In montagna non siamo del tutto soli
(la nostra libertà ha un costo sociale)
di Marco Albino Ferrari
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 14 luglio 2022)
Dopo la tragedia della Marmolada e la temporanea “chiusura” di quella montagna per ragioni di sicurezza, associazioni di alpinisti, maître à penser del mondo alpestre, hanno ripetuto, anche con durezza, che “l’alpinismo è una libera scelta e nessuno può impedirci di non andare dove vogliamo”. L’idea che sopra una certa quota si entri in un pianeta per “gente speciale” dove le scelte individuali debbano prevalere su ogni forma di costrizione è affascinante e romantica. Ma la questione ha molte facce.
In caso di tragedia dovuta a crolli o a pericoli non segnalati i diretti responsabili sono i sindaci: il tribunale è lì che li aspetta. Da qualche anno trovare a tutti i costi il “colpevole” sembra diventato un fine riparatore imprescindibile, ed è una brutta piega importata dal diritto statunitense (come ha ben illustrato il giurista Flick a Enrico Martinet de La Stampa).
Stessa cosa era avvenuta tempo fa in campo sanitario. Per non incorrere in denunce sempre più frequenti, i medici si tutelavano ricorrendo alla “medicina difensiva”. Prescrizioni di analisi per tutto, come un salvacondotto. Poi è arrivata la legge Gelli-Bianco che limita le responsabilità dei medici, e le analisi sono calate. I sindaci dovrebbero limitarsi a chiudere i sentieri solo se avvisati da tecnici della presenza di pericoli incombenti. Ma a parte questo aspetto collaterale, la questione vera è inneggiare alla libertà per la libertà. Quale libertà? Quale montagna? Fatta salva la Marmolada in questi giorni, nessuno ha interdetto pareti alpinistiche (come fecero per esempio gli svizzeri con la Nord dell’Eiger negli anni Trenta, senza per altro riuscirci): mentre scrivo l’unico sentiero vietato è il giro del Lago delle Locce esposto al crollo dei seracchi dalla Est del Monte Rosa. Parliamo di un itinerario turistico frequentatissimo e sotto un pericolo incombente: in nome di quale libertà il sindaco non dovrebbe vietare quel sentiero?
Gli alpinisti ripetono con sdegno che l’alta quota deve rimanere un porto franco, “la montagna non è una spiaggia a pagamento, lassù si è soli con le proprie scelte”. Beh, proprio soli non siamo: se cadiamo in un crepaccio un elicottero ci viene a prendere veloce e gratuito, e con i rischi che ciò comporta per i soccorritori. Cari alpinisti (e tra voi mi ci metto anche io), la libertà di fare quello che vogliamo, anche di rischiare di farsi male in alta quota ha un costo sociale. È un lusso che ci prendiamo. Ricordiamocelo e ringraziamo, invece di pretenderlo perché ci consideriamo “gente speciale”.
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Spesso non vi rendete conto che gli anni ’70-80 corrispondono (ahimè, dico anche io) a un’altra “era gelogica” in termini socio-politico, culturali ed anche economici. I numeri erano completamente diversi dagli attuali. Sia i numeri degli individui sulla terra, sia quelli che si dedicavano all’andare in montagna. Allora ci si poteva permettere di fare cose che, oggi, sono ormai un attentato alla salute delle montagne. Io stesso, allora, ho effettuato viaggi di centinaia e centinaia di km (es Dolomiti, Alpi austriache, ecc), magari per fare una via di dieci tiri… Ma ripeto erano altri tempi, le montagne non erano in sofferenza come lo sono adesso. Se non capite questo concetto (che, essendo una pisquanata, dovrebbe essere alla portata di chiunque e non solo di Eistein…) vuol dire che non volete bene alle montagna. Voi ricercate solo il vostro piacere nell’andar in montagna, non volete bene alle montagne. Sono due concetti diversissimi. Probabilmente convivevano anche nei decenni scorsi, ma allora il sistema poteva permettersi tale convivenza. Oggi non possiamo più permettercelo. Se non ci riconvertiamo TUTTI a modalità più rispettose delle montagne, contribuiremo a uccidere le montagne (o ad anticipare l’arrivo di misure restrittiva che le autorità vareranno per cercare di salvare – se ancora possibile – le montagna). Quando vi metteranno le ganasce, vi accorgerete che le mie pisquanate non erano poi così campate per aria…
Caro Umberto, massima rispetto per il tuo curriculum e non per difendere Gogna (che può farlo benissimo da solo), ma accusare qualcuno di non aver ragionato (e fatto) negli anni ’70 come non riusciamo a ragionare (e a fare) oggi mi pare come minimo ingeneroso e sicuramente sbagliato.
In pratica lo accusi di “alpinismo” e “divulgazione di alpinismo” e di non aver fatto cultura. In realtà ha perlopiù fatto proprio cultura con i suoi libri, raccontando un modo diverso di andare in montagna.
Di cui la tua amata falesia è decisamente figlia diretta.
Come è figlia degli attrezzi sviluppati grazie alle “maggiori case produttrici”.
Ma tant’è, analizziamo dunque un po’ alcuni numeri (mi perdonerai, ma io sono ingegnere e scientista; non credo affatto che i numeri contengano tutte le risposte o le soluzioni, ma credo che considerarli e analizzarli correttamente sia essenziale per definire un problema e magari provare a risolverlo).
Dunque, diciamo che Gogna ha scritto 100 nuovi mattini e abbia aperto un centinaio di vie sulle Alpi e non solo.
Se su ognuno di questi itinerari andasse una cordata al giorno; se questa cordata dovesse fare 200 km per ognuno di questi itinerari e li facesse con un’automobile che consuma 10 litri di carburante ogni 100 km risulterebbero a carico dell’imputato un aumento di 146000 presenze in montagna e 2,92 milioni di litri di carburante usato all’anno.
Considerando che il consumo di carburante in Italia è di 32.5 miliardi di litri all’anno [2019, il Sole 24 Ore] e che la sola funivia delle Cime Bianche (visto che si parlava di Breithorn) porta il medesimo numero di persone in ca. 13 giorni, tra i dati ci sono come minimo 4 ordini di grandezza. Mi pare assolutamente evidente che l’affollamento delle montagne, la deriva consumistica e il degrado ambientale non derivino se non in minimissima parte dagli alpinisti, ghiacciatori, rocciatori, frocio falesisti, boulderisti che siano, ma da un modello di fruizione e consumo che definirei “modello Rimini” e prescinde dalla montagna stessa, buona al massimo come sfondo. Esattamente come Rimini prescinde dal mare se non come suffisso a risotti e nomi di alberghi.
Trovare capri espiatori può essere soddisfacente e tranquillizzante, ma di solito è sbagliato.
L’evidente discrasia tra dati e accusa e il tono continuano a farmi pensare che da parte tua ci sia qualcosa sotto. Ma non sono affari miei, né mi interessano.
Nota: quanto sopra vale anche come commento e risposta alle pisquanate di Crovella.
Che, per carità, fa benissimo a non allontanarsi più di 50 km da Torino, ma che di non contribuisce minimamente così facendo a ridurre l’affollamento e l’inquinamento nelle Alpi.
Non è una stroncata tout court, ma se pensi al suo impatto… Gli entusiasti dicono “goccia per goccia si svuota l’oceano”. Ma se che questo oceano viene riempito da fiumi d’acqua e nessuno li ferma, l’oceano non si svuota.
Vegetti,nel mio commento ho ammesso di non sapere come fare a perseguire la strada della montagna piu’ inaccessibile. Ma per ogni idea nuova la strada per concretizzarla e’ tutta da pensare e realizzare se no sarebbe troppo facile. Anziche’ smontare le tesi altrui sarebbe utile provare a mettere giu’ idee, tutti. Se pero’ a qualcuno, anche qui, va bene andare in val ferret ed in val veny vedendo piu’ SUV che fili d’erba allora non vale la pena parlare. Ho fatto l’esempio di zermatt perche’ da qualche parte bisogna pur iniziare. Preferite le macchine in val ferret o in un piazzale magari mezzo interrato (hanno costruito l’autostrada del traforo al 90 per cento in galleria) di bassa valle? Di questo parliamo. Parliamo di sbarrare il transito in valsavaranche in modo che per andare al vittorio emanuele ci vogliamo sei ore e magari quelli che oggi partono alle 10 del mattino per farsi il pranzo al rifugio magari desistono.
In ogni caso il pessimismo ed il disfattismo non servono mai. Alternative? Oppure la chiudiamo qui e la finiamo di parlare di protezione della montagna. Ci arrivera’ qualche ventenne piu motivato e fantasioso di noi.
@50 oggi è una questione numerica. L’Occidente è in sponranea riduzione demografica già da decenni. Per l’occidente non ci sarebbe bisogno di quella misura, per cui il concetto riguarda il resto del mondo. D’altra parte l’Occidente cuba per circa 1 mld scarso di individui. Il Resto del mondo pesa per 6-7 mld: è lì che va impressa la frenata demografica.
Mi si rinfaccia che ripeto le cose. Ma ogni volta c’è qualcuno “nuovo” (o almeno nuovo nel dibattito con me) cui devo spiegare le mie idee. Lo faccio con piacere, ms ogni volta ricomincio da capo. Lo slogan “più montagna per pochi” l’ho coniato oltre 10 anni fa. Il primo post su questo tema è apparso sul GognaBlog tre anni e mezzo fa. Ma Vegetti, che oggi intrattiene un “controllato” dibattito con me (e di questo lo ringeazio), evidentemente non ha avuto occasione di leggerlo a suo tempo. Che devo fare, sbattergli in faccia un link e tanti saluti? No, invece io investo un sacco di tempo per spiegare le idee che so esser fastidiose per molti, ma sulle quali dobbiamo convergere nel prossimo futuro, sennò non ci sarà proprio un futuro per la montagna. Quindi il mio “sforzo” è per far capire queste cose a più persone possibile.
Per la cronaca, l’idea di cuocere la pasta a gas spento giunge anche da un Premio Nobel (Parisi)… forse non è una stronzata oppure se consideriamo stronzate le idee degli altri… non si andrà da nessuna parte. Forse se siamo nell’attuale situazione di “m” (sia per la montagna che in generale) è solo perché consideriamo delle stronzate le idee degli altri. Abbiamo gli occhi foderati di salame, come si dice a Torino…
Quando la Cina comunista imponeva il figlio unci, il mondo occidentale si è scatenato contro la repressione di ogni libertà, persino minima di fare figli. Oggi riproponiamo noi lo stesso modello, ma solo (lo scrivi tu Carlo) per il Terzo e Quarto mondo… Noi occidentali, lo ricordo, siamo forse un quarto del mondo, e siamo ancora fermi all’Ottocento colonialista a dare lezioni di come si sta al mondo agli altri?
Erri:
non solo la minor accessibilità contribuirà anche alla riduzione del numero di uscite ma soprattutto alla qualità.
E chi decide la “qualità”?
Zermatt non rappresenta nulla, è un “falso”. Non hanno macchine ma SOLO perché il parcheggio (quasi 5000 posti) è a valle a Tasch. Zermatt pulita, Tasch camera a gas…
Crovella 34, io non so quale realtà lei viva ma le assicuro che non sono affatto 4 gatti i contrari al Green pass e che il controllo che lei auspica, quando non già pare augurarsi, è praticabile solo sulla carta. In Italia come in altri più altisonanti paesi europei. Solo per citare la Marmolada, interdetta dall’incidente tragico dei primi di luglio u.s, il cui accesso è vietato lungo un perimetro esagerato ma precisamente delimitato da ordinanze di 2 sindaci, gli alpinisti che scalano la parete sud vanno e vengono normalmente senza che nessuno li fermi o blocchi.
Si tenga il suo mondo e le sue convinzioni, che da per scontate ridicolamente come se dipendessero da lei stesso, e lasci in pace chi va in montagna davvero. E si svegli da quel torpore che lei crede vitale ma che non lo è. Grazie.
@ Pellegrini al 40. “L’esperienza non è trasmissibile”. Solo a due categorie di persone: agli idioti e a tutti quelli che non devono rendere conto del proprio operato a nessuno, neppure a loro stessi, che sono sempre più maggioranza.
Ho riletto e non ho più trovato sarcasmo. Nel caso fosse giusto così, cancello e mi scuso per il precedente commento. Anzi, mi scuso in ogni caso.
So in quale collocarti.
@ Pellegrini al 40. “L’esperienza non è trasmissibile”. In particolare a due categorie di persone: gli idioti e a tutti quelli che non devono rendere conto del proprio operato a nessuno, che sono sempre più maggioranza.
Ma vi rendete conto che state dando corda alle farneticazioni di Crovella (che avrà ripetuto lo stesso concetto almeno 300 volte qui solo nel blog), che tratta un argomento assai complesso con soluzioni da prima elementare, come se i quattro gatti che frequentano il blog potessero fare statistica. Tanto x dare un numero (cercate in rete) solo considerando una porzione delle Alpi ci sono stati, nel 2017, 36 milioni di turisti! Quale sarà la strada da intraprendere non lo so di certo, ma la banale generalizzazione proposta dal nostro (che ricorda un po’ la stronzata del chiudere il gas quando l’acqua bolle, x cuocere la pasta, dico stronzata a ragion veduta perché ho fatto i conti, e il risparmio annuale cuocendo pasta x 365 giorni all’anno risulta essere di 5 euro) merita solo un sorriso compassionevole.
Un ultimo sguardo: innanzi tutto preciso che il mio 41 è collegato al 38 di Vegetti.
Per quanto riguarda il 39 (Enri), è ovvio che l’impatto negativo è una media ponderata fra numero uscite individuali e tipologia delle uscite (se uso il treno o il SUV). Nell’impossibilità pratica di ottenere un modello preventivo che tenga conto del peso specifico (negativo) delle singole uscite di ognuno, iniziamo ad autolimitarci nel numero di uscite annue. Vogliamo essere ancora più sofisticati? Bene, facciamo uscite vicine (io non vado più neppure in VdA, ma mi limito a vallate a 50 km da To, max 100 in rare occasioni), compattiamo le auto (Covid permettendo), usiamo mezzi pubblici ecc ecc ecc.
Per tagliare la testa la toro, continuo ad essere convinto che far tornare in generale la montagna più “scomoda” sia la variabile chiave. L’automobilista col SUV ha mentalità consumistica (altrimenti girerebbe con una modesta utilitaria), difficile che si adatti alla montagna “scomoda”, forse ci proverà, ma avrà un rifiuto emotivo, alla fin fine si troverà altro da fare nei week end e… ci risolverà il problema!
Sì, il concetto vale per tutto il pianeta. Dalle scelte personali di spicciola quotidianità alla frequentazione fisica dei diversi “ambienti”. Dalla doccia con acqua fredda (ovviamente d’estate), al maglione invernale anche in casa (per tenere max 18 gradi di temperatura) fino a meno viaggi aerei che inquinano in modo insostenibile. Lo stesso per la frequentazione dei luoghi, dagli oceani alle colline dietro casa. Ovvio che ci sono ambienti più o meno fragili: le dune di sabbia di Porto Pino, nel Sud Ovest della Sardegna, andrebbero vietate a tutti 360 gg/anno. Lo stesso vale per certi ghiacciai, ormai ridotti a rimasugli neri e feriti. Poi ci sono attività più impattanti e altre meno: le discese in MTB cosiddette downhill richiedono delle “piste” incise nei prati (con paraboliche, salti, cambi di terreno): queste incisioni sono ferite che “restano”. L’attività downhill produce un danno ambientale infinitamente peggiore al singolo escursionista che percorre un sentiero.
Qui (in questo blog, intendo) si parla principalmente di danni antropici alla montagna perché questo è fondamentalmente un Blog di montagna, ma il discorso si inserisce in un visione generale che riguarda tutto il pianeta. Anche su questo Blog, ho già espresso in passato (credo anche più di una volta) che il numero complessivo di esseri umani oggi esistenti è insostenibile: se non interveniamo per piegare la dinamica demografica, distruggeremo il pianeta. Oggi si stima che ci siano circa 8 mld di individui, con proiezioni (in assenza di interventi) di 10 mdl per il 2040-2050. Bisogna invertire rapidamente il trend, imponendo un massimo di un figlio a coppia: se da due genitori, resta un solo figlio, la popolazione si dimezzerà (ovvio, in modo progressivo, anzi nel brevissimo aumenta con i due genitori viventi cui si aggiunge il neonato…ma la cosa va vista in una prospettiva di medio-lungo termine). Si stima che la popolazione mondiale dovrebbe scendere a 4-5 mld di individui per il 2050 se vogliamo considerarci “in equilibrio” con la Natura. Inoltre per i Sapiens, oltre al numero assoluto di individui, incide sensibilmente la propensione al consumo, sia quantitativa che qualitativa. Ovvero: oltre a ridurci di numero in tolate, occorre che rinunciamo al cellulare nuovo ogni anno, al SUV rinnovato ogni 2,5-3 anni (attuale media statistica), alle vacanze ai Caraibi, ai viaggi intercontinentali, insomma all’uso eccessivo delle materie prima non rinnovabili. Questo vale per il mondo occidentale, laddove la dinamica demografica è già in declino per conto suo. Invece la riduzione demografica, attraverso il controllo delle nascite, vale per molti altri contenenti, dove a volte si hanno ancora oggi 6-8 o anche 10 figli pere coppia. Non sono più condizioni che possiamo permetterci nell’ottica di una convivenza equilibrata fra la specie umana e il pianeta (o la Natura che dir si voglia). Se non interveniamo ad auto-ridurci di numero e auto-controllarci nei consumi, non potrà che accadere una di queste due cose: o il pianeta si distrugge (ovvero non ha più condizioni compatibili con la “vita”) e allora ci estingueremo anche noi Sapiens oppure la Natura provvederà a ridurci/estinguerci attraverso eventi straordinari e imprevedibili: eruzioni, tsunami, siccità, carestie, epidemie. Se ridete a queste mie previsioni, vi ricordo che il Covid, che pssiamo considerare un’anteprima di tale reazione della Natura, è ancora in circolazione e produce vittime anche d’estate. A queste cose, noi umani, che siamo cretini di fondo, aggiungiamo le guerre e le conseguenze delle stesse (vedi questione gas russo).
Quindi il discorso sulla autoregolamentazione in montagna è un piccolissimo tassello, addirittura collaterale e di infinitesima importanza, di un problema gigantesco, le cui partite più rilevanti si giocano su ben altri tavoli. Tuttavia se vogliamo “vincere” queste altre partite, dobbiamo iniziare dalle cosette collaterali, come saperci auto-controllare in montagna. Se non riusciamo neppure in ciò, come possiamo pretendere di ricercare un vero equilibrio planetario…?????
Per quanto riguarda il “voi” che spesso utilizzo (in questo caso per sottolineare la contraddizione fra il considerarvi “ambientalisti” e il generale approccio pratico), ho già ricordato che mi rivolgo ad una platea composita e mutevole da argomento ad argomento. Non posso mettermi a fare specifiche personalizzaioni (a te Pippo dico questo, a te Paperino dico quest’altro…). Ognuno deve capire se nel “voi” è compreso oppure no. Se poi Vegetti riconosce apertamente di non considerarsi “ambientalista”, fa benissimo a dirlo, è posizione legittima (almeno a tavolino), ma allora siamo al pian dei babi (come si dice in piemontese: i babi sono i rospi, l’espressione metaforica significa che si è nel pantano alla base, lontani mille miglia dalla vetta, cioè dalla soluzione del problema). Se i primi a non considerarsi ambientalisti siete proprio voi che andate in montagna, è pvvio che poi gli impianti, i rifugi, le strade, le indicazioni, gli spit, il materiale iperleggero e comodoso… ma tutto ciò (ed anche il resto) ha un notevole prezzo ecologico. Non possiamo più permetterci di coltivare questo approccio, esso comporta o l’accelerazione verso la distruzione della montagna (e, per estensione, del pianeta) o l’accelerazione dell’introduzione di meccanismi di regolementazione degli accessi antropici.
No Matteo. Non è proprio così.
Io le bollette della luce non me le sono pagate con la montagna.
Ho perso infinite ore a comunicare quel che so sulla montagna e per la montagna, gratuitamente. Viaggi lunghissimi a mie spese per parlare di rischi e pericoli, ed innumerevoli fine settimana ad accompagnare ragazzi ed adulti per monti, e non per fare “curriculum” come andava e va tuttora di moda, ma per comunicare quel che so. Il prezzo che ho pagato è elevato, in termini di esistenza, ma sapevo esattamente cosa mi sarebbe toccato.
Quindi non mi metto tra i rancorosi rassegnati e men che meno tra gli epigoni (di cui Gogna è solo un esempio, visto che siamo a casa sua, e chi si fissa su questo nome è in malafede).
E non mi metto neppure tra i tanti che propongono cose senza senso.
Mi metto tra quelli che continuano a credere nel processo educativo, pur sapendo che è battaglia persa, visto che il processo educativo viene lentamente smantellato ogni dove.
Mi metto tra quelli che credono che tutto sia perduto, perché tornare indietro non si può, a meno di drastiche soluzioni che non riguardano solo la montagna.
Mi metto tra quelli che si godono gli ultimi fasti lievemente e che quindi trovano queste discussioni paradossali, soprattutto quando a tenerle sono gli epigoni -ed è questo che biasimo, come principio-.
Mi metto tra quelli che sanno di avere un tumore maligno, e l’hanno accettato bene. Se ritieni che questo significhi “rassegnati”, allora si, sono un rassegnato. Ma rancoroso no.
Stammi bene.
Crovella, provo a seguirti sul tuo ragionamento, che in generale condivido, ma vado oltre. Giusto autoimporsi di limitare le uscite ma le uscite vanno “pesate” per tipologia. Ha più impatto uno che fa 100 uscite anno con il solo ridotto uso dell’auto per raggiungere la meta oppure uno che ne fa 50 ma le fa con il suv, poi funivia, poi sera al rifugio con cena servita ecc. ecc.? questo per dire che, come hai sempre detto anche tu, io ed altri qui sul blog, giusto limitare le uscite ma assolutamente necessario rendere la montagna meno accessibile. In questo modo non solo la minor accessibilità contribuirà anche alla riduzione del numero di uscite ma soprattutto alla qualità. Non c’è verso, se vogliamo proteggere la montagna dobbiamo renderla meno accessibile. Ho letto il commento di qualcuno che diceva “ma come realizzare nel concreto una cosa simile” e” è impossibile da realizzare”. Effettivamente andare a Cervinia e direi che la funivia del Plateau va tolta o magari ridotta quando stanno costruendo il tratto da Plateau Rosà al Piccolo Cervino sembra una mission impossible. E andare a Courmayeur e dire che la skyway viaggerà al 30% e al Torino non è previsto il servizio di ristorante ma solo panche e coperte per dormire…altra mission impossible!
Non so esattamente come si possa fare, lo riconosco. Bisognerebbe fare un progetto serio, individuando i vari canali di azione e cercare il colloquio con le amministrazioni locali / istituzioni / Società delle Guide. Un progetto tutto da scrivere o, se qualcuno ha già iniziato, da finalizzare.
Ma so che è necessario. E’ l’unico modo per salvare la montagna, senza mettere divieti (sarebbe una follia) ma creando una sorta di selezione naturale verticale. E che faccia balenare in testa a chi governa una zona di montagna che, perlomeno a lungo termine, è più conveniente supportare un turismo selezionato che uno di massa a breve termine. Voglio dire, Zermatt, per fare un esempio, se in tutti questi anni avesse accettato le auto in paese, avrebbe avuto più o meno turismo di quello che ha avuto? e se la riposta fosse che ha avuto più turismo proprio perchè si è deciso di renderla una località non accessible alle auito, allora perchè non applicare lo stesso schema anche ad altre località?
Carlo, vale anche per “altra” natura? Valli, colline, pianure, spiagge? Perché anche questo stiamo distruggendo… La montagna è solo una parte di tutto l’ambiente, e se è quello che ci interessa, dovremmo spostare l’attenzione su tutto non solo su quello che di interessa personalmente… PS – Io non faccio l’ambientalista. Nel mio umilissimo piccolo, cerco di ridurre il mio già minimo impatto….
Certo che la patente è una cagata, come idea, ma la mia è una provocazione. Possiamo escludere che si arrivi a ciò? Penso proprio di no. Se per guidare l’auto si deve obbligatoriamente prendere la relativa patente (con tanto di esame e rinnovi periodici – quanto meno per età), perché non si potrebbe giungere a ciò anche per la montagna? Per portare una barca a vela ci vuole da tempo immemore la “patente nautica”. La particolarità della (ipotetica) patente alpinistica è che risponderebbe a due esigenze: 1) accertare le capacità e la maturità di comportamento in montagna e 2) funzionare da strumento di controllo elettronico degli accessi (attraverso il collegato codice). Ricordo che nell’URSS esisteva una patente che mi pare fosse di tre livelli progressivi, a seconda del tipo di attività: un po’ come patente A per i ciclomotori, patente B per le auto, patente C per i camion.
E’ una provocazione, così come l’idea di chiusure definitive o a tempo di certe vallate, di certe montagne, di certi itinerari. Ma anche qui alcuni esempi esistono già: in certe falesia non si può arrampicare nei mesi in cui nidificano gli uccelli, in genere falchi e similari… La Natura ha la precedenza sulle esigenze umane (specie se ludiche) e il principio potrebbe estendersi all’intero contesta della Montagna.
In ogni caso, siete per una montagna aperta a tutti e, per ciascuno, aperta ogni volta che vuole andarci? Ma benissimo, anzi malissimo perché io mi pongo sul versante ideologico diametralmente opposto. Però la vs posizione ideologica, quanto meno a tavolino, è legittima. Siate però coerenti fino in fondo. Non fate i “finti” ambientalisti: se quello che vi interessa è “reclamo il mio personale divertimento in montagna e lo esigo ogni volta che mi gira di averlo” allora NON siete dei veri appassionati di Montagna (con la maiuscola), non le volete davvero bene, non volete salvarla dai danni della specie umana. Siete invece degli utilizzatori consumistici della montagna (o, meglio, del suo ambiente) e ciascuno di voi porta il suo contributo distruttivo. Attenzione: non sto dicendo che la montagna si sta distruggendo solo per colpa vostra. E’ evidente che è la gran massa umana che ci va a produrre i danni. Ma anche voi ne fate parte, di tale massa, e apportate il vostro contributo distruttivo. Allora non consideratevi “ambientalisti” e non fatevi belli spacciandovi per tali.
Per ridurre la pressione antropica sulla Montagna, occorre che ciascuno, nel suoi piccolo, si imponga delle rinunce. Per esempio da alcuni anni io ho deciso di auto-limitare il numero delle mie uscite annue in montagna. Cosa faccio? Semplice: dall’autunno alla primavera faccio un’uscita ogni due domeniche (quindi due uscite al mese, non di più) e da giugno a settembre mi allargo un po’ e faccio un’uscita alla settimana. Magari nelle settimane a cavallo di di Ferragosto mi capita di farne due. Conteggio totale: non più di 35, massimo 40, uscite/anno. Molte volte avrei voglia di andare in gita, ma mi “impongo” di rinunciare. Ho la fortuna di avere mille altri interessi (sportivi/culturali/politici/professionali/editoriali ecc) e quindi mi so gestire. Cerco di sfruttare per le gite le domeniche di bel tempo e magari il museo lo vado a visitare nella domenica in cui piove.
Provate a fare un conteggio di quante uscite annue fate. In genere si sta intorno alle 80-100 uscite, io stesso registrerei un tale numero se non mi imponessi di autolimitarmi. Ebbene: se tutti noi (non solo noi del GognaBlog, ma “noi frequentatori della montagna”), se tutti noi, dicevo, dimezzassimo (per scelta) il nostro numero di uscite annuo, registreremmo un dimezzamento complessivo della pressione antropica sulla montagna. Già solo questa banalità basterebbe per “alleggerire” il consumo umano dell’ambiente montano.
Preciso che il dimezzamento individuale va riportato agli standard di ciascuno: chi fa 100 uscite, dovrebbe scender a 50; chi ne fa 30, dovrebbe scendere a 15; chi, all’opposto ne fa 200 all’anno, dovrebbe addirittura scendere in modo più che proporzionale, per esempio a 70-75.
Siete disposti a fare questo tipo di rinunce? Io credo proprio di no. E allora scattano le seguenti conseguenze logiche: 1) Non siete dei “veri” appassionati di montagna, ma siete dei ricercatori del vostro divertimento in montagna (la differenza è profondissima); 2) Non contribuite alla tutela della montagna (meglio, alla tutela dell’ambiente della montagna), ma addirittura portate anche voi un contribuito negativo e quindi agite “verso” (e non “contro”) la distruzione della montagna; 3) Conseguenza delle conseguenze: non stupitevi se prima o poi arriveranno dei meccanismi di controllo dell’accesso antropico alla montagna. Che si tratti della patente, del mountain pass, di divieti espliciti su aree e/o itinerari poco rileva: quello che è rilevante, invece, è che nessuno di voi è esente dalla responsabilità di “aver” resi inevitabili tali meccanismo di controllo degli accessi.
Le considerazioni espresse nell’articolo principale stanno tutte “a valle” del vero punto cardine, che è invece come limitare la pressione antropica sulla montagna. Se non troviamo una soluzione, il vero problema non sarà il costo sociale del soccorso, ma il fatto che non andremo più in montagna perché… le montagna non esisteranno più, in q2uanto le abbiamo distrutte.
Ho letto male l’articolo e peggio diversi commenti. Quella della patente alpinistica e’ una cagata di eccezionale portata. Mi sono fermato li. Reduce da una decina di giorni in Trentino Alto Adige ho sperimentato di nuovo sulla mia pelle cosa vuol dire non essere soli mai. Ma devo dire che me la sono cercata. Ed inoltre ho trovato tra i ‘bisonti’ delle dolomiti parecchia gente animata da una serena voglia di cimentarsi e ‘partecipare’ ad un mondo pseudo alpinistico che vuole escluderli (i bisonti) a priori. Mah….chi e’ senza peccato….
Umberto, e quindi?
Anche ammesse tutte le colpe del passato, a carico di Gogna e di tutti gli epigoni (tra cui ci siamo anche io e te, non dimentichiamolo) cosa dovremmo fare, qui ed ora?
La soluzione di Crovella è chiara. E inutile, visto che per cultura e convinzione, rimane prono al dio che ha creato la situazione attuale, il mercato e il liberismo.
La tua invece? E’ solo rancorosa rassegnazione?
@31 Se vai a rileggere il commento 3, constaterai che li’ era già tutto spiegato a dovere. Hai richiesto altri 25-30 commenti complessivi per focalizzare definitivamente il concetto…
@32 A differenza di Fahrenheit, oggi la vedo dura per la disobbedienza sociale. Non è tempo per lei. Guardate la vicenda del SuperGreenPass: alla fine è passato e, tra l’altro non mi stupirei di rivederlo fra poche settimane. I NO- SGP sono quattro gatti che non incidono sul sistema. Inoltre, tornando agli eventuali controlli in montagna, ora esiste una tecnologia che decenni fa non c’era: tutto il sistema può esser controllato da un semplice server posto in una cantina. Non scappa nulla.
Non è chiaro cosa dovrebbe fare il CAI a fronte del rischio di ritiro tessere. Deve fare Il CAI il controllo su ciò che succede in montagna? Ma non è un suo compito statuario né avrebbe i poteri giuridici per farlo.
Meno business In montana? Non solo è un prezzo da mettere in conto, ma è addirittura un auspicio. Se ci interessa salvare la Montagna, dobbiamo avere meno impianti, meno rifugi, meno strade, meno spit, meno segnaletica… il che significa meno guide alpine, meno maestri di sci, meno omini degli skilift, meno rifugisti… in una parola: “meno”.
L’alternativa è accondiscendere al trend in atto, che porterà o alla distruzione della Montagna o, in via preventiva, all’inyroduzione di un modello di ferrei controlli.
Lo sai vero che c’è già il chip sottopelle per il pagamento?
E’ il progresso bellezza!
Ray Bredbury in ” Fahrenheit 451″
aveva già ipotizzato un simile scenario di controllori e controllati, ma anche di anarchici che con la loro disobbedienza sociale hanno saputo smantellare il sistema.
Dai signori, non vediamo tutto nero sto futuro, che già e tutto uno spauracchio per i nostri figli!
Cos e? Ci impianteranno un microchip dietro l orecchio per monitorare ogni spostamento?
Io non la vedo così tragica, vedo, e bene, una marea di persone poco rispettose che vanno in montagna perche e alla moda.
Danno fastidio anche a me, io vivo in una valle chiusa ( val Seriana) che ogni fine settimana si intasa di turisti che ci bloccano in colonna sistematicamente.
Ma la colpa non è del turista montanaro, casomai delle amministrazioni locali che per attirarli creano eventi senza prevedere a valle delle adeguate infrastrutture.
D’altronde, senza quei turisti la nostra montagna perderebbe un notevole introito, e si spopolerebbe ancora di più di quanto non stia già facendo.
Se e questo che vuole signor Crovella….? Poi di sicuro la montagna rimarrà tutta a sua disposizione.
Se invece si vuole ovviare alle imposizioni a fini di controllo, cominciamo a fare richiesta al CAI affinché faccia sentire la sua voce, in alternativa i 300 Milà iscritti potrebbero ritirare la tessera , in segno di protesta, e sarebbe un bel casino,…. E solo una stupida proposta !
Capito. La montagna per pochi “eletti”. Allora per me, 66enne con inizio di CMT, solo spiagge. Posso dirlo? Ma andate a quel paese! La selezione fisica come soluzione? Ma state scherzando?
@27 uh, adesso l’affollamento in montagna è colpa di Gogna! Ma dai, che c’entra Gogna??? L’affollamento odierno NON deriva dagli “esploratori” degli anni 70-80-90, né famosi come Gogna né meno conosciuti come il sottoscritto.
Ho già chiarito più volte, anche su questo Blog, che l’esplosione dell’approccio antropico risale agli anni a cavallo del 2000 e deriva dall’evoluzione dell’attrezzatura e del materiale, diventati più performanti, più leggeri, in una parola “più comodi”. E lì il vero cardine del problema. Voglio vedere quanti degli attuali frequentatori, dai garretti guizzanti, si lancerebbero verso le vette con gli zainoni di 40 anni fa, con gli scarpini di allora o le piccozze dal manico dritto. Ovvio che l’evoluzione tecnica è inarrestabile e la si deve accettare. Ma quella particolare evoluzione, quella avvenuta proprio a cavallo del 2000, creando una montagna più comoda, ha aperto le porte al modello del business consumistico che, a sua volta, richiede grandi numeri umani. La parola chiave del problema è quindi “comodità”. Da cui io derivo che se facciamo tornare la montagna di nuovo “scomoda” e quindi più selvaggia (esempio: no impianti, no nuovi rifugi, no segnavia, no spit, no itinerari stile strade per turisti ecc ecc ecc), dovremmo vedere meno gente (molta meno gente) su per i bricchi.
Non vi piace? Beh, l’alternativa è che potrebbero intervire le autorità con provvedimenti restrittivi di controllo degli accessi. Per es una patente alpinistica (suddivisa per settori: falesie, vie lunghe, ghiacciai, pareti Nord, scialpinismo, escursionismo…. uno scegli i settori di suo interesse). Per conseguire tale patente occorre frequentare specifici corsi e superare i rispettivi esami, nonché partecipare a periodici aggiornamenti e verifiche (senza, la patente è sospesa). Detta patente genera un codice, tipo lo SPID, che sarà quello che permetterà di accedere alle montagne, tramite prenotazioni on line. Senza prenotazioni si è off limits. Ho già descritto più volte che i controlli non avverranno tramite un esercito di forestali sguinzagliati sul terreno. Si faranno controlli informatici. Per muoversi in ambiente sarà obbligatorio un aggeggio elettronico cui è collegato lo SPID personale. Il sistema cellulare (lo stesso dei telefonini) monitorerà gli SPID in ogni singola area montana. Il controllo lo farà un server in una cantina. Saranno previsti meccanismi molto disincentivanti (in parole povere: multe salatissime) per chi si avventura in violazione delle regole. Ho scritto cose banalissime: se queste idee sono venute in mente a me, sicuramente le penseranno anche le autorità. Quindi non è fantascienza estrema.
Di fronte a ipotesi del genere, la mia convinzione di effettuare la selezione attraverso una montagna resa più scomoda, è decisamente più ragionevole e moderata.
@25 no, non sai di cosa parli, perché ti concentri sulla scelta “nobile” (la tua, o la mia, verso il sentiero poco battuto), mentre il cancro della montagna è nell’altra scelta. Troppa gente da quella parte, lo dici tu stesso. È lì che si deve intervenire, scremando la quantità totale di umani in montagna. Sennò uccideremo le montagne. Tertium non datur.
Fare presente quanti bambini sono stati placidamente gettati con l’acquasporca, è solo una dovuta azione per alzare il rischio di gettarne meno in futuro o in altri contesti.
Allarga.
Caro Placido, le cose che tu dici sono per me di importanza fondamentale e fa piacere che un Mastronzo qualsiasi le evidenzi, seppur Placido. Ho provato a proporle qui più volte, tra gli illuminati, ma pare non interessino.
La montagna di oggi (e poi la falesia, che non sia mai, viene sempre prima la montagna) sono figlie, ad esempio, di Gogna Alessandro e della sua pubblicità per Enervit, delle sue collaborazioni con le maggiori case produttrici di attrezzi da alpinismo, eccetera, con cui si è anche pagato le bollette della luce.
Il mercato è sempre stato e sempre sarà più intelligente di tutti, nel suo “potere temporale”, anche di coloro molto superbi (come gli alpinisti, ad esempio) ma che hanno comunque un qualsivoglia punto di leva efficace, chessoio, un ego ipertrofico ad esempio.
Il mercato progetta il suo futuro incessantemente dal suo presente e dal suo passato in modalità multivariata, per soddisfare più o meno tutti e negli aspetti più varii, dal materiale all’immateriale, senza fretta. Anche il wate Merlo è parte meccanicistica, seppur caotica, dell’oggetto mercato, che gli piaccia o no.
E, detto ciò, fa specie che gli over 60 illuminati qui arringhino dal pulpito dei conservatori della montagna lanciando anatemi su ciò che è figlio loro, legittimo.
Come dissi tempo fa, Gogna doveva fare molto meno alpinismo e molta più cultura, ma illo tempore, non adesso. Adesso, invece, partecipa agli eventi come quello ossolano, con lanci pubblicitari (giustamente, del resto: è casa sua questo blog), in cui si legge “acquista la tua esperienza”.
E, dunque, vogliamo aggiungerci anche “mozzafiato”?
Chiedo: che differenza intercorre tra “acquista la tua esperienza” e “acquista la tua esperienza mozzafiato”? Il verbo, nel pieno della sintassi italiana, corredato di complemento oggetto, sono esaustivi. Come chiedersi che c’è differenza ci sia tra “andate a cagare” e “andate a cagare placidamente”: io non la percepisco.
15 giorni fa.
Carlo, ma credi di essere il solo? 15 giorni, stazione di arrivo della Funivia Costabella al Passo S. Pellegrino. A sinistra, 1.15h, Rifugio Passo le Selle, una coda ininterrotta. A destra, Passo di Costabella-Cima Uomo-Trincee italiane, 130h: due persone io e la mia compagna. In giro tutto il giorno senza incontrare anima viva. Dopo 10 minuti dal bivio, neppure più il vocio, solo fischi di marmotte… Quindi, sì. so di cosa parlo.
Fabio: peccato, l’11 ottobre ho da fare 😀
commento n.20: la massa consumistica si dedicherà al base jumping?? avere le capacità (e le palline aggiungo) per tirarsi giù da una parete con magari solo 150 metri di margine di errore ti sembra un’attività per le masse?? ma hai almeno la più pallida idea di cosa stai parlando? sciacquati la bocca quando parli di chi si mette un paracadute dietro la schiena va..
Del senno di poi son piene le fosse.
La battaglia non è ancora del tutto persa, quanto meno ha senso giocarla.
Se ci si abbandona al trend dominante, considerandolo ineluttabile (o addirittura “desiderandolo” in nome del diritto di tutti ad andare in montagna), ci si macchia di correità.
Ricordatevene quando arriveranno le ganasce restrittive
Per una volta sono d’accordo con Merlo al commento 1.
Alla “montagna scomoda” bisognava pensare negli anni ’70 e ’80, quando invece sono state gettate e poi consolidate le basi per il modello attuale… ormai è tardi. Sarebbe già tanto vincere la battaglia contro gli onnipresenti mozziconi di sigaretta e fazzoletti di carta.
Si salvi chi può.
Sbraitare: vociare concitatamente, scompostamente, quasi urlando. Per esempio: sbraitava come un ossesso di avere ragione.
… … …
Il verbo “sbraitare” deve essere adoperato come da definizione. A volte viene però utilizzato, in modo scorretto, nel tentativo di mettere qualcuno in cattiva luce. Per esempio: “Chi non è d’accordo con me sbraita sempre come un ossesso”.
Se non c’è sbraitamento e si desidera essere corretti, si usa “protestare”.
Chi pensa a concetti quali “di montagne selvagge ne esistono a iosa” non ha neppure compreso di cosa si stia parlando. Da almeno 20 anni, se non di più, io faccio gite (spesso solitarie) in valloni dove al massimo in contro tre persone (a loro volta solitari): so quindi cercare contesti selvaggi e liberi e posso continuare a farlo anche per i prossimi 100 anni, tanto so muovermi in tale direzione. A titolo personale, io della massa me ne sbatto le balle, so come NON incontrarla e difatti faccio regolarmente gite quasi senza incontrare altri esseri umani. Ma il problema non è la ricerca di solitudine da parte di chi ne ha bisogno o piacere. Si tratta invece del modello di business che sta stritolando la Montagna, quella con la M maiuscola (metafora rappresentativa di tutte le montagne). Più gente c’è in Montagna, meno libertà d’azione individuale ci sarà, perché la società sicuritaria stringe la morsa (“in montagna non siamo mai soli”, costo sociale, ecc). Se vi piace il principio di riconoscere a masse indistinte il diritto di andar per monti, fatelo pure: non sbraitate, però, quando verranno introdotti meccanismi di contingentamento. Essi saranno inevitabili sia per la longa mano della società istituzional-giuridica (discorso su responsabilità ecc) sia per esigenze di preservare quel poco di “ambiente” che è ancora rimasto. L’alternativa ai contingentamenti è meno gente in generale per i monti. Come affermo pubblicamente da oltre 15 anni (in articoli, libri, conferenze, interviste ecc), fra gli infiniti meccanismi utili per scremare la massa che assalta la montagna, io propendo per fare tornare la montagna scabra, spartana, scomoda. La massa consumistica ama la comodità o, quanto meno, fugge dalla scomodità. Quindi una Montagna scomoda non attira la massa consumistica, che si dedicherà ad altro: kate surf, base jumping, corsa al parco, ecc. Senza impianti, in un giorno di agosto la vetta del Breithorn conterebbe al massimo 10 persone. Con gli impianti, diventano 100 o 200 (tutti i giorni). Quella è la differenza. Nel primo caso, quei 10 individui sono davvero “liberi”. Nel secondo caso la massa non può che essere controllata e regolamentata. A fronte di un trend che si stima ulteriormente crescente di gente che va in montagna, scatteranno meccanismi preventivi di contingentamento. E’ inevitabile: non lo vede solo chi ha gli occhi foderati di salame (modo di dire piemontese).
Il nodo è succato. I grandi numeri non lasciano scampo alle loro esigenze regolamentative. I media sguazzano senza vigore come carpe da giardino. La politica non sa neppure di cosa si stia parlando. Restano solo individualità consapevoli del vuoto culturale. Tutto per il progresso.
Mah! Io sono uno che va (adesso con mille impegni poco) in treno, in pullman, a piedi. Come si faceva decenni fa, porto su il materiale, lo nascondo, poi torno con altro materiale. E lassù ci resto giorni. Non faccio la corsa in auto, la corsa in montagna e poi via, in giornata, per essere in ufficio il giorno dopo.
La faccenda dell’assicurazione non mi turba: serve ad avere meno problemi? Va bene. Anche sta cosa del soccorso sta diventando uno stress, mi sento come uno che ha a che fare con l’agenzia delle entrate per ogni l’ira che vorrebbe spendere liberamente.
Di cazzate sui monti ne ho combinate a iosa, responsabilità o meno, mi è andata bene. Se fossi morto, spiacevole eventualità, ma amen.
Avessi dovuto chiamare il soccorso apriti cielo se sarebbe stato giustificato o meno, roba da chiamare prima l’avvocato per valutarne l’opportunità, con il rischio di passare dei guai… Mentre SEI nei guai.
Oggi non si possono più fare tante cose, mettiamoci l’anima in pace, fin da quando non è stato più possibile accedere un fuoco per arrostire una trota presa con le mani da un torrente.
E la montagna scomoda potrebbe sì, essere una possibile soluzione, ma non credo cambierebbe molto i termini della questione. Sempre che poi, in un delirio di preservazione, proprio perché selvaggia ti impediscano proprio di andarci.
Marco, non fare il gattone: martedí 11 ottobre passerò a prenderti a casa tua. Destinazione Saint Jacques.
Sii pronto.
P.S. Fare il gattone: far finta di niente. Si dice cosí anche da voi? A Modena lo diciamo in dialetto: “Ménga fēr al gatàun”.
La questione dell’assicurazione obbligatoria mi ricorda la vicenda dell’artva. Attenti che ad invocare obblighi alla fine si viene ascoltati. Diventa una questione di denaro e non di senso di responsabilità dell’individuo il quale, anzi, visto che “paga” si sentirà sempre più deresponsabilizzato.
Carlo, di montagne selvagge ce n’è a bizzeffe, volendo. Ma se “voglio” un Quattromila, ahimè, sappiamo come sono messi. Inutile star lì a disquisire. Perché, diciamocelo, anche l’alpinista “puro e duro” va fin dove può con l’auto… E ne conosco a bizzeffe, senza arrivare agli “eclatanti” come quello che dicevo prima. E, sinceramente, credo proprio che un “normale” alpinista per fare, che so, il Capucin, si prende la sua bella funivia… Anche se tendenzialmente sarebbe contro, ecc. ecc. E alla fine, anche quelli che vogliono la montagna spartana, non passano le ferie sull’Appalchian Trail…
La mia preferenza per pochi individui in montagna è, sul tema del giorno, irrilevante. La questione è un’altra: se non possiamo/non vogliamo andare contro l’alpinismo di massa, i grandi numeri, il consumismo in quota ecc ecc ecc…. benissimo (anzi malissimo) ma se accettiamo lo status quo, allora non stupiamoci se la società sicuritaria (che è anche “stritolante”) stritolera’ la libertà individuale in quota. Se ci sono tanti individui lassù, salirà sempre di più il modello consumistico-sicuritario-stritolante: ergo in prospettiva meno libertà individuali. Chi vuole davvero la libertà in montagna, desidera una montagna complessivamente più selvaggia, meno antropizzata, con significativa riduzione del business e tante meno comodità. Solo una montagna selvaggia, cioe’ “scomoda” garantisce davvero la libertà. Se non riuscite a rinunciare alle comodità consumistiche, va benissimo, ma non stupitevi se in in futuro non lontanissimo arriveranno Mountain pass, rigide prenotazioni Obbligatorie su tutte le Cime, assicurazioni obbligatorie, burocrazie varie, orpelli di ogni tipo, costi vari ecc ecc ecc. Ognuno giochi la Sua partita.
No, Marco, niente funivia!
Io e te partiremo da Saint Jacques un mercoledí di metà ottobre e dopo 2.465 metri di dislivello in splendida solitudine conquisteremo la vetta al calar del sole, stanchi ma felici.
Concordo pienamente, per mia scelta sto frequentando montagne prive di folla. Ma se dovessi tornare al rosa lo farei anche io in funivia.
Se non altro per evitare il pernottamento ( quasi sempre insonne).
E comunque se e il buonsenso che dovrebbe regolamentare l alpinista ,e non i divieti, non saremmo qui a disquisire sul sito di Gogna, che come ogni altro alpinista di un certo livello di buon senso non ne ha fatto uso!
Eppure in questo caso è lecito, anzi lodevole e degno di rispetto e ammirazione! ( Sia ben chiaro che io son cresciuto sui libri di Gogna,Bonatti , Messner ecc. Ecc.)
L alpinista e proprio una delle categorie con meno buon senso che ci sia!
Perché come avrà detto ogni mamma di alpinista che si rispetti…..
( Ma non hai niente di meglio e di più utile e meno pericoloso da fare?)
Rassegnamoci! I ” conquistatori dell’ inutile” sono aumentati di numero, con le inevitabili conseguenze!
Chiacchiere. L osannato Nirmal Purja, quello dei 14 Ottomila in sette mesi ha usato l elicottero più di una volta per spostarsi tra i campi base. Ma è per lo più osannato. E io non posso usare la funivia per il Breithorm? Non voglio mica essere osannato, ma a 66 anni non mi dispiace fare un po meno fatica…
Non siamo “gente speciale”,abbiamo semplicemente gli stessi diritti e doveri di ogni comune cittadino!Abbiamo il diritto di fare alpinismo e il dovere di farlo con testa e valutare ogni possibile rischio, come tutti i cittadini che guidano e vengono soccorsi gratuitamente, un esempio a caso, anche se a volte guidano in stato d’ebrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Anche questo ha un costo sociale notevole, parlo da ex soccorritore professionista. Naturalmente il soccorso in montagna richiede un impegno diverso e rischi maggiori, da cui viene d’obbligo un rispetto maggiore delle regole e del buon senso! Ma ogni alpinista che si rispetti, spero che prima di intraprendere qualsiasi ascesa valuti i rischi per se stesso e per i propri compagni di cordata, quindi il rispetto del lavoro del soccorso alpino viene incluso direttamente,anche se fosse x il solo “egoismo” di avere un’uscita senza incidenti e appagante. Concordo pienamente con l’obbligo di avere un’assicurazione che copra i costi del soccorso,semplificherebbe le cose,anche se non escluderebbe i pericoli che corrono i soccorritori,che per altro sono consci di correre per professione e passione (anche nei confronti dei colleghi alpinisti).Cosa dire…sicuramente la montagna delle masse non fa per noi,ma ogni soccorritore che si rispetti sarà ben felice di trarre in salvo un alpinista preparato e incappato in un incidente fortuito e non dovuto alla poca preparazione dell’uscita in se. La tragedia della Marmolada deve ricordarci,come sappiamo tutti,che la montagna è pericolosa e non perdona, anche quando ce la mettiamo tutta!
Arieccoci! Ma perché non accettiamo il dato di fatto che il n. Dei turisti montani e alpinisti e cresciuto a dismisura . Che la fabbrica del turismo di montagna da lavoro ad un n. Esagerato di addetti e che ogni proposta semplicistica per ovviare a tale problema e semplicemente anacronistica.
Così come è avvenuto per la strada potenziamo il sistema di soccorso che ormai è in mano a professionisti ,un assicurazione personale basterebbe a tal scopo,( il CAI già l ha) .
Perché il soccorso e un dovere e un diritto di chiunque, anche dell’ elite alpinistica a prescindere dalle colpe e responsabilità sulle quali il popolo dei giuristi ci campa a scrocco.
E se poi vogliamo vivere la montagna incontaminata.,. Be! Di posti a disposizione c’è n e a iosa!
Diverso e se vogliamo vivere la stessa montagna super affollata , con funivie annesse, solo per noi!?
Luciano, intanto cominciamo noi, per nostra scelta personale.
Tra l’altro, la salita a piedi sul Breithorn Occidentale con partenza da Saint Jacques è di soddisfazione molto maggiore, seppur piú faticosa, di quella da Cervinia con funivia.
In altre parole, ci conviene: ci regala piú piacere, piú gioia.
La soluzione Crovella, come mai nessuno ci ha pensato prima? È così semplice!
Ma davvero non si capisce come puoi credere in quello che scrivi. Vai tu domani a Cortina a proporre che bisogna chiudere tutti gli impianti perché in alto ci deve andare solo gente preparata?
Questo blog coinvolge una percentuale minima della massa che attualmente va in montagna. Il “pretendiamo” è un plurale generico che si riferisce alla massa, non ai soli lettori/commentatori del Gogna Blog. Fra i quali lettori/commentatori (a stragrande maggioranza) è però evidente la contraddizione fra richiesta di incondizionata libertà individuale e contemporanee agevolazioni della società consumistica (che è anche sicuritaria e di conseguenza stritolante). Le due cose sono inconciliabili. Se vuoi fare il Breithorn in giornata da casa, come fosse l’alternativa ad una corsetta nel parco cittadino, devi accettare il modello di massa e quindi la società sicuritaria che è anche “stritolante”. Se invece respingi la società stritolante, devi accettare una montagna diversa dalla corsetta al parco. Quindi una montagna scabra, spartana, scomoda. Una montagna così non attira la massa e quindi, lassù, ce ne possiamo stare liberi e tranquilli.
Sono d’accordo con Carlo. Assolutamente. Totalmente. Integralmente.
P.S. Mi starò mica rincitrullendo? 😆😆😆
In questo blog credo che in pochi pretendano questo…
“Più montagna per pochi”. Una montagna scabra, spartana e scomoda fa in automatico selezione. Se per fare il Breithorn devo partire a piedi da Valtournenche, dormire al Teodulo e scardinare senza impianti, in vetta ci saranno al massimo 10 persone al giorno (anziché le attuali cento o duecento, vomitare ogni giorno a Plateau Rosa dagli impianti e incetta con miseri 900 m di dislivello ). Quei pochi che continueranno ad andare in montagna anche in caso di ritorno alle scomodità (compresa l’ipotesi di assenza/riduzione del soccorso), lo faranno con maturità e consapevolezza. Sono per definizione individui che “sanno quello che fanno”, compresi i rischi personali che si assumono. Quindi sono persone che, lassù, possono davvero essere “liberi”. La massa, invece, si aspetta che anche lassù valgano i requisiti della società sicuritaria. Richiamando quest’ultima anche in 1uota o in parete, di essa si prendono gli aspetti sia positivi che negativi. Fra questi ultimi la ricerca del “colpevole”, cosa che spinge le autorità a chiusure precauzionali. Un sindaco, senza saper né leggere né scrivere, piuttosto che finire davanti a un giudice, “chiude” preventivamente (un sentiero, un.ghiacciaio, una parete…). Se continuiamo ad accettare, o addirittura “pretendere”, la società sicuritaria anche su terreni outdoor, inevitabilmente tale modello ci stringera’ in una morsa. Di conseguenza, non strillamo allo scandalo, se arriveranno meccanismi di selezione e contingentamento degli accessi: è conseguenza inevitabile. L’unica montagna veramente libera è una montagna selvaggia, per così dire “allo stato naturale”. Cioè una montagna scabra, spartana, scomoda. Una montagna selettiva. Una montagna per pochi.
Io colpevolizzerei anche la cultura del “colpevolizzare”: cercare sempre un “colpevole” per quello che accade, a prescindere: in campo medico (dove a volte ci sono colpe, a volte no), in campo alpinistico (dove la colpa è sempre di sé stesso, a meno che non sono una guida che porto clienti in modo irresponsabile, ma questo mi pare che succeda poco).
La libertà di fare è un equilibrio tra quello che posso e voglio fare e la mia capacità di farlo senza mettere in pericolo mè stesso o altri
In difficoltà si può chiedere aiuto.
L’origine dell’aiuto organizzato penso dipenda dal sentimento di empatia.
Non penso sia un prodotto/richiesta diretto di chi è in difficoltà.
La considerazione sul costo sociale del soccorso si può fare ma la colpevolizzazione degli alpinisti forse no.
Colpevolizzerei la cultura del consumo, del diritto prezzemolato, dell’io pago, dell’usa e getta, della montagna ridotta a campo sportivo.
Senza questa cultura frigida meno popolo, e più idoneo, andrebbe per monti e il costo sociale si ridurrebbe forse fino al risibile.