La meccanica delle nuvole

La meccanica delle nuvole
di Emilio Previtali
(pubblicato nel suo profilo fb, 19 dicembre 2023)

Volevo dire tre cose: la prima è che ho scritto un libro, si intitola La meccanica delle nuvole; la seconda è che il libro si può comprare on-line, lo vendo io; la terza è che da piccolo, avrò avuto dieci anni, avevano messo una impalcatura sulla casa davanti alla mia per ridipingerla, la mia casa era alta quattro piani.

I miei amici del cortile, più grandi di me, facevano una gara di coraggio e salivano sulla impalcatura di nascosto dai muratori, chi saliva più in alto vinceva. Fino al momento in cui io avevo chiesto di provare a salire, in testa c’era uno che avrà avuto 17 o 18 anni che si era arrampicato al terzo piano, aveva scavalcato quattro livelli di impalcatura. Era il più coraggioso di tutti.

A un certo punto avevano lasciato provare anche a me, il più piccolo, che nel cortile ero denominato “piàtóla” perché avevo la lacrima piuttosto facile. Mi avevano lasciato provare perché erano convinti che tanto io non sarei andato oltre il primo livello di impalcature, massimo il secondo. Nell’etica tutta particolare vigente nel mio cortile una caduta dal secondo piano non sarebbe risultata letale, quindi mi fu accordato il permesso di provare a salire.

Al riparo dagli sguardi dei muratori al lavoro nel cantiere mi arrampicai sulle impalcature e anche se mi cagavo sotto dalla paura scalai fino al quinto livello, cioè al quarto piano, l’ultimo. Lì non era ancora arrivato nessuno nemmeno dei più grandi. Mentre salivo gli altri da sotto mi urlavano di scendere ma io non scendevo, continuavo a salire ed era una sensazione bellissima. Mi dicevano di non andare avanti e io andavo avanti. Più mi dicevano di scendere, più mi veniva voglia di andare avanti, in fondo la arrampicata non era difficile. Anche una voce che sentivo dentro mi diceva di scendere e non andare avanti, ma ce n’era anche una che mi diceva di continuare. Per una volta, decisi di ascoltare quella. Andai avanti, come ipnotizzato, chi mai avrebbe potuto fermarmi?

Arrivai all’ultimo livello, all’altezza delle finestre di casa mia che potevo vedere davanti a me, stavo in piedi in equilibrio su un asse da ponteggio in legno e mi godevo la sensazione di essere in cima al mondo. L’Everest. Mentre gli altri continuavano a strillarmi di scendere, io rimanevo lì a spiare mia mamma. Da un punto di vista inconsueto la vedevo dentro la mia casa che camminava e si muoveva, impegnata nelle sue faccende domestiche. Era come guardarla in un film, in quel modo la mia casa e anche mia mamma non le avevo mai viste.

Io, il suo bambino, ero lì in piedi a una ventina di metri d’altezza, in cima alle impalcature dove nessun altro ragazzo del cortile era mai arrivato. Era come stare in cima al mondo. Se mia madre avesse saputo che mi trovavo lì, slegato a quell’altezza, mi avrebbe ammazzato lei di sberle.

Per qualche motivo, forse richiamata dalle grida dei ragazzi giù in basso che mi strillavano di scendere, guardò attraverso la finestra nella mia direzione, verso l’impalcatura. Io d’istinto mi spostai all’indietro per non farmi vedere, non mi vide. L’asse di legno su cui stavo in equilibrio però si impennò sotto il mio peso e per non cadere mi aggrappai alla impalcatura. La presi al volo, d’istinto. L’asse, una volta scaricato del mio peso, tornò a sbattere sull’impalcatura di metallo facendo un botto fortissimo. Io ero appeso nel vuoto, senza peso. Vivo, però. I ragazzi giù in basso urlarono un “ohhh!” che arrivò nitido alle mie orecchie.

Sentii dentro di me una specie di sciabolata calda che dall’addome risaliva fino alla gola, una scarica di adrenalina che mi spaventò ma che anche mi fece sentire come mai mi ero sentito prima: vivo. Avevo avuto paura, una paura folle ma era stato bello. E soprattutto non ero morto.

Mi era piaciuto, tutto sommato. Con molta calma – a quel punto cosa mai mi poteva succedere? – scesi dall’impalcatura arrampicando a ritroso fino a raggiungere terra. Ero salvo.

Quando fui lì, tra i miei amici, non ero più la stessa persona di prima. Non ero più lo stesso ai loro occhi e neanche ai miei. Ero diventato un altro. Per quel che mi ricordo nessuno da quel giorno in avanti mi chiamò mai più “piàtola”, e anche io non ho ricordi di altri pianti o lacrime. Ero diventato adulto e tra gli adulti non ero certamente il peggiore. C’è un momento nella vita in cui uno deve spiegarselo.

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La meccanica delle nuvole ultima modifica: 2024-01-09T05:38:00+01:00 da GognaBlog

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4 pensieri su “La meccanica delle nuvole”

  1. Anche io dodicenne vinsi una sfida in una casa in costruzione.
    Chi saltava da più in alto cadendo sul mucchio di sabbia sottostante. Vinsi saltando dal terzo piano una sera di novembre ….al buio nessuno si accorse che la sabbia era stata usata tutta!!!!!

  2. Per diventare adulti serve provare anche di molto peggio.
    Bel racconto.

  3. Esperienza impressionante… Fortunatamente non è necessario sempre vivere esperienze come questa per diventare adulti 😉
     

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