinare! Ogni volta che rimettiamo lo zaino sulle spalle, è come guardare dritto in faccia il nostro avversario sul ring senza aver sentito suonare l’inizio dell’incontro… ma la prima mezzoretta facile facile ci aiuta a prendere confidenza, sinché non sbattiamo dritti contro un muro di una quindicina di metri che si frappone al nostro cammino… e finalmente anche le corde che ci portiamo sulla schiena da una ventina d’ore si impregnano di un loro significato! Certo è che trovare degli spit in una cosa “selvaggia” non lascia indifferente ga, che non può che esimersi dall’ignorare un vetusto spit e passare un cordinetto intorno a un alberello. Ciò che è selvaggio, lasciamolo tale! Certo salirci con venti chili sulle spalle regala emozioni, quarto grado o cosa sia, ci rendiamo presto conto che “divertirsi” è un’altra cosa… ma son sicuro che si poteva capire anche senza averci una cassapanca sulla schiena! Il muretto successivo, quartopiù secondo la guida, invece è corto, sprotetto e… quartopiù “d’altri tempi”. In compenso, la caduta è di quelle consigliate

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dai migliori ortopedici. ga evita spiacevoli inconvenienti (e una visita medica onde decidere cosa fare dei resti delle sue vertebre sacrali) scalando senza zaino, e così pure gli altri. Tranne mich, diavolo d’un purista!!! La traccia ora riprende tranquilla ed evidente (… diciamo “ovvia“, và là…), salvo che non riusciamo a trovare, nell’ordine: “un’enorme grotta”, “i resti di un ovile”, “una mulattiera che incrocia la nostra traccia”. Vabbè, oh, non avremo una buona vista, ma qualche altra buona qualità la avremo! (… ?!?) E via di cartine, relazione, altimetro, bussola per poi capire… che non ci abbiamo capito niente. Ma l’istinto la fa da padrone, e quando mich dice “per di qua, miei prodi!”, nessuno ha il coraggio di controbattere… probabilmente per stanchezza, di sicuro non per fiducia nel socio. Incrociamo in breve una mulattiera ben segnata, e dopo poco rischiamo di prendere una testata contro un’enorme ovile. E fin qui ci siamo. “… dove sarà facile trovare due grosse taniche sempre ben rifornite durante l’anno d’acqua piovana”. E certo. Ben rifornite quasi come il cestello del gusto limone in una gelateria in centro livigno il 4 gennaio, verrebbe da dire. Ma noi – che lo ricordiamo a chi si fosse messo all’ascolto soltanto adesso – non siamo polemici, facciamo finta di nulla, e dopo una litigata d’altri tempi tra ga e ricky (l’acqua comincia a scarseggiare…!), possiamo riprendere a perderci. E non ci facciamo mancare niente: dopo pochi minuti stiamo scendendo lungo un bellissimo sentiero, ben segnato per giunta… ma qualcosa comincia a non corrispondere, quote, versante… uhmmmmm… e dopo un breve summit tecnico (giusto il tempo tecnico di capire che siamo quattro babbei… si risale. Giungiamo a un enorme ometto di pietre ormai all’ora di pranzo, e non abbiamo di meglio da fare che disquisire – stavolta in maniera lievemente più seria – sull’acqua. 12 litri in 4 per due giorni e mezzo. Ma è il momento di far gruppo, e dunque ga se ne esce con la sua teoria (riportata da chissà quale fonte): “le taniche ‘sembrano’ mezze vuote. Ma in realtà sono piene, interamente piene. Per un terzo di acqua, e per due terzi di aria!”. Lasciati basiti (e inorriditi) i ¾ del gruppo, si può ripartire. Sembra incredibile quanto queste idiozie possano ridare morale; e infatti, chiaramente non succede. A ridare conforto al team Gap, sono i segnavia… vagamente rari, un po’ tipo cercare gli spit sulle vie –a spit!- di koller. Di qui in poi troviamo tutto, una pietraia infame, Mich rotolanti, discese ghiaiose, paretoni strapiombanti, traversi di qui, traversi di lì, frane di lì, dirupi di là, boschi sospesi ripidissimi… e infine una calata. Poi bellissime ed enormi grotte una dopo l’altra, a due passi dal blu, e quando stiamo ormai quasi a fine tappa, un bel regalo: un otre e un fustone di acqua limpida raccolgono lo stillicidio di due stalattiti. Non possiamo negarlo; siamo felici di essere qui, abbiamo trovato l’acqua! … ora sta solo a noi, portare a termine la nostra avventura! … a chiudere la giornata, lunga e faticosa, saranno due notizie: la prima è che la bomboletta del gas è tristemente mancata all’affetto dei suoi cari; la seconda è che il trust di cervelli di un informatico e di un medico ha in serbo una soluzione che ciccio mcgyver dovrebbe solo che inchinarsi…

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Selvaggio Blu, Day 4 – Sbattone Blu
E fu sera, e fu mattina. La giornata di ieri ci ha spappolato le risorse mentali e fisiche – dura st’avventura, di testa e di fisico! – ma oggi siamo davvero carichi… meglio così, non possiamo concederci errori e dobbiamo andare a mille: tappe 5 e 6, totale 10h30, impegnative e ora la stanchezza comincia a farsi sentire. Ma ora comincia a esserci il “gruppo”, quello spirito per cui oggi, partenza con le frontali, ci porterà di sicuro a Cala Sisine, a qualunque ora del giorno o della notte. Arriveremo perché siamo un gruppo, e perché vogliamo arrivarci! Sembra quasi di partire per una grande via delle Alpi, invece siamo “solo” qui, a 100 metri dal mare, a 10 km dalla civiltà. A piedi. Eppure siamo “dispersi”. Per esserne sicuri, cominciamo a non trovare le tracce dopo 50 metri; ma la retta via è subito ritrovata. Ci troviamo a passare in enormi grottoni a cielo aperto, e poi, un piccolo buco. Albeggia, è un’altra giornata stellare, e noi con le frontali ci infiliamo in questa grotta, strepitosa, stalattiti appese a forma di enormi sciabole incombono sulle nostre teste, e un otre e una tanica, a raccoglierne lo stillicidio, ci danno il segnale: arriveremo – vivi, per giunta! – a Cala Sisine! … ma piantiamola lì con tutto st’entusiasmo… mancano ancora due giorni interi. Troviamo la prima calata e guardiamo i tempi “grandi, raga, questo è andare! siamo in anticipo di 50 minuti sulla tabella di marcia!!!”. Essì, certo. Non fosse che il sacro testo riporta un patetico errore di stampa… “contrordine, raga… siamo in ritardo di dieci minuti…” – “ma bravi lo stesso…”. Quattrocento chilometri (e mezzo) di traverso, e giungiamo a un murettino di III (…); è tardi, ce la sentiamo tutti, non tiriamo fuori la corda e, a turno, troviamo tutti lungo: e son soddisfazioni, eh! Poi stiamo sette-otto ore a interpretare l’espressione “compiere un semicerchio in senso antiorario” (?!), ma dopo averlo fatto e aver sbattuto un paio di volte la testa contro un masso di ciclopiche dimensioni, andiamo a intuizione, e forse fu per gioco o forse per amore, troviamo un ometto a portar conforto alle nostre teorie, e allora via, di corsa, su e giù per le scale “i fustes”, e ora c’è l’amletico (ed etico!) dubbio: siccome tutti qui si perdono, molti preferiscono la variante facile che segue una mulattiera. E anche noi, essendo strettissimi con i tempi, oggi non possiamo rischiare di perderci una volta. Infatti, ignorata a piè pari la variante senza una votazione ma direttamente con un solo sguardo, ci perdiamo DUE volte… oh, che l’etica sia etica! La prima volta sbagliamo totalmente cengia; peccato, era troppo una figata! La seconda, ci troviamo per i primi due segnavia, sbiaditi e lontanissimi; e poi è caccia all’ometto. Dispersi nella macchia come quattro pellicani nel petrolio, la lotta è impari, ometti ovunque, vegetazione fitta, rovi, liane, pietraie, tutto nel giro di un metro quadro. Scandagliata la zona, un urlo di Andre indica la fine delle ostilità: un evidente (…) segno blu si è palesato! Da lì, tutto facile, “in breve svettare” (!?!) e trovare la comoda mulattiera. Ah, ah? Di vette nemmeno l’ombra, di mulattiere non ne parliamo… boh?! Dopo una ravanata cosmica durata quella sporca mezza dozzina d’ore, troviamo un abbozzo di mulattiera, che si interrompe ogni 3×2… miii, sta tappa non finisce mai! … finirà quando decidiamo di essere arrivati alla fine, con un piccolo dettaglio: il bellissimo e grande ovile, non c’è. Ohhhh, vabbè, ma che palle che siete, stiamo mica a fare i puntigliosi. Magari è stato abbattuto dalle Belle Arti, oppure era un abuso edilizio mai condonato, insomma, noi mica siamo così precisi, se un enorme ovile non c’è, probabilmente la guida non è abbastanza aggiornata! Tappa 2, ore 12.30 si riparte. Ritardo accumulato: 1 ora. Stanchezza accumulata: lasciamo perdere. Qualche sbiadito e raro bollo blu ci porta in breve al bellissimo passaggio tra due pareti alte 20 metri, un piccolo canyon

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già visto in fotografia che ridà fiducia al nostro operato. Due calate vanno via veloci, e in breve siamo nel bellissimo e immenso bosco sospeso. Siamo in ritardo! Troviamo la traccia più facilmente di quanto pensavamo, e dopo aver detto “mich, siamo in ritardo: pensaci tu!”, ci ritroviamo poco dopo a pentircene amaramente, attraversando il bosco a una velocità folle! Siamo carichi a mille, e attraversato tutto il bosco, diamo uno sguardo all’ora: alla fine della calata eravamo in ritardo di 30 minuti, alla fine del bosco… in anticipo di 50 min sulla tabella di marcia! Riprendiamo a correre, rischiamo comunque di far notte e c’è ancora da scalare e far doppie (… e perdersi!)… ma per fortuna ormai non sentiamo più nulla, ormai ci siamo caricati a molla e nulla può più fermarci… salvo un segno blu di troppo che ci porta fuori strada, in vista dell’enorme cala sisine, a girare come 4 cretini su e giù per scarpate. Ma alla fine è fatta, nervi a pezzi ma un’ultima calata e gli ultimi dieci minuti a piedi ci consegnano al tramonto su cala Sisine… e, come alla fine del primo giorno sul Pesce, con lore sulla grande cengia con le grandi difficoltà alle nostre spalle, ci abbracciamo di gioia… siamo veramente stravolti, sfiniti, sfibrati… ma ora, qui e adesso, sappiamo che abbiamo tra le mani il “nostro” selvaggio blu… domani, come all’ultima tappa del giro d’italia, sarà ‘solo’ la passerella finale… e con i ricordi e le istantanee di una giornata straordinaria a tenerci compagnia… buonanotte!

 

Selvaggio Blu, Day 5 – Selvaggi Blu
… ed eccoci qui. L’alba su Cala Sisine è un momento straordinario… è un po’ come la firma a un’avventura stupenda, che oggi si concluderà a Cala Fuili, con il ritorno alla civiltà, alle macchine, al porto, ai fast food, ai centri commerciali. Sono passati solo 4 giorni, certo. Ma quattro giorni di un’intensità e di una pienezza davvero rara, ci sembra di essere dispersi da un mese. Cosa raccontare di questa tappa? … poco. Questa è davvero poco più di una passeggiata su sentieri ben segnati, cominciamo a intravedere la mano dell’uomo in tanti piccoli accorgimenti a cui non eravamo più abituati, gli zaini sono più leggeri (…), lo spirito pure, anzi, ci lasciamo senza troppi problemi prendere da un po’ di stanchezza… e di voglia di casa, dai, diciamocelo… è il momento di tornare! Solo brevi istantanee di questa giornata, dall’alba, alla dura risalita degli ottocento metri di dislivello al primo mattino, all’infinita discesa verso Cala Luna, con le caviglie doloranti, le ginocchia che chiedono pietà, all’incontro ravvicinato di ga con un rametto di discrete dimensioni dritto sul viso – fortuna che ci siamo portati dietro un quasi medico… – l’incontro con altri due ragazzi passati poco prima di noi per le stesse tracce e con lo stesso spirito, e poi via, ancora l’infinito traverso verso Cala Fuili, al quale giungiamo, quasi increduli e in condizioni devastanti, intorno all’una. Dopo la foto di rito per i Selvaggi Blu, rimane solo un’ultima idiozia per concludere veramente nel modo più stupido… ci son le scalette che salgono all’asfaltata che porta a cala gonone e poi alla civiltà, ma a fianco c’è uno sperone roccioso con tante viette… e due tiri facili e senza ferramenta per arrivare a sostare, cordone sulla ringhiera… proprio dove finisce il selvaggio e ricomincia la civiltà. Sta calando il sipario… dopo cinque incredibili giorni, il (nostro) Selvaggio Blu… finisce qui!

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Selvaggio Blu, Day 5 – Conclusione
“Non è vero. Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto:”Non c’è altro da vedere”, sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Bisogna vedere quel che non si è visto, vedere di nuovo quel che si è già visto, vedere in Primavera quel che si era visto in Estate, vedere di giorno quel che si è visto di notte, con il sole dove la prima volta pioveva, vedere le messi verdi, il frutto maturo, la pietra che ha cambiato posto, l’ombra che non c’era. Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre  (José Saramago)”.

… è stato grandioso. Un’avventura vera, di quelle che non si dimenticano. Da quando siamo atterrati a cagliari e finiti a Santa Maria Navarrese, è iniziato un viaggio di cinque giorni intensissimi, pieni, bellissimi. Ci hanno accompagnato un sole stupendo, quattro zaini stracolmi, un ambiente da lasciare senza fiato. E senza fiato lo siamo rimasti lungo le durissime salite, gli infiniti traversi, la terribile macchia mediterranea sarda. Abbiamo lottato con i mughi, con i corbezzoli, con gli arbusti. Abbiamo strappato tutti i vestiti, abbiamo strisciato per non aggrovigliarci nella vegetazione, corso per non farci sorprendere dal buio. Abbiamo perso la retta via mille piccole volte, e solo tre o quattro un po’ più seriamente, abbiamo vissuto il momento del suicidio della bomboletta del gas, ma ci siamo ingegnati e abbiamo cenato lo stesso. Abbiamo visto albe infuocati e tramonti straordinari, talvolta rischiato di linciarci per un po’ di tensione, ma insomma, eravamo semplicemente ‘noi’… nel bene e nel male, nei nostri lati positivi e in quelli negativi, ognuno con il suo modo di vedere le cose, ma uniti da una voglia di vivere una vera avventura nello stile più ‘pulito’ possibile. Abbiamo condiviso emozioni che ci porteremo sempre dentro, visto posti di una bellezza talmente profonda da non poter essere descritti a parole, vissuto bivacchi meravigliosi, sognato persone lontane. Insomma, è anche difficile trovare le parole per descrivere quest’avventura… forse, in realtà, questi cinque intensissimi giorni abbiamo semplicemente VISSUTO. E altrettanto semplicemente… indimenticabile.

Il racconto si conclude con un sibillino PS: … e non la vogliono capire….

Data: 23-27 novembre 2012

(continua)

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Go aid a pitch 03 ultima modifica: 2016-11-26T05:53:10+01:00 da GognaBlog

2 pensieri su “Go aid a pitch 03”

  1. 2

    Una descrizione davvero formidabile! a leggerla (con Mario Verin) ci siamo ammazzati dalle risate e ritrovati in tantissime situazioni, soprattutto i primi tempi quando lo ripetevamo, magari portandoci gli amici, e nonostante Mario lo avesse aperto e inventato continuavamo a perderci e a cercare disperatamente qualche flebile segno blu sepolto dalla macchia… Sì, concordiamo con Marcello, è bello pensare che possa ancora oggi essere vissuto in modo avventuroso… bisogna meritarselo come i ragazzi del team Gap! non proprio degli sprovveduti dato che avevano fatto il Pesce in Marmolada…

  2. 1

    Fa quasi tenerezza vedere che selvaggio blu sa regalare ancora (oggi è molto più facile farlo rispetto solo a 15 anni fa) emozioni così profonde. Bravi a farlo sapere.

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