«Greenwashing e negazionismo hanno un impatto diretto sul clima». Intervista a Stella Levantesi. In occasione del 56° Climate Reality Leadership Training organizzato a Roma da The Climate Reality Project, la giornalista climatica ci ha parlato dell’influenza della disinformazione e dell’informazione ingannevole sulle politiche per il clima.
I bugiardi del clima
di Enrico Nicosia
(pubblicato su sapereambiente.it il 9 luglio 2024)
Nel 2023, un’indagine commissionata da Greenpeace sulle operazioni di greenwashing di alcune delle più importanti aziende petrolifere europee ha dimostrato come solo lo 0.3% della produzione di queste industrie fosse legata alle energie rinnovabili, destinando all’energia pulita poco più del 7% dei loro investimenti.
Eppure, da diversi anni le industrie di combustibili fossili cercano di mostrare un volto diverso, promuovendo informazioni ingannevoli sulle loro attività.
In questo modo, il negazionismo e il greenwashing delle aziende petrolifere hanno un impatto diretto sul clima, ostacolando il processo di transizione. Ne abbiamo parlato con Stella Levantesi, giornalista climatica e autrice del libro I bugiardi del clima (Editori Laterza, 2021), intervenuta sul tema durante il 56° Climate Reality Leadership Training, l’evento che ha avuto luogo presso il Centro Congressi La Nuvola di Roma dal 28 al 30 giugno, promosso dall’organizzazione internazionale The Climate Reality Project fondata dall’ex vicepresidente degli Stati Uniti e Premio Nobel per la Pace, Al Gore.
Pubblicità ingannevoli, negazionismo e diffusione di false informazioni. Sono i metodi delle campagne di disinformazione delle compagnie petrolifere che ostacolano l’azione per il clima. Come si può definire e a che livelli opera il greenwashing?
Il greenwashing fa parte di quella che viene chiamata “informazione ingannevole”. Riguarda alcune aziende inquinanti, sulle quali negli ultimi anni c’è una pressione crescente a essere sostenibili. Il greenwashing permette loro di presentarsi come “verdi” ed evitare di pagare per le attività inquinanti che portano avanti. Lo fanno attraverso campagne pubblicitarie, sponsorizzazioni di eventi e finanziamenti ai giornali. Sulla stampa italiana, per esempio, si parla poco di chi contribuisce a causare la crisi climatica e questo è dovuto anche all’influenza delle industrie inquinanti sui quotidiani. Inoltre, le compagnie sono rapide a adattarsi ai tempi della comunicazione. Molte inchieste giornalistiche hanno dimostrato come diverse compagnie di combustibili fossili abbiano condotto campagne pubblicitarie pagando alcuni influencer sui social media per promuovere il proprio prodotto. Altro livello al quale opera il greenwashing, poi, è la politica, che usa narrazioni ingannevoli come quella del “gas, energia pulita”.
Alcune di queste strategie vengono messe in atto da quelli che chiami “I bugiardi del clima”, nel tuo libro. Chi sono i bugiardi del clima e come riconoscerli?
Sono gli attori che in maniera strategica negano la crisi climatica. Documenti, inchieste e ricerche hanno mostrato come l’industria dei combustibili fossili sia al centro di questa “macchina” che fa disinformazione e greenwashing e incanala finanziamenti per bloccare le politiche sul clima.
Gli scienziati interni alle compagnie, come ExxonMobil, sono stati tra i primi a prevedere l’impatto dell’attività fossile, ma i dirigenti delle compagnie hanno nascosto tutto e montato la più grande campagna di disinformazione della storia recente.
Fra i bugiardi del clima ci sono anche i politici che bloccano la legislazione climatica, le piattaforme mediatiche che fanno da camera dell’eco a questi interessi e alcune figure spesso legate all’industria che attaccano la scienza del clima, fanno disinformazione e manipolano dati. Sono quelli che il climatologo Micheal E. Mann ha definito “negazionisti a noleggio”.
Al livello politico, uno dei momenti più importanti per discutere le strategie climatiche sono le Cop, Conferenze delle Parti. Anche questi incontri internazionali sono “inquinati”?
Le Cop sono fra i momenti più importanti che abbiamo per l’azione climatica. Negli ultimi anni, però, ci sono stati dei problemi legati all’influenza delle industrie inquinanti all’interno delle Cop. Un’analisi di Global Witness ha messo in luce come alla Cop27 di Sharm el-Sheikh erano presenti 636 lobbisti delle compagnie fossili. In questi eventi, la presenza delle industrie inquinanti si traduce in una mancanza di azioni concrete per il clima. Anche il linguaggio lo dimostra. Gli esperti hanno sottolineato la grande differenza, per esempio, fra le proposte di PhaseOut (l’abbandono dei combustibili fossili) e PhaseDown (l’impegno a rallentare il loro utilizzo) e la Transition away (il graduale allontanamento), che alla fine è stata adottata durante l’ultima Cop tenuta a Dubai. Le campagne di disinformazione e l’attività di lobbying delle industrie fossili hanno quindi un impatto diretto sul clima, indirizzando le politiche e bloccando la legislazione climatica. Continuare a tenere queste conferenze in paesi produttori di petrolio è parte del problema.
Il risultato è che abbiamo perso tempo. Quando Al Gore vinse il Premio Nobel per la Pace nel 2007 la temperatura globale era di 0.7°C superiore al periodo preindustriale. Oggi siamo a +1.1°C. Quale è l’impatto dei piani delle compagnie Oil&Gas?
Abbiamo perso tempo e continuiamo a farlo. La campagna di disinformazione delle industrie fossili e l’inerzia politica hanno ostacolato l’azione necessaria per far fronte alla crisi climatica e ai suoi impatti su salute umana, ecosistemi e biodiversità. Inoltre, le industrie che più inquinano continuano a farlo. Un recente rapporto dell’organizzazione Oil Change Intarnational ha analizzato i piani di otto fra le più grandi compagnie petrolifere del mondo (Chevron, ExxonMobil, Shell, TotalEnergies, BP, Eni, Equinor e ConocoPhillips). I risultati mostrano come i piani estrattivi di queste aziende potrebbero portare a un aumento delle temperature globali di 2.4°C. Invece di interrompere i nuovi progetti fossili per raggiungere la decarbonizzazione, come indicano gli esperti, c’è un’espansione dell’industria.
Anche per questo eventi come il corso organizzato da The Climate Reality Project continuano a servire…
L’azione per il clima si può promuovere in vari modi. Gli spazi di ricerca e scienza, giornalistici e di inchiesta, legali delle cause climatiche, di attivismo, sono tutti fondamentali a contribuire all’azione per il clima. L’azione climatica è anche azione politica, economica, sociale, culturale, proprio perché la crisi climatica tocca tutto e ci riguarda da vicino. Anche momenti come l’evento Climate Reality Leadership Training sono importanti per espandere la rete, diffondere la consapevolezza climatica e fare luce sugli ostacoli all’azione per il clima.
Enrico Nicosia
Naturalista rapito dal fascino per il mondo naturale, sommerso e terrestre, e dei suoi abitanti, spera un giorno di poterli raccontare. Dopo la Laurea in Scienze della Natura presso l’Università di Roma “La Sapienza” va in Mozambico per un progetto di conservazione della biodiversità dell’Africa meridionale. Attualmente collabora come freelance con alcune testate come Le Scienze, Mind e l’Huffington Post Italia, alla ricerca di storie di ambiente, biodiversità e popoli da raccontare.
“Il tema chiave dell’intero problema è quello sintetizzato da me. “
Maddai…chi l’avrebbe mai detto?
Il tema chiave dell’intero problema è quello sintetizzato da me. I negazionisti esistono e proliferano (non solo di numero, ma anche nei loro business) perché l’umanità non si convince a invertire lo stile di vita. Quando tutti seguiranno uno stile molto più spartano dell’attuale, in automatico il problema si attenuerà e non ci sarà più questo tifo da stadio fra le due tesi contrapposte. Le Big Oil continuano a esistere e addirittura ad aumentare i loro profitti perché la vita consumistica continua ad aumenta, anno dopo anno, la domanda di base di energia (che in gran parte è prodotta con risorse fossili): se stronchiamo la domanda di base, si affievolisce il relativo business. vale per tutto.
Vorrei solo far notare che la disinformazione delle aziende petrolifere, che sicuramente fa parte della storia recente, va un po’ contro i numeri riportati all’inizio.
In particolare un investimento del 7% del totale è tanto, se si riferisce a un comparto che titola lo 0.3% della produzione significa semmai che stanno spingendo in quella direzione.
Che le aziende petrolifere vogliano aumentare il loro business, invece, è normale, è parte fondante della religione della “religione” su cui si fonda la nostra società: il capitalismo.
Negazionisti del cambiamento, greenwashing e politici pagati sono fenomeni differenti e spesso slegati, ma possono essere combattuti solo con un approccio culturale che modifichi i comportamenti sociali, non politicamente
Crovella hai letto solo il titolo vero? Perché il testo parla d’altro.
Che ci sia una negativa propensione a negare il problema del riscaldamento climatico è indubbio. Purtroppo dobbiamo contrastare queste posizioni, che a volte sono anche in buona fede (cioè di negazionisti davvero convinti che gli altri e bassi siano “naturali” e destinati a compensarsi) a volte in aperta mala fede (sostenitori di interessi economici che verrebbero danneggiati da politiche di contenimento della società consumistica). Tutto ciò è vero e da diverso tempo io auspico una decrescita felice (sia nello specifico in montagna, come nel 100% dell’esistenza). Torniamo a una vita più semplice, magari sobbarcandoci un po’ di fastidi: es patiamo l’afa ed evitiamo/limitiamo il ricorso all’aria condizionata oppure in inverno stiamo con due maglioni e limitiamo a 18 gradi il riscaldamento. Purtroppo come c’è una scriteriata schiera di negazionisti, esiste un altrettanto scriteriata schiera di invasati green, di cui gli imbecilli che imbrattano i monumenti sono la punta dell’iceberg. Le cose bisogna farle con giudizio: anche le politiche green vanno impostate con moderazione e per step successivi. Se obblighi di punto in bianco tutti i cittadini a isolare la casa, con spese quantificate in alcune decine di migliaia di euro (chi dice 40.000 di dice 50.000) per ogni singola abitazione chiaro che produci un rifiuto e una reazione sbagliata che però rende più difficile proseguire nella politica di risanamento del nostro stile di vita.