Un’uscita anomala

Corso di Alpinismo 2023 della Scuola Giusto Gervasutti
Un’uscita anomala
(e l’abbandono della convenienza)
di Filippo Ghirardini
(pubblicato su scuolagervasutti.it il 4 luglio 2023)

Quando torniamo a casa, è sempre bello ricordare i dettagli di una bella salita, di una giornata andata al meglio, in cui tutto era stato organizzato nei dettagli, e la pianificazione ha portato i sui frutti sul campo.
A volte però questo non accade, per svariati motivi, e le responsabilità infine credo sia giusto considerarle sempre di noi istruttori.
In quest’ultima uscita al rifugio Torino, la mia cordata ed io abbiamo vissuto un’esperienza un po’ diversa dal solito, dovendo confrontarci con alcune variabili impreviste.

Negli ultimi anni non riesco più a partecipare con costanza a tutte le uscite del corso di alpinismo della Scuola Gervasutti. Impegni lavoravi anche quest’anno mi hanno fatto perdere la classica uscita di due giorni in valle Orco, luogo cui sono molto legato. Stesso discorso, ma per piacere, vale per l’uscita in Piantonetto, posticipata per maltempo.

Il corso di quest’anno, diretto come sempre con attenzione ed esperienza da Gianfranco Floris, prevedeva però altre tre uscite, una giornata alla Castello-Provenzale ed una in valle Orco (recupero della seconda giornata in Castello). Il weekend appena passato, invece, ha portato a conclusione il percorso degli allievi con l’uscita del Monte Bianco, sempre bella e varia, dove c’è modo per tutti di divertirsi ed imparare a muoversi in alta quota.

Seppur partecipando part-time, devo dire che è stato uno splendido corso e non lo nascondo, anche io ho avuto modo di togliermi qualche piccola soddisfazione. Della dozzina di allievi presenti, tutti si sono rivelati molto motivati, e molti anche dotati per l’arrampicata e l’alpinismo. Avevamo tra noi due allievi del corso avanzato, che è l’anticamera all’ingresso nella Scuola come istruttori, ed un aspirante istruttore che si è brillantemente distinto per capacità e dedizione.

La meteo variabile, imprevedibile e instabile è stata una costante per tutto il corso, tuttavia si può dire che da un giorno all’altro ormai è difficile che le previsioni sbaglino, non siamo neanche più abituati a questa eventualità. Gli ultimi anni poi, con periodi prolungatissimi di alta pressione, hanno fatto il resto nel disabituarci all’imprevedibilità del tempo.

Come sempre organizziamo l’uscita in alta quota su due giornate. Prendiamo la prima benna della funivia il sabato mattina, in modo da partire presto per le salite e tornare più serenamente la sera senza il patema di perdere la funivia. Le salite di ghiaccio e misto, quelle da partire a notte fonda, da anni ormai a luglio sono da escludersi a priori.

Il giorno dopo, con più calma, possiamo quindi affrontare salite più brevi e vicine, più didattiche, e svolgere tutta la parte di teoria sulle manovre di autosoccorso, per poi prendere la funivia del ritorno nei tempi stabiliti.
Quest’anno la meteo era appunto molto instabile, addirittura Chamonix Meteo, che è considerato il sito di riferimento per le previsioni del massiccio, sembrava in imbarazzo nel definire una previsione per il weekend, ma dava comunque una discreta finestra di bel tempo la mattina di sabato, poi peggioramento senza precipitazioni e infine un miglioramento nel pomeriggio di domenica.

Arrivati al Col des Flambeaux ci troviamo davanti una giornata incredibile, sole, caldo, non una nuvola, niente vento. Decidiamo di partire per le nostre salite, tenendoci comunque abbottonati. Chi va al Dente del Gigante, chi ai satelliti del Tacul a scalare su roccia, chi per creste, tutti si incamminano verso la loro destinazione con la felicità di affrontare una bella e calda giornata.

Io, assieme ad un altro istruttore della Scuola, perché con la Scuola mai si dovrebbero affrontare salite senza il supporto di un’altra cordata, decidiamo di dirigerci verso il Pilier Rouge del Clocher du Tacul: vogliamo scalare la via Conflitto finale sulla sua parete est (scarica qui il topo), che stranamente non è relazionata su alcun sito, ma è presente sulla bellissima guida di Damilano (Mont Blanc, Granite, vol. 4: Géant, Cirque maudit, Vallée Blanche, di François Damilano, Louis Laurent e Julien Désécures, edita da JMEditions nel 2021, NdR): sembra davvero una via ideale per la giornata, tutta in fessura, completamente da proteggere (tranne due spit) ma con soste attrezzate. Inoltre conosco bene la zona, infatti l’anno scorso avevo scalato con gli allievi la via a fianco, il Pifferaio di Spit, e sfruttato le stesse soste di calata che dovremo usare oggi, quelle di Empire State Building, sulla parete sud-est.

Iniziamo la nostra salita, tutto procede bene, ma dopo circa tre tiri mi accorgo di qualche nuvola dall’aspetto conosciuto, sono cirrostrati che so essere carichi di umidità e portatori di brutto tempo. Dopo di loro, il classico “pesce” sopra il Bianco e sul Dente, un altro brutto segnale, nonostante il sole caldo.
Siamo a due tiri dalla fine della bellissima via, dobbiamo arrivare in punta perché le calate sulla via sono sconsigliate, troppi rischi di incastro. Dovremo necessariamente arrivare in punta e calarci sulla parete sud-est.

Già al terzultimo tiro aveva iniziato a nevicare, ma era più che altro ghiaccio, faceva molto freddo, almeno questo non comportava problemi nella scalata. Poi il ghiaccio è diventato neve, ed infine pioggia torrenziale. Gli ultimi due tiri, anche tra i più difficili della via, li abbiamo scalati sotto il diluvio, completamente fradici. Le doppie sono state anche peggio, con ben due incastri, dovuti alla fretta e alle condizioni meteo proibitive. Le giacche hanno iniziato a inzupparsi, i piedi pure, le mani a congelarsi, era imperativo arrivare il più presto possibile con i piedi sul ghiacciaio. Qualcuno era vestito poco, qualcuno male, ma tutti avevamo in mente cosa fare e la scala delle priorità. Ci leghiamo in fretta, come un cane da tartufi seguo la giusta traccia, e alla massima velocità percorriamo il ghiacciaio. Nonostante tra acqua e nebbia si veda ben poco, arriviamo finalmente ai piedi del pendio finale che dà accesso al Col des Flambeaux, per la prima volta sono contento di vedere quella rampa, almeno ci scaldiamo un po’.

L’arrivo in rifugio è mistico, c’è chi lancia via i ramponi e chi abbraccia la stufa, l’unica cosa che non si trova è il posto dove mettere ad asciugare le proprie cose oltre che, nel mio caso, un paio di mutande di ricambio.
Il giorno dopo, manco a dirlo, è stata una giornata tersa e bellissima, in cui abbiamo avuto la possibilità di svolgere attività e salite puramente didattiche e le famigerate manovre.

In conclusione, mi viene da pensare che forse questa attività negli ultimi anni ha assunto una conformazione per cui tutto sembra scontato e debba per forza svolgersi linearmente secondo quanto programmato. Abbiamo una mole di informazioni tale, tra relazioni, meteo, letteratura, che sbagliare sembra impossibile, il fallimento, ovvero l’abbandono della convenienza, o l’imprevisto non vengono neanche considerati. Ed allora via, fast and light, poca attrezzatura, tempi ridotti, si torna in rifugio dove c’è talmente tanta altra gente come te, che non trovi neanche posto per mettere ad asciugare i calzini. E se anche capitasse qualcosa di imprevisto, la colpa non è tua, è del caso, il fato ineluttabile, ovvio. O comunque di qualcun altro.

Gli errori si commettono, potevamo fare una via con una discesa più comoda? Potevamo provare a calarci sulla nostra via e anticipare di un paio di ore? Potevamo portarci qualche strato impermeabile in più? Si, tutto questo e tanto altro. Ma avevamo dalla nostra un bagaglio tecnico adeguato a scalare gli ultimi difficili tiri anche col bagnato, eravamo in due cordate, sapevamo perfettamente dov’eravamo e avevamo per ogni evenienza preso la traccia di avvicinamento. Conoscevamo esattamente le capacità dei nostri allievi.

Per fortuna questa piccola avventura si è risolta per il meglio, e oggi siamo a pensare “che freddo sabato!”, però che giornata! La salita l’abbiamo portata a casa, la pellaccia pure, e secondo me anche una bella esperienza di “fallimento”, o quantomeno abbiamo imparato che alle volte non va tutto come previsto, ma che se le fondamenta sono buone, costruite con pazienza, in qualche modo se ne esce anche quando si commette un errore e la montagna decide di farci provare cosa vuol dire “sbagliare”.

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Un’uscita anomala ultima modifica: 2023-08-03T05:57:00+02:00 da GognaBlog

40 pensieri su “Un’uscita anomala”

  1. probabilmente il comento numero 39 va letto in tono ironico e magari leggendolo non lo capisco.
    Se non è ironico invece non capisco la critica, dato che il finale dell’articolo esprime un pensiero condivisibile, non autoreferenziale, non da professore in cattedra o altro..
    Con immutata stima nei confronti dell’alpinista professionista Cominetti la cui fama lo precede, e altrettanta stima per la scuola Gervasutti che nella sua attività ha formato e permesso a centinaia di persone di frequentare la montagna in libertà e ragionevole sicurezza.

  2. Se questa è stata una giornata anomala è meglio che la domenica ve ne andiate al cinema.

  3. Ma smettiamola. Hanno fatto bene a fare l’uscita, le previsioni non davano fulmini ( almeno così dicono) ed erano ad un’ora dal Torino, con doppie sulle vie. Non erano nemmeno alla Piramid o alla Lachenal che ha l’accesso e quindi il rientro più crepacciato. Giornata formativa. L’unico errore che noto e’ il titolo del resoconto: Giornata Anomala. Direi una delle tante che si vivono quando anziché stare sul divano e scrivere commenti su un blog si va a scalare. Bravi istruttori della Gervasutti
     

  4. Trovato chiuso al CAI?
    Sia per trovare risposta alla tua reiterata domanda che per offrire la tua infinita competenza, è li che devi bussare. Improbabile che qui troverai una qualche autorità del CAI che voglia mettersi al pari dell’odiatore di turno che fa di una dialettica boriosa il suo motivo di orgoglio.
    Io non risponderò oltre, a maggior ragione al tuo misero attacco personale, come se da poche righe sapessi tutto di me. Potremo sempre incontrarci casualmente al Musine’ (se non la consideri una gita troppo ardita) per approfondire privatamente. Codice di riconoscimento: ‘Ratman c8gli8n3’ scritto in fronte.
    Buona montagna,
    Fabio

  5. Fabio, ti ringrazio per l’attenzione.
    Ti ho letto con curiosità, un bell’esercizio di stile, ampiamente sopra la media: bravo.
    Però come molti ciarlatani sui blog ti perdi nei dettagli, sei periferico, narcisistico egoriferito. Insomma contempli il tuo microscopico io in un esercizio leziosissimo di scrittura acefala.
    Il problema non sono le opinioni di un clown, le mie le tue o di altri, ma una azione che solo a posteriori – per non essere stata tragica – diventa significativa, ma solo nella narrazione autocelebrativa di una idea non solo opinabile come tutte, ma foriera di possibili guai.
    Tu, che pari caiano nella sicumera, nella presunzione, financo nella formazione,  dovresti aver ben chiara tutta la problematica delle problematiche euristiche.
    Ma te ne fotti. Il problema è quello  del contenuto formativo di un corso CAI: deve fornire esperienze esistenziali “indimenticabili” o insegnare ad andare in montagna in sicurezza?
    Mi piacerebbe avete opinioni di qualcuno che conta bel CAI e non le solite banalità.

     
     

  6. Caro Ratman (spero non all’anagrafe),
    speravo che ti fossi stufato, ma il tuo accanimento mi fa pensare che non la smetterai, allora sento l’impulso di fare notare come la tua narrazione sia ben più che stucchevole (cit. Ratman) e che si tratti di pura retorica (cit. Ratman), non di fatti. Parli di tragedia sfiorata, incompetenza, superficialità, fulmini e saette, guasconate, irresponsabilità. Dal racconto, io non riesco ad evincere tutto questo. Mi chiedo se tu fossi sul posto o se hai il dente avvelenato che ti porta a giudicare fatti che non conosci? Immaginando che sia la seconda, ti consiglio di moderarti e di lasciare che la passione guidi ancora chi ha piacere di dedicare tempo e risorse private alla trasmissione della nostra amata attività. Se non sai cosa fare del tuo tempo, viste le tue notevoli competenze, unisciti ad una scuola CAI, ne troverai facilmente una che ti accoglierà. Unico requisito: non dare del c8gli8n3, caiano, bellimbusto, o moccioso (cit. Ratman) agli appassionati con cui ti relazionerai, altrimenti verrai presto allontanato e ricadrai nella tristezza e frustrazione dei tuoi scritti su questo blog.
    Fabio

  7. 30@ Ma tu spari sulla croce rossa! Come si sa“caiano non mangia altro caiano”Hanno tutti uno scheletrico dentro l’armadietto

    mica solo i caiani… c’hanno lo scheletruccio.

  8. @31
    Fabio, grazie, l’ironia stempera.
    È certo che ogni persona con la testa sul collo guardi a queste guasconate come intemperanze della gioventù, forme di romanticismo che oltre ad una certa età, diciamo 30 anni, appaiono come pure sciocchezze. 
    Al di là della retorica stucchevole in cui le ha poste questo Filippo, evidentemente un irresponsabile, non tanto per sé, ma per degli  “allievi di un corso di alpinismo”, mi incuriosirebbe avere una opinione in.meeito dalle autorità del CAI preposte ai corsi. 
    Tenuto conto di tutta la problematica relativa alle trappole euristiche,  di cui il fenomeno @6 dovrebbe essere a conoscenza
     

  9. Caro Ratman, trattandosi di un’uscita del corso della Scuola Nazionale di Alpinismo Giusto Gervasutti nel gruppo del Monte Bianco, è presumibile che gli istruttori abbiano applicato il motto del Fortissimo: “Osa, osa sempre, e sarai simile a un dio”.
    Ne convieni?
     
    P.S. Il buon Giusto, da lassú, mi perdoni.

  10. @29
    Ma tu spari sulla croce rossa! 
    Come si sa
    “caiano non mangia altro caiano”
    Hanno tutti uno scheletrico dentro l’armadietto

  11. @ Ratman al 28. Semplicissimo, quelli che la pensano come al commento 6.

  12. Questo bellimbusto se la canta e se la suona. Vista la maturità dei contenuti mi auguro per lui che non abbia più di 25 anni, un moccioso che in compagnia di suoi pari si gioca la spensieratezza della gioventù tra rocce fulmini e saette.
    Leggo che è un istruttore del CAI. Allora la domanda è: chi istruisce gli istruttori?
     

  13. Una giornata con tempo mediocre o in previsione di tempo brutto può essere trasformata in un’occasione didattica unica e non in una corsa contro il tempo e la sfiga. Coinvolgere il compagno di cordata nel prepararsi alle brutte condizioni facendo tante cose che i manuali non insegnano perché generalmente si fanno inconsciamente, ad esempio pianificare la salita visualizzando le vie di fuga, cogliere i segnali dell’imminente cambio del tempo dalle nuvole, dalla direzione delle brezze, imparare a crearsi una mappa mentale di punti di riferimento prima del calare della nebbia, predisporre giacche, guanti cappello ecc. in modo tale da estrarli rapidamente dallo zaino e quando il tempo effettivamente cambia ebbene imparare a pronunciare il fatidico “ora si torna indietro”.

  14. Neanche quattro chiodi e un martello al seguito.

    Non si può dare questo messaggio agli allievi di un corso.
    E’ roba persa nella notte dei tempi. E’ preistoria.

  15. @ Ratman al 3, @ Mauro al 22 e @ Dm al 24. Il mondo non va più così, ma va come al commento 6. Neanche quattro chiodi e un martello al seguito per attrezzare doppie per far fronte agli imprevisti perché quelle esistenti, per sentito dire, si incastrano. Quelle sull’altra parete invece no. Oggi, se manchi l’obiettivo, qualsiasi obiettivo, non sei nessuno! Tutto il resto non conta.

  16. Ho prevalente esperienza dolomitica e quindi non azzardo giudizi . Nella mia lunga attività di istruttore ho tenuto sempre alcuni principi 1) portare allievi su vie già fatte e ben conosciute 2)portare allievi dove potrei arrampicare in libera 3) le vie devono avere comode vie di fuga 4) considerare il meteo in modo pessimistico. Il mio principio è che l’obbiettivo della scuola è quello didattico non la gita. Quando accompagno voglio ridurre al minimo il rischio per l’allievo, per la scuola e per me. 
     

  17. Il messaggio secondo me non è corretto. Non è corretto perchè le previsioni non sono certezze,  ma appunto previsioni. Fare totale affidamento sul fatto che si prevede l’arrivo del brutto ad una tale ora,  fare affidamento che tanto noi a quell’ora saremo già al sicuro quando il brutto arriverà,  per esperienza personale è un giochino pericoloso e prima o poi si rimane fregati.

  18. La gestione tutto sommato è positiva per quel contesto, ma inviterei a riflettere se il messaggio che si trasmette agli allievi sia corretto. Consideriamo che il 95% degli allievi dei corsi CAI fa una salita sul Bianco senza avere esperienza e capacità di condurre in autonomia una gita escursionistica EE. Non nascondiamoci, ma questa realtà esiste anche tra gli istruttori. Innegabile ci sia stato comunque quello che definisco un azzardo cognitivo, le previsioni davano un peggioramento, era previsto da giorni (lo so per avere seguito le previsioni), se arrivo in quota e vedo sereno vuol dire semplicemente che c’é un ritardo. Chi ha macinato tanti sentieri ha anche l’occhio per vedere i segnali premonitori di un cambiamento. Chi frequenta le alpi occidentali sa che il cambio del tempo sul massiccio del Bianco è questione di un paio d’ore, numero di ore che aumentano proporzionalmente spostandosi verso il massiccio del Rosa, del Gran Paradiso e delle Graie. Ora siamo a 3800m ma il fatto di avere un rifugio a due passi, il fatto che il telefono prende ovunque, che in un attimo puoi avere i soccorsi, che hai speso i soldi per la funivia, che domani potrai solo fare noiose manovre fa decidere comunque di proseguire, di convincere noi stessi che le previsioni siano sbagliate. Ebbene tutto questo l’allievo non lo sa e quindi non lo apprende, non apprende quali scherzi ci gioca la deformazione della percezione, penserà che tutto sia un parco giochi com’é diventata quell’area di grandi pareti in un contesto anomalo. Ricordiamoci che un esperto, guide comprese, tende a prendere maggiori rischi sul terreno a lui più congeniale, quando invece per essere didattico dovrebbe prendere il livello di rischio compatibile all’allievo, altrimenti l’allievo impara a decidere con parametri o strumenti che non sono i suoi.  Basta spostarsi di qualche chilometro anche solo nel Gruppo del Gran Paradiso, a quote decisamente minori e dubito se con analoghe previsioni si azzarda una salita ben più banale rispetto alle salite del Tacul, se si intraprende una salita che non concede una via di fuga prima di averla completata.  In caso di nebbia al Rifugio Torino si arriva sempre anche se sfiniti, segui le tracce e cerchi di non finire in un buco, nei valloni del GP in caso di nebbia se non si conosce il territorio e non si mantiene la lucidità ci si perde sui pendi di erba olina e non ci sono ne telefono e ne GPS ad aiutare. Dal punto di vista commerciale la salita nel circo del Bianco è sicuramente un successo, ma dal punto di vista didattico che conseguenze può avere?

  19. … si mi e’ piaciuta la sottile ironia del Guido Riva sulla terza foto dall’alto … pero’ francamente la alpinista (al femminile) non mi sembra troppo dispiaciuta nell’essere stata portata in quel posto …. anzi!!!
    Saluti.
    Ms
    PS: ovviamente da parte mia e’ solo tutta invidia …. 🙂 !!!

  20. Non serve commentare, la terza foto dall’alto spiega tutta la differenza che c’è fra gli alpinisti e gli arrampicatori sportivi.

    poi magari questa si becca un congelamento ai piedi o alle mani e denuncia il corpo istruttori.

  21. Un bon instructeur connaît le niveau des grimpeurs qu’il emmène et leur mental.
    Il est aussi capable de gérer les problèmes qui peuvent survenir, malgré le soin apporté à la préparation de la course.

  22. Sono d’accordo con Grazia: hanno (moderatamente) pisciato fuori dal vaso e gli è andata bene. Punto.
     
    E sono convinto che lo sappiano benissimo: “Potevamo …? Potevamo …? Potevamo …? Si, tutto questo e tanto altro.”
     
    Avrebbe potuto andare peggio? Di certo (anche perché può sempre andare peggio…) ma era decisamente più probabile che potesse andare meglio.
    Mi sa che qualche volta io abbia fatto di peggio (e che il ratto non sia mai andato in montagna…)
     

  23. Mi è piaciuto leggere l’articolo. L’unica nota che trovo stonata è la convinzione che per via delle competenze acquisite tutto è andato bene. Se anche solo, banalmente, qualcuno di loro avesse accusato malesseri, avrebbero dovuto sostare più a lungo, magari portandosi a casa ipotermie e altro per via dell’inadeguatezza dell’equipaggiamento. E’ andata dritta, punto, e nello zaino si ritrovano un po’ di esperienza in più.

  24. Secondo me è strano portare degli allievi su una via con passaggi di 6c

    …eh… và beh…ma oramai il 6C è escursionismo verticale.
    Gli allievi se li porti su una via che reputano troppo facile, magari  ti fanno la recensione negativa su F.B.  come quelli che fanno ai ristoranti.

  25. Nessuno mi può giudicare, cantava una famosa poetessa dei mitici anni ‘60. Quindi evitiamo di cadere nella diffusa “giudicatio precox” che notoriamente non fa bene alla salute. Certamente, in generale, c’è una sottile linea rossa che distingue la belinata classica dall’esperienza educativa sfidante, come la chiamano i formatori. Spesso dipende dall’esito. Se finisce bene va ad alimentare quel bagaglio di belinate che poeticamente chiamiamo “esperienza”, se finisce male dipende dal giudice che trovi. Dopo la scuola di roccia, io e il mio compagno fummo portati dal nostro istruttore a fare la Segantini ancora innevata, cosa che agli occhi di due giovani dinosaurini del giurassico appariva una bella impresa. A causa di un suo errore, finimmo appesi come salami nel vuoto sopra il mitico canalone che tante vittime ha fatto negli anni. Lui poi disse che aveva voluto vedere se avevamo imparato bene a risalire una corda coi prusik. Ho imparato tantissimo da quella esperienza. Soprattutto cosa non fare. Ad esempio a non fidarmi ciecamente degli esperti e a fare, educatamente e con rispetto, ogni qualche domandina ficcante e vedere l’effetto che fa (tanto per richiamare altri temi “caldi” del blog). Insomma,  sempre per citare un altro poeta: “Dai diamanti non nasce niente, dalla merda nascono i fior”. Purché non siano crisantemi,  caro e amatissimo Faber. 

  26. Durante un’ascensione in alta quota è arrivato il maltempo.
    Chi non l’ha mai provato o è stato incredibilmente fortunato oppure non ha mai fatto scalate in vita sua, tranne forse sulla Prima Torre di Sella con l’anticiclone africano Inferno stazionario da un paio di settimane sulle Dolomiti Occidentali.
     

  27. Non serve commentare, la terza foto dall’alto spiega tutta la differenza che c’è fra gli alpinisti e gli arrampicatori sportivi.

  28. Secondo me è strano portare degli allievi su una via con passaggi di 6c

  29. Non riesco a capire cosa ci sia di strano in questo racconto. In montagna mica splende sempre il sole.
     
    Ratman merita un discorso a parte perché è un troll.
     

  30. #Ratman mi fai un po’ di tenerezza, deve essere proprio brutto avere tutta questa frustrazione verso il CAI da esprimere giudizi così assoluti nei confronti di una persona che aldilà della sua appartenenza al club alpino italiano ha scritto un bellissimo post, mai banale e con dei contenuti molto interessanti. Vorrei proprio conoscere quella persona che frequentando un po’ la montagna non è mai incappato in situazioni simili o peggiori. Però da come ti esprimi immagino che tu saresti stato brevissimo ad evitare o a prevedere ogni singolo problema. Grazie per la tua esistenza e per le utilissime riflessioni che ci hai lasciato.

  31. @Enri
    Sì,  condivido appieno. I temporali sono un’altra faccenda. Quando davano “temporali in montagna nel pomeriggio ” cercavo qualcosa in basso da mezza giornata 

  32. @3
    Io non sono Caiano ma non mi sento nemmeno di mettere in croce gli istruttori della Gervasutti per questo evento. Come dice Davide, di episodi di questo tipo ve ne sono nelle carriere di ognuno di noi, chi non si è mai preso una buferetta ed è arrivato in rifugio fradicio. Se poi sei su una via su cui più meno sempre puoi calarti in doppia e a quel punto hai un’ora di ghiacciao (piuttosto tranquillo) per arrivare in rifugio non mi sembra un azzardo eccessivo. Anzi almeno una volta devi trovarti in situazioni simili per capire cosa sigifica e che si può resistere a lungo e a molto peggio. Certo hai degli allievi, ma allora sul Bianco non li porti proprio…. L’unica differenza sostanziale per me la fanno i temporali e fulmini, se le previsioni davano mattina bello e pomeriggio coperto ma senza temporali allora ci sta che siano andati. Personalmente sono sempre stato molto attento quando il brutto tempo significava temporali …..
     

  33. L’alpinismo è un’attività con un tasso implicito di rischio ineliminabile. Esser cannibali significa “non saper gestire il rischio”. In questo caso gli istruttori hanno dimostrato di saper gestire il rischio con cognizione di causa. Saper gestire il rischio non significa eliminarlo totalmente, significa saper fare le cose giuste al momento giusto.  L’uscita ha registrato un congruo valore educativo per gli allievi, perché si sono temprati alla corretta impostazione. In realtà non è una singola uscita che “forma” un allievo, bensì una catena costante e pluriennale di uscite (con relative lezioni teoriche), in cui si trasmette il corretto approccio alla montagna. Ogni uscita è un tassellino nel cammino educativo degli allievi. Leggendo il resoconto di questa specifica uscita, l’impressione è che gli istruttori abbiano sempre avuto la situazione sotto controllo.

  34. Disclaimer: l’alpinismo è un’attività pericolosa, i partecipanti dei corsi vengono informati dei rischi e scelgono liberamente di parteciparvi… Se volete il rischio zero c’è sempre il divano, forse.

  35. Credo che nelle esperienze alpinistiche di molti “datati” al par mio esperienze analoghe non siano mancate, anzi tutt’altro.
    Sono parte integrante delle regole di un gioco nel quale nulla è scontato. 
    Va bene così 
     
     

  36. Spacciare come una esperienza positiva e farsene un vanto una tragedia sfiorata può essere solo indice di incompetenza e superficialità. Se poi si pensa che quanto è accaduto si è svolto durante una uscita di un corso di alpinismo di una scuola del CAI secondo me ci sono gli estremi della denuncia di tutta la catena di responsabilità.
    Certe banfate già sono imbarazzanti tra “alpinisti” provati, ai quali si può affibiare tranquillamente il titolo di c8gli8n3,  quantomeno disdicevoli o peggio in un contesto in cui degli “allievi” si affidano  a dei presunti “istruttori”.
    Chissà se qualche autorevole caiano ha qualcosa da dire a tale proposito.

  37. Sembrano i corsi di quarant’anni fa, bellissimi e che ti rimangono nel cuore. Oggi non è più pensabile, a meno di non volersi esporre non ai rischi della montagna, bensì a una montagna di critiche ed insulti da parte della qualunque. Complimenti per la bella giornata.

  38. Insomma, un superficiale esame delle previsioni, un equipaggiamento insufficiente, una iniqua valutazione dell’itinerario….pare una gita che facevamo noi senza guide!!!!
    Bella esperienza

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