La montagna di un uomo venuto dal mare
(introduzione a La montagna di un uomo venuto dal mare, AlpineStudio, 2017)
Lettura: spessore-weight*, impegno-effort*, disimpegno-entertainment***
C’è gente che è malata di eccessiva verità. Per costoro è quasi impossibile raccontare una bugia, anche piccola, fosse anche per una buona causa; riescono a trattenere per sé fatti e sentimenti di verità quando capiscono che per qualche motivo è giusto così: ma gli costa grandissima fatica.
Questi individui sono intelligenti e assai sensibili. Hanno una memoria eccezionale. Non particolarmente intuitivi, si basano sui dati di fatto, non vedono dietro l’angolo perché non guardano là. Ma ciò che vedono davanti a loro è sempre assai chiaro e non sopportano che qualcuno travisi fatti o sentimenti. Dietro l’angolo, o nelle profondità di loro stessi, giacciono altre verità: ma in genere queste non sono da loro prese in considerazione.
Nel suo libro, per esempio, Stefano Michelazzi non racconta quanta energia gli sia costata diventare Aspirante Guida Alpina. E non parlo certo di sue eventuali insufficienze tecniche!
Sappiamo bene quanto sia faticoso e complicato il cammino di chi ha scelto di diventare professionista alpino, ma sappiamo anche che le difficoltà di tempo e danaro non sono le sole. Ci sono questioni di individualismi che si scontrano, di rapporti istruttore-allievo che si sentono artificiosi, ci sono invidie, ripicche, infantili testardaggini. Un intero campionario di rapporti umani difficili può ribaltare il pronostico che vedeva di sicuro successo l’impegno a intraprendere i corsi.
Quando l’abitudine alla verità è eccessiva, specie in chi è abituato a esercitarla prima di tutto su se stesso, diventa insopportabile accettare i compromessi che l’essere allievo di un corso comporta. Diventa pura sofferenza accettare determinate imposizioni: non perché non si accetti la momentanea autorità, ma perché purtroppo vi si vede la malafede. Michelazzi non era capace di accettare la pretesa ingiustizia, non perché non riconoscesse l’autorità, bensì propriamente perché ne riconosceva con evidenza l’origine maligna: e questa “verità” per lui non poteva andare taciuta. Quindi la rinfacciava apertamente al suo “istruttore”. Con risultati evidentemente disastrosi.
Ci volle un intero pomeriggio di birre (bar delle Placche Zebrate, valle del Sarca), nonché due amici stalkers (Ivo Rabanser e io) ferocemente alleati per lo scopo comune di convincerlo ad accettare un po’ di compromessi, almeno all’occasione successiva del prossimo corso.
Io sono certo, per quanto lo conosco, che in questo libro non c’è una sola parola falsa o nella quale sia stato aumentato o diminuito il tasso di verità. Nessuna deformazione, solo ricordi cristallini, nel bene e nel male.
Non racconta le sue avventure ai corsi guida, e sono sicuro che non lo fa per il motivo sopraddetto: avrebbe dovuto esporre senza mezzi termini la sua verità.
L’eccesso di verità è scomodo e porta la vita di un individuo a scelte non sempre piacevoli, scomode appunto. La gente normale tende a isolare i portatori di questa “malattia”, che sono temuti e, come lui stesso sa, amati od odiati. In quanto portatori di verità appaiono simpatici (schietti, ingenui e/o brillanti) oppure antipatici (scettici, maliziosi e/o pignoli).
Certi suoi interventi sui social possono apparire perfino violenti, ma mai come nel suo caso è più vero che “can che abbaia non morde”. Io sostengo che ciò che alcuni definiscono come violenza verbale non è altro che accanita ricerca della verità, sempre e in ogni caso.
Quindi, con questa premessa, accingetevi pure a leggere questo libro: avete davanti un uomo davvero nudo, che potrà piacervi o meno, ma che ci fa riflettere. Un alpinista le cui vicende personali di vita potranno aver scalfito la quantità e la qualità dei suoi successi: ma del quale non si può dire che ha trovato nella montagna una via di fuga da realtà scomode.
Dal golfo di Trieste su Carso e Alpi
Sinossi
di Stefano Michelazzi
E’ logico supporre che se uno nasce in una città di mare, il suo futuro sarà più facilmente orientato verso questo elemento ma non è un dato scontato…!
La mia città natia, Trieste, affacciata al culmine del mare Adriatico detenne per secoli il primato di suo porto principale, una città che si può facilmente paragonare, seppure in un territorio diverso, all’antica Samarcanda, crocevia di commerci e di vita.
Va da sé quindi pensare che i suoi abitanti saranno affascinati dal mare ma non certo dalle montagne, le quali distano qualche centinaio di chilometri.
Grazie invece alla sua posizione geografica, coronata dai dirupi discendenti dall’altopiano del Carso e posta all’estremità della pianura friulana che si estende da dove il golfo ha termine. Nelle terse giornate spazzate dalla Bora a Trieste appare l’immagine delle lontane Alpi Giulie come se le si potesse toccare: è una città con una vocazione per la montagna che ha dell’incredibile…!
La tradizione alpinistica triestina non è certo di poco conto, qui le moderne pratiche del bouldering (il termine usato qui per definirne i praticanti era “Passaggisti”) e dell’allenamento in falesia nacquero già a fine ‘800 con la “Squadra volante” capeggiata da Napoleone Cozzi per poi progredire con i tecnicismi di Emilio Comici, arrivando alla libera estrema di Enzo Cozzolino, fino ai nostri giorni con le evoluzioni di Mauro Bubu Bole…
Con un retroscena così non è perciò difficile pensare che la montagna mi abbia stregato da sempre e che alla fine abbia seguito quel filone, del quale Emilio Comici fu probabilmente il primo protagonista, delle Guide Alpine cittadine emigrate sui monti.
Ma non tutto è rose e fiori nella vita, come tutti ben sappiamo, e tra il dire e il fare… ci sta di mezzo il mare…
Il mare di situazioni che la vita ti presenta e che se hai un carattere non sempre (quasi mai…) plasmabile, come il mio, diventa fatto di onde infuriate di tempesta tra le quali devi saperti destreggiare per non annegare…
Insomma… scrivere della propria vita non è mai cosa facile, non è facile essere obiettivi e imparziali, ma ci ho provato… Così tra un racconto e l’altro ho fatto scorrere in un filo conduttore molti episodi che hanno segnato il mio cammino fino a qui, affinché chi legge possa anche interpretare al meglio, dando le giuste ombre e luci al mio modo di essere, a un modo di fare alpinismo e per me di vivere la vita, tentando magari di andare aldilà della pura facciata “da rotocalco”.
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Non sono solito fare recensioni, sono un lettore molto lento ed introverso, ma il libro di Stefano penso meriti queste mie righe. Una lettura davvero piacevole che mi ha riportato a quel breve periodo in cui conobbi Stefano e condivisi con lui dei brevi momenti. Ho trovato una lettura di montagna a 360 gradi, focalizzata sull’uomo, i suoi racconti, le emozioni, le esperienze, le profonde riflessioni e la vitale umanità che lo accompagna. Ho ritrovato in queste pagine la sua compagnia, proprio come l’avevo lasciata. La montagna di un uomo che il mare se lo porta dentro, e non se lo lascia alle spalle.