Nel giorno degli accordi per il cessate il fuoco a Gaza, con l’obiettivo di non dimenticare perché distratti dal provvisorio ottimismo.
La notte della ragione
di Matteo Nucci
(pubblicato su sinistrainrete.info il 18 novembre 2024)
Viviamo tempi di una mestizia atroce. Ci siamo collettivamente consegnati a un’interpretazione della realtà così priva del minimo senso critico che davvero mancano le parole. Si tira avanti mettendo da parte l’orrore pur di evitare la rabbia che scava negli intestini. Forse sarebbe anche sano rinchiudersi nella propria fortezza, se non fosse così pericoloso. Se il futuro non si facesse sempre più fosco. Gli episodi di Amsterdam sono un caso di scuola. Torniamoci sopra.
Le vicende degli scontri seguiti alla nota partita di calcio fra Ajax e Maccabi Tel Aviv hanno invaso le prime pagine dei quotidiani europei evocando lo spettro dell’antisemitismo. Ammetto di essere rimasto prima sconcertato, poi turbato dalla rabbia, e infine impaurito. Si tratta di una deriva pericolosissima, un gorgo inerziale a cui temo che non sarà semplice sottrarsi. Un pantano in cui miopia e ignoranza unite a un basso calcolo politico e ideologico, rischiano di riportarci davvero di fronte all’orrore.
La storia di questi giorni, infatti, potrebbe essere lasciata correre come uno dei classici casi in cui la superficialità dei resoconti dominante in questi tempi ha spinto le cose un po’ troppo in là. Purtroppo però si inscrive in un contesto che la rende significativa, anzi appunto esemplare. Ma andiamo con ordine. E cominciamo da quel che è accaduto. Ossia una storia del tutto diversa dai resoconti della stampa dominante. Non sto facendo riferimento a fonti alternative di una presunta controinformazione. Parlo dei rapporti offerti dalle autorità e in particolare dalla polizia di Amsterdam. I fatti sono stati spiegati più volte.
I tifosi israeliani del Maccabi, già noti per le posizioni razziste estremiste, sono sbarcati ad Amsterdam gridando slogan di questo genere “A Gaza non ci sono più scuole perché non ci sono più bambini olé olé olé”, “Let the IDF fuck the Arabs”, “Morte agli Arabi” e via dicendo (circolano testimonianze video esaurienti). Poi, in una città in cui la sensibilità per il genocidio a Gaza è alta, divisi in gruppetti sparsi per le vie, hanno strappato bandiere palestinesi pacificamente appese alle finestre dei palazzi, per distruggerle o bruciarle (in questo caso, almeno due sono i video davvero imbarazzanti).
Di fronte alla furia violenta (di cui i suddetti tifosi avevano già dato dimostrazione il mese passato ad Atene aggredendo e colpendo violentemente un ragazzo con bandiera palestinese in piazza Syntagma), i cittadini si sono ritratti e in un caso, un tassista di origine araba, è stato violentemente aggredito suscitando l’ira dei colleghi. Quando è arrivato il momento della partita, poi, i tifosi israeliani hanno fischiato e gridato insulti durante il minuto di silenzio per le vittime dell’alluvione di Valencia, con chiaro riferimento alla posizione che il governo spagnolo ha preso contro le politiche genocide di Israele (una furia che già era andata in rete nei giorni dell’alluvione: vendetta divina cui incorre chi si mette contro Israele).
Tutto questo è accaduto prima. Testimoniato e raccontato dalle fonti più autorevoli. Ignorato dai principali organi di informazione italiani e in larga parte anche europei, tutti aperti dalla notizia bomba della “caccia all’ebreo”, il “ritorno della Notte dei Cristalli”, i “pogrom” e chi più ne ha più ne metta, tutta la più alta retorica che l’Occidente in oltre mezzo secolo ha forgiato contro l’antisemitismo, perché di questo, secondo i resoconti parziali e superficiali, si è trattato: antisemitismo. Al punto che non sono mancate ovviamente le voci della memoria. Dunque i famosi testimoni dell’orrore della Shoah per riflettere sul pericolo che essa venga dimenticata, come se oggi non fosse un altro il genocidio di fronte a cui siamo silenziosi, inerti e, se possiamo, ci giriamo dall’altra parte, proprio come si disse che accadde in Europa durante l’orrore del genocidio nazista.
In questi giorni, infatti, mentre si discute della caccia all’ebreo (postata e ripostata da tutti i principali politici italiani trasversalmente, in un delirio di mancanza critica che fa venire i brividi) e si invia solidarietà ai leader israeliani e principalmente a Netanyahu, ossia uno che è sul banco degli imputati come criminale di guerra, responsabile di un eccidio infinito; in questi giorni in cui ci si preoccupa di quattro tifosi violenti, nessuno dei quali risulta gravemente ferito, diversamente da quel che accade spesso durante gli scontri fra i cosiddetti hooligan; be’ in questi giorni, di là del Mediterraneo, si va avanti nella più sconvolgente quotidianità del massacro.
Solo pochissimi dati. Innanzitutto ai giornalisti che hanno riportato i fatti di Amsterdam con editoriali indecorosi forse sarebbe utile sapere che a Gaza si sta arrivando velocemente alla sconvolgente cifra di 200 giornalisti morti in 400 giorni di massacri. Ossia, i presunti giornalisti che danno lezioni di morale dovrebbero sapere che poco lontano, ogni due giorni, un “collega” (ma direi che è dura definirli colleghi) viene ucciso (e non per casualità o durante i bombardamenti devastanti cui ci siamo abituati, anzi: in alcuni casi, i cronisti sono stati uccisi nel sonno del loro letto, in casa, senza altre armi accanto oltre alla macchina fotografica, il taccuino, uno smartphone).
Ma certo è forse ancora più interessante sapere che in quel lembo di terra che contava due milioni e trecentomila abitanti, ossia l’equivalente di una città ben più piccola di Roma, ogni giorno vengono uccisi in media cinquanta bambini, ossia l’equivalente di due classi scolastiche. Ecco, ogni giorno, da oltre un anno, due classi di ragazzini uccisi. Senza contare gli innumerevoli mutilati, privi ormai di braccia o gambe, gli ustionati, i ciechi, i cannibalizzati dalla fame.
Non darò altre cifre su Gaza. E tuttavia è giusto ricordare a chi si è occupato dei “pogrom” di Amsterdam (giornalisti, opinionisti, politici) che poco lontano da qui, con armi ed elicotteri da noi forniti, si sta concludendo la completa distruzione di Gaza Nord, un orrore che pochi possono raccontare e testimoniare viste le precauzioni prese da Israele per bloccare informazioni, testimonianze e video. Ma qualcosa arriva e quel qualcosa racconta di deportazioni mostruose, oltre a una furia distruttiva senza precedenti, per radere al suolo uno spazio da ripopolare, ricostruire, rivendere e “colonizzare”.
E tuttavia non è solo a Gaza che in questi giorni continua l’orrore. Nel Libano che Israele ha invaso e che bombarda giorno dopo giorno, la situazione precipita. Il Paese libero e sovrano che ripeto è stato invaso, conta ormai 3.200 morti e 14.000 feriti, oltre un milione e mezzo di sfollati, intere cittadine distrutte, siti archeologici colpiti e danneggiati (interessante che non se ne parli) e proprio in questi giorni, mentre quattro violenti prendevano schiaffi ad Amsterdam, il numero di personale medico e paramedico ucciso ha preso a salire anche in Libano, come ormai ci siamo abituati a vedere a Gaza e nei Territori Occupati, ormai scomparsi dalle cartine geografiche offerte a chi arriva nell’aeroporto Ben Gurion, dove la Grande Israele comincia a prendere le sembianze di quella forma ostentata da mostrine cucite sulla divisa dai soldati dell’ “esercito morale”, l’IDF.
Viviamo tempi mostruosi, non mesti – sbagliavo. Ma quel che serve è sempre e solo la riflessione. Proverò a farne una, allora. Perché come ho cercato di dire fin dall’inizio quello che sta accadendo apre una deriva non soltanto triste, mesta o orribile, bensì soprattutto pericolosa. Di nuovo, quindi, è necessaria la pazienza della ragione, la “lunga strada” di chi rincorre la verità e la giustizia, come la definiva Platone. Che tuttavia per esigenze legate alla misura necessaria di questo pezzo sarà il più possibile sintetica.
Il giorno degli scontri, mentre in Israele si discuteva di un ponte aereo per riportare i tifosi contusi in patria, lo slogan lanciato e rimbalzato in rete è stato ALL EYES ON AMSTERDAM. Evidentemente, se si sono susseguiti in questi mesi gli slogan ALL EYES ON GAZA e ALL EYES ON LEBANON, ora era la volta di spostarli sui “crimini” di Amsterdam. Fa impressione una simile mancanza di contatto con la realtà, nonché di misura. Ci si aspetterebbe tutt’altro atteggiamento. Visti i fatti, si dovrebbe piuttosto chiedere scusa, non pretenderne. E certo ci si dovrebbe trattenere dal confrontare i contusi di Amsterdam con gli infiniti morti, mutilati, macellati, senza ospedali e senza cibo, a cui si impediscono cure, si impedisce di uscire dal proprio paese, si impedisce qualsiasi prospettiva di vita, altro che ponte aereo. Ma lasciamo stare.
E lasciamo stare anche la completa insensibilità europea e l’incapacità di usare la misura generalmente applicata. Ricordo, per chi non lo sapesse, che nelle competizioni sportive (da cui forse sarebbe il caso di bandire un Paese che invade e distrugge proprio come è stato per la Russia), episodi di razzismo, come canti e grida di insulto, anche davvero estremamente più leggeri di “A Gaza non ci sono più scuole perché non ci sono più bambini” sono puniti con misure drastiche, durissime, esemplari. Ora, in questo caso, non solo nulla del genere è accaduto, ma la repressione si è scatenata in maniera indistinta su chi manifesta contro il genocidio. Ad Amsterdam, all’indomani degli scontri, è stato negato il diritto di scendere in piazza a chiunque manifesti contro il genocidio, e poiché il divieto ha sollevato indignazione e non è stato rispettato, gli arresti e le scene di violenza si sono susseguiti, con ferimenti di anziani, donne, ragazzi. Nel frattempo a Parigi la bandiera palestinese veniva vietata allo Stade de France dove una partita di calcio fra la nazionale francese e quella israeliana si è tenuta in uno stadio pressoché vuoto. Tutto questo accade per una semplice ragione. Che potremmo sintetizzare nello slogan sbandierato digitalmente sui palazzi di Tel Aviv: FREE EUROPE. Ossia, liberiamo l’Europa dall’antisemitismo, perché la memoria della Shoah si sta perdendo pericolosamente e criticare Israele è chiaramente antisemita.
Ora, bisogna guardare alle cose con attenzione. E studiare questa accusa di antisemitismo in tutta la sua portata. Non si tratta, infatti, di una reazione improvvisa e impulsiva, sull’onda di un’emozione suscitata da una lettura ingenua e parziale dei fatti. Si tratta invece di un lungo percorso che attraversa anni e che negli ultimi mesi è precipitato, portando al pericolo di cui sto seriamente parlando.
Tutto ha a che fare con la definizione allargata, vaga, e molto ambigua (nonché ovviamente criticatissima) messa a punto dall’ IHRA, International Holocaust Remembrance Alliance, organizzazione intergovernativa con sede a Stoccolma. Non tratterò la questione che richiederebbe lunghi saggi (peraltro ampiamente presenti in rete). Dico soltanto che essa tende a identificare le critiche mosse contro Israele a manifestazioni antisemite. Si tratta di una mossa sconcertante, perché impedisce la libera critica delle politiche di un Paese che dovrebbe essere considerato come qualsiasi altro Paese (e soprattutto per evitare un occhio di riguardo, in un senso o nell’altro) dunque liberamente criticabile per le sue politiche. Tanto per fare un esempio, stando alle implicazioni adombrate da alcuni casi portati dall’IHRA a chiarire la definizione, sarebbe antisemita sostenere che Israele è un Paese in cui la discriminazione della minoranza palestinese è una forma di apartheid.
Negli anni passati, su questa definizione i Paesi europei, tranne isolate critiche, si sono uniti, assieme a USA, Canada, Argentina e Australia. E tuttavia non hanno ancora lasciato che quella definizione abbia valore legislativo come sta accadendo ora in Germania. E qui arriviamo al punto. Non a caso nel Paese del genocidio per eccellenza.
Capofila nella repressione dell’antisemitismo inteso come critica di Israele, la Germania, in questi mesi, sta facendo scuola. Ha iniziato in maniera molto chiara, accerchiando militarmente quel congresso sulla Palestina in cui doveva parlare Yanis Varoufakis, poi si è distinta con l’esempio della sua polizia che tutti abbiamo visto alle prese su donne, vecchi, persino un bambino sventolante bandiera, fino alle prese di posizione più dure degli esponenti governativi, fino alla legge che condannerà chiunque si dedichi attivamente contro le politiche genocide di Israele per antisemitismo. È un’onda che in Europa, con l’eccezione orgogliosa in primis di Spagna e Irlanda, ha mostrato la strada da seguire. Non tornerò a parlarne. Piuttosto, è interessante sottolineare come chiunque, in questi quattrocento giorni, abbia speso energie per combattere il massacro ha visto limitare la sua individuale possibilità di esprimersi, usando i mezzi di comunicazione tipici del nostro tempo.
Si dice che si sa, ma poi quando se ne fa esperienza è un altro discorso. Tutti conoscono le restrizioni che i cosiddetti social applicano. Ma poi farne esperienza nel momento in cui, invece di postare idiozie, si parla di quel che succede a Gaza o nei Territori Occupati o in Libano è davvero deprimente. C’è chi usa numeri, strane lettere e ogni genere di espediente per sfuggire all’algoritmo o chi, come me, si è ormai abituato all’uso di continue perifrasi pur di non fare nomi, di non citare luoghi, non usare verbi sensibili. Fa sorridere il pensiero di se stessi mentre si tenta di eludere la censura del web. Un sorriso amaro. Perché mai, cresciuti dentro alle grandi conquiste occidentali, avremmo pensato di finire così. Costretti ad atteggiamenti da carbonari mentre ci si batte perché uomini e donne, bambini e vecchi, sopravvivano, abbiano un tetto, si assicurino l’accesso a cure decenti. Costretti a cercare spazi per poter dire che il nostro Paese rifornisce di armi ed elicotteri Israele e che no, non siamo d’accordo. Mentre una particolare forma di paura ha spinto moltissimi a tacere, anche quelli in genere abituati a parlare, criticare, gridare. Una forma di paura in cui, di là della dietrologia, del complottismo, dei ricatti, svetta la possibilità della vergogna somma: la vergogna di essere additati come antisemiti mentre stiamo semplicemente facendo quel che ci è stato insegnato: ricordare l’orrore del genocidio per non ripeterlo, non reiterarlo, e fare tutto ciò che è possiamo per fermarlo.
La rabbia è diffusa. Una forma di scoramento si mescola alla consapevolezza dell’inutilità di ogni gesto. E il Male Assoluto che va in onda quotidianamente sconvolge e deprime. Ragionare diventa dura, sempre più dura, fra chi difende un popolo, fra chi la stampa ha ribattezzato con un’espressione disgustosa, “ProPal”, come se si trattasse di una sfida sportiva, di un concerto, un liofilizzato, una medicina. Le parole. Le parole. Le parole si perdono sempre più in un’insensatezza capace di togliere le forze residue. Attenzione, allora. Attenzione. Il pericolo è dietro l’angolo.
Un ultimo sforzo.
Pochi giorni fa, mi sono imbattuto, su Instagram, in una frase estrapolata dall’intervista di Siegmund Ginzberg al Corriere della Sera. Veniva rilanciata per parlare del libro in uscita. Colpiva molto. Suonava così. “La sola cosa che dovrebbe essere chiara a tutti è che un bambino palestinese vale esattamente quanto un bambino ebreo”. Era spontaneo finalmente approvare. E faceva piacere che fosse un intellettuale ebreo come Ginzberg a esporsi. Poi mi sono fermato a ragionare e mi sono detto: possibile essere arrivati a tanto? Possibile che una banalità del genere, o meglio un dato di fatto, una roba scontata, qualcosa di assolutamente evidente per chi sia cresciuto come noi, dentro o fuori il cattolicesimo, possibile che in Occidente si debba sottolinearla, una cosa del genere? E possibile che a dirlo debba essere un ebreo, come se agli altri fosse quasi ormai culturalmente interdetta la possibilità appunto di esporsi? Esporsi poi? Esporsi per dire che uomini e donne sono tutti uguali, non solo i bambini? Ragionavo così e mi è caduto l’occhio su un commento. Vado a memoria. “Sacrosanto. Però l’ebraismo è una religione. Si dovrebbe semmai dire che un bambino palestinese vale quanto un bambino israeliano”.
Eccoci al punto. Ecco dove siamo arrivati. Ecco il pericolo di cui parlo dall’inizio di questo articolo.
Stiamo sacrificando tutto. Il sacrificio è cominciato e prosegue sulla pelle degli altri. Germania insegna. Il Paese responsabile della Shoah, avviluppato nelle spire della colpa, tenta di liberarsi sacrificando un altro popolo e condividendo un ulteriore genocidio, anziché usare la memoria per evitarlo. L’Occidente è al seguito di questo sacrificio. Ma non stiamo uccidendo solo gli altri. Stiamo uccidendo anche noi stessi, la nostra civiltà. E il primo pericolo, quello alimentato innanzitutto da noi, sta proprio nella distruzione di un mondo, a partire dalla libertà di pensiero e di espressione.
L’altro grande pericolo segue a ruota. È generato – direi con consapevolezza – dalla stessa Israele. E si chiama antisemitismo. E qui ci sarà bisogno di tornare a discutere a lungo. Ma è evidente a tutti che la rabbia, quando non trova espressione, diventa cieca, irrazionale. E a furia di dar dell’antisemita a chi condanna un Paese per la sua politica genocida il rischio è proprio quello di alimentarlo, l’antisemitismo. Non tanto per una questione logica, come sostengono alcuni. Certo, viene facile dire: se criticare Israele significa essere antisemita, allora lo sono. Ma non è la logica a essere in ballo in questioni così drammatiche. Bensì la cosiddetta pancia, gli intestini, le viscere. E il pericolo qui dovrebbe essere evidente a tutti. Chi lavora contro il genocidio di un popolo non può essere colpevolizzato da un gruppo di persone che rivendicano superiorità al punto da giustificare ogni efferatezza. E non può essere accusato in nome di una religione. Altrimenti la reazione sarà contro quella religione.
Credo che gli intellettuali ebrei siano chiamati ora definitivamente a fare un passo avanti. Ma non solo su di essi sta il peso dell’azione. Gli intellettuali tutti sono chiamati in campo. È adesso che il bisogno di giudizio e ragione si fa impellente. Adesso più che mai servono capacità di analisi e senso critico. Più tardi potrebbe essere troppo tardi.
Matteo Nucci
E’ nato a Roma nel 1970. Ha pubblicato con Ponte alle Grazie i romanzi Sono comuni le cose degli amici (2009, finalista al Premio Strega), Il toro non sbaglia mai (2011), È giusto obbedire alla notte (2017, finalista al Premio Strega), e il saggio narrativo L’abisso di Eros (2018). Con Einaudi ha pubblicato traduzione e commento del Simposio di Platone (2009) e i saggi narrativi Le lacrime degli eroi (2013), Achille e Odisseo (2020), Il grido di Pan (2023). Per HarperCollins sono usciti il romanzo Sono difficili le cose belle (2022) e il saggio narrativo Sognava i leoni. L’eroismo fragile di Ernest Hemingway (2024). I suoi racconti sono apparsi in riviste, antologie e ebook (come Mai, Ponte alle Grazie 2014), mentre i reportage di viaggio e le cronache letterarie escono su La Stampa e L’Espresso. Cura un sito di cultura taurina: www.uominietori.it.
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Supertramp/Supertrump
Goodbye stranger…come colonna Sonora/Messico ora anche adattata per Gaza.
——
…”ripuliremo tutto…milioni di persone” poi un giorno si presenta in udienza inginocchiato dal Papa.
Non ho le prove oggettive, ma immagino che, a questo punto, si tratti di una questione di contropartite. Gli USA di Biden NON hanno neppure impostato questa trattativa, invece Trump sembra intenzionato a farlo. Ora deve negoziare con Egitto, Giordania ecc le condizioni per lo spostamento dei palestinesi: soldi, armi, forniture industriale, contratti commerciali e chi più ne ha più ne metta. Stabilito il “prezzo” i palestinesi di Gaza verranno spostati nel Sinai (Egitto) e quelli della Cisgiordania in Giordania. Non escludo che, a completamento del tutto, il sud del Libano e una bella fetta delle alture del Golan (Siria) diventeranno dei protettorati israeliani. Il tutto rientrerà nel grande disegno degli Accordi di Abramo, con i quali gli USA piantoneranno tutta l’area M.O. con i loro due pretoriani locali, ovvero Israele e Arabia Saudita. Trump vuole la pace, certo, ma alle “sue” condizioni. Io continuo a sostenere che, nell’ottica dei palestinesi, sia la soluzione migliore. Stare a Gaza/Cisgiordania significa essere continuamente esposti ai bombardamenti e alle azioni militari degli israeliani. Se avessero spostato i palestinesi da Gaza 15 mesi fa, si sarebbero risparmiati gran parte dei 50.000 morti che si sono invece registrati.
——— DOMANDA INGENUA ———
Dopo la fine della Seconda guerra mondiale la Germania accolse come profughi i tedeschi della Prussia Orientale, dei Sudeti e della Pomerania orientale; l’Italia – con l’eccezione del PCI, che li bollò come “fascisti” – accolse come profughi gli italiani dell’Istria, della Venezia Giulia orientale e di Zara.
La Striscia di Gaza una volta faceva parte dell’Egitto e i suoi abitanti erano egiziani. Perché ora l’Egitto non li accoglie come profughi?
Ecco la dimostrazione che il mondo è completamente cambiato rispetto a come continuano a ragionare molti di voi, che perdurano nel far riferimento a parametri ideologici, oggi sono in fase di abbandono (se non già del tutto abbandonati). L’idea di spostare i palestinesi da Gaza, idea che, per il loro stesso “bene”, io sostengo pubblicamente dall’ottobre 2023, è attualmente espressa perfino ai piani alti, quelli dove si prendono le decisioni che contano a livello mondiale.
Dall’odierna rassegna stampa (26/01/25):
Il piano di Trump: “Ripulire Gaza con palestinesi in Egitto e Giordania”
A CURA DELLA REDAZIONE WEB del LASTAMPA, 26 gennaio 2025
….. Intanto il presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta valutando un piano per “ripulire” Gaza, con i palestinesi in Egitto e Giordania nel tentativo di favorire la pace in Medio Oriente. “Stiamo parlando di un milione e mezzo di persone, e noi ripuliamo tutto”, ha detto Trump ai giornalisti, dicendo che la mossa potrebbe essere “temporanea” o anche “a lungo termine”
Infatti, giusto per comprendere come la pensano davvero in Israele… ecco una notizia riportata oggi su il Fatto…
Netanyahu: “Se salta l’accordo sulla fase due la guerra riprende”
Il primo ministro Benyamin Netanyahu ha riferito durante la riunione di gabinetto che Israele “ha ricevuto garanzie inequivocabili da entrambi i presidenti Usa, sia Biden che Trump, che se i negoziati sulla fase due dell’accordo falliscono e Hamas non accetta le richieste di sicurezza, l’Idf tornerà a combattere intensamente a Gaza con il sostegno degli Stati Uniti”. Lo scrive Ynet.
La raffinatezza delle tue idee compete solo con l’intelligente analisi che le contraddistingue.
Sarai stufo delle mie cazzate, perché sono talmente raffinate che uno come te non arriva a capirle. Per intanto ieri, il giorno dopo l’annuncio di Trump sulla tregua, Israele ha ancora bombardato facendo 70-80 morti… un M.O., fra il dire e il fare c’è di mezzo… un oceano intergalattico…
“io ho pubblicamente detto che chi era interessato al destino dei palestinesi doveva attivarsi per spostarli da Gaza”
Beh certo, una soluzione ragionevole e corretta…
Devo averla già sentita:
“non è colpa mia: se mi avesse dato subito il portafogli non gli sparavo”
“se stava a casa sua non le succedeva niente”
“non sono io che sono razzista, sono loro che sono terroni (negri, islamici, ecc.)”
“se le è andata a cercare”
E sono anche un po’ stufo di cazzate.
Io non mi sento sulla coscienza neppure un morto di Gaza perché è stata Israele a voler bombardare, con il supporto di quasi tutta l’opinione pubblica israeliana e delle comunità ebraiche del mondo. Inoltre ricordo che dalla metà di ottobre 2023 io ho pubblicamente detto che chi era interessato al destino dei palestinesi doveva attivarsi per spostarli da Gaza. Se fossero stati spostati 15 mesi fa, non ci sarebbero stati 50.000 morti. Quindi questi morti li ha sulla coscienza che, in questi 15 mesi, ha sempre strillato che la deportazione dei palestinesi era un crimine inaccettabile. Se vi foste convinti ad accettare tale soluzione, forse si sarebbe creato un movimento di opinione in Occidente che spingeva i governi ad agire in tal senso, togliendo i bersagli umani agli israeliani.
@ Regattin
.
Positivo o negativo il giudizio sulla strage dell’ Ottobre 24 e del rapimento degli israeliani non ancora rilasciati da Hamas , credo che sia abbondantemente un falso dare la colpa di tutto a Netanyahu ; per quanto si possano falsificare le informazioni, dietro Netanyahu c’era e c’è ancora un popolo che si comporterebbe allo stesso modo , e che oggi sta manifestando contro Bibi perché con la tregua ha ridotto la pressione sui terroristi di Hamas , permettendo loro di riorganizzarsi.
Bene, sappi che abbiamo sulla coscienza 20000 bambini morti (oltre agli altri civili), cifra spaventosa, testimonianza di questa follia disumana perpetrata da un folle che mi auguro avrà la sorte che si merita.
Ma il problema sono le manifestazioni pro-Palestina!
Quando sento (vedere è sottotraccia e censura)di bimbi appena nati che muoiono di fame e freddo nelle terre del Christo non è solo la ragione ad essere oscurata dal buio della notte.
Il muro multicomponente innalzato dall ultimo governo Israeliano che lo ripara da ogni sussulto d’umanità fa dimenticare la loro promessa terra di latte e miele…e la bensì trasforma in sangue(tanto) e armi(soldi).
Il giorno che aspettavamo a novembre nell’articolo è arrivato, facciamo di non sprecarlo.
Io invece spero che siamo arrivati ad una ( precaria ) soluzione , bisognerà vedere se come verranno osservati i patti , e se dal lato israele si riuscirà ad arginare il land grabbing e dal lato arabo gli attacchi terroristici gratuiti.
In 15 mesi Israele NON si è fermata anche perché ha avuto il sistematico sostegno degli USA (e dell’occidente intero, al seguito degli USA), attraverso la sistematica fornitura di denaro, armi e munizioni. Vedremo se l’Occidente interromperà questo sostegno: solo se Israele non avrà più sistematici rifornimenti di soldi, armi e munizioni, sarà impossibilitata a continuare la guerra. Si comporterà così l’Occidente? Mah… io continuo a dubitare… Conoscendo quanto sia potente la comunità ebraica statunitense (quelle europee seguiranno…), dubito che interromperanno completamente i flussi.
Per intanto la tregua annunciata, che per ora durerà 42 giorni (dopo 467 giorni di guerra! Questo la dice lunga sulla labilità dell’ipotesi…) dovrebbe iniziare domenica prossima, ma ancora ieri Israele ha bombardato Gaza, con circa 10 morti civili in una sola giornata…
Io temo che il “cessate il fuoco” durerà solo se e fino a quando ci sarà lo scambio di prigionieri contro ostaggi. Terminato questa fase, non ci sarà interesse per Israele di astenersi dal bombardare Gaza. Solo se, nei prossimi due mesi, Trump riuscirà a elaborare un maga nuova versione degli accordi Abramo, Israele potrebbe esser tentata di “fermarsi” in cambio di quegli accordi strategici di grandissima portata. Ma tali accordi coinvolgeranno Arabia Saudita e Israele e l’obiettivo è depotenziare definitivamente l’Iran. Voglio dire che tali accordi (oggi tutti sulla carta…) non coinvolgeranno minimamente i palestinesi, né quelli di Gaza né quelli della Cisgiordania: saranno solo merce di scambio nelle trattative fra Israele ed Arabia Saudita (che a sua volta ha dietro i paesi del golfo e dell’area araba moderata). Le potenze occidentali dell’area (Israele e Arabia Saudita) si spartiranno il M.O. e gli altri popoli saranno di fatto “colonizzati”. per cui: ottima notizia la tregua, ma (oltre alla sua fragilità) il destino di medio termine non so se sarà tanto positivo per i palestinesi…
“Dal fiume al mare.”
Piú chiaro di cosí!
“io resto convinto che Israele non si fermerà”
Potresti anche avere ragione, purtroppo.
Quindi occorre fermare Israele, costringendolo a smettere, come si è fatto con la Serbia, con il Sud-Africa, con la Germania nazista.
E dovrebbe essere anche più facile, non occorre bombardare nessuno: basta chiudere il rubinetto con cui alimentiamo Israele.
Nonostante la notizia positiva di una possibile tregua (ma sottolineo “tregua”), io resto convinto che Israele non si fermerà. Israele “vuole” il territorio di Gaza libero dai palestinesi, così come vuole la Cisgiordania, il sud del Libano e le alture del Golan, anche oltre il confine con la Siria. Due sono le ragioni: Israele vuole spazio fisico fra sé e i suoi nemici, per evitare altri 7 ottobre (ma anche spiccioli attentati da 1-2 morti), ma soprattutto Israele vuole quei territorio per le esigenze degli israeliani. Io credo che questa tregua sia solo una manovra di facciata dell’amministrazione Trump che vuole dimostrare che (a differenza di Biden) sa risolvere i conflitti. Ma illudersi è da ingenui. Come tutti questi decenni hanno dimostrato, gli accordi (anche quelli giuridicamente più profondi e carichi di valore simbolico) fra israeliani e palestinesi sono scritti sulla sabbia: basta che passi un po’ di tempo e saremo di nuovo allo stesso punto di prima. Il problema NON è Netanyahu: il popolo israeliano è molto unito, salvo proprio frange di fisiologico dissidenti, ma sono veramente irrilevanti. La controprova è che se il popolo volesse “la pace”, avrebbe spinto per far aprire una crisi di governo, con presumibili nuove e lezioni, da cui sarebbe scaturito un nuovo parlamento e un nuovo Governo “pacifista”. Invece nulla di tutto ciò, anzi il Governo in carica ha acquisito (ottobre 2024) altri parlamentari a sostegno! Su Gaza, continuo a rimanere convinto che la vera soluzione sia attrezzare un mega centro che ospiti i palestinesi nel Sinai egiziano: quella sarebbe una soluzione “definitiva”, perché lascerebbe la striscia di Gaza totalmente nelle mani di Israele, la quale non avrebbe più altre rivendicazioni.