Recentemente è stata confermata la presenza della lontra nel fiume Isonzo e ci sono buone prospettive di espansione della specie nelle Alpi Orientali verso il Veneto. Ora da ovest giunge un’altra splendida notizia…
La regina del fiume
di Patrizia Gavagnin
(pubblicato su piemonteparchi.it il 26 aprile 2020)
Grazie a una ricerca accurata e paziente condotta da Laurent Malthieux guardaparco del settore Roya-Bevera del Parc National du Mercantour francese è stata dimostrata la presenza del mustelide nel Roya e nel suo affluente Bevera. La notizia è molto importante anche per i vicini corsi d’acqua liguri e piemontesi, perché questi bacini erano tra quelli in cui il mustelide era rimasto più a lungo prima della sua pressoché totale scomparsa dalle regioni del nord verso la fine del secolo scorso.
La lontra, un simbolo per la biodiversità
Questo mammifero strettamente associato agli ecosistemi acquatici e ripariali è diventato un vero e proprio simbolo della biodiversità. Vive in ecosistemi che gli garantiscano sufficienti disponibilità di acqua, abbondanza di risorse alimentari e bassi livelli di inquinamento ove sia presente una fascia di vegetazione ripariale densa e ben strutturata per offrirgli rifugio, tana e un luogo tranquillo dove sostare durante il giorno. Pur manifestando una certa plasticità nella scelta dei bacini acquatici dove si può stabilire, se acque di fiume o di torrente, lentiche o più rapide, è una rigorosa “selezionatrice” ecologica perché può vivere in un ambiente dove le condizioni ambientali sono integre e un degrado di queste induce, come è avvenuto, la sua rarefazione e scomparsa.
In questo senso ecologicamente la lontra rappresenta una specie indicatrice della qualità ambientale degli ecosistemi d’acqua dolce in cui vive e, in quanto specie apicale, viene definita una specie ombrello perché la sua protezione favorisce a cascata quella delle altre specie che utilizzano il medesimo habitat acquatico e ripariale.
La lontra e l’habitat acquatico
La lontra è un mammifero specializzato nella caccia in acqua e le sue caratteristiche – morfologiche, anatomiche e fisiologiche – sono il risultato di un lungo processo di adattamento alla cattura di prede in ambiente acquatico. La forma del corpo è slanciata e affusolata con zampe corte e palmate, la coda cilindrica e robusta supporta come un timone la direzione del nuoto. Il capo è appiattito dal muso arrotondato; gli occhi piccoli hanno un meccanismo di aggiustamento del cristallino per favorire una migliore visione sott’acqua. Le orecchie corte e tondeggianti sono quasi nascoste dal pelame e, come le narici, si trovano sul lato frontale del capo restando emerse, una chiusura valvolare delle narici impedisce l’entrata d’acqua durante il nuoto.
Le vibrisse, lunghi baffi sensibili, funzionano da organo di senso e permettono di localizzare pesci e anguille individuandone il movimento tramite lo spostamento della corrente; le dita particolarmente sensibili al tatto consentono di intercettare le prede sotto i sassi o in un fondo melmoso.
Grande risorsa la folta pelliccia che costituisce un efficace isolante termico idrorepellente per cui l’animale può muoversi nell’acqua anche a basse temperature. Durante il nuoto lo strato sottostante dei peli (borra) leggermente ingrassati da un secreto sebaceo costituisce una vera e propria barriera impermeabile e l’animale sta in acqua avvolto da un cuscinetto d’aria mantenendo costante la temperatura corporea.
Tutti questi adattamenti sono specifici per la nicchia ecologica acquatica, così il carnivoro caccia e cattura prede di notte anche in acque poco trasparenti.
L’habitat è costituito da corsi d’acqua tranquilla, con una buona vegetazione riparia dove si trovano la tana principale e altri rifugi accessori che sbucano sempre sott’acqua a circa un metro e mezzo di profondità.
Le nascite possono avvenire in qualsiasi periodo dell’anno, sebbene il periodo degli amori abbia luogo in genere tra febbraio e marzo. Dopo nove settimane la femmina dà alla luce 2-3 piccoli che alleva da sola. Gli esemplari adulti vivono isolati ciascuno con un proprio territorio, quello del maschio è più esteso e in esso si trova l’area famigliare di un paio di femmine; in media un maschio controlla da 20 a 40 km di fiume.
Si nutre principalmente di pesci che consuma a partire dalla testa, di Crostacei Decapodi come gamberi e granchi, molluschi, rane e rospi, natrici, e più raramente piccoli uccelli e uova.
La tutela legale
La lontra eurasiatica era un tempo largamente diffusa nel suo areale distributivo, nella seconda metà del secolo scorso inizia un processo di progressiva rarefazione e scomparsa.
L’estrema specializzazione come specie apicale della catena alimentare acquatica ha reso l’animale estremamente sensibile alle modificazioni ambientali, vulnerabile a situazioni mutate e incapace di adattarsi all’inquinamento delle acque, alla distruzione sempre più spinta della vegetazione ripariale e all’artificializzazione delle sponde con lo sbancamento dei letti fluviali. Negli anni ’50-’60 questi fenomeni divennero sempre più estesi con un effetto sia diretto alterando l’habitat di specie (Habitat ripario) del mustelide sia indiretto causando un progressivo depauperamento delle sue fonti trofiche. Ai danni ambientali si aggiunse la caccia accanita perché la lontra era considerata una specie “nociva” come competitore delle risorse ittiche ed era cacciata anche per la pelliccia considerata pregiata. I « lontrari » erano cacciatori specializzati in questo tipo di prelievo eseguito per lo più con un forcone utilizzato per affogare l’animale.
L’inizio della tutela legale risale al Decreto Ministeriale 4 maggio 1971 che esclude diversi carnivori tra cui la lontra dall’elenco degli «animali feroci e nocivi» fino ad allora vigente; il divieto di uccisione e la completa protezione sono conseguiti tramite la Legge n.968/1977 relativa alla tutela della fauna omeoterma e alla disciplina venatoria.
La legge successiva – Legge n.157 del 11 febbraio 1992 – ribadisce la tutela e considera all’Art.2 Comma 1 la lontra come «specie particolarmente protetta», prevedendo inoltre, a ribadirne la difesa, la costituzione di un apposito fondo per risarcire eventuali danni agli allevamenti ittici (Art.26) .
Il perfezionamento e il consolidamento della protezione legale è stabilito tramite le Convenzioni internazionali di Ramsar, di Washington (CITES) e di Berna che riconoscono il ruolo della lontra come animale simbolo di biodiversità e di un ambiente fluviale integro.
La Direttiva HABITAT inserisce la lontra nell’Allegato II che comprende le specie la cui presenza prevede la creazione di Zone Speciali di Conservazione e in Allegato IV in quanto «specie soggetta ad una protezione rigorosa».
La normativa di protezione delle acque, Direttiva 2000/60/CE Water Framework Directive, si indirizza alla tutela dell’ambiente acquatico nell’obiettivo di una riqualificazione e rinaturalizzazione dei corsi d’acqua, degli habitat e delle specie che li abitano.
La lontra nel Cuneese e nell’Imperiese, sul finire degli Anni ’70
Troviamo notizie sulla presenza del carnivoro e la sua progressiva rarefazione in un’inchiesta nazionale condotta negli anni 1973-74 dal Museo di Storia Naturale di Milano attuata tramite questionari indirizzati alle Stazioni del Corpo Forestale dello Stato, alle Amministrazioni provinciali e alle sedi venatorie locali. In Piemonte è descritta una distribuzione discontinua con una presenza maggiore per la parte alta dei corsi d’acqua. La maggiore diffusione si riscontra in provincia di Cuneo dove nel decennio antecedente l’inchiesta sono abbattuti 16 esemplari rispetto ai 22 totali risultanti per la regione. Nei corsi d’acqua cuneesi si trovavano lontre nei bacini Vermenagna, Gesso e affluenti, Stura di Demonte con una popolazione consistente, nell’alto corso del fiume Po, nei torrenti Maira, Grana, Marmora e Varaita; segnalazioni emergono per alcuni tratti di pianura della Bòrmida, del Tanaro e della Stura e per i torrenti Casotto, Corsaglia ed Ellero nel versante Monregalese. Zona di presenza era l’alto corso del Fiume Tanaro, particolarmente alla confluenza tra il torrente Negrone e il ligure Tanarello da cui in comune di Ormea origina il Tanaro.
In Liguria la lontra risultava localizzata in provincia di Imperia con una presenza relativamente diffusa che interessava tutti i principali corsi d’acqua delle valli e i relativi affluenti; nel tratto del Roya in territorio italiano, ovvero la parte finale del corso d’acqua nei comuni di Airole e Olivetta San Michele, e l’affluente Bevera erano segnalati dati di presenza fino al 1972.
Esistono inoltre testimonianze diverse come esemplari naturalizzati provenienti dall’area delle Alpi Marittime e Liguri e termini dialettali usati nelle vallate occidentali per descrivere l’animale, come ludria, ludrio, lurìa.
Quali prospettive offre la scoperta
Si tratta ora di verificare il probabile interessamento dei versanti liguri dei due corsi d’acqua Roya e Bevera che appartengono ad aree Natura 2000 ed estendere le indagini ai corsi limitrofi imperiesi e cuneesi che costituivano tra le aree di presenza più rilevante, tra tutti questi si trovano altri Siti della Rete europea.
La popolazione di lontre che è stata rilevata rappresenta un’importante prospettiva per la ricolonizzazione dei corsi d’acqua delle Alpi Occidentali, così come avviene per il processo in corso in Friuli-Venezia Giulia per quelle Orientali.
A livello di Enti, Aree Protette e stakeolders è stata impostata una strategia transnazionale – tra Italia, Francia, Svizzera, Germania, Austria e Slovenia – per favorire il ritorno della lontra nell’arco alpino: il Centro di referenza ha sede presso il Parco Nazionale Gran Paradiso.
Patrizia Gavagnin è Biologa della fauna, Ordine Nazionale Biologi
p_gavagnin@yahoo.it
Può interessare che a Tarvisio, vicino al confine con l’Austria si è insediata una famiglia di Castori. Vedi il filmato https://www.youtube.com/watch?v=E2mgsTdoEgs
TARVISIO. Il castoro in Italia sembrava essersi estinto definitivamente nel XVI secolo, gli ultimi avvistamenti in pianura Padana risalgono alla metà del 1500. Nei giorni scorsi, però, è stata fatta una scoperta davvero eccezionale. Il famoso roditore ha deciso di fare ritorno ed è stato avvistato nel nord-est, nelle foreste di Tarvisio.
Per capire bene la sua storia dobbiamo fare un passo indietro. La sua estinzione in gran parte dell’Europa fu da una parte dovuta all’utilizzo delle sue carni e delle sue pelli, dall’altra all’elevato valore del castoreum, un olio prodotto dalle sue ghiandole che veniva utilizzato nell’industria dei profumi, e si riteneva avesse anche proprietà medicamentose.
Il suo ruolo in natura è molto importante perchè è in grado di incrementare notevolmente la biodiversità delle aste fluviali che frequenta, grazie a sistemi di dighe che creano piccoli bacini e ristagni d’acqua particolarmente ricchi di vita.
Ed è proprio questa una delle ragioni che ha portato l’uomo ad avviare degli interventi per reintrodurre il castoro in molti paesi europei. Queste iniziative lo hanno riportato a qualche chilometro dall’Italia, sia in Svizzera (Canton Ticino), sia in Austria (Carinzia, Valle del Gail), dove la specie è stata reintrodotta tra gli anni ’70 e ’90 . In Slovenia il castoro è tornato nel 1999 grazie all’espansione naturale di popolazioni reintrodotte in Croazia, ma la sua presenza sembrava essere ancora relativamente lontana dai confini italo-sloveni.
Tutto questo ci ha portato ai giorni nostri. “Tutto è iniziato alla fine di ottobre – ci spiega Luca Lapini del Museo Friulano di Storia Naturale di Udine – quando sono state fatte delle osservazioni temporanee da parte di un cacciatore e di un forestale che hanno visto della particolari erosioni su un tronco”
A metà di novembre Daniele Vuerich, della stazione del Corpo Forestale di Pontebba, ha ripreso l’immagine di un salice profondamente scortecciato. “Era una foto molto ravvicinata – ci ha spiega Lapini – e non si capiva bene perché poteva sembrare un danno da ungulato”.
Per questo si è allora deciso di approfondire e di chiedere a Renato Pontarini del Progetto Lince Italia di compiere alcune verifiche che hanno permesso di appurare come le erosioni che era state osservate su alcuni tronchi erano attribuibili al castoro. “Successivamente abbiamo fatto ulteriori verifiche – racconta Luca Lapini – che hanno consentito di confermare la presenza di almeno un castoro nel comune di Tarvisio. Segni della sua attività si trovano in almeno 6-7 km di aste fluviali della zona, indicando chiaramente la sua provenienza austriaca”.
Da tempo le popolazioni di castoro, reintrodotto in altre zone d’Europa, erano tenute sotto controllo soprattutto in Carinzia, ma nulla fino ad oggi aveva fatto supporre che la specie avesse risalito l’Orrido dello Slizza fino a Tarvisio.
Il Castoro europeo Castor fiber è protetto dalla Direttiva Habitat 92/43 CEE, che lo elenca con lo stesso pregio conservazionistico della lontra. “Oggi nei fiumi di Tarvisio convivono lontre e castori. Un primato nell’ambito italiano – conclude Lapini – che dimostra ancora una volta l’assoluta unicità di queste terre di confine”.
https://www.youtube.com/watch?v=E2mgsTdoEgs
Articolo molto importante che ci può aiutare ad approfondire i nostri rapporti con la natura. Ci metterei anche gli aspetti letterari. Nella mia memoria son tornati i ricordi delle avventure di Davy Crockett. Letture di 60 anni fa. La talpa del mio spirito ecologico ha scavato profondamente. Oggi mi emoziono ancora pensandoci.
Bellissimo articolo, taglio divulgativo ma con un’anima scientifica, speriamo in bene per la lontra, mi piacerebbe vederla dal vivo