In cerca di “pietre preziose” nel cuore del Brenta

In cerca di “pietre preziose” nel cuore del Brenta
di Alessandro Beber
(pubblicato su Annuario Accademico 2019)

La parete est di Cima Brenta è detta anche “Il Rubino”: il suo sgargiante colore arancione è visibile praticamente da tutti i massicci del Trentino Orientale, e costituisce un punto di riferimento inconfondibile anche nelle giornate non perfettamente terse. Figuratevi quanto i suoi strapiombi fiammanti, in contrasto con il candore della neve tutt’attorno, possano far girare la testa agli scalatori!!

Un inverno di qualche anno fa, nel 2014, passando da Molveno posai lo sguardo là in alto, come d’abitudine, quando scorsi un missile di ghiaccio che solcava la parte destra della parete… pochi attimi, e il guaio era fatto: l’ennesimo colpo di fulmine era scattato.

Come in molti sapranno, in quei momenti inizia un processo degenerativo cui non ci si può sottrarre: dopo l’infatuazione, scatti delle foto, vai a casa, le studi bene al computer, valuti la linea, le condizioni, e via dicendo… sfortunatamente, sembrava proprio una “King Line”, roba che non puoi scartare e dimenticartene insomma…

Trattandosi di una linea di ghiaccio e misto, aggiungeteci pure quella sottile ansia legata alla natura effimera e mutevole della materia, che ti fa pregare di riuscire a metterci le mani in tempo prima che il tutto scompaia, e in questo caso specifico anche che non nevichi, essendo tutta la parete soggetta a forte pericolo valanghe a causa della ripida cengia Garbari che la sovrasta.

Quindi parte la ricerca di compagni sufficientemente motivati per andare a mettere il culo nelle pedate assieme a te, e che condividano le tue stesse regole del gioco…

Ecco, le regole del gioco per l’appunto, sono molto importanti: ognuno si sceglie le proprie, ma è essenziale rimanere fedeli a se stessi e ai propri intenti iniziali.

Per quanto mi riguarda, negli anni sono diventato piuttosto esigente… mi attraggono le linee logiche, quelle che una volta iniziate potresti seguire anche senza relazione, e mi piace affrontarle se possibile con protezioni veloci e qualche chiodo, cercando di scalare in libera, perché l’arrampicata artificiale me la vivo sempre come una sconfitta.

Ancora, e non meno importante, ricerco l’apertura di una via nuova in un unico tentativo, a costo di programmare qualche bivacco in parete, perché spezzare l’esperienza in diverse puntate non è la stessa cosa: quando si rientra a casa, si recuperano le energie, mentalmente ci si rilassa e si metabolizzano le incognite della parete, così quando si ritorna diventa tutto molto più facile.

Peccato che tutte queste pretese si scontrino con le difficoltà ambientali, che richiedono condizioni ideali e stabilità meteorologica sufficiente per rimanere in parete più giorni, in sovrapposizione alle necessità stringenti della vita quotidiana, lavoro e famiglia in primis.

Da questo punto di vista la Guida Alpina, che è una professione straordinariamente bella e appagante, mal si concilia con le velleità alpinistiche personali… è buffo, ma è un lavoro che tende ad assumere i connotati di una “prigione dorata”… si passano tante giornate in montagna, in posti magnifici e facendo anche ascensioni appaganti, ma di base si è sempre al servizio dei sogni altrui, cercando di far vivere ai propri ospiti esperienze indimenticabili, e mettendo in secondo piano le proprie aspirazioni. Se il tempo è bello, se le condizioni sono buone, viene automatico sfruttare l’occasione per accontentare al meglio i propri clienti, com’è giusto che sia.

Rimane così solo qualche briciola di tempo libero, principalmente fuori stagione o in periodi di tempo instabile! In ogni modo, la passione fa fare i salti mortali, e con un po’ di pazienza ogni tanto tutti i tasselli del puzzle vanno a finire al posto giusto…

Nel 2014 l’occasione buona era sfumata per il sopraggiungere di un’improvvisa bufera che ci aveva respinti appena al 4° tiro della via. Dopodiché per diverse stagioni la colata di ghiaccio non è più riapparsa. Fino all’autunno del 2018, quando delle insolite nevicate bagnate, seguite da un periodo di freddo intenso, hanno trasformato le Dolomiti di Brenta in una sorta di nuova Patagonia, con ghiaccio di fusione appiccicato anche sulle pareti più ripide. Con Matteo Faletti abbiamo deciso di non lasciarci sfuggire l’occasione, e nonostante le temperature proibitive ci siamo lanciati all’avventura.

Per andare sul sicuro, ci eravamo portati viveri per tre giorni, ma alla fine della seconda giornata siamo sbucati in cima a questa linea da capogiro, ancora una volta increduli di essere riusciti a dare una forma concreta ai nostri sogni.

Cima Brenta – Parete est – Via CRAM
(Circolo Ricreativo Aziendale Mountime), 550 m, 14 lunghezze di corda. Alessandro Beber & Matteo Faletti, 11 gennaio 2014, tentativo fino a L4. 14-15 dicembre 2018, salita definitiva.

Salita che segue per l’intera parete un’evidente colata di ghiaccio di fusione, con qualche tratto di misto sui tiri iniziali. Frequenti possibilità di proteggersi sulla roccia con friend (si consiglia un’intera serie standard più qualche micro). Tenuta delle viti da ghiaccio accettabile nella parte alta e molto scarsa nella parte bassa fino a L5.
Utili 2-3 fittoni da neve soprattutto nei tiri iniziali.

Tutti i chiodi da roccia usati sono stati lasciati (6 totali, sparsi su 4 soste), ma si consiglia di portarsi martello e chiodi perché la via non è attrezzata per un’eventuale discesa. Avvicinamento: da impianti Grosté con gli sci fino al rifugio Tuckett e quindi a Bocca di Tuckett, per poi scendere sul versante est fino alla base (4 h circa), oppure come abbiamo fatto noi dal rifugio Croz dell’Altissimo, raggiungibile da Molveno per Val delle Seghe o meglio da località Pradèl (impianto). Calcolare circa 3.30 h a piedi dal rifugio + 1 h da Pradèl. Quest’opzione ha il vantaggio di poter vedere la parete durante l’avvicinamento, oltre a non richiedere gli sci.

Imboccare l’evidente ripido canale al margine destro della parete rossa (150 m – 65° con un paio di saltini ghiacciati).

L1: camino delicato che alterna tratti di neve inconsistente e placchette di ghiaccio per i primi 25 m, poi rampa di neve più facile fino a sosta attrezzata su 2 chiodi con cordino (55 m, M6).

L2: Diedro-camino con tratti di neve inconsistente e tratti su roccia, con uscita a sinistra di un grosso masso con buoni incastri per le piccozze. Sosta su friend sulla parete di destra (35 m, M6).

L3: Traverso a sinistra su neve ghiacciata: molto esposto ma con buone possibilità di proteggersi con friend sulla roccia. Quindi gli ultimi 15 m in verticale sulla colata, sostando leggermente a sinistra su fittoni e/o friend (55 m, AI 3+).

L4: salire diritti per la colata ora più ripida andando a sostare sulla parete destra del canale dove si trova una sosta attrezzata – punto di arrivo del tentativo del 2014 (45 m, AI 4).

L5: salire un muretto di neve inconsistente fino a una grotta dalla quale si esce a destra per un breve strapiombo con incastri, poi proseguire sotto l’enorme masso incastrato e prendere lo stretto canale di sinistra. Sosta su viti da ghiaccio (50 m, M6).

L6: percorrere gli ultimi 10 m di canale e uscire su un piano inclinato a 70° fino a ritrovare la roccia dove si sosta su friend (40 m, AI 4).

L7: traversare 10 m a sinistra e salire per sottili colate di neve ghiacciata tra le rocce. Sosta su friend. (40 m, AI 3+, punto di bivacco durante la prima salita).

L8: uscire a destra per 10 m per raggiungere la cengia inclinata che porta alla base del muro della parte alta. Sosta su friend (40 m, AI 3+).

L9: salire il muro ripido (85°) verso destra fin sotto un piccolo tetto dove si sosta. 1 chiodo, integrare a friend (20 m, AI 4+).

L10: uscire a sinistra e salire direttamente la colata (85-90°), fino a delle rocce affioranti che permettono di attrezzare una sosta su friend (30 m, AI 5).

L11: salire nel mezzo della colata (85-90°) fino a una zona di ghiaccio più sottile dove è possibile cercare la roccia per attrezzare la sosta su microfriend + vite da ghiaccio (30 m, AI 5).

Alessandro Beber sull’undicesima lunghezza di CRAM

L12: salire leggermente verso sinistra l’ultima parte ripida del muro per poi uscire su un piano inclinato a 70° fino a sostare a friend sulla roccia (45 m, AI 4+).

L13: traversare 5 m a sinistra e salire per ghiaccio sottile fino a raggiungere uno strapiombino roccioso dove si sosta su friend (25 m, AI 4).

L14: salire diretti gli ultimi 15 m ripidi, poi uscire sulla cengia Garbari dove la parete si abbatte. Sosta su fittoni (40 m, AI 3+).

Nota. AI = Alpin Ice, da fusione della neve, meno compatto e affidabile del ghiaccio da cascata (WI).

Discesa: volendo è possibile salire diritti per i facili canali sommitali e scendere poi per lo Scivolo nord. Noi però visto il buio imminente abbiamo attraversato verso destra l’intera cengia Garbari fino a che questa si restringe, per poi risalire 30 m l’ultimo canalino fino in cresta. Da qui con una doppia da 60 m in direzione nord, verso Bocca di Tuckett (fettuccia su spuntone) si raggiunge una zona meno ripida dove è possibile scendere a piedi aggirando alcune balze rocciose fino a raggiungere la parte bassa dello Scivolo nord, quindi Bocca di Tuckett (ore 1.45 h).

Attenzione: la parete prende giusto 15 minuti di sole all’alba da inizio dicembre a metà gennaio, mentre poi inizia a scaldarsi troppo e a scollarsi/scaricare. Anche con venti moderati la parete è soggetta a forti spindrift che si incanalano esattamente sulla linea di salita, quindi è vivamente sconsigliata in giornate ventose. La cengia Garbari che sovrasta la parete è molto larga ma ripida, quindi la parete è da evitarsi dopo nevicate recenti per forte pericolo valanghe.

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In cerca di “pietre preziose” nel cuore del Brenta ultima modifica: 2020-05-14T05:18:30+02:00 da GognaBlog

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