Il fotografo che ha visitato tutti i parchi d’Italia

Dalla comunità Walser in Valsesia fino alle riserve naturali del Sud Italia, passando per gli Appennini dell’Abruzzo e ai monti romani. Nel corso della sua carriera di giornalista e fotografo, Giulio Ielardi ha avuto modo di scoprire e indagare le bellezze più remote dell’intero Stivale. In particolare, nei primi anni Duemila, ha collaborato per la realizzazione di oltre una trentina di importanti volumi e guide sul turismo e sul futuro dei parchi italiani (dal Touring Club al CTS, fino a riviste storiche come Piemonte Parchi e OASIS). Oggi la sua passione per la fotografia l’ha portato anche tra le strade della sua Roma, dove organizza corsi di fotografia e workshop per esperti e neofiti e da dove parte per sempre nuovi viaggi fotografici in giro per il mondo.

Il fotografo che ha visitato tutti i parchi d’Italia
di Davide Agazzi
(pubblicato su parksofitaly.com il 27 dicembre 2021)
Parks of Italy è un magazine online indipendente, che si pone l’obiettivo di trovare e raccontare storie dai parchi naturali italiani. Grazie alla raccolta di interviste e approfondimenti, vuole offrire una maggiore e diversa informazione per aiutare a conoscere una delle più grandi risorse del territorio italiano. 
Foto: Giulio Ielardi

Giulio, partiamo dalle basi. Come si diventa fotografi naturalisti?
Non esistono regole precise, di sicuro una preparazione accademica può essere utile. Io mi sono laureato in Scienze Naturali e questo sicuramente mi ha aiutato nello studio degli ambienti che volevo fotografare, sapendo dove e come trovare certi animali o piante. E poi non nascondo che soprattutto quando parliamo di scatti singoli conta anche molto la fortuna: basti pensare che il famoso concorso “Wildlife Photographer of the Year” è stato vinto anche da fotografi dilettanti. Nel caso di progetti più ampi invece emerge di più la preparazione di base del fotografo.

Quindi la fotografia nei parchi è qualcosa di accessibile a tutti?
Sì e no. Oggi grazie agli smartphone abbiamo tutti una fotocamera in tasca e siamo tutti fotografi, però dobbiamo capire che immagini si producono poi alla fine. È vero che come primo approccio basta uno smartphone, ma il passaggio più difficile è proprio l’imparare a guardare uno scenario naturale, magari anche molto bello di suo, con occhi diversi, da fotografo e non da visitatore.

Questo è uno stacco netto: imparare a guardare il parco delle Alpi Marittime o del Po torinese, non con gli occhi del visitatore che passeggia e fa le foto con il telefonino, ma dare alla fotografia una valenza, un contenuto. Il fotografo interpreta e fa delle scelte, mentre le immagini che scattiamo tutti i giorni con gli smartphone non sono più che degli appunti.

Cosa differenzia tecnicamente la fotografia naturalista rispetto agli altri ambiti?
Purtroppo questo particolare settore si è dato un tono molto autoreferenziale, distaccandosi dagli altri. Tutti gli stili fotografici ormai si contaminano l’un l’altro (street photography, still life, ritrattistica, etc…), mentre la foto naturalistica guarda tutti con diffidenza, in maniera abbastanza rigida. E questo guardare solo a se stessi può diventare un rischio per il suo futuro, per la sua evoluzione: rischia di diventare un mondo parecchio polveroso.

Proviamo a guardare oltre confine. Quando si parla di parchi viene subito in mente Yellowstone e l’immaginario americano.
In America la situazione è ovviamente diversa. I parchi sono aree immense, in territori spesso desolati.
E soprattutto si parla di proprietà pubbliche. Il paragone è impossibile.
In Europa è diverso, ma anche qui coesistono realtà assai eterogenee. Il nord Europa e i Paesi anglosassoni hanno sicuramente maggiore cura di queste aree, mentre quelli mediterranei hanno solitamente altre priorità e ciò avviene per caratteri nazionali innanzitutto culturali.

In Francia esiste un rilevante sistema di aree protette con diversi punti in comune col nostro, ma anche gestioni più articolate. Oltralpe i parchi nazionali hanno regole più rigide mentre quelli regionali più blande, più rivolte alla promozione del territorio e persino con la presenza dell’attività venatoria in alcune zone). È davvero difficile trovare delle vere e proprie similitudini in una materia tanto peculiare come questa.

Nel 1989 nasce Federparchi, con l’obiettivo di cambiare l’approccio italiano nei confronti dei propri ecosistemi. Come giudichi il suo operato?
Di grande rilievo. È stato ed è tuttora, anche se adesso seguo il comparto in maniera assai più episodica, l’attore decisivo per la nascita di un sistema che in precedenza il Ministero non era riuscito a far decollare e crescere. 

Aspettiamo ancora, tuttavia, l’avvio di una robusta e duratura operazione di sostegno pubblico (il che non vuol dire necessariamente soldi, ma ancor più competenze e capacità) per una crescita culturale di tutta la società italiana che deve nascere anche da altre iniziative: più ed oltre che con le leggi e i divieti, i parchi si fanno con l’educazione e l’informazione. Su questo tema purtroppo siamo ancora indietro e l’attuale crisi – economica in particolare – non sarà certo di aiuto.

Grazie a questo lavoro hai potuto girare l’Italia alla scoperta delle sue meraviglie. Quali sono i parchi ai quali sei più affezionato?
È una domanda difficile, a 56 anni posso dire di averli visitati praticamente tutti.
Sono molto legato al Sud Italia in generale, contiene molte gemme ed è ancora oggi poco capito da molte persone. Penso subito al Parco Nazionale del Pollino e alla natura selvaggia della Catena dell’Orsomarso. Spostandosi verso il centro merita sicuramente una tappa il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, un posto eccezionale, unico in Europa per la possibilità di incontrare  animali come l’orso e il camoscio appenninico.

Infine, un luogo a cui sono personalmente affezionato: il Parco regionale dei Monti Simbruini, sull’Appennino laziale. Tra quelle montagne ho speso una decina d’anni della mia vita per un progetto fotografico poi sfociato in un libro e una mostra. Torrenti e crinali, aquile e lupi, ad appena sessanta chilometri in linea d’aria dal Grande Raccordo Anulare di Roma. L’ennesimo miracolo dell’Italia dei parchi.

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Il fotografo che ha visitato tutti i parchi d’Italia ultima modifica: 2022-04-20T05:36:00+02:00 da GognaBlog

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6 pensieri su “Il fotografo che ha visitato tutti i parchi d’Italia”

  1. Esistono due tipi di fotografia naturalistica: quella che descrive minuziosamente un luogo e quella che invece ferma gli stati d’animo provocati da quel luogo. L’essere arrivati alla fotografia digitale passando attraverso quella con la pellicola, in particolare quella delle dia, ha aiutato tantissimo. Da un lato i costruttori che fanno di tutto e di più per permetterci di immortalare al meglio la realtà, dall’altro quelli che la stravolgono per farsela piacere. Con la pellicola i ritratti migliori erano quelli con i soggetti più brutti perché la pellicola si impressionava meglio.

  2. CHE INCUBO… ci perseguita dalla piu’ tenera età scolare: vietato deviare, anzi, peggio “andare fuori tema”..cosa  ci sarebbe poi da capire circa un’intervista, e’ quello che è, si prende atto e poi? si tace per paura di sbagliare? che ansia!Ormai anche se ci becchimo un 4 ,chissenefrega! sai quante volte la comprensione di chi riceve un messaggio devia dalle intenzioni di chi lo emette…! almeno fosse l’Autore a puntualizzare, ci sono sempre i traduttori dei traduttori degli intepretatori .

  3. 1@ Essere fotografi oggi è più difficile di una volta…certo che con le macchine elettroniche, a parita’ del resto, e’ meno peso e piu’ fotogrammi.Una volta si era piu’ giovani e il peso non si notava, ma il salasso per la pellicola sì. Volendo si trova ancora bianco e nero e dia a colori…forse ritorneranno in auge come il vinile…quindi meglio tenersi le reflex e revisionarle.

  4. A metà degli anni 80, la fidanzata insistette per portarmi ad una mostra di Ansel Adams presso il Museo di Storia Naturale di Genova. Non sarei più andato via. Ogni scatto un’opera d’arte che ti rapiva. Non ho il talento del fotografo e non mi piace far foto con lo smartphone. Cominetti ha ragione, non è questione di attrezzatura ma di interpretazione e capacità di comunicare emozioni.  Non da tutti insomma.

  5. Essere fotografi non significa possedere obiettivi e corpi macchina, come spesso si improvvisa oggi da parte di qualcuno che riesce perfino a farla franca ogni tanto, ma passa attraverso tecniche di ripresa filtrate da particolare sensibilità. 
    Indice di benessere economico accresciuto è la facilità con cui il principiante si procura da subito apparecchiature professionali e competenze di postproduzione acquisite tramite tutorial e manuali. Ma attraverso il risultato finale si capisce subito chi ha scattato quella foto. Se un fotografo o un consumista qualunque. 
    Il prodotto finale della fotografia, intesa come scienza,  è un’immagine che desti emozioni forti. Se il risultato è diverso significa che il prodotto siete voi e i vostri soldi.
    Essere fotografi oggi è più difficile di una volta.

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