Dopo le aspre polemiche su Dolomiti UNESCO (la richiesta caldeggiata da alcuni di togliere il patrocinio UNESCO) Mountain Wilderness fa il punto della situazione e delle criticità aspre che contraddicono l’agire della Fondazione Dolomiti UNESCO. A nostro avviso, il riferimento reale del fallimento del progetto Dolomiti UNESCO, nonostante l’impegno e la serietà dimostrata da molti soggetti, è uno solo: il Consiglio di amministrazione della Fondazione.
Questo documento è lungo, ripercorre tracce di storia che è bene non dimenticare e poi entra nel merito del tema, fino alla proposta. Ridefinire, alla luce dei cambiamenti climatici e dei temi dell’overtourism, l’intero piano di gestione, ovviamente questa volta finanziandolo fin nel dettaglio delle proposte (Luigi Casanova).
I fallimenti delle tutele UNESCO sulle Dolomiti
(una responsabilità solo politica)
di Luigi Casanova
documento di Mountain Wilderness Italia aps, 2 settembre 2024
Nelle giornate del 7, 8 e 9 agosto 1993 Mountain Wilderness Italia, Legambiente e S.O.S. Dolomites organizzarono a Cortina d’Ampezzo un’articolata iniziativa tesa a proporre all’UNESCO l’inserimento dell’intero arco delle Dolomiti nell’elenco dei grandi Monumenti del Mondo (World Heritage). In soli tre giorni si raccolsero oltre 10.000 firme. L’iniziativa venne portata all’attenzione del Ministero dei Beni Culturali italiano. Da lì ebbe inizio un lungo processo istituzionale, culturale e sociale, non privo di difficoltà, che condusse al successo di Siviglia, quando il 26 giugno 2009 le Dolomiti vennero dichiarate dall’UNESCO Patrimonio naturale dell’umanità.
La scelta del patrimonio naturale fin da subito fu aspramente criticata dall’associazione Mountain Wilderness, in quanto l’aver scelto di tutelare solo gli ambiti rocciosi e le aree già parco naturale o inserite in Rete Natura 2000 impediva l’avvio di un progetto di tutela complessiva dell’area dolomitica compresa fra i fondovalle fino agli alpeggi e alle fantastiche rocce (Convegno di Pieve di Cadore, 2010).
Già allora era emerso evidente come i politici avessero guidato le Dolomiti a divenire un banale marchio turistico, utile a una mercificazione del territorio, da proporre alla collettività nazionale e internazionale, cancellando di fatto da quello stesso territorio i tanti valori e le identità delle popolazioni che lo abitano: sparivano così ogni richiamo culturale, storico, identitario e di alta valenza conservazionistica, sia dei paesaggi che degli ambiti naturali.
Non solo, ma nella scelta venivano esclusi dalla tutela UNESCO gruppi montani strategici fra i quali il Sassolungo, il Sella-Boè, i Monzoni-Costalunga, le Piccole Dolomiti. La tutela venne ristretta solo ad aree in qualche modo – anche discutibile – già tutelate, come i parchi nazionali, regionali, provinciali e le zone inserite in rete Natura 2000, aree ZPS e SIC (ora ZSC), alcune delle quali sono prive di un piano di gestione. Una scelta, come poi accaduto, che secondo noi avrebbe reso problematica la gestione del territorio e avrebbe fatto perdere alle Dolomiti intere la visione della loro complessità vitale, l’intreccio indissolubile di eccezionalità naturali e di culture altrettanto sfaccettate e ricche di valori, che meritavano di essere dichiarate con lungimiranza patrimonio culturale dell’umanità. La Strategia Complessiva di Gestione (SCG) approvata a Siviglia prevedeva come obiettivi basilari la conservazione, la comunicazione, la valorizzazione del bene: tale strategia doveva mirare a gestire il livello accettabile di visitatori e quell’insieme di vite ed esperienze che si legavano al vitale tessuto connettivo dei fondovalle.
Consapevole della fragilità strutturale dell’iniziativa e per superarne alcuni degli effetti sterilizzanti, il Programma esecutivo (Obiettivo A1, punto 3) aveva previsto:
“L’individuazione e valorizzazione del sistema di corridoi ecologici e paesaggistici”. Un percorso mai iniziato, anzi, a oggi divenuto in alcune amministrazioni obiettivo da disconoscere (Regione Trentino-Alto Adige).
Nonostante questo insieme di limiti tanto preoccupanti, fin da subito l’associazione ha offerto alla Fondazione Dolomiti UNESCO collaborazioni e contenuti di alto spessore tanto da partecipare attivamente alla fase partecipativa che ha portato alla stesura del piano di gestione denominato Dolomiti 2040 (2017).
La delusione maturata nel dicembre 2019 a Venezia, in un convegno sostenuto da 11 associazioni ambientaliste (delle quali 9 nazionali) ha portato Mountain Wilderness ad abbandonare il Collegio dei soci sostenitori a causa dell’inefficienza operativa della Fondazione; assieme alle altre associazioni è stato elaborato un severo documento di critica portato a Parigi all’attenzione dell’UNESCO. La motivazione principale dell’abbandono stava nel fatto che il piano di gestione, ricco di contenuti ritenuti da noi positivi ed auspicabili da attuare nei tempi stabiliti con precisione, certi, veniva fin da subito abbandonato. Ancora oggi non un solo passaggio di quella programmazione è stata attuata. La responsabilità di tanta sciatteria e disinteresse ricade totalmente nel Consiglio di amministrazione della Fondazione.
A dimostrazione della sottovalutazione del ruolo minimale della Fondazione sta anche il fatto che si sia deciso di trasferire la sede della Fondazione stessa dal centro di Cortina, Corso Italia, alla lontana periferia di Acquabona. L’ente non deve risultare visibile.
Sul territorio delle Dolomiti, specie fra i residenti, si riscontra delusione, si parla apertamente di fallimento della mission conservazionistica della Fondazione e fra cittadini impegnati si diffondono le richieste rivolte all’UNESCO di togliere il patrocinio alle Dolomiti.
Mountain Wilderness Italia, pur se in modo sintetico, intende entrare nel merito dei problemi mai affrontati, problemi concreti che attendono risposte da decenni. Le risposte a questi temi oggi sono più che mai urgenti visti i cambiamenti climatici in atto e le severe conseguenze che questi stanno portando all’ambiente alpino nel complesso, in modo ancora più severo nelle fragili Dolomiti. Sono problemi urgenti sostenuti anche dai media nazionali. Si pensi agli eccessi delle presenze turistiche: nel 2018, quando ancora la Fondazione mostrava qualche segnale di vitalità e propositività, a Sesto Pusteria organizzò un convegno internazionale sui temi degli eccessi di presenze turistiche, anche nelle aree protette. Tutti gli interventi invocarono scelte coraggiose miranti al numero chiuso degli accessi.
Se la Fondazione Dolomiti UNESCO ha fallito nella sua mission, a nostro avviso la prima causa sta nella scelta del 2009 di arrivare a tutelare solo gli ambiti di alta quota. I nove siti indicati meritevoli di tutela, per lo più rocciosi, hanno permesso di evitare, scientemente, una valutazione complessiva di quanto accadeva nelle immediate pertinenze: potenziamento della viabilità stradale, diffusione di aree parcheggio per favorire l’uso dell’auto privata, demolizione del servizio di trasporto pubblico, potenziamento progressivo delle aree sciabili, potenziamento delle strutture ricettive – anche i rifugi in alta quota – azione pressante di marketing turistico diffusa ovunque con un uso strumentale del marchio Dolomiti UNESCO, anche laddove questo non coinvolge il territorio. All’insieme già di per sé preoccupante si è accompagnata un’azione devastante delle pubbliche amministrazioni (Provincia autonoma di Bolzano, Provincia autonoma di Trento, Regione Veneto, Regione Friuli Venezia Giulia) nel favorire l’urbanizzazione delle alte quote e nella colpevole assenza di controllo e proposta da parte del Ministero dell’Ambiente. In ogni situazione si è favorito, e ancora si favorisce, il diffondersi del turismo di massa.
Un altro aspetto riguarda il tema del valore della conservazione e del potenziamento della biodiversità naturale. È evidente che quando si potenzia la pressione antropica, anche con la costruzione di nuove infrastrutture pesanti in prossimità del patrimonio da tutelare, lo stesso patrimonio viene intaccato nei suoi valori non solo dal punto di vista paesaggistico, ma anche naturalistico. Si pensi solo agli effetti della tempesta Vaia e del successivo attacco alle foreste dello scolitide bostrico. In un ambiente forestale tanto sconvolto sarebbe stato necessario coordinare gli interventi a livello interregionale e rivedere l’intero impianto culturale che ha guidato fino ad oggi una silvicoltura ritenuta naturalistica.
Sul tema della Formazione la Fondazione Dolomiti UNESCO si è rinchiusa in un fortino dal quale non escono notizie e studi sul patrimonio da tutelare, sui flussi del turismo e l’impatto che questa monocultura sta portando sulle alte quote e sulla vita quotidiana delle popolazioni che vi abitano. Ci si è accontentati di coinvolgere rifugisti, guide alpine, ovviamente l’ordine dei giornalisti per poi avere da questi ricadute di immagine ed omissione di altre culture. Così si è evitato accuratamente di mantenere coinvolti nel processo informativo e formativo tutti i soggetti portatori di criticità e di stimoli tesi al miglioramento degli obiettivi definiti nel passato, a parole sostenuti come pilastri dell’azione della Fondazione. Si è trattato di un’azione di ricercato isolamento che ha solo nociuto alla stessa Fondazione.
L’altro tema, già citato in premessa, riguarda la cancellazione dai programmi della Fondazione dell’attuazione del programma di gestione 2020-2040. In questo modo non si sono affrontate nemmeno le emergenze che vogliamo da subito elencare:
- chiudere al transito delle auto private la strada delle Tre Cime di Lavaredo, oltre alla regolamentazione severa del traffico sui passi dolomitici;
- limitare o vietare gli accessi nelle aree già oggi oltremodo antropizzate o in situazioni dove da tempo i limiti sostenibili sono stati superati;
- contrastare l’intensificazione e il potenziamento delle infrastrutture o un loro uso inappropriato che porti impatti negativi sui valori del bene (prescrizione del WH Committee, 26.06.2009);
- vietare la pratica dell’eliturismo, oggi sostenuta ed alimentata direttamente perfino in province dove questa attività tanto devastante dovrebbe risultare vietata per legge (vedasi Provincia autonoma di Bolzano);
- avviare una politica conservazionistica dei beni naturali;
- praticare una politica di contenimento del potenziamento dei rifugi, sia privati che del CAI o della SAT, vedasi come esempi i recenti casi dei rifugi Santner Catinaccio e Boè (SAT), o rifugio passo Sella ex CAI (anche se alcuni di questi risultano inseriti in ambiti esclusi da Dolomiti UNESCO);
- evitare con coraggio i silenzi o gli interventi minimali e subito trascurati legati al potenziamento delle aree sciabili, dal Comelico per arrivare a Cortina, al Catinaccio, alle Dolomiti di Brenta, alle Pale di San Martino, al Latemar. Quanto avvenuto a Cortina fra le Tofane e passo Falzarego e verso le 5 Torri in occasione dei mondiali di sci alpino, arrivati perfino all’uso dell’esplosivo sulle rocce, è scandaloso, come è scandaloso il silenzio tenuto sulla proposta dei tre collegamenti sciistici privati fra Cortina e Val Badia, Arabba e Monte Civetta o il potenziamento dell’area sciabile verso la Marmolada. Era auspicabile che anche in prossimità del patrimonio realmente tutelato si promuovesse una revisione totale delle aree sciabili arrivando a sostenere nel tempo immediato una opzione zero nel potenziamento di questa attività, limitando gli interventi solo a minime razionalizzazioni ed aggiornamenti anche tecnologici. Come, del resto, è scandaloso il silenzio tenuto dalla Fondazione sulla candidatura accettata della val Gardena di ospitare i campionati del mondo di sci alpino 2031. Da tempo l’associazionismo locale chiede che l’area del Sassolungo e Sassopiatto diventi parco naturale di profilo provinciale, mai un intervento di sostegno a questa proposta è giunto dalla Fondazione.
Sarebbe troppo dispersivo elencare ogni capitolo del piano di gestione che non è stato attuato. La situazione è talmente grave da chiedere fin da subito alla Fondazione di riprendere un percorso di revisione del piano, ancorandolo ad investimenti economici e finanziari condivisi dai territori interessati. Un aggiornamento dovuto anche per fare fronte in modo innovativo agli effetti dei cambiamenti climatici e per rispondere in modo incisivo alle recenti modifiche introdotte dal Parlamento all’art. 9 della nostra Costituzione.
L’attività economica riferita al potenziamento delle aree sciabili risulta essere l’attività più critica che ci porta a diffondere anche sulle alte quote gli effetti di un eccesso di antropizzazione e di infrastrutturazione che invade anche i settore della ristorazione, dell’accoglienza, della viabilità.
I temi da affrontare sarebbero ancora molti, ad oggi ci fermiamo a questa forte denuncia. Chi volesse approfondire trova documentazione più esaustiva nel continuo impegno che Mountain Wilderness ha svolto sul tema e nel documento che nel 2020 l’associazione assieme ad altri 10 sodalizi ha inviato all’UNESCO a Parigi.
Scheda dei pro e contro Dolomiti UNESCO
Valutazioni ritenute positive alla richiesta che UNESCO tolga il patrocinio di tutela alle Dolomiti
1. Si ritiene che il marchio Dolomiti UNESCO patrimonio naturale dell’umanità abbia accentuato la pressione antropica nell’ambito territoriale. Si è trattato di una sciagura.
2. E’ necessario un gesto eclatante per fare scoppiare a livello internazionale lo scandalo della gestione, o mancata gestione, di Dolomiti UNESCO.
3. Si ritiene che Dolomiti UNESCO rappresenti solo un marchio turistico.
4. Si ritiene che UNESCO si disinteressi totalmente di quanto avviene in Dolomiti.
5. Si ritiene che qualora UNESCO tolga il patrocinio si liberino le Dolomiti di un marchio-brand di richiamo e le si rendano meno appetibili al turismo di massa.
Valutazioni ritenute negative sulla proposta che UNESCO tolga il patrocinio a Dolomiti UNESCO patrimonio naturale dell’umanità
1. Si ritiene negativo che un’associazione ambientalista chieda a UNESCO di togliere un patrocinio di valore internazionale. Un’azione scandalo che potrebbe essere imitata anche da soggetti portatori di istanze opposte alle nostre.
2. Mountain Wilderness International è stata protagonista della richiesta della tutela UNESCO, MW Italia ha agito su delega internazionale.
3. Mountain Wilderness esprime nel Comitato scientifico (Matteo Righetto) e fra i garanti (Franco Michieli) testimonial diretti e autorevoli della Fondazione Dolomiti UNESCO.
4. Qualora alle Dolomiti si tolga il marchio UNESCO l’ambientalismo risulterebbe indebolito nella difesa delle alte quote e dei vincoli ambientali e paesaggistici oggi consolidati. Ci si priva di uno strumento operativo.
5. Togliere il marchio UNESCO non risolve alcuno dei problemi attuali: collegamenti stradali, chiusure del transito privato delle auto, limitazione dell’espansione delle aree sciabili, potenziamento dei rifugi in quota, alberghi del lusso, potenziamento della viabilità stradale, inquinamento luminoso, inquinamento acustico, consumo di suoli pregiati, invasione di aree protette, mancata azione verso gli impianti e strutture obsolete.
6. Il problema è politico, riguarda il Ministero dell’Ambiente, i governi regionali e delle Province e Regioni autonome, non certo la Fondazione in quanto tale.
Proposta da condividere in due fasi
1. Chiedere, sostenuti dall’associazionismo territoriale e da quello nazionale, un’urgente visita di un Commissario UNESCO, come avvento nel 2011, successivamente promessa dal 2017 al 2018 e poi naufragata, che valuti nel dettaglio l’operato della Fondazione Dolomiti UNESCO, le nostre richieste, con un approccio di partecipazione diffusa e visita sui luoghi “dei delitti”.
2. Chiedere a UNESCO, e quindi agli enti territoriali e al Ministero dell’ambiente, un nuovo piano di gestione, aggiornato alle emergenze maturate con i veloci cambiamenti climatici in atto, che ci porti dal riconoscimento del patrimonio naturale a quello misto (non previsto nella casistica 2009).
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Detto in maniera semplice: l’operazione UNESCO è un meccanismo, un lavaggio del cervello, messo in atto per determinare una serie di effetti a cascata nel tempo e far amare le proprie catene. Propongo che l’equivalenza UNESCO-bene comune sia giustamente definita per quello che rappresenta: UNESCO-male comune e strumento dello sfruttamento affaristico.
Francamente ho visto solo luoghi che dopo la marchetta UNESCO si sono deteriorati rapidamente perdendo la loro identità, prima di tutto, e le loro peculiarità per cui UNESCO stessa si era mossa per evidenziarle.
Penso infine che un luogo che si adatta alle esigenze di chi lo visita, perde la sua identità, e le persone che lo abitano perdano la loro unicità. E spesso la dignità.
anche le 5 terre sono patrimonio UNESCO dal 1997. e da quegli anni è iniziato un turismo folle, in continua espansione, una invasione barbarica e predatoria che ha stravolto quei luoghi, ridotto i paesi a una giostra impazzita e riempito le tasche di chiunque avesse anche un sottoscala per stiparci l’americano lo svedese o l’olandese di turno a dormire.
poi il parco ha inventato il bollino blu per gli alloggi e ha terminato l’opera di stravolgimento.
Chi ha conosciuto quei luoghi prima del turismo invasivo non ci mette più piede per la tristezza.
oggi i paesi che 150 anni fa vedevano signorini e discovolo a dipingere offrono solo infiniti punti di ristoro che vendono fritture surgelate e paccottiglia per turisti uguale a quella di Amalfi o Taormina (cambia la scritta, of course…) e orde di gente che ad ogni ora sbarca da treni e vaporetti in colonne immense che soffocano tutto (e tutti).
Lo scorso anno a un convegno sulle aree naturali in Cortina d’Ampezzo dove presenziavano anche il Sig. Casanova e la Presidente della fondazione UNESCO per le Dolomiti ho fatto la domanda: a cosa serve l’UNESCO per le Dolomiti?
Be’, le risposte sono state un ridicolo tentativo di salvarsi la carega a vicenda ma in cui l’eventuale salvaguarda dell’ambiente naturale dolomitico latitava palesemente.
Purtroppo i danni arrecati alla montagna dolomitica dall’UNESCO oggi, mi sembrano irreparabili. Certi portafogli si sono ulteriormente gonfiati centrando perfettamente l’obiettivo di chi ha voluto veramente il patrocinio di un ente, secondo me inutile e che ricorda quelle onorificenze a pagamento di certi materassai.
Il tutto da l’idea del potere molto basso delle associazioni ambientaliste, a cui da giovane credevo anch’io, e della loro quasi totale inefficacia e servilismo verso le lobby dei potenti.
Mi sembra chiaro che solo la politica può prendere decisioni e per chi le Dolomiti le ama davvero, pur vivendoci e lavorandoci, si tratti di un eventuale colpo di culo se le cose potranno migliorare.
Ho letto si e no 1 quarto dell’articolo e mi è bastato.
Sono un abitante delle Dolomiti e conosco bene le dinamiche che hanno portato al volere fregiare le Dolomiti con il logo UNESCO che sono iniziate molto prima delle raccolte di firme.
La nomina è stata voluta a solo fini turistici! Non c’è MAI stata nessuna volontà di protezione ambientale da parte di chi voleva la nomina e le associazioni ambientaliste nominate non hanno MAI avuto nessun ruolo né peso nell’assegnazione della “marchetta Unesco” del 2009.
Da tale data è iniziato un declino ambientale delle Dolomiti che neppure nella grande guerra si era fatto così Massiccio e pesante!
Dal 2009 si è iniziato a parlare anche localmente di DOLOMITI. Prima c’erano solo la Val Gardena, la Val Pettorina, Cortina, la Val di Fiemme…ecc., ma nessuno diceva “venite nelle Dolomiti”, bensì erano semmai i turisti che dicevano “andiamo in Dolomiti”, ma i locali chiamavano ogni valle col suo nome guardandosi bene dal farsi scappare i turisti che avrebbero potuto andare nella valle a fianco. Oggi, che tutti invece parlano di Dolomiti, questo retaggio lo si nota solo d’inverno sulle piste da sci: l’impianto che porta in un’altra valle o è vecchio, o è scomodo o ha una portata adatta a formare code di sciatori. Fateci caso, se lo siete, ma questo è un altro discorso.
L’errore a volersi fregiare del logo UNESCO è stato per pura avidità! Infatti gli hotel e le stanze dei b&b e i residence vari, più che pieni non potevano essere. E lo erano già. NON SERVIVA L’OVERTURISM causato da tutti i pendolari giornalieri che soggiornano a Venezia, Bolzano, Pordenone o Innsbruck e vengono per farsi il selfie per i social. O i motociclisti che arrivano con le moto sul carrello come su una pista e organizzati da agenzie che hanno nei loro siti internet e cataloghi cartacei il logo UNESCO e nessuno gli impedisce di usarlo così a sproposito.
Continua…
Ovviamente no. Non si tratta di terrorismo ambientale, ma di rigenerazione urbana per enti locali democratici che vogliano una politica alternativa.
Le 3 cime di Lavaredo???
Un vero peccato che non sono di marmo bianco, sarebbero già state spianate per farne dentifrici, vernici, creme e magari qualche scultura.
Giusto per valorizzare!
Auspicherei anch’io che fosse possibile realizzare ed estendere a molte altre situazioni il gesto eclatante di Telleschi. Purtroppo oltre ad entrare nel campo penale e del terrorismo ambientale, il grave è che ci sarebbe la rivolta della grande massa dei turisti che proprio quelle strutture e quel turismo vogliono. Inarrestabile.
Per una volta concordo in toto con Crovella. E scrivo dalle Langhe, alle quali il titolo è servito per il proliferare di strutture di ogni tipo (e alcune veri aborti paesaggistici) e un drastico aumento dei prezzi. Titolo ampissimamente svilito di significato, che diventa in molti casi offensivo del buon senso, della realtà fattuale.
E’ l’ipocrisia elevata a sistema quella dei “patrimoni dell’umanità”. Tutti, non solo quello delle Dolomiti. Non servono a nulla, se non per dare un’ulteriore pennellata allo specchietto per le allodole di stampo promozionale e turistico. Inoltre anche se tali titoli (“patrimonio mondiale”) avessero un fondamento oggettivo, che NON hanno, ormai sono stati riconosciuti a cani e porci e quindi si sono “svalutati”. Per distinguersi da altri luoghi bisognerebbe farsi insignire di un titolo stile “Superpatrominio dell’umanità”. Altrimenti si finisce in un calderone generale che è un enorme minestrone senza capo né coda. provocatoriamente dico a chi tiene alle dolomiti (Valligiani, residenti, operatori turistici ecc) che dovrebbero aver il coraggio di “strapparsi di dosso” tale titolo: in tal modo si distinguerebbero rispetto al mare magum appiattente dei “patrimoni” distribuiti a chiunque.
Un gesto eclatante? Demolire la superstrada per il rifugio Auronzo, demolire il rifugio in cima al piz Boé, demolire il rifugio in cima alla Marmolada per esempio, ma soprattutto vietare agli enti locali la propaganda del turismo. In questi giorni imperversano sui giornali nazionali i suggerimenti del Trentino: mangiate questo e mangiate quello, andate qui e andate là eccetera. State a casa piuttosto oppure andate dove vi pare!
Ho sempre visto l’Unesxo come un’etichetta e francamente mi soni stupita nel leggere che Mountain Wilderness abbia creduto – e continui a credere – che abbia fini di salvaguardia.