La 394 violata
(il futuro dei parchi nazionali)
di Carlo Alberto Pinelli
Lettura: spessore-weight**, impegno-effort**, disimpegno-entertainment*
Non è senza stupore che ho letto, su uno degli ultimi numeri della rivista Montagne360, la posizione del Club Alpino Italiano sostanzialmente favorevole alle modifiche alla legge quadro sulla natura protetta (legge 394/91) inserite nel ddl 4144, a breve in votazione nell’aula del Senato. L’associazione Mountain Wilderness Italia, assieme a Italia Nostra, al WWF, alla Lipu, a Pro Natura, ha invece espresso un giudizio radicalmente negativo su quelle modifiche, pur riconoscendo la comparsa di alcuni marginali aspetti positivi (tra questi il divieto della pratica dell’eliski nei parchi nazionali e la connessione tra la rete Natura2000 e il sistema delle aree protette).
Tutti concordavamo sull’opportunità di “fare il tagliando” alla legge del ‘91 per meglio adeguarla alle mutate condizioni sociali, gestionali, culturali maturate in questi ventisei anni. Ma speravamo che l’asticella sarebbe stata ulteriormente alzata per tentare di portare il sistema dei Parchi verso il centro degli interessi nazionali, cancellando le ragioni della loro progressiva marginalizzazione e trasformandoli in attivi laboratori dove si dovrebbero elaborare strategie sempre più efficaci relative al rapporto tra i cittadini italiani e il loro patrimonio naturale, storico, artistico. Invece ci troviamo davanti a un provvedimento raffazzonato, inadeguato, che vola basso, sembra ignorare l’importanza della posta in gioco, oltre a contenere sospetti di incostituzionalità. E’ un provvedimento che nel suo insieme testimonia l’umiliante capitolazione dello Stato. Uno Stato che rinuncia alle proprie primarie competenze nei confronti della tutela della biodiversità, del paesaggio, della cultura naturalistica, abbandonandone la gestione a istituzioni più simili a super-pro-loco che a autentici parchi nazionali. Gli imperativi della conservazione non rappresentano più la priorità, ma divengono soltanto strumenti per raggiungere il vero obiettivo: quello sviluppo cosiddetto sostenibile che si incarna nella discutibile green economy ed ha di conseguenza un orientamento essenzialmente economico e mercantilistico. La sagra della castagna diverrebbe più importante della tutela degli orsi o degli stambecchi. In una parola, vengono disinvoltamente capovolte le priorità su cui si radica lo stesso concetto di parco nazionale.
A cavallo nel Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga
L’analisi circostanziata del testo che giustifica queste mie affermazioni sarebbe troppo lunga. Mi dichiaro pronto a farla in qualunque pubblico dibattito che la TAM vorrà organizzare. Qui accennerò solo di sfuggita ai punti maggiormente contestabili.
La Governance: le norme per la nomina del Presidente del parco sono troppo vaghe e generiche. Parlare di “comprovata esperienza in campo ambientale, nelle istituzioni, ecc”, senza specificare il livello e la durata di tali esperienze, permetterebbe un’eccessiva discrezionalità nelle scelte da parte del Ministro dell’Ambiente. Cosa che accade già oggi, ma che una nuova legge avrebbe dovuto correggere, ponendo paletti precisi (laurea specifica, ecc.).
Consiglio Direttivo: il Consiglio, costretto entro le risibili maglie del numero massimo di otto componenti, dovrebbe essere composto da quattro rappresentanti della Comunità del Parco e da quattro consiglieri scelti dal Ministro dell’Ambiente (uno), dal Ministro delle politiche agricole (uno, identificato tra i candidati proposti dalle associazioni degli agricoltori locali!), dalle Associazioni ambientalistiche (uno), dall’ISPRA (uno; qualora l’ISPRA non fosse in grado di soddisfare tale impegno si potrà fare ricorso a un esperto universitario). Ciò significa che la componente scientifica verrebbe estromessa dal Consiglio, sostituita quasi sempre da un funzionario dell’ISPRA: ente dipendente dal Ministero dell’Ambiente e dunque privo di un sufficiente grado di autonomia. E’ evidente che la presenza di un rappresentante degli agricoltori locali, ancorché fatta propria dal ministero competente, incrina gravemente l’equilibrio tra i portatori di interessi nazionali e portatori di interessi localistici che invece la legge 394 garantiva.
Per la verità Mountain Wilderness aveva chiesto l’inserimento nel Consiglio di una nona figura, in rappresentanza del Ministero dei Beni Culturali e del Turismo. Nei nostri parchi nazionali l’ambiente naturale è quasi sempre intriso di emergenze storiche, archeologiche, artistiche: antichi monasteri, romitori, borghi medioevali, chiese e castelli. Ci sembra che il MIBACT avrebbe più diritto di esprimere il proprio parere di quanto l’abbiano le categorie legate ad attività economiche, non sempre rispettose dell’ambiente naturale.
Attenzione! Il peggio deve ancora arrivare. E riguarda la nomina del Direttore. Il quale, in pratica, viene ridotto al rango di dipendente dalla volontà e dai disegni politici di un Presidente potenzialmente non qualificato e di conseguenza avrebbe serie difficoltà a contestarne le scelte, pena il licenziamento.
Non posso chiudere questo mio breve intervento senza accennare al meccanismo delle royalties, basato sulla logica “se paghi puoi inquinare o manomettere il territorio per interventi minerari”. Una concezione che intende le risorse della natura come merce di scambio. Oggetto di possibili baratti. Ci siamo capiti?
E’ vasta la quantità degli altri argomenti (tra i quali quelli attinenti agli abbattimenti selettivi della fauna, affidati alle associazioni venatorie!) che potrei presentare a sostegno delle mie affermazioni. Ma sono costretto a fermarmi qui.
Pro e contro della riforma
(a cura di Alessandra Longo)
Per maggiori dettagli potete consultare i seguenti documenti:
– Dichiarazione del Comitato etico-scientifico di Mountain Wilderness Italia
– Legge sui Parchi, salto indietro di 40 anni (Il fatto 27 giugno 2017)
– I dieci punti più critici, di Giorgio Boscagli
– Parchi, riforma da bocciare, di Bernardino Ragni (Panorama, 5 ottobre 2017)
– La doppiezza del “più grande partito ambientalista d’Italia”, di Carlo Alberto Graziani (Il Manifesto, 4 ottobre 2017)
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Vedremo soltanto una sfera di fuoco.
Ma noi non ci saremo. 😉
Tutto inutile, quando quel po’ di ghiaccio rimasto sparirà, l’arco alpino non avrà ne neve ne acqua e nient’altro ci sarà da sfruttare, sarà un deserto, reso ridicolo dalle ferraglie installate per trarne reddito; solo questione di anni, l’accelerazione con cui ciò avviene è impressionante.
La tutela della Natura non può, non deve, essere sacrificata allo sviluppo economico, e lo Stato non può e non deve venire meno al suo mandato costituzionale, consegnando ai soli interessi locali la gestione di un bene comune come il sistema dei Parchi Nazionali e delle Aree Marine Protette… il testo in discussione al Senato non garantisce e quindi va abbandonato o bocciato.
Può un burocrate della vita sentire la Terra?
È più facile per noi risalire la corrente, portarci là dove nascono le cose, affinché gli ammnistratori di domani riconoscano lo scempio del progresso, cosi desiderato dai loro precedessori.
Ma allora la domanda è, “avremo la determinazione di un salmone o anche in noi emergerà la disponibilità per apprezzare quanto sia bello scendere la corrente?”