Palestra di Pietralunga – 2 (2-2) (AG 1963-011)
(dal mio diario)
2 ottobre 1963. Alle 6.10 partiamo da Genova Brignole. Marco Ghiglione non sta bene, perché nella notte ha vomitato quattro o cinque volte. Vabbè, siamo matti e, come tali, queste cose non ci impressionano. Non ci impressiona neppure il fatto che sta per piovere. Arriviamo al Masso del Ferrante alle 7.45. Marco vede la valle e le rocce della Pietralunga per la prima volta. Continua a non stare bene e ad avere scariche di diarrea. Per vedere se può fare ciò che abbiamo intenzione di fare, gli faccio salire i pochi metri della paretina sud del masso. La sale dignitosamente, quindi proseguiamo.
In un quarto d’ora siamo alla base della Cresta Settentrionale di Pietralunga. Due sono le cose fastidiose successe nel frattempo: la prima, per poco non arriva in testa a Marco un roccione di 30-40 kg spostato sbadatamente da me; la seconda, incomincia a piovere.
Sotto una pioviggine insistente ci prepariamo e parto per primo. Dopo un tratto facile, superiamo il primo ostacolo, un camino di 7-8 m definito “faticoso, IV”. Alla sommità di questo attacca a piovere forte. Non possiamo ripararci. Scavalchiamo due gendarmi, cerchiamo affannosamente un riparo, ne troviamo uno sommario. Insomma, dopo la raffica di pioggia, siamo bagnati fradici, e con noi sia la corda che la roccia.
Cresta Settentrionale di Pietralunga. 1=Spigolo del Secchio; 2= Paretina dei Due Chiodi
Non ci perdiamo d’animo e continuo per una placchetta di III grado che ci porta proprio sotto alla cosiddetta Paretina dei Due Chiodi. Sotto di noi c’è il nostro obiettivo odierno, il cosiddetto Spigolo del Secchio, una variante “di pregio” della via della Cresta Settentrionale. Qui dobbiamo scegliere: o continuare per la Paretina dei Due Chiodi evitando la variante, oppure andarci proprio a cercare la gatta da pelare sullo Spigolo del Secchio per poi concludere necessariamente per la Paretina dei Due Chiodi.
Nell’indecisione, riattacca a piovere forte. Ma c’è un bel tetto sotto il quale possiamo rifugiarci. Mentre aspettiamo che smetta, decidiamo di osare. Così, alla tregua, lasciamo lì gli zaini e ci rivolgiamo allo Spigolo del Secchio.
Mentre Marco rimane in alto ad assicurarmi, io scendo cauto per una placchetta spiovente, mi afferro a uno spuntone, scendo in un diedro. Ora sono vicino al passaggio, ma tutto è grigio, c’è molta nebbia. Sono a una cinquantina di metri da terra. Oltre alle difficoltà dello Spigolo del Secchio (V-) c’è anche un’esposizione inusuale. La roccia è bagnata. Pianto un chiodo all’inizio della placca, poi attraverso lentamente sulla lista mirando al vecchio chiodo che segna il punto più difficile (il chiodo piantato da me, come si può vedere dal disegno, non serve a nulla, anzi in caso di caduta renderebbe più ampio il mio pendolo e più forte il mio impatto sulle rocce sottostanti… NdR). Mi ci assicuro, poi tento di raggiungere in spaccata lo spigolo vero e proprio. Niente da fare. Torno indietro fino a che posso prepararmi un cordino da usare sul punto cruciale. Dopo averlo attaccato al chiodo, mi ci attacco con la mano sinistra e riesco così a raggiungere lo spigolo. Qui sento ancora di più il vuoto. Ora risalgo per due metri poi, visto che le difficoltà non sono finite, cerco di piantare un altro chiodo. Non ci sono fessure. Allora salgo ugualmente, di forza, e m’imbatto in un altro chiodo vecchio. Con il suo aiuto, e con la corda che mi tira in basso, riesco a salire tutto lo spigolo fino al vero e proprio vecchio secchio da muratore lì appeso. Da lì al terrazzo. Sono strafelice, mi sembra il passaggio più duro che ho mai fatto.
Ora tocca a Marco che molto diligentemente recupera tutto il materiale e anche lui felicissimo dà un colpo di martello al secchio, come fosse una campana!
Ora ci attende la Paretina dei Due Chiodi (IV), che si presenta abbastanza “lepegusa” (termine genovese per indicare qualcosa di viscidamente umido).
Spigolo del Secchio. 1=Marco; 2=Alessandro; 3=diedro; 4=spuntone; 5=primo chiodo (piantato da me); 6=secondo chiodo (trovato in parete: questo è il passo di V-); 7=Spigolo del Secchio; 8=il secchio; 9=piattaforma erbosa sottostante la Paretina dei Due Chiodi. Disegno originale, 1964.
Se la chiamano così, allora abbiamo diritto a usare due chiodi… Sale Marco da primo e con molta difficoltà li pianta entrambi. Ma al di sopra mancano appigli e la parete è leggermente strapiombante. Rinuncia per darmi il passo, ma anche io non mi fido. Riprova lui e quando riscende siamo un po’ scoraggiati. Poi lui mi dice che la soluzione ce l’ho in mano, mi aizza. E’ solo per rabbia che mi ritrovo oltre l’ostacolo… Quando tocca a Marco, il poverino si sente di nuovo male. Riesce a togliere il primo chiodo, poi non raggiunge il secondo (peraltro piantato da lui stesso prima…). Sta male. E’ davvero uno smacco per lui, dopo aver attrezzato il passaggio, non poterlo fare. Si fa calare. Abbandoniamo il secondo chiodo e relativo moschettone, poi lui mi raggiunge facendo un lungo giro a sinistra per erba e roccette.
La Cresta Settentrionale è finita, ma io ne voglio ancora. Vogliamo fare il Diedrino e la successiva Fessura degli Svizzeri, da me già fatta. Marco sta un po’ meglio, così mangiamo assieme qualcosa. Questa volta il Diedrino mi si concede, ma quando tocca a lui riprendono i conati di vomito. Recupero il materiale. Marco è nero di rabbia, rosso di stizza, verde di nausea e bianco di malessere… Subito dopo riprende a piovere forte, abbiamo sì le giacche a vento, ma alla fine rinunciamo al riparo e scendiamo come niente fosse. Al Masso del Ferrante arriviamo fradici, e sono appena le 14.30.
Cominciamo a fare scemate: pianto un chiodo e ci metto il cordino; ne pianto un altro, altro cordino. Con i piedi ballonzolanti sulla testa di Marco proseguo. Ridiamo come matti e, alternandoci, mettiamo altri chiodi. Quello che sta sotto, in qualità di schiavetto negro, porge il materiale che serve. Intanto siamo arrivati abbastanza alti e basterebbe avere un chiodo a paletta per poter uscire. Ma non lo abbiamo, dunque decido di scendere e schiodare. E a questo punto succede: si stacca un chiodo sotto il mio peso e casco con il culo su un masso sottostante. Come se niente fosse, Marco ripianta il chiodo uscito e continua a schiodare.
Il ritorno è ancora sotto l’acqua. Nei cessi della stazione di Acquasanta ci strizziamo pantaloni e calzettoni.
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In Baiarda quanti ricordi. Abbiamo fatto il corso di alpinismo insieme. Ma io ero troppo vecchio per venire ad arrampicare con te. Eppoi io lavoravo. Mica passavo i pomeriggi in biblioteca del CAI a leggere tutti i libri di montagna. In più tu avevi una marcia in più già allora. Che bello leggere i tuoi appunti di allora. Grazie Antonio
Nei cessi (non solo delle stazioni) e´ passata parte consistente della storia dell’alpinismo. Cosa bella da ritrovare in piccole grandi avventure vicino a casa, anche mia.
Fa brutto, ho l’influenza e la mia mail non funziona. Ma dietro le nuvole c’e’ sempre il sole, anche quando non si vede. Ciao