La via Deye-Peters alla Torre delle Madri dei Camosci (1929)
di Saverio D’Eredità
(dal suo profilo facebook)
“Il mio allenamento era quello: la via Comici alla Cima Riofreddo con la mia variante, la Krobath, il Deye-Peters. Un paio di settimane, non di più, ed ero pronto”. Queste parole – a memoria – le disse una volta l’immenso Ignazio Piussi parlando del suo “allenamento” alla stagione estiva. Gli anni ’50 non erano certo tempi facili per i montanari del Tarvisiano e il lavoro impegnava anche gli alpinisti più forti a tempo pieno. Così, per essere pronti alla “stagione”, Piussi ripeteva spesso le vie della conca del rifugio Pellarini Tarvisio 1500 m (che compie proprio quest’anno i 100 anni) come banco di prova prima di passare ad itinerari più impegnativi in Dolomiti, dove seppe dare il fumo alle migliori cordate dell’epoca.
A testimonianza del fatto che il circo di pareti che si alza dalla Carnizza di Camporosso non teme confronti con le grandi pareti dolomitiche e racchiude vie di sicuro impegno.
Tra queste, il “Deye-Peters” è forse la più classica e rappresentativa scalata delle Giulie Occidentali: una linea estetica e sinuosa, logicissima e di soddisfazione. Non solo: una pietra miliare dell’alpinismo in Giulie. Anche se quando i due tedeschi arrivarono qui, già molti grandi problemi erano stati affrontati (come ad esempio la Comici sul Vano Nero, via non a torto paragonata alla Solleder del Civetta per ambiente ed impegno), quello che sarebbe diventato per tutti il “Deye” aveva dalla sua una indiscutibile bellezza. La prua che si protende dalla Torre delle Madri dei Camosci 2503 m offre una linea ideale, e i tedeschi la videro con evidenza. La storia di questa via è ancor più significativa per altri motivi. Perché la cordata di Adolf Deye e Rudolf Peters superò oltre 300 metri di scalata senza usare neppure un chiodo (!), dimostrando coraggio, livello e grande padronanza dei propri mezzi, considerando l’epoca e i mezzi tecnici. Il superamento dello strapiombo (oggi valutabile come un 6c abbondante e non banale) richiese una dose di astuzia e capacità funamboliche tipiche degli anni (con una piramide umana e a suon di chiodi, i due superarono infatti quei 10 metri giallastri e aggettanti, applicando per la prima volta tecniche artificiali su queste montagne). E infine perché per Peters fu l’inizio di una grande carriera che lo portò fin sulla Nord delle Grandes Jorasses, dove fu il primo a superare la parete (per lo Sperone Croz, NdR).
Insomma, se ne respira tanta di storia da queste parti. Una storia che si intreccia ad altre: antiche (come l’uscita sulla Cengia degli Dei e la discesa per la storica Gola Nord-est del Jôf Fuart, una delle più significative scalate di Julius Kugy e Jože Komac, con Graziadio Bolaffio e l’altra guida Anton Oitzinger, il 22 settembre 1901) e moderne, dato che oggi, attorno al diedro del Deye, si sviluppano varie vie sportive di alto ingaggio come South Park, la non più percorribile (dal terzo tiro) Angelinaaaa…! e la nascosta e severa Futurama, dove si sono cimentati gli assi moderni come l’indimenticato Luca Vuerich, Alex Di Lenardo, Romano Benet e Nives Meroi.
Quando si scende (ovviamente tardi!) si avranno certamente gambe stanche e braccia gonfie, ma anche gli occhi pieni di questa bellezza che contrasta i cupi baratri della Nord con la luce delle cenge e degli spigoli superiori. Giornate intense che non si dimenticano, ma che anche caricano le pile per altre avventure. Come dare torto a Piussi!
Note: probabilmente tra le più note scalate delle Giulie, il Deye-Peters, aperto il 16-17 agosto 1929, è una via di sicura soddisfazione seppur non particolarmente impegnativa. Roccia generalmente molto solida e lavorata, difficoltà continue, proteggibilità buona (mai banale, come sempre qua) e un discreto sviluppo ne fanno una via di grande fascino. L’unico tratto in artificiale è agevolato da molti chiodi, ma certamente il tiro successivo è tra i più belli su queste pareti: 30 metri di V e V+ aerei su roccia ottima. Attenzione alla difficile parete iniziale (un buon V+ spesso umido) e all’accesso: quest’anno 2024 il nevaio di attacco è particolarmente spesso e richiede ramponi e attenzione. Si può attaccare per i primi tiri di South Park o Angelinaaaa…! (max 6a), quest’ultima forse più severa per gli spit distanziati. Se non si prosegue lo spigolo per la cima (con un’altra via aperta precedentemente da Gustav Renker e A. Habtmann il 24 luglio 1914), la discesa per la Gola Nord-est, seppure ben segnata, non va presa sottogamba. Attualmente ancora molta neve e passaggi “particolari” tra neve e roccia impongono di non abbassare l’attenzione. Dislivello: 550 metri alla Cengia degli Dei (600 m se si attacca dal nevaio e 800 fino in cima). Difficoltà: IV,V,V+ e A0 (o VII+).
5. Sinceramente non so se davvero Lomasti non avesse risorse innate, però un minimo di dubbio potrebbe sorgere andando a ripetere le sue vie sul Cavallo e sulla Torre Winkel, ma soprattutto quella sulla cima Grande della Scala, valutata VIII- (altro che VI) dai ripetitori. Quindi certamente testa, ma senza doti innate non sali in apertura su quelle difficoltà con gli scarponi.
3 ) E tutte con gli scarponi…Ho letto il libro biografico sull’Ernesto , e mi ha sorpreso : credevo che un grande talento dell’arrampicata nascesse in gran parte da una predisposizione innata , invece l’Ernesto secondo il libro aveva risorse “normali” , ma una testa grande come quella di un Sinner.
Fatta anche io, confermo quanto detto da Adriano: bella e ambiente superbo. Ricordo bello bagnato e viscido il muro nero all’inizio.
L’Ernesto, tutte in solitaria a 16/17 anni… in allenamento per la solitaria al Diedro Cozzolino… un pensiero, un saluto.
Via bella e ambiente superbo !
Anche se quando i due tedeschi arrivarono qui, già molti grandi problemi erano stati affrontati (come ad esempio la Comici sul Vano Nero, via non a torto paragonata alla Solleder del Civetta per ambiente ed impegno),
L’anno scorso guardavo dal Pellarini la Comici al vano nero , su cui in un tentativo precedente Gilberti e Spinotti furono respinti da un temporale che determino’ la morte di Spinotti.
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Mi fece una certa impressione : per quelle vie serve “morale”.