IL RE-STYLING POST-MODERNO

Un altro modo possibile di restaurare le vie classiche
di Maurizio Oviglia

Ho letto attentamente l’articolo sul “re-styiling intelligente” delle vie classiche: il tema mi sta molto a cuore ma, visto gli autorevoli commenti al suddetto articolo e, visto che mi sentivo sostanzialmente in sintonia con essi, non mi sembrava il caso di intervenire per ripetere gli stessi concetti. Tuttavia vorrei fare alcune considerazioni alla luce dell’evoluzione che la scalata e i materiali hanno avuto negli ultimi 30 anni e porre l’attenzione su un possibile “altro” modo di riproporre le vie del passato, che non mi sembra sia stato considerato negli interventi precedenti…

Una via famosissima e frequentatissima: la Via Piaz alla Torre Delago. 
Vi sono state recentemente chiodate le soste con resinati e catene inox. 
Lungo i tiri sono rimasti presenti i chiodi originari, 
mentre le doppie si eseguono su un solo anello cementato.
Foto Maurizio OvigliaFILE0502

Metto subito le mani avanti dicendo che mi è capitato spesso di compiere queste operazioni di “ristrutturazione” e che dunque mi son trovato più volte con il dubbio se stessi facendo una cosa giusta, eticamente corretta e/o condivisa da tutti. Sono solito infatti pormi degli interrogativi prima di agire, ma nonostante questo mi è capitato qualche volta di “sbagliare”, oppure cercare di rimediare ad “errori” del passato. In ogni periodo storico siamo influenzati da “mode” o sarebbe meglio chiamarle consuetudini, convinzioni diffuse, che determinano enormemente il nostro agire. Finché apriamo un nuovo itinerario non vi sono molti problemi, ognuno ha il suo stile, il suo metro e le sue capacità; ma quando si mette mano a quelli degli altri diventa tutto un altro paio di maniche. Ovviamente è molto più facile lasciare le cose come stanno, in questo modo non si sbaglia di sicuro. Tuttavia viviamo in una società in perenne evoluzione e quindi è normale confrontarsi con spinte innovative o moderniste, che in generale spesso si traducono in un bisogno di maggiore sicurezza e comodità. Evidentemente non basta chiedere agli apritori se siano d’accordo o meno ad “ammodernare” le loro vie, perché il concetto che una via sia proprietà del suo apritore appare ormai superato. In tema di vie classiche, magari molto famose, penso che esse siano in un certo senso patrimonio comune, della collettività, dunque dovrebbe essere una specie di assemblea o un organo ritenuto competente a deciderne eventualmente la sorte. Volendo fare un esempio, se anche Igor Koller fosse favorevole a spittare il Pesce in Marmolada, non credo che questa sarebbe un azione condivisa ed approvata da tutti… anzi! Probabilmente si finirebbe per giudicare Igor incapace di intendere e di volere! La scappatoia più semplice, e normalmente condivisa dalla maggioranza delle comunità mondiali, è dunque quella di mantenere la via nella maniera in cui è stata aperta, in modo che chi desideri ripeterla lo possa fare con lo stesso spirito e impegno dei primi salitori.

L'inglese Tom Randall apre, (al meeting della Valle dell'Orco del 2010) una nuova fessura 
appena sotto la famossissima Fessura della Disperazione. La nuova "Espirazione", si noti, 
non utilizza i chiodi normali anche nelle fessure fini, come è ormai da quasi 30 anni 
nell'ottica della scalata britannica senza martello. Foto Maurizio Ovigliafoto2

Tuttavia sappiamo bene, ed abbiamo verificato, che le cose non sempre vanno così. Proprio per il fatto che alcune vie sono belle o prestigiose, divengono automaticamente ambite da un numero sempre crescente di ripetitori. Non so se il termine “classica” indichi esattamente questa tipologia di via, sta di fatto che con questo aggettivo indichiamo probabilmente le vie che contano un gran numero di ripetizioni. Al contrario, una via difficile raramente ripresa, difficilmente diventerà una classica, e probabilmente nessuno sentirà la necessità di compierne un restyling. Come dicevo, la maggiore frequentazione porta normalmente ad un’aggiunta di materiale da parte di chi normalmente non è all’altezza della via, o comunque del livello posseduto dai primi salitori. Ciò, inevitabilmente, snatura il carattere e l’impegno originario della via stessa.

Accettato il fatto che la maggior frequentazione porta ad una aggiunta di materiale fisso, anche da parte di chi restaura l’itinerario,  dobbiamo ora fare un’ulteriore distinzione. A seconda del terreno (la roccia), del luogo e della sensibilità locale verso la tradizione, questa “aggiunta” potrà limitarsi all’infissione di chiodi normali, alla chiodatura con tasselli ad espansione delle soste, all’aggiunta di alcuni tasselli lungo i tiri, fino ad arrivare alla completa chiodatura ad espansione dell’itinerario. E’ bene far notare che, anche se ogni aggiunta riduce e snatura l’impegno originario della via, generalmente solo i chiodi normali e il materiale amovibile (lasciato sul posto) viene considerato lecito, mentre l’infissione di tasselli solitamente solleva perplessità e critiche, talvolta molto accese. Il problema non è affatto nuovo e la comunità alpinistica vi si è confrontata spesso, basti ricordare la chiodatura (e schiodatura) delle celebri vie di Yosemite, oppure la schiodatura di alcune vie di roccia del Monte Bianco alla fine degli anni settanta, che erano diventate progressivamente delle vere e proprie scale di chiodi. Nel caso si tratti di vie molto famose, ad esempio la Bonatti al Gran Capucin o la Rébuffat all’Aiguille du Midi, ogni tentativo di ripristinare la chiodatura originaria (in genere promosso da una ristretta élite) è sempre stato fortemente osteggiato da una comunità che ormai si era abituata alla situazione più agiata, senza porsi minimamente il problema se la via ripetuta fosse la stessa che avevano affrontato i primi salitori. Sicuramente si instaura la tendenza, per questo tipo di vie, a indulgere nel collezionismo. Il pensiero comune dunque diviene: se le cose sono più semplici, tanto meglio, potrò presto dedicarmi alla prossima! Questa tendenza è stata spesso incoraggiata dalle guide alpine o dai rifugisti, che hanno un interesse direttamente economico dal fatto che le vie classiche siano più semplici e sicure.

La Messner alla seconda Torre del Sella è divenuta famosa per essere una via 
poco chiodata con molti passaggi obbligatori, testimonianza del talento e 
della bravura di un giovane Rehinold Messner. Eppure, visto in un'ottica post-moderna, 
potrebbe esserlo ancora meno, eliminando cioè qualche chiodo e variante e 
lasciando spazio ai friend piccoli. Foto Maurizio Ovigliaotto

Dopo questa lunga premessa vengo dunque al punto. Ciò che non ho riscontrato negli illustri interventi che mi hanno preceduto è una decisa presa di coscienza del fatto che, nel considerare un restyling di una via, dovremmo tendere, più che ad aggiungere, rimpiazzare o cementare il materiale esistente, a ripristinare le condizioni di partenza dell’itinerario stesso, togliendo tutto quanto c’è di superfluo. Tuttavia vi è un altro aspetto generalmente non preso in considerazione: in questi anni le protezioni amovibili, intendo i nut ed i friend, sono diventate decisamente più sicure di quanto fossero un tempo. All’aumentata sicurezza dei materiali non è seguita purtroppo (almeno nell’Europa Mediterranea) la presa di coscienza che si possano utilizzare questi materiali anche dove prima si era ricorso ai chiodi (e agli spit), perché sostanzialmente la nostra cultura alpina è quella del chiodo. E, quella odierna, è quella “sportiva” che per definizione nega l’utilizzo delle protezioni mobili.

E’ necessario dunque riconsiderare le cose sotto differenti punti di vista, non solo quello portato dalla cultura “sportiva” che si è diffusa da noi negli ultimi 30 anni, secondo la quale un itinerario debba possedere per forza una chiodatura fissa per essere considerato sicuro. Gli ultimi 10 anni, in cui si è parlato molto di un presunto “ritorno del trad” in paesi quali l’Italia, la Francia e la Spagna, che si erano in precedenza votati all’arrampicata sportiva (in questi paesi il 99 per cento delle falesie è stato chiodato a spit, oltre a un buon numero di vie lunghe in bassa valle e in montagna) hanno portato senza dubbio a importanti prese di coscienza da parte degli scalatori:

–          esistono anche altri stili di scalata oltre quello definito sportivo;

–          esistono persone che li vogliono praticare e hanno il diritto di farlo anche al di fuori di un contesto montano;

–          devono esistere degli itinerari e/o delle aree ad essi dedicati, già definite provocatoriamente “riserve”.

Ciò nonostante, come dico spesso, l’Italia non sarà mai l’Inghilterra, e nemmeno la California (che ha un’etica un po’ più morbida di quella britannica). Abbiamo una diversa storia e una diversa cultura, dunque sarebbe impossibile pretendere che improvvisamente le protezioni amovibili acquistino la stessa dignità che hanno nei paesi anglosassoni, o possano talvolta sostituire gli spit mantenendo inalterata la sicurezza. Tuttavia non possiamo rimanere arroccati nelle nostre convinzioni e dobbiamo aprirci ed abbracciare mentalità diverse, facendo tesoro di quella che è stata l’evoluzione degli ultimi 30 anni negli altri paesi, accogliendola come patrimonio comune.

Top Secret al Garibaldi (7 Fratelli, Sardegna) è un esempio eclatante di restyling 
post-moderno. Aperta nel 1984 in semi-artificiale tradizionale, fu spittata 
parzialmente nel 1995 nel tentativo di renderla frequentata, cosa che non avvenne mai. 
Nel 2012 gli spit vennero rimossi rendendola una splendida via clean di arrampicata 
libera in fessura. Foto Sara OvigliaGa2

Se vediamo le cose sotto questo punto di vista dovremmo considerare, nel momento in cui ci accingiamo a restaurare una via, non solo l’effettuarne una pulizia dalla vegetazione aggiungendo materiale fisso, anche questi fossero cordini, chiodi e altre protezioni non ad espansione. Ma anche la rimozione dei chiodi presenti, nei punti dove oggi è ragionevole proteggersi agevolmente con i friends. E, a maggior ragione, rimuovere gli spit aggiunti successivamente alla prima salita a lato delle fessure ben proteggibili. Insomma valutare la possibilità che alcuni itinerari classici, certo non tutti, possano essere non solo oggetto di restilyng “intelligente” come pare auspicare Gogna, ma ricreati in un’ottica clean, che tiene conto dell’evoluzione della scalata non solo a livello di sicurezza, ma anche di capacità psico-motorie. Ormai l’arrampicata sportiva compie 30 anni ed è universalmente accettata e insegnata: abbiamo a disposizione migliaia di falesie dove poterci allenare e centinaia di palestre al coperto dove andare nei giorni di cattivo tempo. Sono stati abbattute barriere sino a pochi anni fa impensabili, ma anche limitandoci al livello medio dei praticanti, almeno teoricamente, dovremmo essere molto più forti e capaci di chi ha aperto gli itinerari classici che vogliamo ripetere. Utilizziamo allora questo “margine” per ricreare, almeno là dove sia possibile, gli itinerari classici in modo pulito, rinunciando ai punti fissi, accettando serenamente i propri limiti quando essi sono al di sopra delle nostre possibilità. Non servono più vie classiche fruibili, più ripetitori che alimentino l’economia di alcuni centri di arrampicata già di per sé famosi. Di tutto questo ne abbiamo già abbastanza. Serve un generale cambiamento di cultura, del modo di porci verso gli itinerari del nostro passato. Potremmo dunque definirlo un restyling post-moderno?

Maurizio Oviglia (CAAI)

postato il 19 marzo 2014

 

La Hasse-Brandler alla Cima Grande di Lavaredo, una grande classiche che 
tuttavia è quasi completamente chiodata, al punto che a volte i chiodi si saltano. 
Togliere qualcosa? Foto Maurizio OvigliaDSCN8849

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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IL RE-STYLING POST-MODERNO ultima modifica: 2014-03-19T07:01:25+01:00 da GognaBlog

5 pensieri su “IL RE-STYLING POST-MODERNO”

  1. Articolo per me ben fatto e assolutamente condivisibile. Toni pacati e apertura mentale. Bravo Maurizio

  2. Ho letto l’articolo e i commenti, tutti interessanti e garbati; mi permetto perciò di esprimere anche il mio già sapendo che molti non lo condivideranno. Arrampico da moltissimi anni e ho ripetuto e frequentato tutte le classiche in Dolomiti, alcune anche più volte. Ho potuto notare che la frequentazione della montagne e delle vie, soprattutto “scomode”, è diminuita moltissimo. Salvo le classiche famosissime, interi settori delle Pale di San Martino oppure delle cime cortinesi o in Civetta, sono abbandonati. Al contrario, itinerari spittati o chiodati in modo sicuro sono iperfrequentati. Quello che ovviamente attrae è la maggior sicurezza ed il minor impegno psicologico; ci si concentra sul gesto e sul godimento estetico dei passaggi. E’ un modo diverso di frequentare la montagna.
    Qund’ero giovane, arrampicavo con materiali incredibili a volte facendo sicura a spalla; cose oggi inconcepibili. Nessuno oggi, a ragione, utilizzerebbe quelle tecniche e quei materiali.
    Credo perciò che non ci si debba arroccare su posizioni non ragionevoli ed estreme.
    Credo che il buon senso debba prevalere sempre; in tale ottica non vedo francamente differenza tra un buon chiodo e uno spit. Se si era potuto piantare un chiodo, la presenza di uno spit che lo sostituisce non mi distrurba, anche perchè spesso le fessure, a forza di piantare e togliere si distruggono.
    Mi disturba parecchio invece un chiodo o uno spit dove si poteva utilizzare una protezione mobile, tenendo presente però che spesso, in dolomia, le protezioni mobili non sono così buone come su altri tipi di roccia.
    Non mi disturbano mai gli spit in sosta al posto dei chiodi, salvo non vi siano clessidre che consentano pari sicurezza.
    Qualche amico, anche fortissimo, con cui ho arrampiacato ha avuto degli incidenti; in un paio di casi le conseguenze sono state molto gravi. Posso dire che in molti casi, chi arrampicava, era all’altezza della difficoltà affrontata.
    Spesso però capita che il volo sia dovuto a cause fortuite, un sasso cade, un appoggio che cede.
    Spesso chi è volato non arrampica più.
    Io penso che non si possa prescindere dal cercare un’arrampicata sicura, con tutti i mezzi che oggi la tecnica mette a disposizione e francamente non mi emoziona il fatto che l’apritore abbia rischiato l’osso del collo oltre misura. Credo perciò che se il “restyling” viene fatto con buon senso, senza snaturare la via ma assicurandone un accettabile livello di rischio, sia positivo. Potremo vedere così finalmente nuovamente frequentate vie ed itinerari bellissimi oggi totalmente abbandonati.
    Sono tuttavia daccordo che alcuni itinerari o pareti (Sud Marmolada) meritino discorsi particolari, ma sono casi casi eccezionali che non costituiscono la regola.

  3. Restyling… ma dov’è finito l’alpinismo?
    Riattrezzare i vecchi itinerari non lo condivido… martello e chiodi li vendono ancora nei negozi…! E gli ultimi sarebbe auspicabile costassero un po’ meno, ma senza mercato ovviamente il prezzo è schizzato a livelli esagerati…
    Restyling… termine che maschera la BANALIZZAZIONE DEL LIMITE…!
    Conosco Heinz Grill che ha prodotto opere di restyling in Sarca, lo stimo molto come alpinista (soprattutto free-solo) ma non stimo la sua opera di addomesticamento delle pareti. Aprire qualcosa di nuovo a tuo modo (come ha fatto in molte aree del Sarca) è una cosa, puoi condividere o meno lo stile ma rimane qualcosa di autonomo e soprattutto nuovo, mettere le mani sul passato è come ridipingere il sorriso alla Monna Lisa perché altrimenti non è più di moda…
    Quale messaggio culturale diamo richiodando i vecchi itinerari? Educativo? Credo tutto il contrario…!
    Il vecchio Detassis le vie in Brenta le schiodava, altro che richiodarle, per far sì che ci andasse solo chi ne era all’altezza e non per renderle fruibili a tutti…
    Come ho già scritto in un altro post e spesso ripeto: davanti ad un disabile che auspicava la costruzione di funivie sulle cime alpine perchè anche lui ne ha diritto, risposi: tu hai una limitazione e non puoi! Dobbiamo riempire di cabine e fili le Alpi solo perché tu non accetti il tuo essere diverso?
    Crudele? Forse… sicuramente realista!
    Allo stesso modo penso che se non sei in grado, impara, altrimenti per dirla alla Preuss stattene a casa!
    Stefano Michelazzi

  4. Un gran bel passo in avanti! Però, se mi è permesso, resta ancora qualcosa di amaro: come se fosse necessaria un’entità che ripristini, che normalizzi e dica “Bon, questa via è di nuovo a posto”, quando preferirei la spontaneità, la libertà e sì – dato che della montagna mi ha sempre affascinato il suo grandioso mistero – l’incertezza.

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