Intervista a Matteo Cattaneo
di Elena Gogna
Il tema della responsabilità in montagna sta diventando un argomento nevralgico per tutti gli amanti dell’alta quota. Il CAI, il Club Alpino Italiano, nel suo ultimo congresso nazionale si è interrogato su quali possano essere le basi future della frequentazione in montagna e quale possa essere il messaggio migliore da diffondere presso i propri soci.
Dal K2 in poi, settant’anni di spedizioni e vette conquistate, con imprese che oggi raggiungono coefficienti di difficoltà altissimi, ci hanno abituati a una narrazione muscolare della montagna, che forse però non fa bene a un territorio così fragile, che è percepito sempre più come una palestra e non come un ambiente delicato in cui sentirsi ospiti.
Con Matteo Cattaneo, ingegnere energetico, socio CAI Giovani e coordinatore di uno dei tavoli di lavoro del congresso, abbiamo esplorato il concetto di limite. Ho chiesto come il CAI possa contribuire, attraverso l’educazione dei suoi soci, a modificare la narrazione della montagna verso una concezione più rispettosa, dove al concetto di conquista si sostituisce quello di scoperta.
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Apprezzo il video, anche se ai più esperti il colloquio può sembrar banale: la maggior parte dei fruitori di aree naturalistiche non ha idea dei codici di base per salvaguardare gli areali garantendo la sopravvivenza di tutti gli esseri viventi che lo abitano, umani compresi.
Basterebbe che ciascuno facesse una piccola parte. Io, socio Sat/Cai qualche anno fa ho iniziato a chiodare, a fix, una via. Qualche giorno dopo in un buco ho trovato un nido e guardando meglio, tracce di nidificazioni precedenti. Ho schiodato tutto senza amarezze. Le riflessioni servono ma a volte basta meno ma concreto.
Anche se i giovani del video paiono un po Chiara e Francesco, per fortuna il CAI non è una chiesa della quale gli accoliti devono condividere il verbo.
Le tesi qui esposte non sono delle semplici opinioni personali di uno dei 346.000 soci del CAI, ma rappresentano la descrizione di una chiara posizione ideologica che il Sodalizio ha esplicitamente assunto, ormai da una ventina di anni circa (corroborandola cammin facendo). Ogni socio CAI dovrebbe condividere la posizione dell’associazione, sennò non si comprende perché continui a rimaner socio di un ente da cui prende le distanze ideologiche. Alcuni soci, quelli che occupano particolari ruoli di spicco (Presidenti e consiglieri di Sezione, componenti di varie Commissioni, Delegati all’Assemblea nazionale, ma anche i capi-gita delle uscite sociali…), oltre a condividere i principi citati, dovrebbero farsi parte attiva nel diffonderli, sia fra gli altri soci sia all’esterno. Fra questi soci qualificati, con l’implicito dovere di diffondere i principi del Sodalizio, gli istruttori CAI sono in prima linea, proprio per il lodo ruolo didattico. la componente educazionale dell’attività didattica è oggi la più importante, considerato che per imparare una qualsiasi manovra si trovano migliaia di video su internet.
Valide domande ma aria fritta come risposte. Mi sembra una visione declamata banalmente da chi vuole darsi un tono al passo coi tempi ma di sostanza evanescente.
L’importante è divertirsi. Poi si muore. Tutti.
E tonfa e ari-tonfa!! E inutile eleggere l’istruttore come se fosse l’Immacolata Concezione. Anche lui con il suo operato contribuisce in modo massiccio all’invasione della montagna.
Bel video, organizzato e girato in modo molto professionale. Condivido il contenuto delle risposte. Responsabilità NON è qui intesa come concetto giuridico (cioè verso gli altri in gita con noi), ma come essere responsabili a titolo individuale sul proprio comportamento. Porsi un limite (o addirittura “dei” limiti) significa autoimporsi di rispettarli, altrimenti i limiti stessi non hanno senso. Quindi la suddetta responsabilità comporta autodisciplina. L’oggetto dell’educazione (e-ducere= condurre fuori da…) si incentra quindi sul binomio “limite-autodisciplina”. La finalità didattica è oggi il principale significato del CAI: in un mondo in cui (social, web, video…) tutte le info sono reperibili e tutti gli individui sono contattabili, i precedenti valori associativi si sono molto sbiaditi. invece quello didattico non solo è rimasto immutato, ma è addirittura aumentato di valore oggettivo, per l’aggravamento delle problematiche ambientali e per l’esplosione dell’accesso antropico alle montagne. Provocatoriamente affermo che il CAI tenderà sempre più a coincidere con la sua finalità educativa, che si estrinseca attraverso il suo modello didattico. L’istruttore CAI non è un qualsiasi insegnante di montagna, ma un “e-ducatore” secondo gi canoni del CAI: anche quando spiega una manovra tecnica, la sua finalità è inserirla nel giusto binario di “limite” e “autodisciplina”.