La delusione di Luca Gardelli

La delusione di Luca Gardelli
Un servizio di altissimo valore non può rinunciare a un processo di miglioramento continuo sul piano etico
di Luca Gardelli

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Erano i primi giorni di giugno di circa quindici anni fa quando con un amico stavo arrampicando sulla cresta sud del Piz Popena nel gruppo del Cristallo. Previsioni ottime, arrampicata piacevole, poi nel primo pomeriggio il tempo mutò rapidamente e a circa 300 metri dalla vetta si scatenò un temporale con fulmini e grandine di un’intensità inaudita.
Completamente vulnerabili sul filo della cresta rocciosa, allontanammo tutta l’attrezzatura metallica e fummo schiaffeggiati da pioggia, fulmini e grandine per oltre mezz’ora.
Al termine del temporale si concretizzò quindi la nostra esperienza con il Soccorso Alpino che, venuto a conoscenza della nostra difficile situazione, intervenne con l’elisoccorso e in hovering ci ricondusse a valle.

Monte Cristallo e Piz Popena dal ponte Rudavoi
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Da quel giorno iniziai a riflettere sul valore di questo servizio e maturai il desiderio di poter un giorno fornire il mio piccolo contributo ad alpinisti in difficoltà, o comunque frequentatori della montagna in genere. Mi sembrava del tutto naturale e necessario dedicare parte del mio tempo ed energie per aiutare altre persone che come me vivevano nella montagna uno spazio ricco di emozioni e che purtroppo a volte si trovavano nella necessità di essere aiutati come era accanto a me.

Una necessità che esprimeva, attraverso un’azione di volontariato, ciò che di più nobile può rappresentare per un alpinista abituato a vivere con intensità esperienze ed emozioni in montagna.

Iniziò quindi il mio percorso formativo nel Soccorso Alpino, con entusiasmo e serietà, e con la crescente consapevolezza che dedicare parte del proprio tempo in modo gratuito al prossimo, costituisce un indiscutibile arricchimento personale. Era il riconoscimento, in una società come quella attuale che spesso conduce in modo fuorviante a considerare l’individuo come elemento destinato alla ricerca egoistica del proprio interesse e piacere, che il desiderio di felicità cui siamo chiamati forse trova maggior realizzazione quando esso viene condiviso in maniera più estensiva possibile e soprattutto si esprime attraverso un donarsi gratuitamente.

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Con “delusione” viene definito un sentimento di amarezza che scaturisce dal constatare che la realtà non corrisponde alle aspettative; dal latino [delusio], che è dal verbo [deludere] prendersi gioco. L’etimologia ce la descrive come un’amara ironia: una chiave interessante con cui guardare quel sentimento di tristezza, sfumato di rabbia, che nasce quando vediamo disattese le nostre aspettative, quando la realtà non corrisponde a ciò che credevamo, o speravamo.

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Nel tempo, la mia esperienza nel Soccorso Alpino, pur nel ricordo di tante cose positive, mi ha condotto a sperimentare direttamente, mio malgrado, questo sentimento.

Progressivamente, notando con sorpresa comportamenti anomali in un contesto di volontariato che dovrebbe manifestare come unico movente lo spirito di servizio per la collettività, mi sono spesso interrogato sul motivo per cui una massiccia dose di autoreferenzialità in alcuni componenti dell’associazione potesse coesistere con gli alti valori che questo servizio esprime. Sia ben chiaro: non credo nel modo più assoluto che esercitare il ruolo di volontario significhi farsi carico unicamente di fatiche e sacrifici. E’ legittimo ritenere che la soddisfazione debba costituire un elemento irrinunciabile, ma il modo attraverso il quale esso va ricercato ed espresso dovrebbe, a mio avviso, essere caratterizzato da estrema sobrietà e sensibilità.

In una qualche occasione, di fronte a episodi di manifesto protagonismo ed esibizionismo, ricordo di aver scritto a tutta la mia Stazione di appartenenza che “non esiste più grande soddisfazione per il proprio operato al di fuori di quella che si può coltivare nel proprio intimo la sera spegnendo la luce prima di addormentarsi, senza quindi cercare la luce dei riflettori”.

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Presi atto purtroppo che tale dicotomia era presente e neanche tanto circoscritta.

Ingenuamente credetti che un contesto operativo, in cui la necessità di migliorarsi trova il presupposto nella totale apertura al dialogo e confronto nel rispetto reciproco, potesse ospitare le mie riflessioni. Così non è stato e oggi il motivo per cui sono qui a testimoniare la mia esperienza va cercato nella sprezzante e aggressiva reazione a questo mio atteggiamento di trasparenza e serietà che credo nel tempo di aver rappresentato.

Di fronte a questa consapevolezza e alle difficoltà crescenti nell’appartenenza a una realtà che esprimeva forti contraddizioni e che credevo in questo senso fosse solo locale, più volte mi sono domandato se abbandonare il Soccorso Alpino. La scelta di rimanere era dettata da un obbligo morale legato alla necessità di testimoniare qualcosa di differente al comune sentire e che forse un giorno avrebbe trovato terreno fertile per dare origine a un cambiamento. Tutto ciò senza presunzione di verità nel merito ma sempre nel tormentato dubbio introspettivo, unicamente espresso su un piano di ragionevolezza e buon senso che alimentava semplicemente una richiesta di dialogo.

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L’epilogo della mia esperienza nel Soccorso Alpino è legato a una vicenda a cui, a distanza di mesi, ancora oggi mi trovo a riflettere con immutato stupore.

La questione ebbe origine banalmente da una richiesta di approfondimento che avanzai su una attività che la Stazione Monte Falco, cui appartenevo, si apprestava a svolgere.

Questa attività (pulizia di un muro), così come richiesto formalmente per iscritto dal Comune di Premilcuore, fu oggetto di una mia segnalazione per la verifica di conformità alle finalità indicate nello Statuto CNSAS.

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Prima dell’intervento del Presidente Nazionale con il quale egli chiese l’avvio del procedimento disciplinare nei miei confronti (il Presidente Baldracco mi accusò di essermi rifiutato di partecipare a un evento e di aver sporto denuncia all’AUSL!?), in ogni approfondimento da me richiesto a tutti i livelli del CNSAS o non mi furono fornite risposte, o queste furono espresse in modo poco chiaro (non si parlò di Statuto, né di “Protezione Civile”, né di “addestramento”), tanto più che il Capostazione comunicò la programmazione dell’evento senza allegare la consueta “notifica” di addestramento.

Successivamente alla mancanza di risposte ai miei quesiti, dopo settimane e nell’imminenza dell’evento già programmato, richiesi informalmente un parere all’AUSL.

Tale richiesta era conforme a questo percorso di approfondimento, così come lo fu la condotta degli Ispettori che telefonicamente avanzarono richieste di informazioni e fornirono suggerimenti, poi recepiti sia dal Sindaco che dal Capostazione.

L’evento fu così annullato in quanto ritenute fondate le perplessità dell’AUSL, che erano anche le mie.

In seguito, il Presidente Regionale SAER in occasione di un’assemblea di Stazione appositamente convocata, richiese la votazione della mia inidoneità attitudinale, che fu decretata da una nutrita maggioranza dei volontari.

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Questo processo nei miei confronti, perché ritenuto responsabile di aver richiesto dei chiarimenti, mi sembrò un po’ forte, quanto meno in una associazione in cui il confronto dovrebbe essere favorito anche come elemento a tutela della sicurezza reciproca. La percezione da parte dei volontari di appartenere a una associazione in cui invece ogni dubbio che si solleva può determinare emarginazione e intimidazione (se non si rientra nelle giuste “simpatie”), non credo sia favorevole alla sicurezza e alla prevenzione di eventuali errori.

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Tutto ciò per quanto riguarda il metodo, “il come”, se vogliamo.
Per quanto riguarda invece il merito della questione, “il perché”, indicai che:

  • l’attività di pulizia di un muro difficilmente si può ritenere tra i compiti del CNSAS così come stabilito dallo Statuto;
  • al punto c) dell’art. 2 dello Statuto si parla sì di “attività di Protezione Civile” ma in riferimento specifico a “interventi di ricerca e soccorso in caso di emergenze o calamità”, casi molto differenti da quello in esame;
  • nel caso infatti di Premilcuore, a seguito degli accertamenti che condussi attraverso accesso agli atti, il Comune dichiarò che non erano stati prodotti atti specifici per l’attivazione di attività di Protezione Civile, ma esplicitò che genericamente essa poteva rientrare in un programma generale di prevenzione;
  • in altri casi genericamente richiamati, la partecipazione del CNSAS a eventi di Protezione Civile rientrava invece in specifiche attivazioni o accordi a livello regionale o nazionale;
  • in aggiunta, sussistono dubbi normativi fondati in materia di sicurezza in cui, come segnalato nell’intervento informativo degli Ispettori dell’AUSL, questa tipologia di attività anche se esercitata in regime di volontariato, non possa comunque essere oggetto di deroghe in relazione alla specificità, richiedendo DPI (Dispositivi di Protezione Individuale) da lavoro e formazione specifica;
  • sostenere infine che questo contesto (come fu espresso formalmente dalla Delegazione Regionale) poteva trattarsi di un addestramento mi sembra un’acrobazia che, mi sia consentito, tra persone serie andrebbe evitata e lasciata a una dialettica da bar (vogliamo raccontare che calarsi da un muro eventualmente con una barella Kong ripulendo un muro, per tutta la sua estensione, da erbe infestanti costituisce attività funzionale all’addestramento?) Questo fu il quadro sintetico che originò la richiesta da parte del Presidente Nazionale di attivare un procedimento nei miei confronti e che condusse il Presidente Regionale a chiedere alla Stazione la votazione della mia inidoneità, tra l’altro con un esercizio non previsto dal regolamento che attribuisce questa funzione al Capostazione. Una richiesta di inidoneità che fu volutamente espressa in modo generico ma che neanche troppo velatamente, come risulta da quanto scritto dal Delegato, si può ritenere strettamente connessa alla vicenda di Premilcuore.

Pier Giorgio Baldracco
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A questo punto, nonostante il mio attaccamento a questo servizio (per i valori che esso esprime) mi abbia motivato a sopportare nel tempo svariate criticità e, da ultimo, il peso di questa controversia, dichiarai che mi sembrava improbabile che si potesse pensare a un mio reintegro nella Stazione Monte Falco. Si doveva infatti prendere atto che era stato consentito che il clima fosse stato volontariamente deteriorato anche in seguito ad attacchi offensivi ed oltre il limite della decenza come quelli che ricevetti via email ad opera di alcuni volontari, senza che nulla fosse osservato da alcun responsabile.

L’esito del procedimento fu la mia esclusione dal Soccorso Alpino.
Non ci sono dubbi sul fatto che questa vicenda possa fornire numerosi spunti di riflessione. Se in questa circostanza (e forse in quante altre meno note) il Soccorso Alpino ha dato dimostrazione di compattezza e decisionismo, probabilmente sussistono molte perplessità che lo abbia fatto esercitando serietà, onestà e rispetto di fronte alla giustizia e alla verità. Tutto ciò con l’obiettivo di non affrontare con chiarezza e trasparenza un tema scomodo ma fondato, considerando prioritaria l’eliminazione di un fastidioso volontario. Un volontario che ponendo un problema concreto affinché fosse spiegato come affrontarlo, è stato ritenuto egli stesso “il problema”, da eliminare quindi senza troppe spiegazioni.

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Mi ha stupito questo metodo, non tanto per gli attori che l’hanno interpretato a livello locale: mi ha stupito appurare che questa linea era condivisa sia a livello regionale che a livello nazionale, in un susseguirsi di acrobazie intellettuali inenarrabili.

In una delle mie dettagliate memorie difensive che ho prodotto nel corso del provvedimento disciplinare che ha condotto alla mia esclusione, esposi quanto segue: “Scrivo pertanto queste ultime note con il peso della consapevolezza che le energie andrebbero spese per ben altre cose più utili. Ma del resto la necessità di scrivere queste note è conseguente all’affermazione dell’onestà, la serietà e il rispetto, come valori non negoziabili e che costituiscono premesse irrinunciabili soprattutto quando si vuol svolgere un servizio di volontariato come quello intrepretato dal CNSAS”.

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Come è possibile che un’associazione che ha come obiettivo il servizio verso persone in difficoltà possa assumere atteggiamenti come quelli documentati negli atti prodotti nei miei confronti? E’ da ritenersi giustificato in ogni sua condotta colui che adoperandosi per il bene della collettività, esercita uno stile non rispettoso di altri valori in ambiti differenti dal soccorso operativo? Io credo che a queste domande, la risposta possa essere una sola: in ogni contesto sociale non ci si può ritenere idonei, anche se tecnicamente preparati, se come premessa non esiste una piattaforma di valori non negoziabili a cui mai ci si può sottrarre.

E neppure si può mantenere il silenzio di fronte a fatti di illegittimità e ingiustizia quando se ne viene a conoscenza. Quando gli dissi che uno stimato alpinista si era interessato al mio caso, un amico mi chiese: “Ma lui che c’entra?”. Risposi che “… lui c’entra come c’entrano tutte le persone serie che, venute a conoscenza di comportamenti illegittimi, decidono di non stare in silenzio, anche se l’illegittimo non li colpisce direttamente nei propri interessi.

Altrimenti siamo destinati al declino, ad una società fatta di personaggi come Razzi…”fatti li cazzi tua” (Crozza docet)…”.

Ora, il Soccorso Alpino come componente del variegato contesto del volontariato, costituisce nel nostro paese un tassello importante e di alto livello. Ogni giorno la sua azione rappresenta un elemento irrinunciabile nel nostro complesso sistema. Vorrei augurare al Soccorso Alpino una crescita non solo tecnica, ma soprattutto dal punto di vista dei valori che ogni volontario dovrebbe interpretare e che coloro che assumono ruoli di coordinamento dovrebbero veicolare. Senza questo presupposto possono sicuramente essere salvate tante vite umane, ma il futuro che regaliamo ai posteri non sarà certo quello di una società viva e solida umanamente.

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La delusione di Luca Gardelli ultima modifica: 2015-06-09T07:00:06+02:00 da GognaBlog

21 pensieri su “La delusione di Luca Gardelli”

  1. “Prima nasce l’alpinista poi il soccorritore” questa espressione viene spesso adoperata nell’atto di descrivere un tecnico del soccorso alpino, spesso si dimentica che presupposto per essere soccorritore sono delle qualità morali non indifferenti quali anche la discrezione. Ho passato abbastanza tempo militando tra le associazioni di soccorso sanitario per capire che certe persone, tra gli altri prive persino di competenze, esercitano la mansione così da poter ostentare la loro posizione sugli altri, sia per l’immagine che per il ruolo, parliamo comunque dell’esercizio di un potere non indifferente che a volte può risultare davvero inopportuno. Il caso dell’arresto cardiaco in un neonato avvenuto a Genova ne è un esempio calzante, i volontari ostentarono il loro successo sui social media e goderono dell’attenzione di media televisivi mentre una piccola creatura lottava per la vita nell’ospedale Gaslini a causa di una malformazione cardiaca, il tutto finì per il meglio ma certe persone avrebbero ballato anche sulla tomba di un morto se ne avessero avuto occasione. Ahimè non basta essere bravi perché l’esibizionismo porta davvero a compiere atti incompatibili con la propria figura e ciò che dovrebbero essere tenute a fare le associazioni sarebbe vigilare su questi comportamenti e non incentivarli.

  2. mi sa che l’assessore è come l’edera del muro… altro che 9a o 9b questo qui arrampica a livelli che ce li sogniamo… un bell’esempio di buona amministrazione veramente, neanche il KGB avrebbe saputo esprimersi meglio!

  3. Troppo onesto e intelligente il Gardelli per restare nel soccorso potendo dormire la notte.
    Questo è un precedente scandaloso e pericoloso che va combattuto con il buon senso. Ma nel CNSA è cosa assente. Che peccato.

  4. Provvedimento disciplinare contro volontario Saer: “Gestione vicenda regolamentare”
    “In base a quanto rilevato dallo stesso Soccorso alpino e speleologico dell’Emilia-Romagna (Saer), la gestione della vicenda disciplinare appare regolamentare, sia sotto l’aspetto formale che procedurale, in quanto la democraticità dell’attività del Saer trova fondamento sia nell’espressione di una decisione assembleare e non verticistica, che nell’applicazione degli istituti statutari e regolamentari che ordinano il soccorso alpino”. L’assessore alla Difesa del suolo e della costa, protezione civile e politiche ambientali e della montagna, Paola Gazzolo, è intervenuta in aula per rispondere all’interpellanza presentata da Giulia Gibertoni e Andrea Bertani, consiglieri del M5s, sulle problematiche scaturite dalla vicenda relativa alla pulizia di un muro di contenimento in alveo fluviale, nel comune di Premilcuore, che hanno portato a un provvedimento disciplinare nei confronti di un volontario del Saer.
    In merito invece all’aspetto tecnico- ha aggiunto l’assessore- il Saer precisa che l’oggetto centrale della vicenda non è l’evento di ripulitura in sé per sé ma è il vincolo fiduciario che deve sostenere tutte le attività di soccorso alpino, avuto riguardo per la peculiarità degli ambiti in cui l’operatore deve svolgere le sue attività: la fiducia tra i volontari e la sicurezza sono interconnesse in modo inscindibile”. In conclusione, ha sottolineato Gazzolo, “si può affermare che l’interpellanza riguarda vicende interne all’associazione, rispetto alle quali il singolo volontario può adire al giudice ordinario, qualora ne risultino i presupposti”.
    Nell’interpellanza, gli esponenti M5s chiedevano “se il comportamento tenuto dai vertici della delegazione del Saer è conforme ai requisiti di democraticità previsti per mantenere l’iscrizione nel Registro regionale del volontariato e se, in considerazione dell’accaduto, non si rende necessaria una sospensione cautelativa della delegazione dallo stesso Registro”. Nella replica, Bertani si è dichiarato “non sodisfatto”: “Il volontario non ha impedito l’effettuazione dei lavori, ha solo sollevato un dubbio. La Regione deve prestare attenzione alle rilevazioni delle associazioni del volontariato. Invece, non è arrivata nessuna risposta, semplicemente l’operatore è stato tolto dal servizio di volontariato”.
    ForlyToday 22 marzo 2016, ore 16.32

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  5. Quindi, se ho ben capito, CNSAS = SAER? Chissà perché nella regione Emilia Romagna un incarico, benché di volontariato, deve essere doppio. Basta vedere quante persone che frequentano la montagna sono iscritti a gruppi non CAI. Spesso fanno escursioni con il CAI, quindi perché questa scelta? Quale è stato il motivo di creare il SAER? In tutta Italia esiste il CNSAS! Allora? Potrebbe far parte della GLOBALIZZAZIONE, queste scelte? Chissà il CAI cosa ne pensa?

  6. Il 25 gennaio 2016, presso l’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna, è stata posta interpellanza n° 2001 – Interpellanza circa questioni riguardanti la possibilità, per una associazione di volontariato operante
    nel settore del soccorso alpino, di dare corso ad attività di pulizia di un muro di contenimento in alveo
    fluviale. A firma dei Consiglieri: Gibertoni, Bertani.
    Il testo dell’interpellanza è qui:
    https://dl.dropboxusercontent.com/u/93659069/Interpellanza%20Assemblea%20legislativa%20della%20Regione%20Emilia-Romagna.pdf

  7. Sono venuto a conoscenza di questo incredibile episodio, solo oggi, dopo 5 mesi. Difficile se non impossibile convincersi che sia vera. Come fa il presidente Martini a non esprimersi a favore o contrario. Se è a favore di questa assurda richiesta deve convincere i soci, tutti. Più che essere costretto alla globalizzazione, il CAI è quasi diventato un partito politico, dove se uno non si allinea con il DICTAT dei governanti, viene espulso, come nei passati e recenti regimi. Ma questa povera Italia, non sarebbe una repubblica democratica? Da tempo, ogni volta che incontro gruppi di escursionisti in montagna, chiedo a quale sezione del CAI appartengono. Immediatamente rispondono che sono liberi, quasi se la mia richiesta fosse una offesa. Giustificano questa loro scelta come libertà. Se i soci del CAI diminuiscono, ci sarà un motivo? Se nascono associazioni che io chiamo Pseudo CAI, cioè che cercano di fare quello che il CAI dovrebbe fare, non è un mistero. C’è un’aria di sfiducia e di rifiuto. Il 100° congresso del Club Alpino Italiano dal tema Quale volontariato per il CAI di domani, io lo ritengo non attuale e questo episodio lo conferma.

  8. Ma non c’è un collegio di probiviri nel CNSAS a cui fare ricorso contro l’espulsione?

  9. In ogni caso, per chiarezza, il compito del CNSAS è delineato perfettamente in una legge (74/2001) che definisce così l’ambito di intervento: “Art. 1 comma 2. Il CNSAS provvede in particolare, nell’ambito delle competenze attribuite al CAI dalla legge 26 gennaio 1963, n. 91, e successive modificazioni, al soccorso degli infortunati, dei pericolanti e al recupero dei caduti nel territorio montano, nell’ambiente ipogeo e nelle zone impervie del territorio nazionale”. Mi pare OVVIO che le attività di rimozione di un masso pericolante in montagna (disgaggio), installazione di una via ferrata (opera di costruzione), pulizia e allestimento degli ancoraggi di una falesia di roccia (opera di costruzione), verniciatura di un campanile (manutenzione di una copertura) NON possano essere svolte all’interno del CNSAS e/o possano essere attribuite né competenze né idoneità tecnico-professionali adeguate dei membri facenti parte del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico. Vero è che l’ignoranza o la “leggerezza” cui possono incorrere il “parroco” e/o l’amministratore comunale di turno (committenti di un’opera e/o un servizio) sono oggetto di responsabilità in caso di infortunio di un LAVORATORE. Ma qui credo si stesse discutendo soprattutto della legittimità del CNSAS ad operare nei contesti succitati (tetti e scarpate rocciose)… e su questo non v’è dubbio. NON PUO’ IL CNSAS operare al di fuori dei contesti sopra definiti dalla legge 74/2001 e non sono attribuite al corpo alcune competenze e non sussistono deroghe di alcun tipo. Se alcuni membri del CNSAS operano nei contesti fuori da quelli previsti dalla loro organizzazione lo fanno a titolo personale, pertanto possono sussistere estremi di denuncia alla Guardia di Finanza e all’ASL (servizio di prevenzione). In pratica è “lavoro in nero” e privo delle tutele dovute ai lavoratori (nel caso di impresa di fatto). Il committente dovrebbe sapere queste semplici regole: idoneità tecnico-professionale delle imprese e dei lavoratori autonomi che eseguono un’attività lavorativa. Se poi è “a titolo gratuito” forse la GdF avrebbe qualche cosa da dire… e comunque i contributi andrebbero versati.

  10. “A titolo personale” non coinvolge ufficialmente un’organizzazione e soprattutto non può essere retribuito come nella situazione presentata dall’articolo.
    Prova a metterti dietro il bancone di un bar o in un negozio o da qualunque altra parte dove si tratti di espletare una funzione lavorativa “a titolo personale” anche senza alcun tipo di retribuzione… vediamo che ne pensano azienda sanitaria e fisco… senza quindi toccare neanche attività definite ad alto rischio. per le quali sono previsti corsi, formativi e di aggiornamento, mirati.
    Il parroco non può risistemare la cupola del campanile perché chissà quali cantieri avrebbe dovuto far impiantare a norma di una qualche legge??? Giusto! Non rispettiamole le leggi, anzi dichiariamo pubblicamente che sono di troppo (come l’ìntervento di Busato afferma sottintendendolo: “… sicuro che, a norma di questo o quell’altro articolo di legge, avrebbe dovuto piantare chissà che cantiere …).
    Le leggi a che servono alla fine dei conti? Magari per quegli scemi che tentano di rispettarle per una convivenza il più possibile civile!
    Sono affermazioni piuttosto gravi dette da un rappresentante di un’ organizzazione inserita in appositi registri pubblici e che dallo stesso Stato che promulga quelle leggi viene riconosciuta e sostenuta!

  11. Mah, e se avessero pitturato il campanile a titolo personale e gratuito, perché non lo potevano fare? Ovviamente anche a titolo personale sarebbero stati responsabili di danni provocati ( es. caduta del secchio di vernice su di un ignaro passante) come per ogni ns normale attività, non essendo stato incaricato “ufficialmente” il CNSAS.UN membro del CNSAS non può a titolo personale segare un ramo in cima ad un albero?

  12. Davide c’ha ragione.
    Azzardo lista nera delle cose che il CNSAS non dovrebbe fare :
    – fare le pulizie e la manutenzione dei muri nei centri abitati
    – dipingere le cupole delle chiese di paese, nè metter a posto le tegole delle moschee (ehh?!)
    – fare attività (disgaggio) in quota, che sono di competenza di chi lo fa di lavoro.
    – far le ferrate
    – dimentico qualcosa ? 😉

  13. Giovanni, io capisco lo spirito che spinge alle tue affermazioni, ma sarebbe ora di finirla con questa “caciara”. Dovete riordinare le vostre idee, riguardo questi e altri esempi di attività fuori competenza del CNSAS, evitando di uscirsene con una frase del tipo “sarebbe stata una bella rogna”, dimenticandosi che la “rogna” sarebbe stato un volontario che si è ammazzato facendo un lavoro che non gli competeva perché “chiaramente non del mestiere”. Scusa ma non si possono leggere queste affermazioni. Non vi fa onore. Mettetevi nei panni di un imprenditore che investe risorse economiche per garantire ed elevare il livello di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori della sua azienda e si vede letteralmente scippare lavori ad alto rischio, quali sono i lavori in quota, da persone convinte che crode e tetti sono la stessa cosa.

  14. 1979: càpito al Rifugio Le Selle, presso l’omonimo valico nel gruppo della Marmolada, con la Lore, maestra di asilo a Vigo di Fassa. Il figlio di Bepi Zac è stato un suo alunno e lo stesso Bepi ci fa un festone! Ci obbliga a stenderci a turno sul suo lettino, in mansarda, da cui si vede la cresta di Costabella e in fondo la Cima dell’Uomo.
    “Ecco, se qualcuno mi desse una mano, almeno finanziariamente, completerei la sistemazione dei percorsi di guerra, lungo la cresta. Ma l’Om no! Quella è una vera cima e deve rimanere così com’è, allo stato naturale. Lassù, tra l’altro,non si è nemmeno combattuto”.
    Passa un anno o due, non ricordo con precisione, muore Bepi Zac. Il Soccorso Alpino di Moena progetta la “Via ferrata Bepi Zac” che arriva, con percorso in ultimo assai forzato, fin sull’Uomo. Riferisco la cosa a Trento ai dirigenti della SAT, che mi dicono: “Ah, per fortuna esistono giovani come te, Luca, che tengono alla salvaguardia delle montagne! Provvederemo…”.
    Il Soccorso Alpino di Moena poco dopo annuncia la realizzazione della Via Ferrata dedicata a Bepi Zac che arriva fino in vetta alla Cima dell’Uomo.
    Passano altri due o tre anni. La ferrata in questione provoca qualche ferito e un morto, proprio nel tratto finale. Il Soccorso Alpino di Moena smantella i primi infissi di questa conclusione fin su l’Om e la dichiara “chiusa”.
    Insomma, nulla di personale, ero e sono tuttora amico di non pochi di quei volontari del Soccorso di Moena. E se cito questo esempio è semplicemente perché so che le cose vanno così, in Dolomiti.
    Come per il Castellaz e il Cristo Pensante, vicino al Passo Rolle, ambìto da un insegnante di nordich-walking con favorevoli addentellati tra gli albergatori e gli operatori della Val di Fiemme. Come per le clessidre trapanate alle soste lungo la via Buhl alla Cima Canali… Come per il futuro Bivacco Fanton a Forcella Marmarole, voluto da un architetto della provincia di Belluno ritrovatosi a presiedere un’importante sezione del CAI.

    E’ una persona ancora viva, ma immagino già a chi, strumentalmente, dedicheranno la nuova via ferrata sul Cimon del Froppa, per poter “valorizzare” un domani questo inutile bivacco.

  15. L’Art. 10 – Obblighi (del Regolamento del CNSAS) dice:
    “I Soci debbono astenersi dall’utilizzare la propria appartenenza al CNSAS per finalità che non siano specificatamente stabilite dallo Statuto….”

    Non è un suggerimento od un consiglio ma è un obbligo.
    Quindi desumo che dare una mano al parroco a riverniciare il tetto del campanile o al vecchio che deve rifare il tetto della baita non rientrino nelle finalità del CNSAS.

  16. hai ragione, sarebbe stata una bella rogna..!!!
    cose da avvocati!!
    del resto cosa c’è di razionale nel rischiare la pelle per qualcuno che manco conosci??
    Hai presente i ragazzi del Pelmo ? (tanto per fare un esempio?)
    tutti quelli che conosco del cnsas, sono disposti a rischiare la pelle per recuperare qualcuno da una parete,
    come pure a dare una mano al parroco.. o al vecchio che deve rifare il tetto della baita..
    non c’è verso, questa è l’anima profonda..noi siamo così.. con buona pace del comma x della legge y…..

  17. Leggo: “sicuro che, a norma di questo o quell’altro articolo di legge, avrebbe dovuto piantare chissà che cantiere.. sfortunatamente non se lo poteva permettere… così in cambio di una raffica di benedizioni, gliela verniciammo noi.”
    Domanda: In caso fosse accaduto un incidente (caduta anche grave) ad un membro del CNSAS oppure ad un passante sotto il campanile durante la verniciatura della cupola del campanile da parte del CNSAS, cosa sarebbe successo?

  18. Ricordo il Parroco di un piccolo paese di montagna che ci chiese di verniciare la cupola del campanile..
    certo non un lavoro da CNSAS, sicuro che, a norma di questo o quell’altro articolo di legge, avrebbe dovuto piantare chissà che cantiere.. sfortunatamente non se lo poteva permettere… così in cambio di una raffica di benedizioni, gliela verniciammo noi.
    la forza del CNSAS è anche e soprattutto il suo legame col territorio, con la gente che abita il territorio.. col parroco che allargava le braccia a sentire i moccoli lassù sul campanile di chi, chiaramente non del mestiere, aveva più vernice addosso che sulle lamiere della cupola!!!! Certo ci sono cose che dobbiamo fare e altre che non possiamo fare.. ma mettere una lista asettica di cose tra noi e ciò che ci circonda non porta a nulla; Già molti spingono verso un corpo di specialisti ben pagati e.. l’equilibrio è sempre più difficile e la vera scommessa del futuro non è quanto più bravi diventeremo ma se riusciremo a non perdere l’anima, la nostra vera anima!
    Da qui ad arrivare all’espulsione mi sembra tuttavia veramente una esagerazione, sono convinto che si tratta del classico grande equivoco dovuto ad un corto circuito di comunicazione.. mi auguro/confido in una revisione del provvedimento con una riflessione comune e un passo indietro da parte di tutti. Facciamo parte della stessa cordata e, a volte, quando la corda non sfila, occorre trovare il nodo e scioglierlo.. tagliarla non serve a nulla. anzi.
    giovanni busato – vicepresidente CNSAS Veneto

  19. Ciao Luca,
    come volontario del Soccorso Alpino, ti dò tutta la mia solidarietà e ti stimo per il coraggio che hai avuto. Anche io spero che tu trovi la forza, e il contesto giusto, per tornare nel nostro Corpo. C’è bisogno di gente come te con un’etica del bene pubblico.
    Il Soccorso Alpino già trova spesso difficoltà materiale a coprire gli interventi richiesti dalle proprie finalità. Se poi si spende tempo e risorse per opere che non fanno parte di tali finalità, mi sembra proprio uno spreco gratuito di risorse pubbliche.

  20. Grazie Luca,
    spero che tu ci ritorni al soccorso invece, risarcito moralmente,
    perchè servono persone che ragionanono ed operano come te (non conoscendo i fatti nel dettaglio, lo dico da quello che scrivi).

    Appare palese che la attività di pulizia di un muro fatta fare al soccorso alpino è far fare un LAVORO a costo nullo. L’attività descritta è un lavoro che invece dovrebbero fare professionisti dell’edilizia urbana (con tecnica “alpinistica”). Gli operatori del soccorso dovrebbero fare solo il soccorso (e vero allenamento al soccorso).

    Cosa sarebbe successo, per assurda ipotesi…, se l’unica squadra di soccorso in zona fosse impegnata in un lavoretto di pulizia, ed al contempo disgraziatamente qualcuno perdesse la vita (per un mancato soccorso) ? 🙁

    Sarebbe interessante capire con i dati, la dinamica (perversa mi pare) della votazione a maggioranza dei volontari a favore di tua espulsione… intendo, a parte il caso specifico personale, la dinamica sociale della piramide 🙁

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