Duccio Canestrini, docente universitario e antropologo culturale, parla del fenomeno di massa di quest’estate 2024.
Benvenuti nell’era dell’overtourism
(l’importante è ostentare sui social, non si vive più l’esperienza)
di Alessandro Michielli
(pubblicato su corrierealpi.gelocal.it il 15 agosto 2024)
Ferragosto, sinonimo di vacanza e relax, nel pensiero comune mette in movimento ogni anno milioni di turisti, italiani e stranieri, pronti a raggiungere le diverse destinazioni vacanza.
Mare, montagna e città vengono presi d’assalto da un turismo di massa, definito “overtourism”, che oggi pone sullo stesso piano la Laguna veneta, le Dolomiti e le città d’arte. Luoghi tanto belli quanto differenti, visti come un semplice bene di consumo.
Se un tempo quello che contava era l’arricchimento personale frutto del viaggio, oggi sembra valere di più ostentare ciò che si fa, da soli o in compagnia.
A parlare di questo fenomeno è Duccio Canestrini, docente di antropologia del turismo con oltre trent’anni d’esperienza.
«Non esiste più differenza tra mare, montagna o città», afferma l’antropologo Duccio Canestrini, «Quello che conta oggi è ostentare quello che si fa, purché sia un posto famoso da esibire come trofeo di viaggio. Nella testa delle persone questo dà un certo prestigio, che a volte viene esternato tramite le reti sociali. Il meccanismo psicologico è lo stesso, per questo si è appiattito tutto: non si riesce più a comunicare che la montagna, per tanti motivi, è diversa dal mare e dalla pianura».
Che tipo di turismo stiamo vivendo?
«Si tratta di un turismo che in sociologia si chiama “di performance”, di prestazione, che viene amplificato secondo diversi canali. Un turismo di consumo, che però non rappresenta una novità: saranno almeno trent’anni che è in atto, probabilmente anche molto di più andando indietro nella storia. Già in passato sono subentrate nel lessico comune frasi come “Ho fatto il Messico, ho fatto il Brasile”. C’era già il germe della prestazione, che in una società come la nostra, che assegna un enorme valore all’individualità, premia le imprese individuali. Il turismo non bisogna studiarlo solo dal punto di vista economico, delle ricadute, dell’indotto, dei guadagni, ma anche dal punto di vista delle scienze umane. Rispecchia gli orientamenti della nostra società, che non è messa molto bene, a mio parere».
Cosa cercano le persone quando viaggiano?
«Le persone hanno bisogno di fughe compulsive, di scappare dalla vita di tutti i giorni, hanno bisogno di ricaricarsi. Il contesto generatore del turismo è il mondo insieme alla quotidianità così come la viviamo, con tutte le relative frustrazioni, le aspirazioni e le compensazioni. Stiamo parlando di un comportamento che è comunque compensatorio in maniera inadeguata a volte, ma sopperisce alle mancanze, alla stanchezza e tante altre cose. Stiamo parlando del fenomeno dell’escapismo, una forma esasperata di fuga dalla quotidianità in chiave di ricarica e compensazione».
Come è nato il fenomeno dell’overtourism?
«Sono decenni che negli studi di sociologia e antropologia del turismo ha preso piede una critica severa della totale e incondizionata disponibilità degli esercenti in nome di un’offerta che deve acchiappare più clientela e più target possibili. Accettano quindi tutti i tipi di richieste del turista, senza limiti. Magari ora si comincia a capire che non era una bella idea, anche perché la tanto sbandierata identità locale, la tipicità, le caratteristiche, le specificità di un luogo, parte di un lessico fatto dall’offerta turistica, era soltanto ipocrisia. Guardando alla quantità si parlava di qualità, ma non era vero. Era una maschera, tant’è che l’ha dimostrato la storia della statistica».
Montagna, mare o città, quale concetto lega luoghi turistici tanto differenti?
«Sempre il tema della performance, l’esecuzione di una procedura che dimostra l’impresa compiuta da una persona. Poco importano le modalità o il modo con il quale l’obiettivo è stato raggiunto, lo scrivevo anche nel mio libro “Andare a quel paese”. Non è tanto il dove, ma il come che conta oggi nel turismo».
Quali sono gli aspetti che hanno trasformato il turismo?
«Da un lato, hanno inciso le facilitazioni della mobilità e l’incremento dei mezzi di trasporto. Basti pensare alle mountain bike elettriche, che sono un caso tristemente noto: si parla quindi di iper accessibilità. Il mantra dell’accessibilità si è quindi rivoltato contro. Dall’altro lato, ha inciso molto l’amplificazione attraverso le nuove tecnologie, senza per questo demonizzarle, le usiamo tutti. Rappresentano una fonte di informazione che poi viene amplificata sulle reti».
Di conseguenza è cambiata anche l’accoglienza?
«Facciamo un esempio: nel caso dei rifugi di montagna, sicuramente sì. Non sono più quelli di un volta, anche se ci sono delle strutture che resistono ancora, ma la maggior parte di loro ha cambiato identità. È difficile far capire a un pubblico viziato dai servizi standardizzati della ricettività alberghiera, che dietro il lavoro di un rifugio c’è un mondo: difficoltà logistiche, di trasporto della merce, la natura stessa della struttura e molto altro. Manca cultura da questo punto di vista, manca soprattutto la preparazione: una volta si faceva presciistica, oggi forse bisognerebbe fare della “presentieristica”, secondo il mio punto di vista».
Andando indietro nel tempo, quali sono stati i momenti chiave di questo cambiamento?
«Alle origini del turismo, ad esempio, la montagna era una destinazione da aristocratici, che si strappavano i capelli vedendo arrivare i borghesi che ricalcavano le loro orme. Questo avveniva soprattutto in Svizzera. Per loro era uno scandalo, veniva vissuto come un’invasione di campo. Poi c’è stato il passo successivo, ovvero la democratizzazione definitiva del turismo. Dopo gli aristocratici e i borghesi, è arrivato il turno del popolo. Chi predicava che bisognava puntare sulla quantità, cosa che avviene tutt’ora, nascondeva in realtà un grande interesse economico».
La gente si lamenta di questo turismo, è possibile ritrovare un nuovo equilibrio?
«È un po’ come il cane che si morde la coda. È stata imboccata una strada per scelta, ovvero quella del consumo e quindi delle aspettative. Ormai viviamo nella società dei consumi, le destinazioni devono essere consumate. Non c’è da stupirsi che mare o montagna vengano presi d’assalto, secondo una logica di collezionismo comportamentale».
Duccio Canestrini è un antropologo culturale italiano. Laureatosi nel 1982 in Antropologia culturale presso l’università di Siena, dal 1992 al 1994 ha insegnato Antropologia del turismo presso l’Università di Trento, ed è attualmente docente della stessa materia al Campus universitario di Lucca (Università di Pisa). Tra i primi in Italia a occuparsi di turismo responsabile, ha enucleato il concetto di homo turisticus come chiave di lettura per interpretare i comportamenti umani nei territori dell’alterità, fondando un’etica dell’incontro che sottopone al vaglio critico dei paradigmi antropologici i nuovi riti della modernità. Tra le sue numerose pubblicazioni occorre citare: Turistario (1993); Andare a quel paese (2001); Trofei di viaggio (2001); Non sparate sul turista (2004); Antropop. La tribù globale (2014).
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“ma non sono in pericolo perchè c’è un po’ troppa gente sulle rive di un tal lago, per un mese all’anno, ma perchè sulle rive del lago ci costruiscono l’ ennesimo complesso residenziale e cementificano e asfaltano le rive.”
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Alex, in questo post si parla del sovraffollamento da turismo di consumo, e quello del lago Sorapîs ne è un esempio eclatante. Del contenuto del tuo esempio ci sono molti altri post su questo blog, ma in questo caso sei fuori tema.
Mi aspettavo un commento come quello di Luciano, non solo per il contenuto, ma anche per il tono da essere superiore che capisce tutto, essendo di sinistra, naturalmente, mentre gli altri no… non ci arrivano, vero?
Ma il vertice lo si tocca quando si dice che non è l essere umano ad essere minacciato; in che senso, forse si ha il privilegio di vivere in una viilla con giardino tipica da nomenclatura globalista e non ci si rende conto di come si possa vivere nelle città, pagando al metro quadro un capitale, per abitare in un alveare umano e poi, quando si ha il fine settimana libero, avere il grande privilegio di potersi godere un’ ambiente urbano sporco e disordinato come mai era stato prima!
La fragilità degli ambienti naturali è ovvia, ovvio che vanno difesi, ma non sono in pericolo perchè c’è un po’ troppa gente sulle rive di un tal lago, per un mese all’anno, ma perchè sulle rive del lago ci costruiscono l’ ennesimo complesso residenziale e cementificano e asfaltano le rive. Così come un area agricola o un residuo bosco planiziale vengono distrutti perchè devono edificare l’ ennesimo condominio di torrioni. Ma la guardate ogni tanto la situazione con le foto dsatellitari della pianura padana, considerato che vi interssa l’ ambiente? Se anche mettiamo il biglietto d’ ingresso al tal lago, poi, quando avremo consumato tutto il suolo che c’ era?
Conosci la vicenda del vallone delle Cime Bianche in val d’ Ayas? Quello è il problema, distruzione di un ambiente selvaggio al fine di precisi e settorializzati interessi economici, ma la nuova religione global non prevede il ragionamento, solo la propaganda.
@54, Gradito, garbato e dotto intervento. Qui si discute di overtourism nelle valli alpine e dolomitiche, con tutte le conseguenze negative e, purtroppo, senza reali prospettive di calmierare e organizzare gli eccessi, di qualunque tipo. Per farla breve: il modello è quello di Venezia (sic!) dunque gli operatori vecchi e nuovi si stanno organizzando per massimizzare fatturati e utili. Pertanto anche i ‘rifugi’ (alberghetti? ristorantini?) in alta quota partecipano alla crescente domanda adeguando menù e prezzi. Tanto vi si arriva comodamente e senza fatica, per la maggior parte di essi. La tentazione di adeguare l’offerta con menù più sfiziosi, pesce fresco compreso, è altissima e in concorrenza tra di loro con adeguata pubblicità. Il tuo intervento puntualizza un diverso e più ragionato punto di vista, sul quale dobbiamo tutti meditare, in primo luogo i gestori dei posti di ristoro in quota, e soprattutto loro fruitori. Che poi non sono, in grande maggioranza, cittadini viziati e pretenziosi di spaghetti con astice in alta montagna! Conto davvero che le indicazioni contenute nel tuo commento siano seriamente prese in considerazione dagli operatori del settore e anche dagli Enti locali nei loro programmi turistici di inizio stagione. È anche logico pensare che il maggior afflusso turistico, non solo di alpinisti e camminatori, favorito da sempre migliori modalità di accesso, tutt’altro che da demonizzare, porti benefici e soddisfazioni anche ai ‘rifugisti’ (si possono chiamare ancora tutti così?) che svolgono la loro attività in condizioni spesso difficili in quota, con disagi e costi ben diversi da simili attività di fondo valle. Ti ringrazio ancora per il contributo.
49, dici” Per esempio il rifugiata che campa male proponendo i suoi minestroni e scipite polente e brasato guarderà con malcelata invidia il vicino che propone menù di cuochi penta stellati ed è sempre pieno (come il cassetto degli incassi a fine giornata).”
Non é próprio cosi. Il rifugista accorto sa che servire un ottimo minestrone ed un ottimo brasato con ottima polenta locale è una strategia vincente nei costi e nella sostenibilità (economica, ma se compra locale, anche ambientale e sistemica). Lo stellato (che poi, quale? La non-replicabilità di una cucina di Niederkoefler in alta montagna è ovvia, la non replicabilità di un banale una stella dovrebbe essere auspicata) per il tipo di cucina e di lavoro che propone non è compatibile con l’alta montagna. Alcuni riferimenti precisi: l’orzetto in minestra delle Lobbie dovrebbe essere patrimonio gastronomico dell’umanità. Così come gli gnocchi di polenta del Bedole. La Michelin – e le guide tutte, e i gastroscout – non hanno però gambe né fiato necessari per movimentazioni montane e quindi rimangono a Pinzolo, decretando menzionevole ad esempio un ristorante di cui non faccio il nome il cui decor alla moda si sovrappone ad una cucina banale fatta di salato e dolce, in linea con il milanese un po’ tonto che deve sganciare soldi ad un servizio capace di proporre un rosso a temperatura ambiente in un giorno in cui in paese c’erano 28 gradi.
Non chiamiamo le guide gastronomiche classiche a lavorare con i parametri dell’alta montagna – giacché anche in valle spesso viaggiano col paraocchi per non vedere e non sentire, pur di dare stelle. Le stelle (o i soli o qualsivoglia invenzione) non servono. Nella gastronomia di rifugio, che in molti luoghi va ripensata, ma va ripensata in senso di sostenibilità, ecosistema e approvvigionamenti ancor prima che di tecniche culinarie o di servizio, ci sono caratteristiche che dovranno diventare inscindibili dalla fruizione del rifugio stesso, scollandolo dall’ottica e dai paradigmi di una cucina di valle – qualsiasi valle.
Certo Moltavio, tutto giusto. Pero’ se alloggiano in topaie forse perché non hanno soldi per permettersi hotel (in A.A. provate a prendere una camera ad agosto e vedrete che prezzi…roba che 20 anni fa ci facevi le ferie al mare per una settimana, te, moglie e figli, ma qui la paghi 1 giorno eh!).
Il problema è che intanto che la gente guarda alla partita dell’Inter, della nazionale…si interessa del pandoro della Ferragni, gli interessa solo mettersi fuori dal bar a bere lo spritz con amici con il sorriso da stolto in bocca, i salari sono al palo. Non solo sono al palo in Italia, ma nel mondo. Nel senso che negli ultimi 20 anni i salari REALI sono cresciuti ovunque, ma molto meno della produttivita’ (ergo, ti hanno fregato i soldi e ringrazia il tuo sindacalista che ha uno stipendio a 5 zeri). In Italia poi è il paradosso con salari REALI negativi da oltre 20 anni. I profitti delle imprese invece sono sempre piu’ aumentati. Qui non si parla dell’impresetta che stenta a campare con 1 o due dipendenti, ovviamente.
La ricchezza si è sempre piu’ concentrata in poche mani, le stesse mani che decidono cosa far passare davanti alla tv. E ti fa passare di tutto eccetto che tu ti renda conto che stai sempre piu’ con le pezze al culo.
Poi se mettiamo i partiti cavernicoli che hanno affossato il nucleare shiftando l’Italia verso le rinnovabili (di cui tu paghi un contributo in bolletta per altro… ) il gioco è fatto. Nonostante le rinnovabili stiano sempre piu’ prendendo piede il costo della bolletta è esorbitante (andate a vedere da inizio 2024 il costo come si è comportato) mentre la Francia gode di bollette bassissime grazie al nucleare e lo esporta pure…indovina dove…da noi.
Quindi c’è poco da criticare qsi forma di turismo, perché anche se ti da poco ma qsa ti da. E in piu’ ci sono anche quelli che portano soldi veri e propri.
Gia’ siamo un paese in totale deindustrializzazione, se iniziamo a prendersela con il turismo poi non lamentatevi se tra 20 anni non ci sono soldi per nessuno e nemmeno per voi che facevate gli schizzinosi perché ci sono quelli con le valige a rotelle.
Quelli portano soldi al gelatiere, che poi compra le piastrelle dove tu lavori e percepisci lo stipendio. Se si continua con questa mentalita’ da decrescita ora avete ancora la panza piena, tra 10 o 20 anni sarete degli accattoni.
Vivo a Como, ridente cittadina affacciata sull’omonimo lago, frotte di autobus di pseudo turisti invadono letteralmente le numerose gelaterie, fast food, ristoranti con vista cantiere sul lago, ciabattanti con valige con le rotelle alloggiano in luoghi definibili come topaie ,tradotto turisti morti di fame dei quali farei volentieri a meno!
Luciano, corretto, pero’ sono giuste pure le prime 3 righe di Alex.
47. Evidentemente non hai compreso qual è il soggetto penalizzato dall’emergenza: non è l’uomo, o gli ambienti totalmente antropizzati, sono gli ecosistemi fragili. Di 10mila individui in piazza Duomo a Milano non mi interessa una mazza, se gli stessi 10mila si trovano sulle sponde di un lago a 2000 metri, i danni che provocano sono irriversibili. Il lago di Tovel ne è stato l’esempio più eclatante. Ma dal commento pastone che hai fatto, dove sei riuscito perfino ad inserirci gli immigrati, credo che difficilmente tu possa arrivarci.
Si può rappresentare il fenomeno dell’ overtourism come eccesso di domanda alla quale l’offerta si sta adeguando in maniera un po’ disorganizzata e insufficiente, per ora. Ma il business c’è, bello grande, e promette adeguati interessi per tutti quelli che vogliono partecipare. La domanda soffre, ma sa che le risposte di offerte si stanno ampliando quanto basta affinché il business prosegua, si ingrandisca e offra fatturato, utili e distribuzione di ricchezza. Senza intervento di un Ente regolatore (lo Stato?) il fenomeno non può che dilagare, fino al punto di equilibrio raggiunto tra domanda ed offerta. Ma indietro non si torna. Chi può oggi pensare di smantellare il gigantesco luna park dello sci? Anzi, se non fosse il cambiamento climatico in atto a smorzare un po’ gli eccessi (e invece qui lo Stato regolatore promette abbondanti fondi a sostegno del privato che inizia a guadagnare un po’ meno!) il modello sarebbe implementabile all’infinito. Così avverrà per l’abbondante e crescente turismo estivo. Per esempio il rifugiata che campa male proponendo i suoi minestroni e scipite polente e brasato guarderà con malcelata invidia il vicino che propone menù di cuochi penta stellati ed è sempre pieno (come il cassetto degli incassi a fine giornata). E così via, a partire dagli Enti locali che inventeranno ticket per transitare e parcheggiare e, perché no, autovelox o altre simili diavolerie informatiche, stante gli abbondanti transiti di auto. Così funziona ogni economia liberista che crea e diffonde ricchezza, anche per la fiscalità statale. Se si creano anche danni (ambientali) ci penseranno i posteri. Si veda l’industria automobilistica, che ha trainato per più di un secolo le maggiori economie mondiali.
@ 47 Alex
L’hai “toccata pianissimo”…
Alè, ne hanno inventata un’ altra! Eh sì, un’ altra “emergenza” – che naturalmente non esiste – per poter limare ancora di più la nostra libertà individuale.
Ma qualcuno di questi intellettualoidi la prende mai la metro alle otto di mattina, o il treno dei pendolari? Eh, perchè allora in quel caso del problema del “sovraffollamento” non interessa nulla a nessuno, a nessun intellettualoide di sicuro e, solo di striscio, al solito politicante di turno “all’ opposizione” (leggasi “oppo-finzione”).
Senza dimenticare il problema quello serio sì, della Over-population, che riguarda ad esempio la regione Lombardia, che da sola fa tanti abitanti quanti l’ Irlanda e la Svizzera messe assieme, però in un territorio molto meno vasto. Ma se, razionalmente e logiocamente, dici che non possiamo accettare ancora immigrati, per ridurre così la pressione antropica sul territorio e il conseguente consumo di suolo, inquinamento da mezzi di trasporto, ecc. allora non lo puoi dire, perchè non va bene secondo l’ attuale dittatura mediatica globalista; il “problema” è trovare troppa gente al tal lago di montagna in un fine settimana d’ agosto, quello si che è grave.
43 Balsamo, conosco molto bene le Apuane e piuttosto bene le Dolomiti e certamente sono montagne diverse con anime diverse. Su questo non ci piove! Il mio richiamo alle Dolomiti l’ho fatto perché i Torrioni del Corchia , che sono 4 , uno a fianco all’altro, partendo da sx: primo, secondo, terzo e quarto, dive ci sono vie d’arrampicata belle e impegnative con il mare davanti, hanno per la loro forma un aspetto da guglie dolomitiche. Tutto lì. Non ho mai pensato che ci fossero montagne di seri A o di serie B.
Vivo nel mezzo delle Dolomiti più conosciute. Verso l’ultimo fine settimana di Luglio scatta un interruttore automatico e tutto cambia. Migliaia di idioti si riversano ovunque ma senza sapere perché. Si vede dai loro sguardi. Sono quell’umanità che vive peggio. Hanno soldi, zero cultura, esigono perché pagano, sono pedanti, superficiali, spendono e spandono. Con l’ultimo week end di Agosto quello stesso interruttore scatta un’altra volta e immediatamente tutti spariscono. Le valli non di svuotano, anzi restano popolate da turisti più silenziosi. Le e-bike lasciano posto a ciclisti normali, anche agli uffici guide le richieste tornano a essere normali. Si percepisce passione.
Il superturismo è pesante ma dura poco. Al suono della campanella tutti lo spopolano in fila, diligentemente. E qui si respira con i portafogli gonfi.
Chi vuole cambiare è solo invidioso.
Condivido molte considerazioni espresse in diversi interventi.
Io vorrei contribuire sottolineando alcuni fatti di base. Come spesso accade, vi sono aspetti della realtà passati in giudicato che diventano invisibili e sono struttura data.
Il processo che osserviamo non è un fatto naturale ma frutto dell’azione di forze sociali. Non vi è stata alcuna forma di resistenza delle istituzioni al fenomeno in atto. Al contrario, queste promuovono e accompagnano.
UNESCO con i suoi patrimoni dell’umanità è stato un megafono di rilevante importanza soprattutto a livello internazionale e vetrina culturale in Italia. Ancora oggi giornalisti e altri amano raccontare le dolomiti come “Dolomiti patrimonio dell’umanità UNESCO”, anche quando l’attributo c’entra niente. Quel “noi” implicito dice molto del fenomeno.
Per me la fondazione dolomiti UNESCO è un fake totale perché si è presentata come garante della conservazione di un rapporto con la natura equilibrato ma ha operato semplicemente promuovendo il consumo come un supermercato. Tant’è che è successo di tutto, in termini di sfruttamento, e più o meno se ne sono stati zitti.
Eppure le dolomiti come entità fisica esistono da milioni di anni, non sono state scoperte ora. Il turismo in dolomiti c’e’ sempre stato e chiunque poteva da sempre andare in dolomiti. E come mai tante persone in passato, pur avendo le dolomiti a disposizione, non le frequentavano o le frequentavano senza la necessità di accessori e ammenicoli che oggi sembrano assolutamente necessari? Qualcosa è cambiato.
In questo cambiamento vedo due aspetti: il lusso in varie forme e l’offerta dell’alta montagna come nuova frontiera e far-west. Tutto ciò poteva essere almeno contrastato dalle istituzioni, e invece vedo che queste se ne fanno vanto.
Facile arrivare lì dove si intersecano le vicende umane. Molti, chi può, sono contenti di andare in dolomiti e farsi spennare e a ciò danno valore, persuasi di aver compiuto un’impresa. Ma più che del consumatore, qui l’impresa è dell’impresa che incassa. Ciò ha prodotto processi di espulsione da ampi contesti montani perché ora le dolomiti non sono di tutti, sono di chi le sfrutta, dei capitali, e di chi paga molto, dei consumatori. Han fatto diventare moda e fatto economico ciò che è sempre esistito.
“vedere i bellissimi Torrioni del Corchia, un pezzo di Dolomiti in Apuane”
Sono bellissimi davvero, Benassi (specie se visti da sopra, dal crinale nord).
Tuttavia non accosterei le Apuane alle Dolomiti.
Nel senso che, personalmente, vado in Apuane non perché sono “un pezzo di Dolomiti” ma per il loro proprio carattere, che trovo unico nel suo genere (nonostante l’opera distruttrice dell’industria estrattiva).
E poi lì non c’è troppo overtourism (per ora) 🙂
“da Valdostano e amante della montagna,vedere i luoghi deturpati, inquinati e presi d’assalto da orde di turisti famelici e vandalici,mi provoca solo una grande amarezza”
Anche a me da non-Valdostano.
Ma, vedi, Bordet, i “turisti famelici e vandalici” (che sono sempre gli altri, mai noi stessi) trovano quello che i locali mettono a loro disposizione.
Non è il turista che decide il menu gourmet del rifugio in quota o che si porta il pesce a 2000 metri per farselo cucinare. Nè costruisce funivie per salire o bivacchi (che siano UTILI però 🙂 ) per avere il punto d’appoggio.
Il turista al massimo crea un certo tipo di domanda che, generalmente parlando, è sempre più consumistica, purtroppo.
Ma perché a tale domanda deve sempre seguire inevitabilmente una offerta ancor più consumistica” da parte di chi vive, lavora e amministra quei luoghi ?
(Piccolo suggerimento: rispetto alla pecunia, l’autenticità della montagna e delle esperienze che essa può offrire nella sua essenza naturale è destinata, purtroppo, a soccombere. E ciò che sta, da tempo, accadendo alla montagna – e non solo – è il risultato di quando si sceglie la quantità invece della qualità).
39. Se permetti la tua è pura utopia. Nessuno, ma proprio nessuno, attuerà i tuoi/vostri desideri di rendere gli avvicinamenti più impegnativi e le strutture ricettive più spartane, anzi su quel tema stiamo procedendo spediti nella direzione opposta. La prenotazione invece diventerà obbligatoria, è una strada che è stata già intrapresa, ci vorrà tempo ma attualmente è l’unica soluzione proponibile e attuabile in tempi brevi. E anche tu, puoi abbassare la cresta Crovella, stai sereno.
Incredibile! leggete il 39. Sto facendo scuola: quando nel 2019 inizia questi discorsi qui sul blog 8in realtà li facevo già altrove comprese serate ecc) solo bordate di fischi, liberi tutti la montagna a disposizione di chiunque, sei il solito bastardo fascista che vuole riservare le montana ad una élite, impedendo al popolo di accedervi. I tempi cambiamo alla velocità della luce: 5 anni (2019-2024) possono sembrare tanti, ma per registrare dei mutamenti dell’opinione pubblica sono un battito di ciglia.
Se il pensiero comune cambia, ovviamente con i tempi biblici che ciò comporta, la spinta dal basso porterà a cambiare le cose: la montagna tornerà a essere “scomoda” e la folla consumista passerà oltre. Questo è il mio auspicio. Però purtroppo siamo arrivati ad un livello tale di danneggiamento dell’ambiente montano che esso non può attendere i tempi biblici del cambiamento del pensiero comune. Per questo motivo mi aspetto che, prima a macchia a macchia di leopardo e poi forse universalmente, inizieranno le varie tipologie di restrizioni, fino a veri e propri divieti. Stringiamo i denti e speriamo di scavalcare questa fase transitoria (quella dei divieti), in attesa che torni la montagna “scomoda”, che farà selezione naturale dei suoi frequentatori.
Per assurdo il numero chiuso, le prenotazioni online sono a favore del turismo che si vuol contrastare. A costoro poco importa della “libertà “di accesso ai monti. Per loro è sufficiente fare poca fatica, fare il selfie e poi proseguire verso altre mete ” prenotate” per tempo. La vera difficoltà, il vero filtro per scoraggiare un certo tipo di turismo è rendere più difficile il tragitto, magari obbligando a lasciare più in basso il mezzo di trasporto oppure rendere più spartane le strutture d’accoglienza e limitare il proliferare dei bivacchi. Il ” filtro ” deve essere la fatica non il denaro o la dimestichezza del prenotare online.
Personalmente,da Valdostano e amante della montagna,vedere i luoghi deturpati, inquinati e presi d’assalto da orde di turisti famelici e vandalici,mi provoca solo una grande amarezza!
Sono d’accordo a introdurre limiti e divieti nonché visite su prenotazione onde preservare la natura e i luoghi!!
Una volta, tanto tempo fa, il reggiano Carlo Possa, colui che inventò la celebre “Pace con l’Alpe” e gran salitore della Via degli Svizzeri alla Pietra di Bismantova, ebbe una visione. Cosí profetizzò: “Dove va l’alpinismo? Ma è chiaro: sul monte Ventasso [montarozzo dell’Appennino Reggiano]”.
Ebbene, ora io vi dico: “Dove andremo per sfuggire alle orde? Ma è chiaro: sui monti dell’Appennino (oltre che sulle Alpi Marittime, Carniche, Giulie et similia)”.
D’altra parte i precedenti non mancano. Secondo un’ipotesi – ma è storia assai nebulosa e controversa – il paese di Fanano, nell’Appennino Modenese, fu fondato da fuggiaschi fiorentini che scappavano dalle orde barbariche.
Come vedete, niente di nuovo sotto il sole.
Balsamo, gli ALIENI hanno fatto altro.
Carro Balsamo, potrei fare nome e cognome, ma è meglio stia buono o mi becco una bella denuncia.
Di sicuro non sono stati gli ALIENI.
Che ci vadano pure, quello che trovo assurdo è che tante di queste persone, non va a passo Croce per vedere i bellissimi Torrioni del Corchia, un pezzo di Dolomiti in Apuane, oppure per ammirare la vista del mare, o sul monte Sumbra. Non è il paesaggio l’attrazione.
No!! CI VA PER FARSI LA FOTINA SULLA PANCHINA. Tutti sulla panchina come tanti cretini.
Ho lo stesso timore di 30. Anzi direi certezza conoscendo i miei polli.
L’unica speranza è che si metta uno stop solo nelle aree iper visitate.
Il caso dell’intera Val di Fassa che lamenta dell’Overturism mi fa temere in provvedimenti generalizzati.
Si parla di stop ai passi… si pensa dalle 9 alle 16…provvedimento che non mi danneggia poichè gia’ alle 9 sono in cima alle montagne. Pero’ vi è gia’ chi ha evidenziato che: 1) il problema si ripropone pero’ prima delle 9 poichè vedi Tre Cime si forma la ressa gia’ alle 7 2) se non vai su dopo le 9 le auto in valle che fanno?
Meglio godersi la vita che del futuro non v’è certezza.
“L’ enorme arco tra la cima sud e la cima nord che forma il foro, è ridotto a sostegno per l’altalena”
Come la panchina gigante al Corchia, la zipline al lago di Vagli o le visite in fuoristrada alle cave di marmo con annesso aperitivo a base di Prosecco e lardo di Colonnata.
Manca solo la donna barbuta e l’uomo più forte del mondo e abbiamo fatto bingo.
Ma chissà chi ce l’ha messa, tutta ‘sta roba in Apuane. Che siano stati gli alieni ? 🙂
Buffo: si riempiono i luoghi di c.d. attrazioni, di agevolazioni per arrivarci (es. strada per l’Auronzo), si fa una martellante pubblicità su ogni tipo di media, e poi si scopre che c’è l’overtourism ed è un problema.
Ma la gente cosa dovrebbe fare, a fronte di tutto ‘sto pompamento ? Non andarci ?
Oltretutto, a causa del cambiamento climatico che non esiste, nelle città di pianura si muore di caldo…
E il bello è che quelli che si lamentano di più sono i c.d. locali 🙂
In questi giorni sto guardando “le Alpi di Messner” programma della Rai datato 1995. Interessante come i problemi dell’overtourism venissero già evidenziati in quegli anni…E cosa è stato fatto? Nulla, solamente etichettato il fenomeno con un anglicismo.
Il fatto che i parchi americani (non tutti) siano regolamentati con prenotazioni, lotterie e ranger, è assolutamente necessario e lo si capisce andandoci. Dato che in alcuni posti la situazione è ormai degenerata è inutile pensare di poter tornare indietro senza interventi di “forza” (regolamenti). Ci si adatterà come ci si adatta quando si decide di andare a visitare un posto: ci si informa, ci si organizza e si acquistano i biglietti oppure si fa a meno di andare in piena stagione.
Altrimenti come evidenziato in altri commenti, la situazione imploderà da sola.
Bellissimo articolo e ancor piú bella discussione nei commenti.
Sul tema dell’overtourism serve un ragionamento di larga scala, ed é urgente affrontare tutti i suoi aspetti (da quello piú “ovvio” ambientale ma anche a quello sociale). Perché nel fraattempo -ed é notizia di oggi sul Dolomiti – arrivano i “crazy rich Asians” a fare il servizio fotografico matrimoniale in quota, elitrasportato ovviamente, vestiti con abiti da sera mica da montagna, e le misure non possono sempre essere un rammendo alle consuetudini che, a forza di banconote, finiscono per stabilirsi.
Solo un appunto al 30 – In realtá, con i “numeri chiusi” si favorisce il turista: che é colui o colei che per tempo pianifica il viaggio, itinerari compresi. La spontaneitá di “apparire” del locale, che passa di lí, non puó competere con chi anche a distanza di un anno fa programmi – ci sono giá pieni i social di pubblicitá per i “giri in ferrate del Brenta” per l’estate 2025, mentre io sono ancora qui che decido se domani faccio il sentiero A o B per via del tempo (atmosferico e personale).
La prenotazione obbligatoria è già una forma indiretta di divieto. Ti si inibisce la libertà immediata nel recarti in un posto. Certo puoi aspettare il tuo turno, ma a volte il turista è di passaggio e, se non c’è possibilità di vedere una cosa all’istante, di fatto la “perde”. Fatta questa premessa, i divieti in senso stretto rientrano nel grande coacervo delle restrizioni, che comprendono cose diverse fra di loro, com prenotazioni, numeri chiusi, ecc, e possono arrivare fino al divieto vero e proprio, che a sua volta può essere temporaneo, attivo in certe fasi dell’anno, fino all’stremo dell’area vietata sempre. “Divieti” ne abbiamo già attivi (dalle ordinanza comunali a quelle regionali…), non sono una novità assoluta. Non è che a me piaccia il concetto di divieto in quanto tale: è che sono convinto che il sistema si evolverà in quella direzione (quella delle restrizioni) arrivando come estremo limite al “divieto salvo visite guidate su prenotazione (di mesi prima)”. Es: isola di Montecristo, mi pare anche parco della Val Grande ecc. Quindi casi pratici esistono già. L’oveturism richiederà degli interventi selettivi che avranno diverse forme e intensità e, in estremo limite, saranno dei veri e propri divieti. Tra l’latro validi “erga omnes” (a carico di tutti), senza fare distinzione fra turisti buoni (cioè responsabili e rispettosi dell’ambiente) e turisti cattivi (cannibali che distruggono l’ambiente). questa cosa qui dovrebbe spingere i turisti “buoni” 8anche fra i frequentatori della montagna) a ostracizzare l’accesso dei turisti cattivi: per colpa di questi ultimi potremmo TUTTI subire eventuali futuri divieti o restrizioni a vario titolo.
28. Tu insisti nel definirli divieti e restrizioni, quando si tratta di evitare che in un ambiente delicato (vedi il solito esempio del lago Sorapîs) arrivino contemporaneamente 3000 persone. Vuoi vedere il lago? Prenoti. Se non c’è posto aspetti, non c’è alcun divieto in questa impostazione delle visite.
I divieti che a te tanto piacciono e che in Italia non vengono mai rispettati (prova a spargere immondizie in un parco americano, o ad accendere un fuoco dove è vietato) non c’entrano nulla con l’argomento.
Il futuro non potrà che evolvere verso un’intricata ragnatela di divieti e restrizioni (numero chiuso, prenotazioni obbligatorie, ticket, ecc). vale per l’intero ambiente outdoor (dalla montagna alle spiagge ai laghi), ma vale per qualsiasi altro “luogo” (accesso a intere città – vedi Venezia – o a porzioni di città). E non è una questione posta dalla destra affaristica. Il sindaco di Roma (Gualtieri, notoriamente del Pd) è d’accordo con la proposta di introduzione del numero chiuso a pagamento alla Fontana di Trevi. Se perfino i politici di sinistra sono favorevoli alla compressione del diritto di andare liberamente dove si vuole, significa che la realtà non lascia alternative.
@Luciano Regattin al 22. E’ che noi c’abbiamo la Santainchè e il Sangiovese, più tutto il resto.
“E non venitemi a dire che non abbiamo nulla da imparare dagli States.”
Beh, forse dovremmo imparare a non scendere mai dalla macchina e fotografare dal finestrino come fa il 99% dei turisti americani…così il lago di Misurina rimarrebbe comunque fottuto, ma al Sorapiss non ci sarebbe nessuno.
Però potrebbe anche succedere che venga asfaltata la strada dall’Auronzo fino a forcella Lavaredo per fare le foto alle nord!
Apprezzo la persona stanziale, l’ambiente locale. Chi si muove per esigenze di sopravvivenza biologica.
22) Si, il bellissimo monte Forato, non viene visitato per ammirare la sua particolare caratteristica, che ne fa una delle montagne più particolari delle Apuane, quanto piuttosto per farci l’altalena. L’ enorme arco tra la cima sud e la cima nord che forma il foro, è ridotto a sostegno per l’altalena. Gruppi di persone si ritrovano lì e aspettano il loro turno per essere lanciate a dondolare nel vuoto. Il successo è garantito e l’affluenza è alta.
Il turismo espropria i luoghi del loro senso vitale, li snatura in luoghi da usare. Non ci sono scopi nobili nel visitare un luogo non nostro: quella negli spazi altrui e sempre una invasione. Per nobilitatla possiamo dire che siamo esploratori, scienziati. Antropologi. Si possiamo dirlo. Possiamo dire che le milioni di persone che dopo di noi vogliono esplorare e conoscere sono overturisti, si possiamo dirlo.
Forse sarebbe il momento di prendere in considerazione il modello Parchi statunitensi: là si entra solo su prenotazione (almeno nei più importanti) e addirittura nel Zion National Park si entra solo per sorteggio, le richieste sono talmente numerose che bisogna partecipare ad una lotteria. Non è più possibile immaginare che la pressione antropica in certi luoghi possa aumentare illimitatamente, ci sono giorni in cui il parcheggio dell’Auronzo è già esaurito alle 9 e la coda di auto arriva al lago di Misurina, tutti fermi in attesa non si sa di cosa. In Brenta il parcheggio di Vallesinella, come mi sembra anche il lago di Braies, sono su prenotazione, al Passo Tre Croci basterebbe mettere il divieto di parcheggio su entrambi i lati (in Slovenia fanno così dappertutto e soprattutto passano a dare le multe, se non parcheggi nei posti dedicati e a pagamento) e la folla del lago Sorapìss per incanto scomparirebbe. Si potrebbe partire con dei test in poche località tra le più frequentate e fragili dal punto di vista degli ecosistemi, ma è evidente che alle amministrazioni locali non interessa nulla dell’ambiente, almeno non quanto gli schei che questo overtourism lascia in loco.
A margine, una considerazione ispirata da quell’obbrobrio che ha sostituito il rifugio Santner, e che pare avere molte prenotazioni da tutto il mondo da turisti che vengono a vedere il rifugio (non le Torri del Vajolet): qualcuno ha mai visto nelle immagini dei parchi americani una sola costruzione, che sia un rifugio, un bivacco, un ristorante, un bar, un impianto? Il Parco degli Archi, Brice, Zion, Yosemite, il canyon dell’Arizona, le immagini iconiche delle torri di arenaria rossa? No, non esiste, solo da noi tutte le immagini iconiche delle più belle montagne sono sempre accompagnate dal rifugio o da un segno che l’uomo è intervenuto a modificare l’ambiente. Fosse da noi Delicate Arch, per me una delle strutture più affascinanti del Pianeta, ci sarebbero 3/4 pizzerie, le bancarelle, forse anche la ferrata per farci il giro sopra o l’altalena (chiedere a Benassi). Due mondi all’opposto. E non venitemi a dire che non abbiamo nulla da imparare dagli States.
Sono sempre gli altri ad essere di troppo.
Troppi soldi, troppa gente e troppe “balle” nella testa . Viziati che vogliono il rifugio /ristorante, il bivacco per la notturna, i sentieri sempre dotati di cartelli segnaletica, la traccia GPS sempre aggiornata. Avventurieri da social buoni solo a postare foto.La montagna dovrebbe essere spartana perché si va lì anche per lasciarsi alle spalle la società di pianura.
Mi sono chiesto spesso perché un certo tipo di turista scelga certe mete consapevole di trovare l’affollamento. Per comodità, lasciandosi trascinare dalla massa, per paura del vuoto e degli spazi liberi (kenofobia), per paura della solitudine e del silenzio, o altro ?
Onestamente non mi dispiace che la gran parte dei pantofolai si diriga solamente su alcune mete, lasciando ai locali consapevoli delle potenzialità dei propri territori, ampi spazi liberi nei quali può ascoltare il suono del silenzio, assaporare la solitudine che solo certi spazi possono darti.
Sono un uomo di 65 anni, amante dei viaggi e di tutto ciò che è Natura;non ho viaggiato molto, non sono ricco come vorrei, e poi perché quando visito un luogo, cerco di starci il più tempo possibile per poter riuscire ad entrare nella quotidianità del luogo, di conseguenza in un posto cerco di andarci più di una volta, non amo i “programmi” e non amo pubblicare le mie vacanze sui “social” solo a stretti amici faccio vedere le mie foto e odio assolutamente il fenomeno dell’overtourism, distrugge la vera natura dei luoghi che subiscono gli effetti di questa Invasione, che non fa altro che spasmodici selfie, giusto per dire che c’era, ma non sa un cazzo di niente del luogo che visita.
Scusatemi, ma sono incazzato
Un abbraccio
Nel mio piccolo , questa cosa la vedo anche in come viene condotta la visita ai luoghi.
Ricordo l’esperienza di orientarsi , di trovare il sentiero , di notare anche le cose non evidenziate da un cartello:”guarda qui”.
Oggi molti girano con il gps che li guida fra i bivi , e li vedo tutti contenti quando tornano all’albergo con il loro album completato con tutte le figurine.
Il “viaggio” e l’esperienza pero’ sono altro rispetto a un album di figurine.
Sono stato è meglio perché ha il “gusto” più di conoscere e relazionarsi con il posto in cui ci si reca e non ho fatto il Messico, il Brasile, ecc. Che ha molto più di buffoneria da strapazzo, arroganza e presunzione!
14. No, l’alpinismo verrà sostituito da altra attività (sabato scorso solo qualche cordata sulla parete delle pareti per ex alpinisti come me nonché nuovi amanti delle “multipics” ultra sicure: il Lagazuoi Piccolo), ce le ha raccontate anche Cominetti, ma basta aprire gli occhi per vedere quali saranno. E non ci sarà la necessità di reimparare a mungere le vacche,
…….Ed il cerchio si chiude.
Scrive il nº11
In pratica si tornerebbe all’alpinismo dei primordi, con la differenza di un surplus di guide ed una spaventosa carenza di mungitori!!!
una quarantina di anni fa a SriLanka una donna del luogo chiedeva ai pochi viaggiatori di allora di non comprare olio di cocco da utilizzare come abbronzante perché inevitabilmente il prezzo continuava a salire a danno della popolazione locale che invece lo usava per cucinare.
1 litro di acqua nei rifugi si paga dai 6 euro in su, 1 litro di latte pagato al pastore 1 euro. Domenica scorsa alla capanna Margherita era una bolgia, c’era qualcuno alla Grivola ? Al Bianco dalla normale francese , bisogna essere fortunati per trovare un posto. Dal Gonella ? Da anni le guide usano anche l’elicottero per evitare la lunga camminata sul ghiacciaio del Miage. Vietato ? Si. Controlli? Non pervenuti.Bivacchi? Centri di raccolta, poubelle.Non ho mai visto tanta gente come quest’anno in montagna, ma da ottobre molto ritorna come prima. Tutto chiude. Rifugi, alberghi, bar.Rimangono in pochi lassù .Solo alcune considerazioni personali.Quante contraddizioni in questo ambiente.
Nelle valli Ladine, Fassa, Gardena e Badia, fra non molto, a causa dell’aumento esponenziale dei prezzi, si ritornerà al turismo degli aristocratici riccastri. (Aldilà della definizione gente che può spendere 500 euro al giorno per la vacanza). Che sia una scelta, o una conseguenza, non lo so. Certo è che quando il mutuo da pagare alla banca, per il prestito concesso per andare in vacanza diventerà difficilmente rimborsabile, anche il “popolo” , tornerà alle vacanze fuori porta. E sui passi Dolomitici transiteranno solo le fuoriserie dei riccastri.Ed il cerchio si chiude.
Abbiamo voluto accontentare il turista pagante, in tutto, anche nelle richieste più bizzarre? Questo è il risultato. Un esempio per tutti: il lago di Carezza. Ho passato da un pezzo la cinquantina e ricordo con enorme, struggente nostalgia il lago di un tempo quando c’ era solo il lago, stupendo, incontaminato e nient’ altro. Allora arrivavi, se avevi fortuna parcheggiavi la macchina nei pochissimi posti disponibili, facevi due passi sul sentiero e ti godevi il paradiso, da solo o quasi, in una pace assoluta, quasi mistica. ora il lago è diventato un bazar, una bolgia, con ristoranti, bar, paninoteca, negozio di souvenir, megaparcheggio a pagamento e sottopasso che ti porta direttamente alla terrazza sulla sponda dello specchio d’ acqua (non sia mai che il turista pagante debba fare 2 passi in più). Risultato: colonne di macchine a non finire, pullman, una invasione di persone vocianti, spesso maleducate, che si accalcano e sgomitano per una foto. Hanno rovinato un angolo di paradiso con una immensa colata di cemento in nome del profitto. Vogliamo parlare poi dei tanti rifugi che ormai offrono menù altisonanti come ristoranti gourmet, dei rifugi che hanno allestito camere extralusso al pari di hotel 5 stelle, delle “camere a vista” sorte su alcune vette per permettere al viandante di ammirare le stelle comodamente sdraiato sul letto, delle tante seggiovie, cabinovie, ovovie, esistenti e di quelle ipotizzate o previste per portare più persone possibili, comodamente, sulle fragili vette? Vogliamo accontentare, coccolare il turista in tutto e per tutto perché porta benessere e ricchezza? Decidiamo di offrire ostriche e caviale nel rifugio d’ alta quota perché ce lo chiede il turista che paga?
Benissimo, però poi non lamentiamoci per l’ overtourism o per le montagne che soffocano per l’ invasione
Alessandro, permettimi, nessuno con un minimo di raziocinio vuole tornare ai “bei tempi passati”.
Quello che in tanti (vanamente?) auspichiamo è semplicemente un po’ di MISURA.
Ho iniziato a pascolare le mucche a 6 anni, a 12/13 ci alzavamo alle 3 del mattino a mungere e ci pensavano le code delle mucche a svegliarci. Adesso sono guida alpina da 43 anni e anche se non mi dispiacciono quei ricordi, di certo non scambierei mai e poi mai, adesso con allora. Voi che amate così tanto i bei tempi passati, andate a fare i portatori in Nepal o da qualche altra parte.
Fabio, ognuno raccoglie quello che semina.
Crovella al #4: yawn, la solita aria fritta.
Bertoncelli:
Veramente è GIA’ così.
# PIU’ MONTAGNA PER POCHI.
Obiettivo da perseguire attraverso la riconversione della montagna, attualmente consumistica (anche alle alte quote), in una montagna caratterizzata dalle tre ESSE: Spartana, Scabra, Scomoda. Se frignate (volendo trovare un collegamente fra tre Esse e lee SS) ve ne aggiungo una quarta, di ESSE: Spietata. Non ce la fai, per motivi di soldi, di fiato, di talento ecc? Beh, lassù non ci vai. La montagna non può esser per tutti e chi ci vuole andare in montagna deve saper individuare il livello che compete alle sue caratteristiche (tecniche, atletiche, motivazionali). Solo così sfronderemo l’overturism in montagna.
Di tutte le “ESSE”, la scomodità è il fattore chiave: i turisti consumisti (magari tecnicamente forti, ma consumisti di mentalità) ricercano la comodità, anche in montagna, anzi la “esigono”: da qui strade che arrivano in altro, impianti per sciabattoni, rifugi albergo, avvicinamenti ridotti, pareti perfettamente attrezzate e (ultimo ma non ultimo) una marea di bivacchi, non come punti di appoggio per la salita del giorno dopo, ma proprio in vetta. L’inverno scorso ho sentito una (falsa) scialpinista dire: “Che bello che su questa cima c’è un bivacco, così si possono togliere le pelli al riparo dal vento freddo!” invece togliamo il bivacco e gli scialpinisti che, povere stelline, non sopportano il gelo alle mani se tolgono le pelli sotto la “bisa” sferzante, non faranno più scialpinismo e così si tolgono in automatico dai piedi. Lo stesso vale, mutatis mutandis, per ogni altra attività di 2montagna”.
C’è un corollario sociologico su cui riflettere: aver aperto la montagna “a tutti”, spesso in nome del diritto di ciascuno di andare ovunque e di godere di ogni diritto (quindi un principio diciamo “di sinistra”) ha portato a un’impennata delle tariffe anche in montagna, facendola diventare un target quasi esclusivamente per turisti danarosi (quindi un turismo affaristico, se vogliano “di destra”, ovviamente della destra malsana, quella che io chiamo “alla Briatore”). Effetto boomerang che colpisce chi si voleva aiutare. Non dico che sono contento, affatto. Dico che aprire tutto a tutti porta con sé conseguenze che scappano di mano. Prima o poi le misure di contenimento (divieti, numeri chiusi, prenotazioni obbligatorie e, ultimo ma non ultimo, una selezione “economica” sempre più intensa) scremeranno la gente che va in montagna. piuttosto che arrivarci per questa via, io sono convinto che sarebbe meglio arrivarci attraverso il ripristino di una montagna scomoda.
Avete presente la Riviera Adriatica, con Rimini e Riccione? Quello è il destino della Valle di Fassa e della Val Gardena; a seguire tutte o quasi le altre vallate delle Dolomiti e della Valle d’Aosta.
Noi qui, quattro gatti, stiamo a parlare di etica, bellezza, silenzio, rispetto dell’ambiente, mentre là vanno orde sterminate di cannibali, prossimamente anche dalla Cina, milioni e milioni.
I valligiani si ritroveranno titolari di un astronomico conto corrente bancario, ma ridotti al livello di giostrai nella terra natale. L’hanno ricevuta dai loro avi, ma lasceranno un luna park ai figli.
Le parole della diagnosi ci sono quasi tutte, soprattutto la frustrazione dei turisti in cerca di identità. Suppongo però che il problema coinvolga pure gli indigeni: che ci fanno ancora in montagna i figli dei contadini e dei pastori? Se non ci sono più campi da coltivare o animali da pascolare diventa difficile per tutti dare un senso alla propria vita senza compromettere la vita degli altri.
Quando un luogo si offre al turismo come il turista lo vuole trovare, perde la sua identità, diventando simile a tutti gli altri.
I luoghi “di carattere” restano fedeli a se stessi, venendo scelti da turisti che proprio quello cercano e alla lunga riescono a conservare buone condizioni di vita dei locali perché non si sono snaturati.