La trilogia di montagna di Paolo Cognetti
di Ezio Costa
(pubblicato su linkedin.com l’8 gennaio 2023
La passione per la lettura in molti casi è simile a lunghe passeggiate nei boschi, tra alpeggi d’alta quota e pietraie dove la perseveranza risulta essere elemento imprescindibile: capita poi che durante la discesa, quando non dico che si è leggermente annoiati ma per lo meno distratti, dietro una baita diroccata ed abbandonata, dove il sentiero ci gira intorno, la coda dell’occhio scorge un animale a qualche metro di distanza che, da intento a brucare l’erba umida, fugge via come un fulmine. Un camoscio, con il suo mantello dai colori modulari bruno, beige, bianco, grigio e nero che per una frazione di secondo sembrava essere familiare come un animale domestico, ora dopo pochi secondi mi guarda stranito da una distanza di sicurezza superiore ad un centinaio di metri e oramai solo una macchia scura con le piccole corna nere ricurve e la sua silhouette inconfondibile!
Il libro Le otto montagne, a sensazione, può piacere o non piacere ma non è possibile negare che affronti tematiche importanti quali l’amicizia tra persone diverse che dura nonostante la distanza (un cittadino che trascorre estati in un paesino di montagna e un montanaro che vive in un alpeggio) o il rapporto tra padre e figlio. Vengono affrontati temi e valori alti, le sensazioni trasmesse sono profonde, chi ama la montagna e le persone che la abitano ritroverà emozioni a lui familiari.
Si giunge alla conclusione, verosimile, che le montagne di tutto il mondo si assomiglino e che, ad esempio, i montanari delle Alpi possano avere tradizioni comuni a quelli del Nepal (ad esempio le tipiche costruzioni fatte di legni incrociati sembrano accumunare tutte le popolazioni montane persino nel lontano Giappone dove è stato dedicato un museo etnografico al legno e alle sue costruzioni). Questa considerazione è comune al bellissimo libro Due montanari: Arturo e Oreste Squinobal dalle Alpi all’Himalaya scritto da Maria Teresa Cometto, e molto caro a Paolo Cognetti come si legge nell’emozionante post-fazione, infatti la conoscenza e frequentazione di queste famose guide di Gressoney fa parte della sua infanzia e giovinezza. L’attrazione verso le genti di montagna, molto comune agli amanti della montagna che vivono in città, risulta una tematica cardine attorno alla quale nasce l’amicizia dei due protagonisti di Le otto montagne: Pietro e Bruno. Tornando per un attimo al libro Due montanari, mi preme sottolineare che in questo interessante libro viene chiaramente esposto e documentato un parallelo tra la cultura Walser delle Alpi occidentali e il modo di vivere delle popolazioni nepalesi incontrate dai protagonisti (le guide alpine Arturo e Oreste Squinobal di Gressoney) durante la marcia di avvicinamento della prima spedizione delle guide valdostane al Kanchenjunga del 1982. Il Nepal compare nel primo romanzo di montagna di Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017, e rappresenta certamente una delle tante note autobiografiche dell’autore che oltre ad aver studiato matematica e aver frequentato molto la montagna in gioventù, ha lavorato nel cinema come autore e sceneggiatore di documentari e cortometraggi, infine si è occupato di scrittura fino a diventarne scrittore affermato.
Il secondo libro di montagna Senza mai arrivare in cima è un libro denso di riflessioni sul senso del viaggio: visto come momento sospeso dalla quotidianità. E’ ambientato nel Dolpo, una regione nel nord ovest del Nepal che è rimasta particolarmente autentica e intatta. Rispetto a Le otto montagne c’è una evoluzione: questo libro non racconta una storia ma un viaggio introspettivo. Già dalla citazione iniziale risulta chiaro il taglio che l’autore vuole dare a questo scritto decisamente molto profondo: “Vorrei essere pittore più che artigiano delle parole, stamani” tratto dal libro Un’idea di destino di Tiziano Terzani.
In Le otto montagne oltre ai numerosi paralleli filosofici tra il modo di vivere la montagna e la vita, è facile imbattersi in insegnamenti e sensazioni che chiunque frequenti la montagna con umiltà, rispetto e amore ha già provato e così si immedesimerà facilmente nei protagonisti: nella prima parte del libro il giovane Pietro ci fa notare un fatto che lui aveva già imparato, al quale suo padre non si era mai rassegnato, e cioè l’impossibilità di trasmettere a chi è rimasto a casa quel che si prova lassù tra le cime, i ghiacciai, le pietraie e i boschi, nonostante innumerevoli e dettagliati racconti. Infatti si tratta di sensazioni che vanno provate di persona con animo libero e gioioso in piena armonia con la natura.
Paolo Cognetti, pubblicando nel 2021 l’ultimo libro La felicità del lupo, compie un passo ulteriore: evoca i valori intriseci del rapporto tra uomo e le montagne, nello specifico approfondisce il valore delle cose semplici. Il libro è tenuto insieme dalla storia d’amore tra due persone in ricerca di se stesse, c’è un richiamo al libro del viaggio introspettivo che si concretizza nello sperimentare un’esistenza alternativa ricercando la felicità (anche in questa trama si colgono tratti autobiografici dell’autore).
La montagna è protagonista assoluta di questo libro, agli occhi dell’uomo la montagna è potente ed irraggiungibile, quello che la anima sono le relazioni tra gli uomini che la abitano e tra l’uomo e la natura stessa. La montagna è grande e affascinante, in alcune sue manifestazioni è terribile, la forza della natura incombe sulla fragile umanità, pensiamo alle frane, ai ghiacciai e all’impeto dei ruscelli al disgelo: nei libri di Cognetti non c’è una montagna romantica ma la montagna vera. In realtà la montagna non ha un significato preciso: siamo noi a darle un significato particolare che risponde alle nostre esigenze.
Il ruolo della donna nei libri di Cognetti non è marginale. In Le otto montagne, le protagoniste femminili, sia la mamma di Pietro (il protagonista) che Lara (la compagna di Bruno, il montanaro) sono loro il collante della famiglia e delle relazioni umane. Anche in La felicità del lupo i protagonisti femminili sono destinati ad avere un ruolo importante nella storia ed un carattere deciso: sono proprio Silvia (la protagonista femminile del romanzo) e Babette (che gestisce il ristorante nel paesino di Fontana Fredda, nella realtà Estoul in Val D’Ayas) a rappresentare caratteri in continua ricerca di esperienze nuove e della propria strada anche altrove; loro personificano quella parte di genere umano la cui felicità non è quella dei boschi “stanziale”, ma piuttosto simile a “quella del lupo”, sempre in cerca di qualcosa d’altro – di un’altra valle oltre il crinale.
Ormai da oltre una decina d’anni Paolo Cognetti è uno scrittore affermato, come lo dimostrano i numerosi premi e l’apprezzamento del grande pubblico: da Le otto montagne è stato tratto un film che io giudico profondo e coinvolgente, premiato nel 2022 con premio speciale della giuria a Cannes e uscito da poche settimane nei cinema italiani. Invito gli interessati alla lettura dei suoi libri, a mio parere c’è stata una evoluzione stilistica che ha portato allo stile asciutto ed essenziale dotato di precisione fotografica proprio de La felicità del lupo che permette al lettore di creare nella sua mente la propria storia, basata sui ricordi personali di montagna e sulle esperienze legate ai luoghi ai quali è affezionato. Questo ultimo libro, caratterizzato da capitoli brevi e conclusi in se stessi, si presta alla lettura in due persone, alternandosi nel leggere ad alta voce: una opportunità ulteriore, che ci fornisce l’autore, per coltivare relazioni.
Bibliografia
1. Le otto montagne, Paolo Cognetti – Einaudi 2017;
2. Senza mai arrivare in cima – viaggio in Himalaya, Paolo Cognetti – Einaudi 2018;
3. La felicità del lupo, Paolo Cognetti – Einaudi 2021;
4. Due montanari – Arturo e Oreste Squinobal dalle Alpi all’Himalaya, Maria Teresa Cometto (con una postfazione di Paolo Cognetti) – Corbaccio 2019;
5. Il giorno delle Mésules – Diari di un alpinista antifascista, Ettore Castiglioni (introduzione di Paolo Cognetti) – Collana Stelle alpine Hoepli 2017.
Della trilogia ho letto solamente “Senza mai arrivare in cima”, mi è stato regalato qualche mese fa.
Dopo un titolo e un inizio promettenti l’ho trovato abbastanza inconsistente, mi è parso un diario di viaggio come quelli che si scrivono da ragazzi (oggi ho fatto questo e visto quello, questo silenzio ti fa riflettere, nella cassa comune ci sono ancora tot lire….).
Oddio, non nego che la descrizione dei luoghi e delle persone mi abbia riportato alla mente dei bei ricordi del Nepal, ma mi aspettavo qualcosa in più da uno scrittore ormai affermato.
Non ho letto molto della letteratura sulla zona, ma il Maraini di “Segreto Tibet” è decisamente di un altro pianeta, sia sul piano descrittivo che introspettivo.
Mi riprometto comunque di leggere gli altri due titoli, e ricordo che “Il ragazzo selvatico” non mi era dispiaciuto.
Che poi, a rifletterci bene, la montagna in questo tipo di analisi psicologica di personaggi e sentimenti, non è così fondamentale, anzi non c’entra quasi nulla. Voglio dire, la trama (mutatis mutandis) potrebbe benissimo essere inserita in un contesto geografico completamente diverso. Esempio: un ‘isola, dove il cittadino va a passarci le vacanze estive e l’isolano “resta”, perché circondato (non solo fisicamente) dal mare, che lo separa dal resto del mondo. l’idea del cittadino che va in vacanza nell’isola non è nuova, mi torna in mente un libro di erri De Luca, anche se i temi erano leggermente diversi.
Per questi motivi, mi incuriosisce (come ho scritto nell’altro articolo) capire come potrebbe funzionare la storia a parti invertite: il cittadino che “resta” nel suo cliché (giacca e cravatta, metafora di una vita “istituzionalizzata”) e il montanaro-isolano che gira il mondo. Se non avessi già pianificato tutto il lavoro 2023, metterei questa indagine nell’agenda. Chissà cosa potrebbe venirne fuori…
Boh…non mi ritrovo ma non discuto. Leggo libri a manetta, sia di montagna che di ogni genere. Ne’ leggo talmente tanti che difficilmente rileggo lo stesso libro, proprio per mancanza di tempo. Ebbene dopo aver visto il film, ho riletto Otto Montagne, è una eccezione positiva nei miei standard. Secondo me, la dice lunga sulla mia posizione in merito.
Cmq sia i mie famigliari(a loro volta lettori maniacali) che molti miei amici torinesi (m e f), sia “montanari” che non, mi hanno detto che anche loro avevano elaborato considerazioni più o meno simili a quelle che ho espresso io. Si vede che a Torino siamo diffidenti e velenosetti di natura… in effetti non è una piazza semplice per i forestieri. A To, se ci nasci per il gioco della sorte, ti trovi come in un comodo salotto. Altrimenti… l’e’ dura. Buona serata!
Ma infatti non metto in discussione la legittimità delle tue riflessioni, ognuno ha le sue opinioni e ci mancherebbe altro. Non mi pare nessuno abbia detto che le tue critiche non sono ammissibili. Però la tua in fin dei conti è una recensione più negativa che positiva e siamo in tanti lettori (compreso Cognetti) ad aver avuto questa impressione. Con fuoco amico secondo me ha voluto indicare un sentimento di diffusa diffidenza nei suoi confronti da parte delle persone che in un modo o nell’altro gravitano intorno al mondo della montagna, CAI compreso. Se sia l’invidia o un altro tipo di sentimento a generare questa avversione non lo so (ammirazione e invidia nascono spesso dallo stesso seme), ma da quello che vedo è così e traspare anche dai tuoi giudizi. A me dispiace perché il libro mi è sinceramente piaciuto e so che prima o poi lo rileggerò, mi ritrovo bene nelle riflessioni di Ezio Costa.
Beh… il diritto di critica esiste per tutti, non vedo perché dovrei rivedere le mie posizioni… Sulla trama ci sono alcune cose che mi piacciono altre meno o addirittura per niente, non vedo perché non sia ammesso esprimere ciò. Tra l’altro certe critiche raccolte in giro, anche se limitate al solo film, sono decisamente feroci (“due palle le otto montagne”…dice Spezzaferro). In ogni caso nel mio intervento ho preso spunto da libro+film per elaborare delle riflessioni aggiuntive, più che delle critiche, che mi interessano quasi niente.
Io non ho capito bene il commento di Cognetti. Probabilmente ha letto di fretta. “Fuoco amico”: ma io praticamente non l’ho mai incontrato di persona. Al massimo il mio è fuoco, ma perché “amico”?… Boh. Poi scrive “Grazie Cai”, ma io non rappresento mica il CAI (che cmq, su M360, a suo tempo fece una recensione non entusiata). Io credo che Cognetti a sua volta cada in un profondo equivoco. Cerco di descriverlo. Lui racconta di una “certa” montagna (mucche laghi, neve, baite…) e si aspetta che il CAI si riconosca indiscutibilmente in quella montagna lì. Ma non è così, o quanto meno non è cosi sempre, per tutti i soci e per il sodalizio come istituzione. La letteratura e la montagna in cui si riconosce indiscutibilmente il CAI ha un marcato tenore “alpinistico”, quindi c’è una certa discrasia fra i due piani. Entrambi legittimi e da ammirare pero’ occorre averne lucida cognizione.
@15: avrai pure affermato esplicitamente che il libro e’ da leggere, ma ci sara’ un motivo se Cognetti in persona ha definito la tua recensione “fuoco amico” nei commenti. Anche lui non ha colto una tua disposizione particolarmente benevola al suo libro e leggendo i commenti, sia alla tua recensione che a questo articolo, sembra non sia stato il solo.
“Noi siamo gente da trincea.”
Crovella Truppen?
Mi permetto di coinvolgere Pasini, il quale, al commento 20 del precedente articolo, afferma che:
1) Anche lui ha sentito usare il termina “cognettata” (siccome io e Pasini non ci frequentiamo, ciò conferma che il termine “gira” nell’ambiente e non dai ieri…)
2) Pasini stesso sottolinea che lui non lo ritiene un termine “dispregiativo”: a suo giudizio tale termine indica “un genere letterario in cui la montagna fa da sfondo a storie emotivamente coinvolgenti di tipo personale” (ho copiato testualmente).
Pertanto vi chiederei la cortesia di terminarla con ‘ste insinuazioni sull’invidia… Probabilmente, nell’intero mondo, vi sarà anche qualcuno roso dall’invidia per le vendite di Cognetti, ma non è il caso del sottoscritto, per i motivi che ho riportato nel commento precedente.
Certo, a me piace una realtà più “cruda”, in montagna come nella vita di tutti i giorni, ma questo perché (per la mia personalità, l’eduzione ricevuta e la mia storia di vita) io detesto i contesti “sdolcinati”, che in casa mia vengono sintetizzati come “roba da ciellini radical chic”. Noi siamo gente da trincea. Tuttavia, ciò non mi impedisce di leggere anche tali testi e di suggerirne pubblicamente la lettura, come appunto ho fatto. per gentilezza, prendetene atto e non perseguite verità che non esistono. Buona giornata a tutti!
@ Pur trattandosi di un risvolto assolutamente marginale, ri-metto i puntini sulle “i”.
Continuo a non capire come mai sia, per voi, così complicato capire che il termine “cognettata” NON è stato coniato né dal sottoscritto né, al brucio, durante la citata chiacchierata del settembre scorso. Non si sa chi l’abbia inventato, quel termine. Ma esiste da diverso tempo. E’ infatti di uso comune e trasversale ai manager (editor) del settore editoriale. Non c’entrano gli autori “rosi dall’invidia”.
Dal canto mio non sono assolutamente roso dall’invidia verso Cognetti: io scrivo per piacere personale e non per far soldi e, di conseguenza, mi piace scrivere come mi porta la mia indole e non come piace al mercato. Se i miei scritti piacciono a tre persone e basta (cmq non sono solo tre…), preferisco così’ piuttosto che vendere un milione di copie avendo scritto non assecondando la mia indole…
In ogni caso, ricordo che nell’articolo precedente ho ESPLICITAMENTE affermato che il libro è da leggere e il film da vedere. Non capisco quindi dove si annidi l’invidia… Pertanto aggiornate i vs file mentali, almeno con riferimento al sottoscritto.
Di tutto (bello) prendo l’invidia.
Che con i suoi sei fratelli compone l’edonistica e materialistica famiglia de l’Invidia e i suoi fratelli.
Meglio prendersene cura invece che lasciarli liberi come fossero innocui (con la c) zuzzerelloni irrilevanti nell’economia del mondo.
Mi ritrovo nella recensione di Ezio Costa e nel commento di Roberto Pasini. Ringrazio entrambi per gli stimoli ricevuti. Potrei aggiungere qualcosa ai commenti dei libri di Cognetti avendoli letti quasi tutti, compresi quelli precedenti alla trilogia? Il tema dei racconti “in e di” montagna è molto attuale.
1) il termine “cognettata” coniato durante una chiacchierata tra scrittori ed editori meno affermati e di successo di Cognetti (si legga il precedente articolo rivelatore di Crovella, un punto di vista interessante che non mi trova d’accordo), tradisce un’evidente inflessione foneticamente dispregiativa e a mio giudizio nasce da un sentimento profondo: l’ invidia. Quel libro – Le otto montagne – un libro “in e di” montagna, è stato premiato nel 2016 con lo “Strega”, è risultato molto venduto e tradotto in 35 lingue (che non significa 35 paesi del mondo). Quindi si potrebbe parlare di un caso letterario o solo di marketing editoriale costruito a tavolino? Quel libro lo leggono anche lettori giovani, e non è certo una questione di genere, non si ammicca alle lettrici e al loro presunto sentimentalismo. Quel libro piace e punto. Come il film, un successo al botteghino. Amato o criticato, il film è stato visto da tante generazioni diverse; e finalmente ben venga un film “in e di” montagne che propone una lettura diversa dalle imprese alpinistiche, tragiche o eccezionali, o dalle storie d’amore in montagna.
2) L’autore Paolo Cognetti ha una sensibilità letteraria di una generazione più giovane, si avverte che è un quarantenne vissuto con altri miti, desideri e bisogni, lontani da stereotipi. Questa generazione sa mostrare le proprie fragilità e contraddizioni.
3) La scrittura di Cognetti è precisa, non una parola di più, è asciutta con immagini limpide, mai sfocate. Cognetti usa parole chiare, ma non è detto per questo che non abbia il gusto dei problemi, non è perciò facile. La sua è una testimonianza importante della scrittura del nostro tempo, senza orpelli, sobria e ritmica, non un romanzo, non è un passatempo che poi si dimentica. Costruita come narrazione di un racconto di ciò che l’autore ha vissuto o ciò che ha ascoltato, è specchio di ciò che vede trasformarsi (la natura e le persone in montagna), non cede a ciò che piace alla massa ma riporta il lettore alla dimensione dell’essenziale. Nelle mancanze, nei desideri e nelle contraddizioni dei suoi personaggi troviamo pezzi della nostra umanità. Paolo Cognetti, nato a Milano, oggi la città più in crisi per qualità della vita, ama le montagne non come fondale ma come stile di vita, come scelta di “ritornante” potenziale, come aspirazione a un modello di “limite”, in contrapposizione all’eccesso di altri modelli. Non è detto che sia la strada per la felicità. La scrittura è importante per lui, e mi ricorda per la precisione delle parole un grande scrittore di un’epoca che non c’è più, Rigoni Stern. Ma ora mi rendo conto di spingermi troppo in là, nel futuro si farà un bilancio della sua fortuna critica e di pubblico. Nell’intervallo, la lettura di Cognetti – anche senza capolavori tutti allo stesso livello – è una lettura consigliata che ci tiene ottima compagnia.
Fabio, sono sollevata dalla tua precisazione.
Dai, leggilo e poi ci racconti le tue impressioni!
Grazia, anche per me cognettata ha una connotazione negativa.
Non ho letto il libro e quindi devo tacere. Domandavo a te e agli altri se è bello, profondo, sentimentale o, al contrario, una boiata pazzesca [Paolo, sto scherzando!].
Ora credo di avere capito.
Grazie a tutti per aver letto, apprezzato e commentato i miei pensieri. È stato per me un piacere scriverli.
Come spiegato bene nell’articolo di Carlo Crovella le 8 montagne con 1a al centro, che provengono da un mandala indiano, sono una metafora di alpinismo nomade e alpinismo stanziale, un altro modo per identificare coloro che stanno bene in un posto/situazione rispetto a chi sente l’esigenza di cambiare, di conoscere ed esplorare qualcosa di nuovo! .. come spesso capita e si ha la sensazione di non aver mai finito di scoprire!
A Grazia (n7): se ha modo di leggere “La felicità del lupo” potrà sostituire quella parola con il Monte Rosa, il Fuji, .. e tutti i Monti a lei cari. La protagonista indiscussa a volte è anche ingombrante e condiziona i destini delle vite umane. Volevo sottolineare fortemente questo aspetto. Grazie.
Buonasera Fabio,
io non amo le etichette e siccome mi sembra che “cognettata” abbia una connotazione negativa, non mi sento di collegarla a Cognetti e ai suoi scritti.
Non ricordo se a te il libro sia piaciuto o meno.
Ma allora, dopo quel che avete scritto, non si tratta di una cognettata?!
P.S. Grazia, mi fido di te. Dimmelo tu: Le otto montagne è o non è una cognettata?
Certamente una buona recensione per l’autore.
Ho letto solo “Le otto montagne” e non gli altri libri, dunque non posso commentare le sue considerazioni.
Avrei ripetuto un po’ meno “la montagna”.
Profonda riflessione quella di Pasini, a corollario dell’articolo.
Otto montagne? anche nove o dieci, o tante. Se il mondo fosse tutto una montagna sarebbe differente: più libero più uguale più fraterno. Ringrazio Paolo Cognetti per l’ottimismo.
Penso che le immagini che Paolo Cognetti evoca con le sue parole siano suggestive, ancor più per chi, come me, ha le sue radici in montagna.
Non ripeto alcune mi considerazioni che ho scritto poche ore fa nel commento 34 dell’articolo dedicato al film. Gli interessati le trovano lì. Ciao!
Una recensione di Cognetti adeguata. Un giusto risarcimento. Il recensore apprezza l’autore, magari non tutti sono così positivi nella valutazione dei lavori successivi al primo romanzo, ma cerca di cogliere il senso che lega i suoi libri e le ragioni del successo. La montagna di Cognetti è una montagna “sottile” popolata non da eroi o da emozioni “primitive”, “arcaiche”. È una montagna sofisticata, intellettuale, fatta di relazioni complesse. È la montagna di un cittadino, uomo di mondo con una sensibilità “fenminile”, che va e torna continuamente da realtà e ambienti diversi, in una sorta di pendolo. A me ha fatto pensare a tutta la storia dell’andare per monti dei cittadini: ma esiste una montagna in se’ , come quella del miei nonni che ne sono fuggiti appena hanno potuto, oppure la montagna della letteratura letta soprattutto dai non montanari è una montagna che esiste solo in relazione a ciò che montagna non è? “Due anime mi straziano il petto” come dice il poeta? Poi c’è il tema del rapporto padre-figlio- madre ma questo evidentemente colpisce di più chi si rispecchia con la propria personale esperienza del triangolo di sentimenti che segna indelebilmente la nostra vita.
C’é tutto.
L’esperienza non è trasmissibile.
La realtà è nella relazione.
Complimenti.
C’è il senso di appartenenza a qualcosa più ampio di noi stessi. Un legame al tessuto che ci ha generati. Perciò, anche non detto, il sacro e il trascendente.
Diverso dal paladinare ideologicamente, buon campione di arimanica separazione dall’Uno. Causa prima di una direzione culturale e sociale tossica e patologica.