Metadiario – 131 – Il segreto del Campanile – 2 (AG 1985-004)
(la verità obliqua di Severino Casara) (2-4)
(continuazione del Segreto del Campanile – 1)
In un primo tempo Spiro Dalla Porta Xydias (Montanaia, ed. Alfa, 1957) sostenne a spada tratta Casara, riportando anche che su un articolo del Corriere d’Informazione del 20, 21 gennaio 1948 appariva la notizia che Piero Mazzorana con Flavio Vecellio Reano aveva attraversato nell’estate 1931 dai chiodi Fanton allo Spigolo a Denti di Sega (e ritorno) senza chiodi. Lo stesso Dalla Porta Xydias (Oh, com’è bello, 40 anni di parete, ed. Nuovi Sentieri, 1983) aggiunge che nel 1953 egli traversò allo Spigolo con «due soli chiodi in posto» e da lì salì al Ballatoio senza chiodi. La via era stata schiodata da Hermann Buhl due giorni prima. Con ciò Dalla Porta Xydias ritiene dimostrata la possibilità dell’impresa Casara.
Attilio Tissi tenta di ripetere il passaggio Casara. Si notano il primo ancoraggio (chiodo da lui infisso tramite piramide), poi il secondo ancoraggio (gruppo tre chiodi Fanton) e il terzo (quinto chiodo Fanton, un attimo prima della fuoriuscita dovuto al volo di Tissi)
È stato l’accademico di Trieste Piero Slocovich, ormai anziano alpinista, a rilanciare la questione. Su Lo Scarpone del 16 giugno 1985, dando prova di notevole capacità di seguire i nuovi tempi e di aggiornarsi, egli lancia una sfida: «sarebbe interessante constatare se i giovani di oggi, capaci di tante, per noi vecchi, impensabili prodezze, possano forzare la famigerata fessura orizzontale senza toccare i chiodi (usandoli solo per l’assicurazione). Se lo facessero, nessuno potrebbe contestare che anche Casara, se pure superando ogni limite di allora, era passato»!
Attilio Tissi, in bilico sulla piramide formata dai compagni, raggiunge il gruppo chiodi Fanton
Era un vero peccato che Dalla Porta Xydias non precisasse se, nella sua ascensione del 1953, aveva o no usato come appigli, anche solo per qualche secondo, i due chiodi presenti nella traversata. Peccato anche che la notizia Mazzorana fosse così tardiva e ambigua.
Attilio Tissi, ormai alla conclusione della sua variante sugli Strapiombi Nord
Decisi solo pochi giorni prima di andare a vedere. Era il 5 agosto 1985. Avevo la testa piena di storia, per un lavoro di cui proprio in quei giorni mi stavo occupando (la stesura di Sentieri verticali). Mi turbinavano in mente i più differenti personaggi, le più grandi imprese dell’alpinismo dolomitico. Da una parte mi commuovevano le affermazioni generose e in parte fondate dei sostenitori di Casara; dall’altra la curiosità era troppo forte. Non mi interessava nulla di fare la prima rotpunkt degli Strapiombi Nord (Rotpunkt = salita da capocordata di una via già attrezzata, senza voli o riposi sui chiodi, usando i chiodi solo per assicurazione e mai per progressione): altri forse l’avevano fatto. Semplicemente non si sapeva. Volevo però salire rotpunkt: solo così dentro di me avrei potuto forse sapere se Casara era stato perseguitato tanti anni inutilmente. Volevo seguire l’invito dell’anziano Slocovich. Mi assicuravano Ernesto Fabbri e Clarice Zdanski.
Ho riscontrato le seguenti difficoltà: un passo di 3 metri di VII- dal terrazzino alla stratificazione orizzontale; la traversata è di VI continuo con un tratto a metà di VI+. Dopo lo Spigolo a Denti di Sega si scende al IV e V, con un solo breve passo di VI-. Chiodi incontrati: uno nei primi tre metri, sette nella traversata (non c’è più il gruppo chiodi Fanton), uno sullo Spigolo, altri cinque fino al Ballatolo. Totale, 14 chiodi.
A questo punto è inequivocabilmente dimostrato che la via Casara si può fare totalmente in libera, libera come si intende oggi. Le idee su questo punto, a parte il brillante Slocovich, sono sempre state assai confuse. Lo stesso Casara, nel suo Libro d’Oro delle Dolomiti, divide l’intera storia dell’alpinismo dolomitico in due tronconi, libera e artificiale. Nella libera pone tutte le ascensioni fino al V superiore; il resto è artificiale. Preuss, suo grande mito, arriva solo fino al V. La salita degli Strapiombi Nord è classificata di V+, quindi il massimo storico. Stupisce che egli considerasse “libera” l’attaccarsi a uno spezzone di corda e il sostenervisi precariamente con il piede sinistro.
Nella foto della salita di Attilio Tissi, i tre chiodi Fanton sono segnati erroneamente e cioè con l’identico errore di Casara sullo schizzo della Guida Berti
Argomenti contro Casara
- Tralasciando il primo tratto di VII-, superato da Casara attaccato alla corda e ai chiodi, gli rimaneva più di metà traversata di VI e VI+. Se egli avesse veramente superato quel tratto slegato e in calzettoni, avrebbe di colpo innalzato di un grado almeno il limite del tempo, stabilito nel 1911 da Hans DüIfer sulla Croda del Lago e non ancora superato né da Roland Rossi, né da Francesco Jori, né da Emil Solleder (VI).
- In seguito Casara non fece più nulla di così stupefacente. Ottimo arrampicatore e capocordata sul quinto grado, fu buon secondo a Emilio Comici sulle vie estreme.
- L’imprecisione sulla disposizione dei chiodi Fanton giocò molto a suo sfavore.
- La Fessura orizzontale non è altro che la “stratificazione orizzontale”, perciò non si comprende perché egli dovesse salire in piedi sullo spezzone Fanton.
- Nella Fessura orizzontale le varie cordate negli anni hanno ripetutamente chiodato e schiodato (esempio, il già citato Buhl). In genere questo provoca un allargamento della fessura in corrispondenza dei punti di chiodatura, quindi in genere l’arrampicata libera è facilitata rispetto alle condizioni vergini in cui la fessura si presentava al primo salitore. Ciò che voglio dire è che, al tempo di Casara, la Fessura orizzontale poteva essere anche più difficile di oggi.
- Fanno strano contrasto le sue relazioni al rifugio Padova e sul libro di vetta con le allucinazioni seguenti e l’affermazione che egli non sapeva nulla del tentativo Fanton.
- Lo spezzone Fanton era vecchio 12 anni e la canapa non resiste tanto alle intemperie da permettere tutte le evoluzioni e le sollecitazioni raccontate da Casara.
- Rifiuto degli alpinisti ad accordare fiducia a un’impresa così chiacchierata e così importante, se veramente compiuta: essa sarebbe infatti in anticipo di quasi dieci anni sui tempi. Quasi sparirebbero (solo per rimanere in ambito italiano) Comici, Tissi, Micheluzzi, Andrich, Vinatzer, Gilberti, Carlesso e tanti altri, al confronto. Si appannerebbero perfino le imprese solitarie di Winkler, Piaz, Preuss e Dülfer.
Mentre Giulio Benedetti ha raggiunto lo Spigolo a Sega, Albano Barisi sta attraversando lungo la fessura orizzontale, 19 luglio 1931
Argomenti pro Casara
1. Non è bene dubitare della parola di un alpinista.
2. La storia ci ha presentato altri esempi di lucida follia. Chi osa al di là di ogni ragione ha una marcia in più al confronto di chi osa nei limiti del ragionevole, e quando si sta per cadere con effetti mortali si estraggono le ultime forze della disperazione.
3. Anche la cordata dei bellunesi sbagliò. Tissi avrebbe dovuto accorgersi che la via logica era a destra e non obliqua a destra, come del resto provò Gilberti.
Schizzo originale dei triestini, fatto subito dopo la loro salita
Le prime conclusioni
Ricordo che sulla famosa traversata alla Torre Venezia, parete sud, Tissi piantò sette chiodi. Essa fu valutata di «sesto». Oggi sono trenta metri di V e V+ con un brevissimo passo di VI-: vi sono presenti quattro chiodi e un cuneo marcio. Con ciò si potrebbe dimostrare che Tissi non era all’altezza della traversata del Campanile e quindi che Casara o l’ha fatta o l’ha sparata grossa. Anche dopo la salita rotpunkt degli Strapiombi Nord secondo me non è possibile trarre delle conclusioni definitive. In ogni caso la storia non si nutre solo di considerazioni oggettive e di numeri. Ritengo che tutto questo gran parlare che si è fatto attorno a un uomo e a un mistero sia tutto sommato molto positivo, che dia ricchezza alla nostra esperienza invece di toglierla. Meglio un mistero in più, meglio avere una cosa in più su cui sognare. Grazie, quindi, a Severino Casara. Che comunque non si può più difendere. Ma al suo caso ancora non si può riferire la massima di Voltaire «Ai vivi sono dovuti dei riguardi, ai morti si deve solo la verità»: perché la verità, per ora, è un segreto del Campanile.
Casara con Angelo Dibona durante le riprese del film Cavalieri della Montagna. Foto: Walter Cavallini
Casara ed il barcaiolo
Quando Casara si legò con la sua corda di 20 metri all’ultimo dei chiodi Fanton sapeva che stava affidando la sua vita a una manovra molto complessa? Il quesito è evidente: come avrebbe fatto ad evitare di essere trattenuto dalla sua stessa corda? Possiamo accettare ch’egli volutamente abbia limitato a circa 2 metri il lasco, onde fare un volo meno pericoloso. Però, per non essere trattenuto prima di un poco prevedibile punto di riposo, avrebbe dovuto legarsi come segue: nodo in vita, anello di 2 + 2 m, nodo barcaiolo fissato ad un moschettone in vita per slegarsi rapidamente e facilmente allorché giunto in corrispondenza dello Spigolo a Denti di Sega. Non poteva legarsi con un nodo normale, che non avrebbe mai potuto sciogliere con una mano sola: e doveva però farlo se voleva che la corda scorresse attraverso l’anello del chiodo (lui stesso dice che poco prima del volo aveva passato la corda nell’anello, non nello spezzone; nello spezzone l’aveva passata prima, con il lancio per raggiungere il primo chiodo della traversata). Non dimentichiamo che senza dubbio Casara aveva bisogno della corda anche dopo, non solo per scendere dalla via normale, ma anche e soprattutto perché lo Spigolo a Denti di Sega, cha a noi oggi sembra abbastanza facile, a lui doveva apparire come un mostro non meno temibile della traversata. Doveva poter ritirare la corda. Siamo sicuri che conoscesse il barcaiolo?
Campanile di Montanaia, strapiombi nord. Alessandro Gogna, Ernesto Fabbri e Clarice Zdanski prima della RP della via Casara, 5.08.1985
Alpinismo miracoloso
Con questo titolo Mario Crespan ha scritto circa una decina d’anni fa un saggio che forse porta avanti la risoluzione del segreto del Campanile. Al di là di una seria valutazione di quanto l’alpinismo a volte sia «miracoloso», la sua idea portante è l’uovo di colombo che ci spiazza: ci siamo sbagliati tutti sui metri! Il paragone tra la vecchia foto Marchetti e una moderna con Mauro Corona in azione prova, senza ombra di dubbio, che l’intera traversata misura 6,40 metri (non 10!) e che dall’ultimo chiodo Fanton allo Spigolo a Denti di Sega non ci sono più di 3,40 metri. Dato il lasco ben visibile dello spezzone, l’attaccarsi ad esso con la mano sinistra fino alla massima tensione possibile, fa guadagnare altri 40–50 cm, spazio che ridurrebbe il tratto di effettiva arrampicata solitaria a 290-300 cm. Casara racconta di essersi legato all’ultimo chiodo Fanton con «2 metri di lasco». Se fossero stati 6 i metri da superare, si sarebbe sbagliato di grosso, perché non si capisce come mai avrebbe potuto fare a raggiungere lo spigolo senza essere trattenuto dalla corda; accettando invece i 3 metri che risultano dai nuovi conti, ancora Casara si sarebbe sbagliato, ma la sua valutazione, dal terrazzino d’inizio, su quanto lasco darsi, presuppone più accurata la sua stima di 2-3 m da superare per giungere allo spigolo. Naturalmente non è così provato che Casara abbia realmente fatto la via, ma a questo punto le sue probabilità aumentano di parecchio.
(continua in https://gognablog.sherpa-gate.com/il-segreto-del-campanile-3/)
Avvertenza: questo post fa parte della serie Il segreto del Campanile (1-4), ma anche della serie Metadiario (con il numero 131).
0Scopri di più da GognaBlog
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.
forse più che “favola” dovevo usare “leggenda” .
Io dico che è meglio lasciare le cose come stanno. Senza cercare a tutti i costi delle prove per demolire o dimostrare le dichiarazioni di Casara.
In fondo anche le favole, che sono frutto della fantasia dell’uomo, hanno un fondo di verità.
Soprattutto, nessuno dei detrattori di Casara ha verificato la traversata in questione nelle condizioni da lui sostenute, e cioè senza corda.
Su questa affascinante vicenda è già stato scritto tanto e, quindi, dal punto di vista strettamente tecnico, non credo ci sia molto da aggiungere. La verità, ciò che è realmente accaduto, lo sanno solo Casara, passato a miglior vita, e il Campanile, che non può parlare.
Ritengo ci si possa però porre un’altra domanda, alla quale è invece possibile dare risposta, seppur soggettiva. Se diamo per buona la versione di Casara quale valore possiamo dare all’impresa in oggetto, sempreché d’impresa si possa parlare? Mettendo da parte i gradi e dando per scontato che in alpinismo ci voglia un briciolo di follia, il buon Severino ha lasciato ai posteri un resoconto dal quale, a voler essere buoni, trapela l’effettuazione di una scalata in uno stato di coscienza che si potrebbe definire alterato (anche se tale definizione, di carattere psicologico, non mi è mai piaciuta molto in quanto pone lo stato di veglia su un piedistallo rispetto a tutti gli altri stati di coscienza).
Pertanto, e sempreché Casara non l’abbia sparata grossa, mi domando il motivo di tanto can can, tenuto soprattutto conto del fatto che, né prima né dopo, l’alpinista in questione ha fatto cose eclatanti seppur non banali.
Molto probabilmente diventa difficile per noi contemporanei valutare correttamente tutta la vicenda, bisognerebbe calarsi nell’epoca storica in cui è avvenuto il fatto ma non è certamente semplice.
In ogni caso, per tornare al quesito precedentemente posto, credo che una prestazione psicofisica, per poter essere oggetto di condivisione dovrebbe essere portata a termine in determinate condizioni. E’ risaputo che in particolari stati emotivi l’essere umano può tirare fuori dal cappello a cilindro delle risorse sconosciute ma il fatto che vada bene una volta, sempreché vada bene, non significa che vada bene sempre. La grandezza di un alpinista, così come quella di uno sportivo, di un artista o comunque di qualsiasi altra persona che faccia cose le quali necessitino di una certa abilità, si misura con la continuità del gesto.
Se il famoso muro superato da Messner al Sass dla Crusc non ha dato adito a tutte le polemiche suscitate dal racconto di Casara ciò dipende quasi esclusivamente da ciò che Reinhold ha fatto prima e dopo, non soltanto per la lucidità e la dovizia di particolari con cui ha raccontato la sua impresa.
Ritengo che Severino Casara abbia subito delle ingiustizie, sicuramente un accanimento eccessivo, però è pur vero che ci ha messo del suo, un po’ come Maestri col Cerro Torre. E sappiamo tutti che quando ci si trova a sostenere l’indimostrabile diventa dura.
Sulla base delle suddette considerazioni, e con la mentalità attuale, non penso che quasi sparirebbero Comici, Tissi, Micheluzzi, Andrich, Vinatzer, Gilberti, Carlesso e tanti altri e che si appannerebbero perfino le imprese solitarie di Winkler, Piaz, Preuss e Dülfer.
Però, evidentemente, in quel determinato contesto storico le valutazioni ed i rapporti erano diversi, non so se meglio o peggio, ma sicuramente molto diversi rispetto ad oggi.