Kalymnos e il Dibba
di Massimo Bursi
(pubblicato su kingrock.it)
A giugno gli aficionados del King Rock (noto centro di arrampicata di Verona, NdR), complici anche i lavori in sala vertical, si spostano a Kalymnos! In effetti quest’anno siamo un bel gruppo, o meglio siamo partiti in tre gruppi separati, ma magicamente poi ci siamo ritrovati tutti assieme, ora in falesia, ora in spiaggia, ora in taverna. Ed è stato proprio ad Arginonta, alla taverna di Teo, un posto che meriterebbe una super menzione nella guida Michelin dei ristoranti, che Teo ci dice che l’indomani sarebbe arrivato a cena niente meno che Andrea Di Bari, lo scopritore e primo arrampicatore di Kalymnos.
È Paolo che mi lancia l’idea di intervistarlo e quindi, in spiaggia post-arrampicata, sottopongo ai miei amici tutte le domande che vorrei fargli, domande che vengono inevitabilmente cassate dai “miei amici”: ma alla sera si torna in taverna da Teo e malgrado il tavolo riservato, il mitico Dibba non si presenta: chissà quanto se la tira… quindi per me la storia di Di Bari era finita, visto che si pregano solo i santi. Piccolo inciso: a Massouri c’è il negozio de La Sportiva che quest’anno espone un tabellone gigante con una bella fotografia di Silvio Reffo a cui invece dobbiamo, sì, la nostra giornaliera preghiera…
In realtà Margherita non demorde e dopo aver googlato il Dibba su internet, stabilisce un contatto Facebook e Messenger con Andrea Di Bari che annuncia di andare ad arrampicare esattamente dalla parte opposta dell’isola rispetto alla nostra meta. E quando siamo in spiaggia, a leccarci le ferite post-arrampicata… Davide, fra il serio ed il faceto, dice “che sia quello là in fondo il Di Bari?” indicando un pergolato dall’altra parte della caletta popolato da cummenda… almeno così pensavamo. Il richiamo di Davide viene ripreso da Paolo ma, si sa, è sempre difficile capire se il Red sia serio o scherzi, in fin dei conti il Dibba doveva essere a Poets mentre noi eravamo nella baia di Palionisos. Invece era proprio lui con moglie e amici… e quindi il primo incontro avvenne per fortuito caso su un molo dove sono iniziate piacevoli conversazioni su Kalymnos, bionergia dell’arrampicata e fantasmi dei primordi dell’arrampicata degli anni ’80. Vedo ancora l’espressione di assoluta pura noia di Elena, moglie di Andrea, quando Andrea si appresta a raccontare a noi, per l’ennesima volta, la storia della scoperta dell’isola.
Mentre Elena si siede sulla panchina… Andrea racconta che era il 1996 e sua moglie aveva organizzato un viaggio fra le isole del Dodecanneso: tre giorni a Kos e tre giorni a Kalymnos, un viaggio tutto “pinne e boccaglio”. L’ultimo giorno di permanenza in Pothia, la capitale dell’isola, vinsero la pigrizia noleggiando un motorino e dicendo “dai facciamo un giro dell’isola che tanto qui non ci torneremo mai più!” In realtà, passata la salita di Kamari, si trovano di fronte a magnifiche pareti verticali o a grotte strapiombanti. E non c’era nulla, non uno spit, non un segno di scalata, niente di niente. Uno stupore e una scoperta che non poteva lasciare indifferente Andrea, uno dei più forti climber italiani degli anni ’80, tanto è vero che l’anno successivo, nel maggio 1997, tornò con Elena, tre amici, due trapani e 600 spit per aprire le prime 46 vie – ad oggi ve ne sono censite 4.615…. Era semplicemente lo stage finale di un corso di arrampicata indoor. Poi ritornò ad ottobre dello stesso anno con Andrea Gallo per fare fotografie e per fare un articolo prima su Alp e poi su riviste tedesche al fine di lanciare questo posto. Successivamente il fenomeno è scappato di mano e Kalymnos è diventata la meta mediterranea preferita per le vacanze verticali e di mare… insomma un grande parco giochi che fa tutti felici: climber estremi e climber alle prime armi. Margherita marca Andrea molto stretto ed organizziamo una cena tutti assieme nella taverna di Teo. Avete presente quelle lunghe vie di falesia che partono con placche appoggiate e mano a mano che sali la verticalità aumenta fino agli strapiombi finali, quando ti giri verso il basso e vedi il tuo compagno di cordata piccolo come un francobollo? Ecco, così sono le cene da Teo: iniziano soft con le birre Mithos ma poi, complice il pesce e le frittelle con miele (loukoumades) innaffiate da ouzo e grappa, la cena finisce in canti nazional-popolari che certamente non spaventano gli avventori della taverna, in genere tutti climber ridotti uno peggio dell’altro. È in questi frangenti che Andrea si apre veramente con noi e il rapporto diventa molto piacevole. Il Biciu lo aggancia per parlare di tecniche di allenamento, Margherita lo martella sulla sua esperienza di regista e sceneggiatore, io cerco di recuperare frammenti di storia di arrampicata sportiva degli anni ’80.
Fra le varie cose, molto interessanti, scopriamo che Andrea non ha guadagnato un euro da questa scoperta di Kalymnos e che ha continuato a fare la vita di prima di climber innamorato della bella roccia e dell’ambiente libero dell’isola di Kalymnos, e che addirittura le autorità locali volevano dedicargli un bel traghetto intitolato ad Andrea&Elena. Insomma è rimasto un puro! D’altronde, stando in casa nostra, forse il Beppo si è mai arricchito? E il Sergio (Coltri, Ndr)? E il Beppe (Vidali, NdR)? E i ragazzi che hanno valorizzato Ceredo?… Sono azioni che si fanno mossi esclusivamente da un fuoco interiore… assolutamente nessun riferimento al libro autobiografico di Andrea dal significativo titolo Il fuoco dell’anima. Andrea aveva capito subito che sarebbe diventata una mecca per l’arrampicata sportiva e difatti già nell’ottobre del 1997, parlando col sindaco e con Stefanos, il suo primo e storico affittacamere ed ora amico, consigliò loro di cominciare a tracciare sentieri, comprare dei trapani ed investire due soldi. E così arrivarono in massa i tedeschi e non solo… ma Andrea, schivo, per ben sette anni, non tornò più nell’isola in cui aveva fatto scattare la scintilla verticale. Da allora molte cose sono cambiate: gli abitanti di Kalymnos erano originariamente invidiosi degli isolani della vicina Kos che avevano tante spiagge e terreni pianeggianti, mentre loro avevano solo rocce… mai avrebbero immaginato che, grazie a quelle rocce, i giovani emigrati verso altri paesi sarebbero un giorno tornati per ridare vita, anche economica, alla propria isola e basare l’economia locale sul turismo dei climber. Dovrebbero fare un monumento ad Andrea… ma che dico? Andrea, fra una birra e l’altra mi ha confessato che niente monumento, niente traghetto ma … forse un bel viaggio pagato ogni anno, questo sì, per tornare a ripetere i nuovi itinerari aperti per i quali non basterebbe una vita di climber! Di Andrea non ci interessa riportare i gradi che saliva e che continua a salire tuttora, ma ci è piaciuto riscontrare che è una “bella” persona, genuina, amante della vita e della compagnia e che tuttora ama mettere a proprio agio i suoi allievi di arrampicata grazie ad un metodo particolare che ha messo a punto negli anni, contaminando l’arrampicata con tecniche provenienti dalle arti marziali e dalla bioenergetica. Non aggiungo nulla di più… in quanto lo vorremmo in azione al King Rock!
Grazie per questo bel post su Andrea; consiglio a chi non l’ha già fatto di leggere il libro che ha scritto, “il fuoco nell’anima”
L’arrampicata sintetica sta ai pelati come quella su roccia ai capelloni.
Storie che potrebbero essere storia e invece non hanno memoria.
(tratto da: Canzone per un sasso amico)
Voglio ricordare Maurizio Roveri, romano-sudtirolese compagno di Andrea Di Bari nelle prime missioni chiodatorie sull’isola. Quello del barattolo di vernice rossa.