Adesso si può scommettere e guadagnare sull’approvvigionamento mondiale dell’«oro blu» che diventa una «commodity», come il petrolio.
L’acqua quotata in Borsa
(uno choc: diventa una merce)
di Alberto Bobbio
(pubblicato su L’Eco di Bergamo del 17 gennaio 2021)
Il capitalismo finanziario ha abbattuto l’ultimo tabù e da poco più di un mese è possibile scambiare azioni sul prezzo dell’acqua. In pratica si può scommettere e guadagnare sull’approvvigionamento mondiale di acqua, che diventa una «commodity», cioè una merce come il petrolio, l’oro, i diamanti, i minerali rari, o il grano, il mais, la soia, il riso. E come tutte le «commodity» sarà soggetta alla speculazione a vantaggio delle banche di investimento. Con l’acqua quotata a Wall Street, dieci anni dopo il riconoscimento delle Nazioni Unite con la risoluzione 64 dell’acqua come diritto dell’umanità, cambia uno dei paradigmi sul quale da decenni si è aperto un dibattito tra chi la ritiene un «bene comune» e chi un «bene pubblico», quindi un bene di consumo, cioè una merce soggetta, come tutte le merci, alle speculazioni del mercato che fanno lievitare i prezzi sulla base della loro reale o presunta scarsità.
Poca consapevolezza
E l’acqua è bene che manca. Eppure pochi ne sono consapevoli. Non lo è affatto quel 12% della popolazione mondiale che usa e spesso spreca l’85% delle risorse idriche, mentre un miliardo e mezzo di altre persone non ha accesso all’acqua potabile e un bambino nel mondo muore ogni 17 secondi per problemi o malattie correlate alla mancanza o alla scarsità di acqua. Papa Francesco nella Laudato sì’ cinque anni fa aveva denunciato le politiche di privatizzazione e la visione dell’acqua come merce. E un anno fa il dicastero per lo sviluppo umano della Santa Sede ha deciso di approfondire ulteriormente la questione in un documento intitolato «Aqua fons vitae-Orientamenti sull’acqua simbolo del grido dei poveri e del grido della terra» nel quale avvisava circa la totale non opportunità ad attribuire all’acqua «valore economico attraverso un sistema tariffario, se questo impedisce l’accesso all’acqua come diritto». Ma adesso ogni discussione e ogni preoccupazione vengono spazzate via dalla decisione di quotare l’acqua in Borsa. È accaduto all’inizio di dicembre, sottovoce e con pochissimi denunce solo da parte delle associazioni mondiali della società civile che si battono almeno dagli anni ’70 del secolo scorso contro la «petrolizzazione dell’acqua», il nuovo oro blu del Terzo Millennio, il cui valore tuttavia, a differenza del petrolio, va ben oltre la sua utilità economica e non può essere stabilito dalla contrattazione del mercato. Il 7 dicembre alla Borsa di Chicago, la principale piazza d’affari per le materie prime, è stato lanciato il primo «future» sull’acqua.
Meno ce ne è, più costa
Meno acqua c’è e più costa ma dell’acqua non si può fare a meno. Gli economisti lo definiscono un bene con una curva «anelastica», senza elasticità, capace di adattarsi, disponibile a qualsiasi accordo, anche quando il suo prezzo sarà altissimo. Eppure ad adattarsi potranno essere ancora una volta solo i più ricchi. Gli altri moriranno di sete e di malattie connesse alla mancanza d’acqua. Il riscaldamento climatico, i guai ecologici della rottura degli ecosistemi, il tappo saltato ai cicli naturali per via dell’inquinamento e poi dighe, miniere, produzione intensive, l’accaparramento delle fonti in tutto il mondo da parte delle multinazionali dell’acqua minerale e delle bibite, l’idea che «chi inquina paga» che di fatto riconosce il diritto ad inquinare, sono tutti fattori che portano alla scarsezza che fa brillare gli occhi agli speculatori e il prezzo dell’acqua oscillerà come quello dell’oro. È la stessa Borsa di Chicago a segnalare l’affare. Per ora l’indice di riferimento, circa 500 dollari per poco più di 1.200 metri cubi di acqua, vale sul «future» dell’acqua della California, dove la siccità ha duramente colpito e il mercato della compravendita dell’acqua vale oltre un miliardo di dollari, ma la Borsa di Chicago spera che l’indice diventi quello che viene definito «benchmark», cioè un punto di riferimento, un termometro per misurare il valore dell’acqua a livello mondiale. I più ricchi compreranno terreni dove scorrono fiumi e l’acqua diventerà materia prima negoziabile come il petrolio? Nel mondo alcuni Paesi hanno già scelto di privatizzare l’acqua. In Cile è totalmente nelle mani di multinazionali private, come nel Regno Unito. In altri Paesi ci sono sistemi misti pubblici e privati. Ma affidare la gestione finanziaria ai «future» che scommettono sulla sua scarsità per impinguare i portafogli è l’attacco finale al bene comune più necessario. Spiega il Forum italiano dei movimenti per l’acqua pubblica: «Si scommette sulla crisi idrica facendola diventare occasione per creare opportunità di profitto». In realtà la speculazione riguardano l’emergenza climatica.
I diritti dimenticati
Sarà più conveniente contenerla o mandare all’aria ogni accordo in vista di profitti da capogiro? La scelta di quotare l’acqua in Borsa indica purtroppo un arretramento sul piano dei diritti dell’uomo e una rinuncia prevedibile da parte degli Stati, sotto la pressione degli interessi delle lobby finanziarie, ad essere garanti delle risorse primarie del bene comune. Nel documento vaticano si citano alcuni principi del «Protocollo internazionale per il diritto umano dell’acqua», anche quando la sua gestione è delegata ai privati, ricordando che «la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto e intoccabile, ma subordinato al diritto ad un uso comune». Irrinunciabile, insostituibile, preziosa l’acqua rischia di perdere la caratteristica di patrimonio dell’umanità e diventare solo l’ennesima preda dei poteri forti della tecnologia e della finanza. Osserva il professor Riccardo Petrella, economista dell’Università cattolica di Lovanio in Belgio, autore oltre vent’anni fa del Manifesto sull’acqua, fondatore nel 1997 del Comitato internazionale per il contratto mondiale sull’acqua: «L’entrata in Borsa dell’acqua in quanto materia prima non è solo la dimostrazione del fallimento del sistema economico capitalista della società utilitarista, ma è una sconfitta dell’umanità».
Nel mirino della finanza da anni attraverso i fondi d’investimento
(la mercificazione dell’acqua è sempre più accettata. Nemmeno l’Ue si è opposta)
di Alberto Bobbio
Il primo attacco all’acqua risale al 2000 con la creazione del fondo di investimento specializzato il Water Fund della Pictet, la più antica banca privata svizzera. Da allora i fondi dell’oro blu si sono moltiplicati e i brocker di tutto il mondo hanno annusato l’affare, stravolgendo la dottrina per la quale l’acqua deve essere posseduta dagli Stati per permetterne un accesso equo e universale. Le azioni sull’acqua sono considerate un bene rifugio. Nel 1998 è nato a Lisbona il Comitato internazionale per il contratto mondiale sull’acqua, che ha pubblicato un manifesto nel quale si affermava che l’acqua è «fonte di vita», «bene comune» e il diritto all’acqua è «inalienabile e collettivo». Ma subito si è scivolato sulle proposte.
Un bisogno vitale
E pochi anni dopo 130 Paesi riuniti all’Aja per il secondo Forum mondiale sull’acqua hanno firmato una Dichiarazione nella quale si definisce l’acqua «bisogno vitale», per la quale va prevista una «gestione efficace» essendo essa «bene economico» e non «bene sociale». Insomma chi ha soldi compera l’acqua, altrimenti muore di sete. Città come Giakarta, Manila, Dakar, Nairobi, La Paz, Città del Messico, Buenos Aires hanno privatizzato la gestione e la distribuzione e fatto lievitare i costi espellendo dall’uso dell’acqua fette di popolazione già provate da enormi problemi sociali. La mercificazione dell’acqua è una realtà sempre più accettata. Nemmeno l’Unione europea si è opposta e con la Direttiva quadro sull’acqua del 2000 ha accettato che i poteri reali sull’acqua siano di fatto nelle mani dei portatori di interessi, i famigerati stakeholders e le scelte valutate e regolamentate dal mercato.
La scelta dell’Onu nel 1977
L’Onu già nel 1977 alla prima conferenza sull’acqua dei governi aveva invece dichiarato con solennità che «tutti gli esseri umani hanno uguale diritto ad accedere all’acqua potabile». Nel 1981 il Palazzo di Vetro proclamò il decennio dell’acqua promettendo che nel Duemila ogni problema sarebbe stato risolto. Sono passati vent’anni dal Duemila, ma l’acqua resta il business del futuro. Oggi si può scommettere e guadagnare su tutto, acqua, aria, neve o pioggia. Basta legare, per esempio, i contratti alle condizioni meteo, i cosiddetti «derivati climatici». I derivati sono contratti finanziari il cui prezzo è determinato da qualcosa d’altro. Non per niente il Wall Street Journal li ha chiamati «sanguisuga dell’economia». Per esempio si vende energia elettrica o gas ad un prezzo che può variare se fa più o meno freddo. La speculazione sta tutta nello stabilire il prezzo prima degli eventi. Ma vale anche per la birra e nel Regno Unito e in Germania il prezzo della birra viene legato alla temperatura, più fa caldo più si consuma. Così il valore di mercato delle condizioni climatiche aumenta come i prezzi delle materie a cui viene legato. C’è già un nome per tutto ciò: bancarizzazione della natura, ultima inquietante frontiera della monetizzazione e della finanza che uccide.
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LA SOLITA, PICCOLA, DIMENTICANZA.
L’ONU e, con decenni di ritardo pure il Vaticano, affermano il diritto d’accesso di tutti all’acqua potabile.
Si sono però dimenticati che l’acqua dolce della terra non è infinita (e neanche quella salata). Perciò quel diritto è incompatibile con l’aumento infinito della popolazione.
Il problema non è che gli speculatori speculano sull’acqua, ma che con l’inquinamento demografico l’acqua scarseggia e domani scarseggerà sempre più.
Quando la popolazione umana mondiale era sotto il miliardo non sarebbe stato possibile commerciare l’acqua; oggi che scarseggia è inevitabile che abbia un prezzo.
Qualcuno dice che è colpa del capitalismo, ma con l’inquinamento demografico galoppante l’unica alternativa non capitalistica è quella di morire ugualmente tutti di sete, se non di morire tutti egualmente di fame.
Oppure controllare le nascite… ma le religioni da sempre dicono che è peccato.
Oppure ridurre la popolazione con le guerre, con i cappellani e i politici che ci spiegano che sono guerre giuste…
Geri