L’affaire “Croci di Vetta”

Nessuno avrebbe potuto immaginare la buriana mediatica che si sarebbe scatenata al seguito del convegno Croci di Vetta in Appennino tenutosi all’Università Cattolica di Milano nel tardo pomeriggio del 22 giugno 2023.

L’evento è stato organizzato per presentare il volume di Ines Millesimi Croci di vetta in Appennino, sicuramente al centro di una riflessione originale e per certi versi necessaria, visto che negli ultimi anni le croci svettanti sulle montagne sono state oggetto di dibattiti aperti, tra puristi della natura selvaggia e difensori di un marker della nostra geografia culturale.

E in effetti la presentazione della recente fatica di Ines Millesimi è stata uno stimolante confronto tra diverse visioni del rapporto uomo-natura: da notare la location del dibattito, perché “cattolica” ha parecchia responsabilità storica nell’attuale disastroso atteggiamento antropocentrico della nostra civiltà.

Introdotto e moderato dal prof. Ciro De Florio (docente di Logica e Filosofia della Scienza alla Cattolica), il dibattito si è svolto grazie agli interventi, oltre che dell’autrice, di Monsignor Melchior Sánchez De Toca Alameda (Sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede vaticana), di Marco Valentini (Consigliere di Stato e Docente di Diritto Penale) e di Marco Albino Ferrari (Direttore editoriale e responsabile attività culturali del CAI). La relazione di quest’ultimo era intitolata Uno sguardo culturale sulle vette, da Scheuchzer al CAI.

Luogo: Università Cattolica di Milano. Protagonisti: una storica dell’arte, un alto prelato, un giurista e il sottoscritto collaboratore del Cai. Si parte con la dichiarazione dell’alto prelato che, citando il Papa, dice che non si deve banalizzare il simbolo della croce facendone uso improprio, il suo proliferare ne affievolisce il significato, dunque meglio non erigere ciclopiche croci sulle montagne, come avviene di recente. Tutti i relatori concordano con le parole dell’alto prelato. Poi i saluti, le strette di mano, gli scambi di indirizzi; la sala si svuota, ritorna il silenzio, e nessuno può immaginare in quel silenzio che già la miccia è innescata, che la fiammella corre veloce e che presto raggiungerà la bomba (Marco Albino Ferrari)”.

In questo post cerchiamo di ricostruire la spiacevole vicenda. Nella presentazione del libro, Marco Albino Ferrari ha espresso un concetto, che – per quanto possa contare – noi andiamo predicando da anni, ovvero “lasciare le croci che ci sono, ma non metterne altre, perché l’ambiente alpino è fin troppo antropizzato: ci sono troppi segni umani”. A maggior ragione lo stesso dovrebbe valere per nuovi rifugi e bivacchi, nuovi impianti, nuove strade.

Ma questo non significa che il CAI o Mountain Wilderness abbiano mai auspicato la rimozione delle croci in loco. Non risulta che ciò sia mai stato detto o scritto.

La bufera si è innescata nel mondo mediatico e poi è stata alimentata a dismisura dalla cassa di risonanza dei social. Quando gli organi di informazione escono con titoli quali Lo stop del CAI alle croci di vetta, è chiaro che, se sono in buona fede, hanno preso “Roma per toma”, se invece in mala fede, hanno volutamente gettato benzina sul fuoco. Quello che ne deriva è tutto pane per il loro denti.

Concetti chiari e limpidi, che però sono stati travisati per ”fare titolo” da alcuni media (facile far leggere un ”il CAI contro le croci in vetta”) e poi per alimentare una polemica politica tutta strumentale a distrarre l’attenzione dei cittadini (per esempio da inchieste e problemi reali).

Difatti i Ministri hanno risposto con proclami da Crociata medievale, costringendo il Presidente Montani a una dichiarazione ufficiale in cui ha sottolineato che il CAI in quanto tale non ha mai neppure affrontato il tema, meno che mai ha assunto delle delibere in merito.

La cosa poteva finire lì. Ma l’amplificazione esacerbata dei social ha comportato la successiva decisione di Ferrari e Lacasella a dimettersi perché non si sono sentiti tutelati dalla Presidenza.

Il CAI ha bisogno tanto di un Presidente attivo e con nuove idee, quanto di esperti del settore editoriale come Ferrari, Greci e Lacasella. Troppe le macerie sul terreno. Sarà difficile conciliare le esigenze di dignità personale con la necessità che un rinnovato spirito di squadra riprenda in mano la situazione.

13 giugno 2023
Riportiamo l’articolo con il quale, dieci giorni prima, loscarpone.cai.it presentava il convegno.

Croci di vetta: sbagliato rimuoverle, anacronistico istallarne di nuove
di Pietro Lacasella
(pubblicato su loscarpone.cai.it il 13 giugno 2023)

(A questo articolo, in un secondo tempo, è stata aggiunta la nota: come già ribadito dalla Presidenza, il testo seguente non riporta la posizione ufficiale del Club Alpino Italiano ma quella dell’autore.

La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce di vetta? Ha ancora senso innalzarne di nuove? […]

L’evidenza della morte e il conseguente timore condizionano il pensiero e le azioni dell’uomo da migliaia di anni. 
A questa inquietante certezza abbiamo sempre cercato di ovviare, perché aggirare gli ostacoli è una caratteristica intrinseca alla nostra specie (così come crearne).

La paura del deperimento fisico ha trovato dunque sollievo nella speranza dell’immortalità spirituale, ma anche nel tentativo di lasciare sulla terra un segno del nostro passaggio. Le religioni – nelle loro più differenti declinazioni – così come le innumerevoli sfumature culturali sono in parte una risposta all’angoscia causata dai terreni ancora inesplorati della morte.

Nel simbolo della croce di vetta troviamo riassunte sia la speranza di vita eterna, sia la necessità di lasciare sulla terra, in un luogo emblematico e visibile, una testimonianza della nostra esistenza individuale ma, soprattutto, sociale. D’altronde l’uomo ha sempre cercato di plasmare il paesaggio a partire dalla propria concezione del mondo, dalla propria cultura.

Ma la società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove? 
Probabilmente la risposta è no. 
Innanzitutto perché l’Italia si sta rapidamente convertendo in uno Stato a trazione laica, territori montani compresi. Pertanto la croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale.

In secondo luogo perché la montagna è un elemento paesaggistico che, per ovvie ragioni, da sempre si carica sulle spalle una gravosa valenza simbolica, capace di influenzare il pensiero collettivo: il messaggio trasmesso dai rilievi non dovrebbe più riflettere il periodo compreso tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del secolo successivo (arco temporale nel quale furono installate la maggior parte delle croci di vetta), ma dev’essere riadattato sulle caratteristiche e sulle necessità di un presente che non ha più bisogno di eclatanti dimostrazioni di fede, ma di maggiore apertura e sobrietà.

Perciò, se da un lato sono inappropriate le campagne di rimozione, perché porterebbero alla cancellazione di una traccia del nostro percorso culturale, dall’altro si rivela anacronistico l’innalzamento di nuove croci e, più in generale, di nuovi e ingombranti simboli sulle cime alpine: sarebbe forse più appropriato intendere le vette come un territorio neutro, capace di avvicinare culture magari distanti, ma dotate di uguale dignità.
[…]
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23 giugno 2023
Il mattino seguente al convegno, alcune testate giornalistiche riportano la notizia che il CAI dice “basta alle nuove croci sulle vette delle montagne”.
Abbiamo scelto di riportare due tra gli articoli più rappresentativi, quello su Il Giornale e quello sul Corriere della Sera, che facciamo precedere dalla dichiarazione sull’organo ufficiale del CAI a conclusione del convegno.

Croci di vetta: qual è la posizione del CAI?
di Pietro Lacasella
(pubblicato su loscarpone.cai.it il 23 giugno 2023)

(A questo articolo, in un secondo tempo, è stata aggiunta la nota: come già ribadito dalla Presidenza, il testo seguente non riporta la posizione ufficiale del Club Alpino Italiano ma quella dell’autore.

Ci sono argomenti che, più di altri, spaccano in due la sensibilità degli appassionati di montagna, senza lasciare spazio alle mezze misure. Uno di questi è rappresentato dalle croci di vetta. 

Ogni notizia legata a una croce porta alla rapida formazione di schieramenti netti, distinti, precisi. Tale dinamica purtroppo intorbidisce il dibattito, trasformandolo in alterco; in un battibecco su cui, purtroppo, non pochi tendono a speculare.

Per fortuna, da questa visione dicotomica, che si sviluppa per contrasti, ogni tanto emergono interessanti e necessarie sfumature intermedie, capaci di osservare il tema con sguardo oggettivo, svincolato da ferree ideologie e pronto a contestualizzare il fenomeno. È proprio ciò che è avvenuto ieri, giovedì 22 giugno 2023, durante un convegno organizzato all’Università Cattolica di Milano […] Al convegno […] si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso; una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime.
Tesi, questa, condivisa pienamente dal Club Alpino Italiano. Il CAI guarda infatti con rispetto le croci esistenti, ma non solo: si preoccupa del loro stato ed eventualmente, in caso di necessità, si occupa della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli, …). Questo perché – è giusto evidenziarlo una volta di più – rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza.
Ed è proprio il presente, un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il CAI a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne. 
Che poi, a ben guardare, è lo stesso metro che il sodalizio ha adottato con i rifugi e con le vie ferrate, prendendosi cura delle strutture esistenti e, al contempo, dichiarandosi contrario alla realizzazione di nuovi innesti.
Sarebbe interessante se, per una volta, il dibattito riuscisse a smarcarsi dalla logica del tifo per abbracciare il desiderio di ascoltare, comprendere e riflettere. Una necessità di dialogo che di sicuro alzerebbe il livello del dibattito.
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L’ultima croce
(Il Club Alpino Italiano: “Basta crocifissi in montagna, non indicano più una visione comune”. E i soci protestano)
di Alberto Giannoni
(pubblicato su ilgiornale.it il 23 giugno 2023)

«Anacronistiche». Sulle croci di vetta si abbatte, gelido come la tramontana, il verdetto del CAI, il Club Alpino Italiano.

La tesi non ha la furia cieca della «cancel culture» quando si abbatte sulle statue; il passo è rispettoso, eppure è spinto dallo stesso vento: il politically correct: «La società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove? Probabilmente la risposta è no».

È solo l’ultima diatriba, l’ultima «croce» di una modernità che tutto mette in discussione, tutto vuol cambiare o liberare.

Ieri la questione è stata sviscerata nel corso di un convegno nell’aula magna della Cattolica di Milano, in occasione della presentazione di Croci di vetta in Appennino di Ines Millesimi, volume dedicato a questa usanza antica, che si perde nei secoli nel cuore di un’Europa cristiana che da sempre trova nell’ascesi lo slancio di un rapporto intimo con Dio – basti pensare ai santuari mariani e, più di recente, al «Papa montanaro», Giovanni Paolo II.

Se i monti sono luoghi dello spirito, le croci nel tempo diventano segno di passaggio, richiesta di protezione – anche dalle intemperie – e preghiera, devozione votiva. In ogni caso, frutto di una cristianità che a queste latitudini è cultura condivisa. O forse lo era.

E dunque: ha ancora senso? Domanda, e risposta, sono contenute appunto in un breve articolo comparso su Lo scarpone, il portale del CAI, autorevole associazione che da 160 anni si occupa di studio e tutela dei monti. «Sbagliato rimuoverle, anacronistico istallarne di nuove» asserisce Pietro Lacasella, curatore del portale, annunciando l’evento di Milano. «La croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale», assicura.

La maggior parte delle croci risale al XIX-XX secolo. A volte sono solo due scarne tavole di legno, altre monumenti veri e propri, che evocano la torre Eiffel e possono superare i 20 metri. Difficile censirle tutte, stabilire davvero quante siano e quando siano comparse. Il Club Alpino Svizzero attesta che sono documentate dal quarto secolo: «Come si legge in un articolo dello storico Peter Danner – spiega un saggio del CAS – la prima croce sulla cima elevata di una montagna in ambito cristiano sorgeva sull’Olimpo (a quota 1951), a Cipro». Il Concilio di Efeso la adottò come simbolo cristiano ufficiale nel 431. «Poco prima del 1100 – prosegue – i crociati eressero croci in legno e in ferro ovunque fossero passati, per indicare la strada a chi li avrebbe seguiti e anche per mostrare alle popolazioni del luogo dove stesse il vero Dio». Documentata, all’epoca, una croce a Roncisvalle, sui Pirenei. Davanti a quella, come ad altre, i pellegrini di San Giacomo si inginocchiavano, chiedevano protezione divina «rallegrandosi al tempo stesso perché, da quel punto in poi, la via sarebbe stata in discesa».

Le croci di vetta suscitavano anche allora l’irritazione di sparuti contestatori. Liberi pensatori, anticlericali. Nel 1928 – lo ricorda il CAS – l’alpinista e insegnante ginnasiale viennese Eugen Guido Lammer, in un libro diventato di culto, si scagliava veemente contro questi simboli. «Cosa ha da dire la croce nella solitudine della montagna? – scriveva – Lasciate che risuoni pura la lingua degli elementi, lasciate che la natura parli inalterata alla vostra anima!».

Voci isolate. Oggi invece è il più noto fra gli enti di alpinismo che, con le dovute cautele, prova a «smontare» questa costruzione dell’immaginario europeo. Non tutti però sono d’accordo». Qualcuno accusa il CAI di essere diventato «divisivo», un altro protesta: «La passione per la montagna dovrebbe unirci invece… Io sono socio dagli anni Settanta ma medito di non rinnovare più se continuate così». C’è chi sottoscrive la tesi del CAI, la considera «equilibrata». Ma un alpinista chiude lapidario: «Si può andare in montagna anche senza tessera».
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Svolta del CAI
(Basta nuove croci sulle vette delle montagne: anacronistiche, non rappresentano tutti gli scalatori)
di Paolo Virtuani
(pubblicato su corriere.it il 23 giugno 2023)

La posizione del Club Alpino Italiano accende la polemica: «Quelle attuali non saranno toccate, ma le cime devono essere territorio neutro».

Sul Balmenhorn, vetta del gruppo del Monte Rosa di 4167 metri, c’è un Cristo benedicente in bronzo alto quasi 4 metri. «Nessuno pensa di toglierlo, come nessuno pensa di spostare, per rispetto e per motivi storici, le croci presenti su quasi tutte le cime del Rosa», dice Andrea Enzio, presidente del Corpo della guide alpine di Alagna. Sulle Alpi sono presenti 327 croci di vetta, alcune posizionate da secoli. Il recente articolo di Pietro Lacasella sul portale web del Club Alpino Italiano (CAI) ha riaperto il dibattito se abbia ancora un significato piantarne di nuove, ribadendo nello stesso tempo con forza che nessuno intende smantellare quelle presenti, alcune delle quali, soprattutto su Dolomiti, Ortles-Adamello, altopiano di Asiago, Pasubio e Monte Grappa, sono legate a drammatici episodi della Grande Guerra. Un tema che è poi stato approfondito all’Università Cattolica di Milano durante la presentazione del libro Croci di vetta in Appennino di Ines Millesimi, che ha censito 68 croci.

La posizione del CAI
«Se da un lato sono inappropriate le campagne di rimozione, dall’altro si rivela anacronistico l’innalzamento di nuove croci: sarebbe forse più appropriato intendere le vette come un territorio neutro, capace di avvicinare culture magari distanti, ma dotate di uguale dignità», scrive Lacasella. La posizione del CAI è quella apparsa in un altro articolo sul portale: «Il CAI guarda con rispetto le croci esistenti, si preoccupa del loro stato e, in caso di necessità, si occupa della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli, …). Questo perché — è giusto evidenziarlo una volta di più — rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza». Secondo il Club Alpino Svizzero (CAS), le croci di vetta sulle Alpi sono documentate fin dall’anno 327 della nostra era. Il Cas ha dedicato all’argomento un’ampia documentazione, dando spazio alle diverse posizioni.

Il dibattito
L’associazione Mountain Wilderness da tempo ha intrapreso una campagna contro l’installazione di nuove croci e altre testimonianze sulle vette italiane. E ricorda iniziative stravaganti, come un dinosauro in legno posto sulla vetta del Pelmo, nelle Dolomiti, dove in effetti erano state rinvenute orme di dinosauri. Il dibattito alcuni anni fa venne ripreso anche in un articolo di Avvenire, che invitava «a non banalizzare quei simboli sacri».

Le lapidi
«Già nel 1993 avevamo avviato un’iniziativa per sensibilizzare parenti e conoscenti di coloro che avevano perso la vita in montagna, per posizionare nuove lapidi in un memoriale che abbiamo identificato nella cappelletta di Sant’Antonio vicino al rifugio Pastore», ricorda Enzio. «Su alcune vie di salita al Monte Rosa si trovano 3-4 lapidi proprio in mezzo al percorso: non vogliamo toglierle e non vogliamo mancare di rispetto a nessuno. Vogliamo solo invitare chi ne vuole mettere di nuove, di posizionarle in un memoriale. Non vogliamo vietare niente», aggiunge. «È solo un suggerimento che diamo, insieme al Comune, per non disseminare la montagna di “ricordi”».
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25 giugno 2023
E’ domenica, ma il presidente generale del CAI, Antonio Montani, per affrontare le prime polemiche scatenate dagli articoli del giorno prima, si affretta a precisare quella che secondo lui è la posizione del Club Alpino Italiano.

Croci di vetta, il presidente generale Montani chiarisce la posizione del Club Alpino Italiano
(pubblicato su loscarpone.cai.it il 25 giugno 2023

Il Presidente generale del Club Alpino Italiano Antonio Montani, in riferimento a quanto pubblicato oggi dalle agenzie di stampa, intende chiarire la posizione del CAI. 

“Non abbiamo mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale. Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro. Personalmente, come credo tutti quelli che hanno salito il Cervino, non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce. 
Voglio scusarmi personalmente con il Ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro Ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto”.
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A questo punto, così l’agenzia adnkronos ha riassunto la vicenda.

Montagna, via croci da vette?
(CAI: “Un equivoco”. Scuse a Santanchè)
(pubblicato su adnkronos.com il 25 giugno 2023)

Il Club Alpino Italiano non ha nessuna intenzione di togliere le croci dalle vette delle montagne. Il presidente generale del CAI, Antonio Montani, chiarisce la posizione dell’organismo e prova a chiudere il caso che ha suscitato una serie di reazioni, compresa quella della ministra del Turismo, Daniela Santanchè. “Non abbiamo mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale. Quanto pubblicato – spiega Montani – è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro. Personalmente, come credo tutti quelli che hanno salito il Cervino, non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce. Voglio scusarmi personalmente con il ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto“.

Resto basita dalla decisione del CAI di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al Ministero. Non avrei mai accettato una simile decisione che va contro i nostri principi, la nostra cultura, l’identità del territorio, il suo rispetto“, ha detto Santanché prima delle parole di Montani. “Un territorio – sottolinea – si tutela fin dalle sue identità e le identità delle nostre comunità è fatta di simboli che custodiscono nel tempo la storia e valori. Invito il presidente del CAI a rivedere la sua decisione“.

Il chiarimento del CAI
Già prima delle parole di Montani, il CAI ha precisato la posizione: il Club Alpino Italiano “guarda con rispetto le croci esistenti, ma non solo: si preoccupa del loro stato ed eventualmente, in caso di necessità, si occupa della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli). Questo perché, è giusto evidenziarlo una volta di più, rimuoverle sarebbe come cancellare una traccia del nostro cammino; un’impronta a cui guardare per abitare il presente con maggior consapevolezza“. Ma “è proprio il presente, un presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il CAI a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne“.

Ci sono argomenti che, più di altri, spaccano in due la sensibilità degli appassionati di montagna, senza lasciare spazio alle mezze misure. Uno di questi è rappresentato dalle croci di vetta. Ogni notizia legata a una croce porta alla rapida formazione di schieramenti netti, distinti, precisi. Tale dinamica purtroppo intorbidisce il dibattito, trasformandolo in alterco; in un battibecco su cui, purtroppo, non pochi tendono a speculare“, sottolinea il CAI, sul portale loscarpone.cai.it, ricordando quanto emerso in un convegno che si è svolto giovedì a Milano, dove “si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso; una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime“.
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26 giugno 2023
Il lunedì la polemica è ormai scatenata. Riportiamo gli articoli apparsi su ildolomiti.it e su ilfattoquotidiano.it.

Croci in montagna, l’unica cosa anacronistica sono le polemiche
(l’intervista a Marco Albino Ferrari)
di Tiziano Grottolo
(pubblicato su ildolomiti.it il 26 giugno 2023)

“Davvero Marco Albino Ferrari non ha nulla di meglio e di più onorevole da fare che sputare veleno contro i simboli della nostra identità e della nostra cultura?”, così la deputata di Fratelli d’Italia, Alessia Ambrosi, non trova “niente di meglio da fare” che chiedere le dimissioni del direttore editoriale e responsabile delle attività culturali del CAI. Il motivo? Rispondendo per le vie brevi verrebbe da dire un’incredibile strumentalizzazione, ma per capire meglio occorre fare un passo indietro.

Nei giorni scorsi su Lo Scarpone, il portale del Club Alpino Italiano, appare un articolo firmato da Pietro Lacasella (antropologo e scrittore) dal titolo Croci di vetta: sbagliato rimuoverle, anacronistico istallarne di nuove. Il testo è di facile comprensione, ma a quanto pare non per tutti. Tuttavia all’interno dell’articolo si legge: “[…] se da un lato sono inappropriate le campagne di rimozione, perché porterebbero alla cancellazione di una traccia del nostro percorso culturale, dall’altro si rivela anacronistico l’innalzamento di nuove croci e, più in generale, di nuovi e ingombranti simboli sulle cime alpine: sarebbe forse più appropriato intendere le vette come un territorio neutro, capace di avvicinare culture magari distanti, ma dotate di uguale dignità”.
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 “Al convegno – si legge nel resoconto pubblicato da Lo Scarpone – si è registrato un punto di convergenza culturale, giuridico, storico e perfino religioso; una prospettiva che ha trovato tra i presenti una larga concordanza sulla necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’istallazione di nuovi simboli sulle cime”.

Cosa poteva andare storto? Tutto, ovviamente, perché in Italia la strumentalizzazione politica è diventata un’arte. Ovviamente nel dibattito ci si fionda chi di solito la montagna la vede solo dal binocolo (o peggio vorrebbe costruirci sopra degli aeroporti). A scomodarsi, oltre alla deputata Ambrosi, sono addirittura due ministri. Matteo Salvini è arrivato a dire che prima di togliere una sola croce si dovrà passare sul suo corpo: “Penso – ha dichiarato il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti – che la proposta di ‘vietare’ il Crocifisso in montagna perché ‘divisivo e anacronistico’ sia una sciocchezza, senza cuore e senza senso, che nega la nostra Storia, la nostra cultura, il nostro passato e il nostro futuro”. La ministra per il Turismo, Daniela Santanchè, ha parlato invece di una decisione inaccettabile da parte del CAI: Un territorio si tutela fin dalle sue identità e l’identità delle nostre comunità è fatta anche di simboli”.

Nella psicosi generale, fra la stampa di Destra, c’è addirittura chi avrebbe visto delle guide alpine iniziare a smantellare le croci. Tutto falso, ovviamente, ma ormai la polemica è servita allo scopo. Il dibattito, alimentato ad arte, ha ottenuto una tale portata che persino il presidente generale del Club Alpino Italiano, Antonio Montani, è dovuto intervenire per scusarsi con la ministra Santanchè “per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa”, precisando inoltre di non aver “mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tanto meno prendendone una posizione ufficiale”.

Per chiudere il cerchio Il Dolomiti ha intervistato Marco Albino Ferrari che, oltre a essere il direttore editoriale e responsabile delle attività culturali del CAI, è anche giornalista, scrittore (il suo ultimo libro è Assalto alle Alpi) e sceneggiatore ed è da sempre molto legato alla montagna.

Le croci di vetta sono sempre un argomento spinoso, ma si aspettava tutte queste polemiche?
“Qualche polemica me l’aspettavo ma non fino a questo punto, i giornali legati alla Destra hanno colto al volo l’opportunità, ma non ho mai detto di essere contro le croci in montagna né di volerle smantellare”.

Quindi le sue affermazioni sono state travisate?
“Il primo giornale ha costruito un titolo che era a dir poco una forzatura, innescando una valanga di commenti e prese di posizione, fino a Salvini e Santanché che hanno stravolto la realtà come spesso accade in Italia, purtroppo. All’incontro all’Università Cattolica di Milano, riprendendo una posizione già espressa da papa Francesco, assieme a uno dei prelati si è convenuto sulla necessità di non abusare del simbolo della croce e da qui è nata la polemica”.

Quindi che ne facciamo delle croci di vetta?
“Sono un elemento culturale delle nostre montagne che va preservato. Il CAI le guarda con rispetto, non a caso continua a occuparsi della loro manutenzione, ripulendole dagli adesivi e restaurandole quando sono pericolanti. Certe montagne, senza le loro famose croci non sarebbero neppure lontanamente le stesse”.

E su quelle nuove? Penso per esempio a quella monumentale che il Comune di Malcesine avrebbe voluto innalzare sul monte Baldo…
“Penso che prima di farlo sia bene pensarci due volte, soprattutto perché il più delle volte si parla di opere monumentali che per dimensioni hanno poco a che vedere con l’identità e la cultura della montagna. Diciamo che preferisco una piccola croce in legno o quella storica del Cervino a una specie di traliccio alto diverse decine di metri, come invece si tende a fare oggi”.

Fake news ad alta quota
di Davide Turrini
(pubblicato su ilfattoquotidiano.it il 26 giugno 2023)

Il CAI vuole togliere le croci di vetta per favorire l’interculturalità? È falso. I giornali hanno inventato tutto. Il cortocircuito sulla montagna dell’estate 2023 è servito. È bastato che all’Università Cattolica di Milano, durante la presentazione del libro Croci di vetta in Appennino, alla presenza dell’autrice Ines Millesimi, si affrontasse genericamente la questione al centro del volume e il telefono senza fili dell’informazione contemporanea ha sfornato titoli a nove colonne come “Il CAI: Basta nuove croce sulle vette di montagna”. Una “notizia” che ha fatto il giro d’Italia, e anche oltre, vista la risonanza che le questioni inerenti la montagna hanno da decenni. Con l’aggiunta dei due pezzi grossi di governo: il ministro Santanchè e il ministro Salvini pronti a scandalizzarsi. La prima si è dichiarata “basita” e ha parlato di “decisione contro i nostri principi”; il secondo l’ha argomentata prendendola più larga: “Penso che la proposta di ‘vietare’ il Crocifisso in montagna perché ‘divisivo e anacronistico’ sia una sciocchezza, senza cuore e senza senso”. Insomma, direbbe Shakespeare di fronte alle fake news: tanto rumore per nulla. Infatti dopo nemmeno 24 ore è stato il presidente del CAI, Antonio Montani, a smentire categoricamente qualsivoglia posizione ufficiale di cancellazioni delle croci di vetta. “Non abbiamo mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale. Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro”, ha spiegato Montani. “Personalmente, come credo tutti quelli che hanno salito il Cervino, non riesco ad immaginare la cima di questa nostra montagna senza la sua famosa croce. Voglio scusarmi personalmente con il Ministro per l’equivoco generato dagli articoli apparsi sulla stampa e voglio rassicurare che per ogni argomento di tale portata il nostro Ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto”, ha concluso il presidente del Club Alpino Italiano.

Solo che la questione non si ferma qui. Perché FQMagazine ha contattato i partecipanti all’incontro svoltosi alla Cattolica e ha scoperto che nemmeno Marco Albino Ferrari ha mai esposto alcuna ipotesi di cancellazione di croci in vetta alle montagne. “Ma scherziamo? Non l’ho mai detto”, esclama Ferrari. “Monsignor Sanchez, che ha parlato prima di me, ha affermato che le croci esistenti vanno mantenute e preservate, mentre bisogna fare attenzione a metterne di nuove perché, come ha detto Papa Francesco, spesso l’uso della croce viene strumentalizzato e banalizzato, si vedano quelle croci di 15 metri che sembrano tralicci). Io sono intervenuto mostrandomi d’accordo con lui. Il mio intervento ha riguardato lo sguardo culturale dell’uomo nel corso dei secoli sulle montagne ed è mia opinione che le croci vanno lasciate. Lo dico da laico. Fanno parte del paesaggio alpino e, anzi, immaginiamo se il Cervino non avesse la sua croce. Sarebbe una montagna spoglia priva di senso. Cosa diversa se ci fosse una croce in cima all’Everest. Oggi si dice spesso che le croci ci rappresentano meno perché è una società multiculturale. Ma questo non toglie valore alle croci perché non hanno un valore religioso, ma storico culturale. Sono come i campanili”.

È davvero incredibile come sia passato il concetto di togliere le croci dalle vette di montagna che nessuno alla presentazione ha mai esposto”, sottolinea Ines Millesimi, autrice del libro al centro del dibattito, a FQMagazine. “Anzi, il messaggio generale di tutti i relatori è stato ben altro rispetto al togliere croci. In vario modo, infatti, abbiamo parlato di un nuovo corso per la loro manutenzione e sull’opportunità e il senso di inserirne di nuove in luoghi già eccessivamente antropizzati. Al di là delle croci la montagna, oggi è troppo piena di “oggetti” e lo spiego nel mio libro”. Millesimi conclude: “L’aspetto che mi sorprende è che al convegno non c’era nessun giornalista, eppure è uscita e ha circolato la notizia che qualcuno tra noi ha parlato di togliere le croci dalle vette. Possibile che direttori di giornale, redattori, cronisti non verifichino in modo oggettivo ciò che si è detto in quell’occasione?”.

Preoccupazione legittima, quella dell’autrice del volume Croci di vetta in Appennino, perché il telefono senza fili sullo “scandalo” delle croci da asportare dalle cime delle montagne con il coinvolgimento ministeriale pare sia nato dalla ripresa di un articolo del 13 giugno 2023 – quindi di 15 giorni fa – sul portale del CAI Lo Scarpone. L’articolo intitolato Croci di vetta: sbagliato rimuoverle, anacronistico installarne di nuove, a firma di Pietro Lacasella era di presentazione, a sua volta, e una decina di giorni prima, dell’evento alla Cattolica di Milano. In un passaggio Lacasella scrive: “Ma la società attuale si può ancora rispecchiare nel simbolo della croce? Ha ancora senso innalzarne di nuove? Probabilmente la risposta è no. Innanzitutto perché l’Italia si sta rapidamente convertendo in uno Stato a trazione laica, territori montani compresi. Pertanto la croce non rappresenta più una prospettiva comune, bensì una visione parziale”. Da questo non spunto di cronaca è quindi partita la fake.

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Scende in campo anche il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo (Forza Italia): “Il dibattito sulle croci in cima alle vette, ritenute ‘anacronistiche e divisive’, mi lascia attonito”, dice indicando la croce come “punto di riferimento per gli scalatori” e simbolo religioso la cui “lezione di umanità è universale e valida per tutti”. Poi è un tutto susseguirsi di dichiarazioni indignate targate soprattutto FdI, che culmina con la richiesta di dimissioni per “chi ha avuto questa pensata” avanzata dal deputato Mauro Malaguti.

Le croci sulle montagne della Lombardia e dell’Italia intera non si toccano e continueranno a essere installate quando ve ne sarà occasione”, assicura il presidente della Lombardia Attilio Fontana, che dopo la smentita di Montani derubrica l’accaduto a “un’uscita improvvida, dettata forse dai primi caldi”. Smentita di cui prende atto con soddisfazione il capogruppo di Fratelli d’Italia, Tommaso Foti, che avverte: “la croce non si tocca”.
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27 giugno 2023
Il GrIG (Gruppo d’intervento giuridico web), con la nota seguente, condanna l’abitudine di suscitare polemiche allo scopo di celare le vere problematiche.

Ma sono questi i “problemi” delle montagne?
a cura delGruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
(pubblicato su gruppodinterventogiuridicoweb.com il 27 giugno 2023)

Davanti alla consueta ma evitabilissima orgia di opere pubbliche distruttive e dispendiose per la XXV Olimpiade invernale, davanti alla stradomania sulle Alpi, davanti alla sciagura ambientale dell’overdose di neve artificiale, davanti al massacro industriale delle Alpi Apuane, davanti alla follia del proliferare delle stazioni sciistiche senza neve, davanti alla distruzione dei crinali appenninici grazie alla speculazione energetica, il problema è rappresentato dalle croci sulle vette? Polemiche assurde, armi di distrazione di massa.

La crocifissione della realtà
di Michele Serra
(pubblicato su repubblica.it nella rubrica l’Amaca, il 27 giugno 2023)

Come si fa a scatenare una polemica contro una cosa mai detta? Non sto parlando di una frase decontestualizzata (sui social la decontestualizzazione è materia prima di molte polemiche), né della distorsione malevola di una cosa davvero detta. Sto parlando di una cosa mai detta, eppure spacciata per detta. I fatti. In un convegno all’Università Cattolica un vescovo, monsignor Sanchez, citando il Papa, dice che usare la croce come simbolo identitario significa banalizzarla. Dunque è meglio non erigere nuove croci sulle vette alpine. E presente il direttore editoriale del Club Alpino, Marco Albino Ferrari, che si dice d’accordo. È proprio il CAI che ha cura delle croci di vetta e si occupa della loro manutenzione perché “rappresentano un elemento culturale delle nostre montagne che va preservato”. Ma è giusto non aggiungerne altre, in sintonia con l’orientamento della Chiesa. Come sia possibile che da questo scambio di opinioni sia sortito, su un quotidiano di destra, il titolo Il CAI è contro le croci, è un mistero. Ma il peggio è che questo titolo, e altri simili, abbiano indotto un vicepresidente del Consiglio e un ministro a rilasciare le seguenti dichiarazioni. Salvini: “Dovrete passare sul mio corpo per togliere un solo crocifisso da una vetta alpina”. Santanchè: “Resto basita dalla decisione del CAI di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al ministero“. Da ridere, ma anche da piangere. Non hanno, Salvini e Santanchè, portavoce e addetti alla comunicazione che li assistano, e li proteggano da se stessi? E, più in generale, come accidenti funziona il sistema politico-mediatico italiano?

Dal canto suo, Marco Albino Ferrari pubblica un post sul suo profilo facebook:

“Una perfetta ricostruzione di come si sia innescata la polemica sulle croci di vetta, la fa oggi Michele Serra nella sua rubrica su La Repubblica (da leggere!). Anche molti altri media stanno raccontando i fatti correttamente, smentendo le dichiarazioni inventate secondo le quali io avrei detto che le croci di vetta vanno tolte.

Nei giorni scorsi, il Presidente del CAI ha contribuito ad alimentare l’equivoco: si è scusato con il Ministro Santanché per una colpa inesistente prendendo le distanze da una mia dichiarazione mai fatta. Peccato, non difendendo i suoi collaboratori e il suo Ente da infondate polemiche, ha perso l’occasione per dimostrare che il CAI ha la schiena dritta.

Per questo, per la serietà a cui non posso sottrarmi, ho dato le dimissioni da Direttore editoriale e Responsabile delle attività del Club Alpino Italiano. Quest’onda di polemica ha investito anche Pietro Lacasella, curatore de Lo Scarpone, e Andrea Greci, Direttore de La Rivista del CAI, che stanno valutando cosa fare.

Il lavoro di questi mesi ci ha portato a progettare la nuova “Rivista” e il portale “Lo Scarpone” che iniziava a essere alimentato da podcast, video, dalle voci di autorevoli blogger, da diari di viaggio nei diversi continenti. In programma c’erano altre novità dal mondo dei libri, del teatro, dei documentari…

A giorni, nell’ultima puntata di questa saga, racconterò qui e sui giornali alcuni retroscena interessanti. Poi basta, ci metteremo davvero una croce sopra! (Marco Albino Ferrari)”.

Anche il Corriere della Sera fa un po’ di marcia indietro. Ecco l’articolo.

Croci sulle vette, il giornale del CAI sciopera contro la presidenza: «Non ci ha difeso»
di Ricccardo Bruno e Agostino Gramigna
(pubblicato su corriere.it il 27 giugno 2023)

C’è maretta nel mondo dell’alpinismo italiano. Le polemiche dei giorni scorsi (per taluni surreali) sullo stop alle croci sulle vette della montagna hanno lasciato il segno nella più antica associazione di appassionati della montagna: il CAI (Club Alpino Italiano).

A ratificare lo stato di «maretta» ci sono le freschissime dichiarazioni di alcuni esponenti de Lo Scarpone, lo storico giornale del CAI. Attraverso una nota, i collaboratori del portale hanno attaccato la presidenza e annunciato lo sciopero.

Dal canto suo il presidente del CAI si dice «stupito» da questa presa di posizione e conferma la posizione ufficiale dell’associazione che guida dal maggio del 2022. Ma per capire cosa sta succedendo all’interno (a questo punto) del «diviso» mondo dell’alpinismo occorre fare un passo indietro.

L’articolo che ha scatenato il tutto
Tutto è partito da un articolo uscito su Lo Scarpone a firma di Pietro Lacasella, antropologo e scrittore, dal titolo: Croci di vetta: sbagliato rimuoverle, anacronistico istallarne di nuove.

Tema dibattuto nei giorni scorsi anche durante un incontro all’università Cattolica di Milano («le croci esistenti vanno preservate, ma è necessario evitare l’installazione di nuovi simboli sulle cime») dove il concetto è stato ribadito dal direttore editoriale, Marco Albino Ferrari.

Nonostante le chiarificazioni dei protagonisti (per Lacasella e Ferrari il loro pensiero è stato travisato e mal compreso: «Non abbiamo mai detto che le croci vanno rimosse»), le parole hanno acceso la polemica.

In difesa delle croci sono scesi in campo ben tre ministri.

Matteo Salvini («Dovete passare sul mio corpo per togliere anche solo un crocifisso da una vetta alpina»), Antonio Tajani («Difendiamo i nostri valori») e Daniela Santanchè («decisione inaccettabile»).

Come se non bastasse, alle loro parole si sono unite pure quelle di dissenso degli assessori lombardi alla Montagna e alla Cultura.

Tutto finito? No, perché sulla vicenda ha preso posizione anche il CAI, con tanto di scuse. «Non abbiamo mai trattato l’argomento delle croci di vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale» ha dichiarato il presidente generale del Club Alpino Italiano, Antonio Montani. «Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro».

La nota dei collaboratori
Una presa di posizione che non è piaciuta per nulla a una parte del mondo CAI. Così i collaboratori del portale hanno manifestato e condensato il loro malumore in una nota.

Si legge: «La presa di distanze della presidenza CAI da Lacasella e dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari ha amplificato ulteriormente le critiche ingiustificate rivolte loro, spingendoli alle dimissioni. Siamo stupiti da come la presidenza CAI non abbia difeso chi con passione e professionalità si occupa di raccontare le nostre montagne e la nostra cultura, riportando la discussione nel merito dei reali contenuti degli articoli. Chiedendo a Pietro Lacasella e Marco Albino Ferrari di ritirare le dimissioni e di tornare alla guida della testata».

Il comunicato si chiude con lo sciopero: «Pertanto, finché il CAI non assumerà una posizione chiara e trasparente, libera da ingerenze politiche e travisamenti, e non avrà confermato nei loro ruoli Lacasella e Ferrari, ci asterremo dal produrre nuovi contenuti per le pagine del portale Lo Scarpone.

La replica del presidente
Il presidente Montani dal canto suo ribadisce al Corriere che si è limitato a precisare che «il CAI non ha mai discusso del tema delle croci. C’è un organo interno preposto a farlo, come il Comitato di indirizzo e controllo, che non ha mai preso una posizione ufficiale».

E spiega che ha semplicemente chiesto scusa dopo le polemiche perché «le opinioni espresse in merito da singole persone, al di là se siano condivisibili o meno, non rappresentano la posizione ufficiale dell’associazione che io rappresento».

Vuol gettare acqua sul fuoco? Tutt’altro, perché subito dopo ci tiene ad aggiungere: «Su una cosa non intendo sorvolare: a chi come Marco Albino Ferrari mi accusa di aver perso un’occasione per tenere la schiena dritta, ribadisco che la mia posizione era dovuta per il ruolo che rivesto. E che non prendo lezioni da nessuno. Ho solo fatto chiarezza su una posizione che ha ingenerato degli equivoci».
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Alla notizia delle dimissioni di Ferrari e di Lacasella, Ildolomiti.it, con un articolo di Tiziano Grottolo e dopo aver riassunto la situazione, annota:
“Una nota che ha fatto storcere il naso a molti fra cui i collaboratori de Lo Scarpone che hanno indetto uno sciopero: “Vogliamo manifestare la nostra vicinanza a Pietro Lacasella e Marco Albino Ferrari, chiedendo loro di ritirare le dimissioni e di tornare alla guida della testata”.

Di seguito il testo integrale della nota sottoscritta dai collaboratori de Lo Scarpone.

In quanto collaboratori del portale online del CAI “Lo Scarpone”, siamo colpiti da come i due articoli sul significato simbolico delle croci di vetta, pubblicati dal suo curatore Pietro Lacasella, siano stati travisati e decontestualizzati.

Il mondo dei social network e della stampa ha ribaltato il significato delle parole di Lacasella, attribuendo al CAI la volontà di eliminare le croci di vetta. La polemica si è allargata sempre più coinvolgendo persino due ministri della Repubblica, che hanno insistito nel travisamento.

La posizione assunta dalla presidenza CAI, che ha di fatto preso le distanze da Lacasella e dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari (quest’ultimo coinvolto direttamente nella polemica, perché partecipe della presentazione di un libro riguardante le croci di vetta a cui gli articoli di Lacasella avevano dato voce), ha amplificato ulteriormente le critiche ingiustificate rivolte loro, spingendoli alle dimissioni.

Siamo stupiti da come la presidenza CAI non abbia difeso chi con passione e professionalità si occupa di raccontare le nostre montagne e la nostra cultura, riportando la discussione nel merito dei reali contenuti degli articoli.

Vogliamo manifestare la nostra vicinanza a Pietro Lacasella e Marco Albino Ferrari, chiedendo loro di ritirare le dimissioni e di tornare alla guida della testata. Auspichiamo altresì una presa di posizione da parte della presidenza CAI in tal senso. Pertanto, finché il CAI non assumerà una posizione chiara e trasparente, libera da ingerenze politiche e travisamenti, e non avrà confermato nei loro ruoli Lacasella e Ferrari, ci asterremo dal produrre nuovi contenuti per le pagine del portale Lo Scarpone.
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Anche Montagna.tv, a firma di Stefano Ardito, riassume la vicenda condannandone la pretestuosità. Ne riportiamo alcune affermazioni:

“Il TG1 della sera è visto da milioni di persone, e si occupa raramente di montagna. Chi lo ha seguito domenica 25 giugno, quando è andato in onda un servizio dedicato alle croci di vetta, si dev’essere convinto che il CAI è un’associazione di estremisti e fanatici. In circa un minuto, le parole “rimuovere” e “smontare” sono state pronunciate molte volte. Le immagini del servizio hanno a lungo mostrato la vetta e la croce di ferro del Cervino, un monumento storico capace di commuovere anche l’alpinista più laico. Il messaggio, fin troppo evidente, era “chi mai può voler smantellare un oggetto così?”
[…]
Lunedì 26 giugno, la stampa e le radio si sono scatenate. Sul Corriere della Sera ha difeso le croci di vetta Lorenzo Cremonesi, inviato di guerra e alpinista. Ai microfoni di Radio 24, Paolo Mieli ha affermato “non sono cattolico, ma le croci di vetta mi danno un grande senso di pace”. Anche Fahrenheit, trasmissione culturale di Radio Rai Tre, ha dedicato la puntata alla questione.

In realtà questa polemica è costruita sul nulla, perché nessuno (e tantomeno il CAI) ha proposto di rimuovere le croci dalle vette italiane
[…]
A scatenare le reazioni della destra sono state due frasi. “Da ateo, dico che le croci devono rimanere sulle montagne: è giusto rimangano perché sono un segno del territorio. Allo stesso tempo, credo che non se ne debbano mettere di nuove” ha detto Marco Albino Ferrari all’Università Cattolica, aggiungendo che questa tesi è “condivisa pienamente dal Club Alpino Italiano”.

“Ha raccolto il plauso di molti la proposta di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l’installazione di nuovi simboli sulle cime” ha commentato l’indomani Pietro Lacasella su Lo Scarpone, il sito ufficiale del CAI.

“La somma tra le parole di Ferrari e l’affermazione «condivise pienamente dal Club Alpino Italiano» ha acceso la polemica, nella quale qualcuno ha aggiunto la fantasia che ci fosse un piano del CAI per la rimozione delle croci, che quelle sul Cervino o sul Gran Paradiso fossero già state rimosse o peggio ancora” ha spiegato Manlio Gasparotto sul sito del Corriere della Sera.

La polemica sulle croci di vetta, se si bada a questi interventi, può sembrare un fuoco di paglia o una polemica estiva, accesa da politici sempre pronti a intervenire (a proposito o meno) sulla stampa, in televisione e sui social. “Sarebbe interessante se, per una volta, il dibattito riuscisse a smarcarsi dalla logica del tifo per abbracciare il desiderio di ascoltare, comprendere e riflettere. Una necessità di dialogo che di sicuro alzerebbe il livello del dibattito” aveva concluso il 23 giugno 2023 Pietro Lacasella sullo Scarpone.it.
[…]
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A poche ore dalla pubblicazione di questo articolo arrivano le dimissioni del Direttore editoriale e Responsabile delle attività del Club Alpino Italiano, Marco Albino Ferrari.

Ne dà notizia anche Mountcity.it:

Croci nelle vette, CAI nella palude
“Per la serietà a cui non può sottrarsi”, Marco Albino Ferrari ha rassegnato le dimissioni da direttore editoriale e addetto alla cultura del CAI. Decisione gravissima per un intellettuale che alla montagna ha dedicato un’attività più che trentennale, tra saggi, romanzi, riviste in carta patinata, spettacoli teatrali. E anche una pagina vituperevole del CAI da cui emerge la scorrettezza del presidente generale che, prendendo una cantonata, ha gettato su Ferrari la responsabilità della dichiarazione secondo cui le croci di vetta andrebbero tolte una volta per tutte. Concetto mai espresso da Ferrari.

Il vero problema delle croci di vetta è che sono cresciute a dismisura come è stato riferito in MountCity. Se ne parla da tempo e a occuparsene sono le principali associazioni ambientaliste, ma l’argomento risulta ancora tabù per l’associazione fondata da Quintino Sella. Peccato che il presidente non ne sia a conoscenza e faccia un uso tanto sgradevole della sua autorevolezza, assecondando polemiche pretestuose di chi governa l’Italia in nome di “dio, patria e famiglia”.

Resta poi inaccettabile per noi di MountCity, iscritti da oltre mezzo secolo al CAI, che un presidente degli anni in cui viviamo senta il bisogno di scusarsi con le superiori autorità che ci governano allo scopo di prendere le distanze da una dichiarazione mai fatta da Ferrari. “Un’occasione persa”, conclude amaramente lo scrittore, “per dimostrare che il CAI ha la schiena dritta. A giorni, nell’ultima puntata di questa saga”, precisa ancora in Facebook Ferrari, “racconterò qui e sui giornali alcuni retroscena interessanti. Poi basta, ci metteremo davvero una croce sopra!”. 

Una croce sopra non siamo invece disposti a mettercela noi iscritti al Club Alpino Italiano. Il minimo che si possa fare è invitare i soci che la pensano come noi a raccogliere firme perché sia il presidente a dare una volta per tutte le dimissioni. Noi che a un CAI con la schiena dritta ci teniamo, e parecchio (Roberto Serafin)”.
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28 giugno 2023
Mountcity.it pubblica l’importante commento di Luigi Casanova, presidente onorario di Mountain Wilderness Italia:

Croci di vetta e rispetto per i paesaggi
“Condivido il pensiero del presidente del CAI Alto Adige Carlo Alberto Zanella. Si chiede stupefatto se non ci sia altro da discutere oggi. Si parla delle croci mentre si demoliscono con le ruspe la cultura, l‘essenza stessa della montagna. Vedasi Cortina e Dolomiti: caroselli sciistici, urbanizzazione in quota, vie ferrate ovunque, ponti tibetani, quad e moto che scorrazzano, sentieri regalati alle imprese di presunti biker. Tutto avviene in assenza di vigilanza avendo cancellato il Corpo Forestale dello Stato.

La montagna è territorio di libertà. Sta alla mia sensibilità, al mio senso del sacro, individuarne la religiosità più intima: personale, poche volte collettiva, sempre diversa anche di giorno in giorno. Non c’è bisogno delle croci abnormi in vetta per dirsi religiosi. Queste croci, sempre più diffuse, sempre più invadenti, più che il sacro rappresentano la visione della montagna come obiettivo di conquista. Come potere. Di un gruppo associativo, di una municipalità, di pochi singoli che non sanno come gettare il loro tempo.

Oggi, lo dimostrano quei miseri politici che hanno attizzato la polemica, addirittura ministri della Repubblica, la religione è propaganda e spettacolarizzazione, umiliazione della spiritualità e dell’autenticità delle nostre vette. Per fortuna le montagne, a differenza di cosa ne pensino certi politici, se ancora riescono a pensare, ci impongono il rispetto verso il territorio e verso le diversità, tutte, di genere, di nazionalità, di pensieri. Sono simbolo di delicata accoglienza, sufficiente leggere i Vangeli.

Mi dispiace che una ricercatrice universitaria tanto impegnata e uno scrittore – giornalista di alto profilo – siano stati travolti da una simile barbarie politica. Io rivendico orgoglioso quella piccola parte di contributo che ho offerto alla ricerca di dottorato della professoressa Ines Millesimi. La ringrazio perché un tema tanto spinoso è stato capace di trasformarlo in ricerca scientifica, culturale, storica e in un necessario, opportuno inventario. 

Le croci in montagna ci possono accompagnare. Ma solo quando rispettano il valore autentico del Vangelo. Niente spettacolo, zero mercificazione (vedasi il Cristo Pensante a Paneveggio) e tanta sobrietà (Luigi Casanova)”.
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Un ultimo riassunto, con alcune notizie regionali, ce lo offre il corrieredeltrentino.corriere.it:

Croci sulle vette, è bufera nel CAI
(si dimette il direttore editoriale Marco Albino Ferrari)
di Marika Giovannini
(pubblicato su corrieredeltrentino.it.corriere.it il 28 giugno 2023)

La tensione, dopo la nota diffusa domenica dal presidente del CAI Antonio Montani, è salita alle stelle. E ieri, al termine di un’altra giornata di polemiche — social, ma non solo — sulla controversa questione delle croci di vetta, nel Club Alpino Italiano si sono registrati i primi, importanti scossoni.

Con le dimissioni, a poche ore di distanza, del direttore editoriale Marco Albino Ferrari e del curatore del sito internet Pietro Lacasella (il primo chiamato in causa dallo stesso presidente Montani, il secondo autore di un articolo sul web proprio sul tema delle croci di vetta).

E con la proclamazione dello sciopero da parte dei collaboratori de Lo Scarpone (il portale online del CAI) per protestare contro il trattamento riservato dai vertici del club a Ferrari e Lacasella.

Ferrari, che era finito nel mirino anche del centrodestra (nazionale e locale), ha affidato ai social la sua decisione. Prendendo subito le distanze dalle «dichiarazioni inventate secondo le quali io avrei detto che le croci di vetta vanno tolte».

Un equivoco che, aggiunge, «Il presidente del CAI ha contribuito a alimentare: si è scusato con il ministro Santanché per una colpa inesistente prendendo le distanze da una mia dichiarazione mai fatta. Peccato, non difendendo i suoi collaboratori e il suo ente da infondate polemiche, ha perso l’occasione per dimostrare che il CAI ha la schiena dritta». 

La solidarietà dei collaboratori del portale
Da qui, prosegue Ferrari, sono maturate le dimissioni da direttore editoriale e responsabile delle attività del Club, presentate «per la serietà a cui non posso sottrarmi».

Si limita a comunicare la notizia delle sue dimissioni, invece, Lacasella. «Avrei tanto cose da dire in questi giorni di tensione», scrive sui social.

Ma «l’essenziale», aggiunge, è dare la notizia delle sue dimissioni.

Alle quali è seguita la nota, dura, dei collaboratori del portale del CAI. «Siamo stupiti di come la presidenza CAI — si legge nella nota — non abbia difeso chi con passione e professionalità si occupa di raccontare le nostre montagne e la nostra cultura, riportando la discussione nel merito dei reali contenuti degli articoli».

A Ferrari e Lacasella i collaboratori esprimono solidarietà, invitandoli a tornare alla guida della testata.

Ai vertici del Club, invece, si chiede “una presa di posizione chiara e trasparente”: «Finché non la assumerà, ci asterremo dal produrre nuovi contenuti per il portale».

Dopo le dimissioni del direttore altre polemiche
In serata, sempre via social, il CAI ha provato a spiegare, con domande e risposte, il proprio pensiero.

Ribadendo che «sulle croci di vetta nessuna delibera è mai stata dibattuta o votata».

E precisando che l’articolo pubblicato sul sito del club “è stato steso da un collaboratore”: «L’articolo, così come pubblicato, lasciava intendere che vi fosse una posizione ufficiale, quando in realtà si trattava meramente di un’opinione personale».

Per quanto riguarda le scuse alla ministra, si legge, «il CAI aveva il dovere di farle».

Ma il post ha scatenato un ampio dibattito, con giudizi contrapposti tra chi ha gradito e chi, invece, lo ha giudicato «incommentabile».

Intanto le prese di posizione non si placano, con Alessandro Urzì (FdI) che già nelle scorse ore si era scagliato contro Ferrari e che ieri ha criticato lo sciopero dei collaboratori del portale online del CAI: «Il direttore ha infangato il governo» sottolinea Urzì.

Luca Zeni (Pd): «Tutte polemiche strumentali»
Da appassionato di montagna riflette sul tema anche Luca Zeni. «Sabato mattina — osserva il capogruppo del Pd — ho fatto una splendida corsa in Brenta, passando per tre cime: Piz Galin, Croz dell’Altissimo e Cima Lasteri. Su ogni cima c’era una croce. E ho percepito quelle croci come parte di quell’ambiente, non ho avvertito il senso di disturbo che provo in inverno sentendo la musica da discoteca provenire dai rifugi sulle piste, o quando passa un veicolo a motore in mezzo ai boschi».
«Croci» precisa Zeni «del colore delle rocce, non arlecchinate, integrate con il paesaggio».

«Allo stesso tempo — prosegue — trovo serio che chi si occupa e vive la montagna si interroghi sul futuro, ne parli e gestisca con equilibrio eventuali nuove installazioni in montagna, ed è legittima la posizione di chi, come Messner, ci richiama ad una sacralità delle vette che dovrebbe lasciarle libere da ogni manufatto. La polemica sollevata per alcune dichiarazioni in quel senso da parte di un esponente del CAI è strumentale, perché non una sola persona ha mai immaginato di “togliere” le croci esistenti».
[…]

La netta contrarietà degli Schützen
Netti, infine, gli Schützen altoatesini: «Non lasciamoci privare delle nostre tradizioni e costumi religiosi e culturali — tuona Martino Robatschercomprese le croci di vetta. Soprattutto non da esponenti del CAI, che farebbero meglio a ripercorrere la storia imperialista e nazionalista, che incontriamo in innumerevoli nomi di rifugi e nomi inventati e fascisti nel nostro mondo montano».
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29 giugno 2023
E’ di questa data il Comunicato stampa del Comitato Centrale di indirizzo e controllo del Club Alpino Italiano:

“Milano, 29 giugno 2023
In relazione al dibattito generato dalla falsa notizia che il Club Alpino Italiano si sarebbe pronunciato a favore della soppressione delle croci di vetta, il Comitato Centrale di Indirizzo e Controllo ricorda di non aver mai trattato la questione né, men che meno, di aver mai emanato alcun atto in materia.

Il Comitato Centrale di Indirizzo e Controllo medesimo ribadisce piena fiducia nell’operato, oltre che del Presidente generale Antonio Montani e del Comitato Direttivo Centrale, del direttore editoriale Marco Albino Ferrari, del direttore responsabile de La Rivista del Club Alpino Italiano Andrea Greci e del responsabile de Lo Scarpone Pietro Lacasella, auspicando che i malintesi che si sono creati e che hanno portato all’annuncio di dimissioni dei responsabili dell’area cultura e comunicazione, si possano considerare chiariti, in modo che tutti gli interessati proseguano l’importante lavoro di rinnovamento dell’area cultura e comunicazione proficuamente da essi avviato negli scorsi mesi.
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1 luglio 2023
Come un coltello nel burro
di Michele Serra
(pubblicato su L’amaca di Repubblica il 1 luglio 2023)

Vale la pena tornare sulla questione “croci di vetta” perché il suo esito è una specie di triste memento di quanto la prepotenza affondi nel burro. In sintesi: autorevoli collaboratori del Club Alpino vengono accusati, da un giornale di destra, di voler togliere le croci dalle vette. Non è vero (esiste un concetto più definitivo di “non è vero”?), ma non conta. Due ministri, Salvini e Santanchè, su quel falso montano un putiferio: giù le mani dalla croce!

Voi penserete che il presidente del CAI abbia preso le difese dei suoi collaboratori ristabilendo la verità sulle parole pronunciate e su quelle non pronunciate. Invece no, porge le sue scuse al governo e scarica coloro che, come presidente, avrebbe dovuto difendere. Nel frattempo, in poche ore, emerge facilmente la verità: nessuno, in nessuna sede aveva proposto di levare le croci dalle vette alpine. Al presidente del CAI, Antonio Montani, non resterebbe che scusarsi con la vera parte lesa (che sono i suoi collaboratori). Ma non lo fa.

Risultato finale: i suoi collaboratori si dimettono, non essendo sopportabile lavorare per un’associazione che antepone la convenienza politica alla verità. Il presidente – l’unico che dovrebbe dimettersi per avere esposto il Club Alpino e i suoi tanti iscritti ai capricci di due ministri – rimane al suo posto.

La vicenda è indicativa di quanto può accadere, e anzi accade proprio, quando un potere particolarmente aggressivo e intollerante pretende obbedienza. La ottiene in un attimo se le persone sono disposte a rinunciare a fare il loro dovere e onorare le proprie responsabilità. Accadrà ovunque: alla Rai, negli istituti culturali, nelle cose pubbliche di ogni ordine e grado. Pochi prepotenti avranno la meglio grazie a molti obbedienti.

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L’affaire “Croci di Vetta” ultima modifica: 2023-07-01T05:17:00+02:00 da GognaBlog

146 pensieri su “L’affaire “Croci di Vetta””

  1. Oggi a passo fedaia presenti cardinale e presidente regione, posta lapide alle vittime della tragedia della marmolada…cerimonia laica e religiosa. Va lasciata??

  2. Caro Pasini, anche io lascio perdere. Spero che il P.G. legga i miei interventi e mi chieda le dimissioni da istruttore e socio, visto che non sono nelle corde del sodalizio.
     
    Pasini io vado a spiaggia libera…

  3. Preferisco lasciar perdere. Non posso più permettermelo. All’Ovest è scattato lo schema classico e non c’è n’è più per nessuno. Caro Benassi dovremmo andare anche noi della periferia dell’Impero al Forte a scusarci con la pia Garnero. Temo però che l’ingresso costi caro. Meno comunque credo dei 240 € della nuova funivia Cervinia / Zermatt. Buona estate e speriamo che nel blog emergano nuovi schemi più freschi e adatti alla calura. Ad esempio io sento moltissimo la mancanza di Gengis con le sue freddure orientali. Stefano lo ha un po’ sostituito ma le vette algide dell’alta finanza e della sociologia paretiana non sono confrontabili con gli stimoli derivanti dal commercio di mutande e dalle esperienze alla Corto Maltese di Gengis. Ale’ ….vamos a la playa (tra l’altro anche i Righeira erano di Torino..cosa non genera la ex capitale del Regno: da Agnelli a Fred Buscaglione passando per Macario…

  4. “Il CAI è aperto a tutti, ma non dobbiamo correre dietro a nessuno.”
    Sarà per questo che ti vanti del numero degli iscritti e pretendi la loro monolitica volontà?
    Comunque, e come la solito, mescoli le cose indebitamente: la prima parte della frase è un fatto, la seconda una tua opinione o al massimo una tua speranza…

  5. @89 … “Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro”. 
     
    Dov’è l’errore? E’ affermazione oggettiva. L’opinione (che, ho già affermato pubblicamente, io condivido in termini di contenuto) è personale di Ferrari. Nessuno mette in discussione il suo diritto di esprimere idee personali. Tuttavia il mondo mediatico, per superficialità e cialtroneria professionale, ha preso l’affermazione di Ferrari come una posizione ufficiale del CAI. A quel punto il PG ha precisato le cose. Ma dove cappero è l’errore di comunicazione? 
     
    @94 L’ossimoro è l’essenza della natura del CAI. Le procedure, i tecnicismi, le norme ecc ecc ecc sono indiscutibilmente democratici. Basta legger i testi. Ma lo spirito NON è inclusivo. Il CAI è aperto a tutti, ma non dobbiamo correre dietro a nessuno. Chi si trova bene è il BENVENUTO. Chi è a disagio, non si capisce cosa continui a starci dentro.

  6. I feedback sono utili alle associazioni SOLO se portano contributi per  riflettere. Se, invece, come in questi casi, sono solo lamentele, non danno nessun contributo. Ammesso che il PG abbia davvero commesso un errore di comunicazione (valutazione soggettiva, che molti altri soci NON condividono assolutamente: secondo me, il PG ha agito bene), che pensate di ottenere a continuare a rimestare il mestolo nella pentola. Il PG deve forse venire a render conto di ogni minimo suo atto a 327.000 soci??? Ma non si andrebbe avanti. Lasciatelo lavorare in pace e statevene buoni che sicuramente chi è arrivato ad essere PG (specie se è stato prima Vicepresidente o Consigliere centrale, quindi ha esperienza in merito) “sa” come guidare il CAI, mentre chi blatera e basta dalle province dell’impero non sa nulla dei meccanismi complicatissimi che governano il CAI.
     
    Il CAI ha bisogno di un PG “libero” di agire, senza esser tutti i giorni al banco degli imputati per render conto a 327.000 soci per questo o per quello o per quell’altro.
     
    Volete cambiare il CAI? Ma fate benissimo, se davvero ci credete. Però fatelo davvero: consultate le norme previste a tal fine e mettete in atto le relative procedure. Costruitevi una maggioranza assembleare, iscrivete il punto all’OdG assembleare, perorate in assemblea la vs proposta, sottoponetevi alla relativa votazione… e poi stiamo a vedere come va a finire. Secondo me al di là dei vostri tre voti i croce (è proprio il caso di usare questo termine…) non ne raccogliete neppure uno in più.. Anzi: secondo me non riuscite neppure ad arrivare a formulare  un punto (di una riga) da inserire all’OdG assembleare….
     
    Finché blaterate e basta, non ottenete nulla e, in cambio, infastidite quelli cui il CAI piace. Se mai io dovessi trovarmi a votare una vostra qualsiasi proposta assembleare, non fosse altro che per reazione al fastidio che generate, è molto probabile che voterei contro. Conoscendo io la pancia del CAI molto più di quanto dimostrate di conoscerla voi, non penso che, almeno allo stato attuale, otterreste granché. Per cui mettetevi il cuore in pace.

  7. “Il punto è che siete sempre lì a protestare contro il CAI e sinceramente avete proprio rotto. “
    Il punto è che sei sempre li a pretendere che qualunque cosa faccia il CAI è cosa buona e giusta e fonte di salvezza e che chi non è d’accordo è mosso da malanimo ingiustificato e non è un “vero socio CAI” (TM)
     
    Il problema è che per sostenere a ogni costo la tua posizione integralista e fideistica dici pure fregnacce.
    L’affermazione “essendo il CAI immutato dal 1863” è semplicemente risibile, perché nulla rimane immutato per 160 anni
    L’affermazione “tutte le procedure del CAI sono, fin dall’origine, assolutamente legittime e democratiche”  è completamente falsa, basti pensare a un certo ventennio a cui il CAI (in buona compagnia, peraltro!) si prostrò completamente e di cui alcuni beoti ancora adesso paiono sentire la nostalgia.
    Peraltro questa affermazione è in stridente contrasto con la appena precedente “ma uno così voi vi aspettate che avesse “in testa” un CAI democratico e inclusivo” insomma questo CAI è contemporaneamente nato non democratico ma fin dall’origine assolutamente democratico…
     
    E qui la pianto perché ne ho abbastanza

  8. Crovella a me di pedate non me ne daresti perchè ne prenderesti altrettante. Stanne certo!! Quindi datti una calmata che non spaventi nessuno.
    Detto questo, non ssono qui a frignare, visto che faccio l’istruttore CAI dal 1984 e presto il mio tempo a gratis  a favore del CAI, mi sento in diritto di dire la mia su cosa mi va bene e su cosa non mi va bene, su quello che decidono gli organi direzionali. Se non gli va bene che mi buttino fuori.

  9. @Crovella. Come spesso accade, metti tutti e tutto nello stesso calderone, fai confusione tra critica e lamento e lo condisci con un po’ di intolleranza. Contento te. Io non mi turbo. In più mi sono convinto con l’esperienza che capacità di critica e autocritica, insieme all’apertura mentale e alle capacità integrative, siano elementi che garantiscono il successo e la durata delle organizzazioni. Perciò, dopo essermi fatto fregare da giovane da un eccessivo senso della responsabilità, dico ciò che penso nelle associazioni di cui liberamente ho scelto di far parte, senza alcuna remora. Il feedback (non quello che tu chiami frignare) e’ la colazione dei campioni (squadre e individui) diceva un mio maestro. @Emanuela. La croce è un simbolo (vedi Jung), antichissimo e pre-cristiano, uno dei tanti presenti nel nostro repertorio psichico collettivo, come quello della divinità Madre. Nel corso dei secoli e nelle sue diverse forme ha evocato contenuti diversi, come tutti i simboli e gli archetipi  che la nostra specie ha generato.

  10. @86 si parlava di sostituzione dell’identità culturale, non in ambito industriale-economico…
    capisco che le due cose a volte possono essere collegate, ma non è che siccome la Mercedes viene fabbricata in Cina allora la germania diventa cinese.
     
    Idem in Italia, non è che ci trasformeremo tutti in musulmani perché ne aumenta la presenza sul territorio. 
    Quindi tornando al discorso croci, non capisco come per alcune persone parlare di smettere di intasare le cime con un simbolo religioso possa portare a questa fantomatica islamizzazione temuta da tutti.

  11. direi che Pasini all’81 ha espresso perfettamente il concetto.
    Bastava che il CAI chiarisse le cose senza andarsi a stappetinare con scuse inutili verso il ministro di turno.
    Quando hanno capito dalle reazioni negative di molti  che avevano fatto la mossa sbagliata, hanno fatto un post lunghissimo dove tentavano una giustificazione, che è stato peggio del primo.
    Hanno poi provato a farne un terzo ma l’hanno tolto perché hanno capito che si stavano scavando la fossa da soli.
     
    Voto comunicazione = 2
    inutile provare far ragionare Crovella, lo sapete pure voi. Difenderebbe il CAI pure se diventasse una setta di assassini.
    Non ce la fa. Inizia a farmi quasi pena, rasenta il fanatismo. 
     

  12.  “Io personalmente non lo vedo, l’errore, se non in quella piccola sbavatura delle “scuse”, ma è una inezia che non ritengo neppure di prendere in considerazione.”
    Allora sei semplicemente e complicemente (so che non esiste, ma mi piaceva nel contesto) cieco. L’affermazione contestata è questa “Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro” .
    Solo un complice può fingere di non capire la gravità di questa falsità espressa da Montani.
     

  13. Grazie ad Alessandro Gogna per l’ottima ricostruzione della vicenda 
    Ribadisco per tutti: la croce non è un simbolo, tanto meno un simbolo universale. Ho letto che qualcuno insiste con l’utilizzo di questa espressione. 

  14. Ci può stare che la modalità dell’intervento del PG contenga un “errore di comunicazione”. Solo chi non fa, non sbaglia. Con tutte le pratiche aperte (e oggettivamente rognose) che il PG ha sulla scrivania, magari per la fretta la cosa gli è uscita “non benissimo”. Io personalmente non lo vedo, l’errore, se non in quella piccola sbavatura delle “scuse”, ma è una inezia che non ritengo neppure di prendere in considerazione.
     
    Il punto è che siete sempre lì a protestare contro il CAI e sinceramente avete proprio rotto. Oggi per questo episodio, ieri (un anno fa circa) per l’inchiesta, domani chissà perché, ecc ecc ecc.: l’unica costante delle vostre posizioni è che frignate e rompete. In realtà l’impressione che date è che (ciascuno per motivi personali, motivi diversissimi l’uno dall’altro) siete scontenti del CAI in quanto tale e quindi strumentalizzate le varie situazione per dare una giustificazione plausibile alla vostra scontentezza di fondo. Tale scontentezza non si placherà mai, perché c’è un discrasia profonda e insanabile fra, da un lato, cosa è veramente il CAI e, dall’altro, come piacerebbe a voi che fosse. Questo spread non si chiuderà mai (quando meno in tempi coerenti con la vita umana: cosa sarà il CAI fra 100 anni, oggi nessuno lo sa, ma tanto non lo vedremo di persona). Mettetevi il cuore in pace.
     
    I soci che frignano continuamente, oggi per questo, domani per quell’altro, dopodomani per quell’altro ancora ecc, sono solo un gran fastidio nella vita dell’associazione. Io non occupo più, per motivi personali (di salute principalmente), nessuna carica istituzionale, neppure a livello di consiglio sezionale et similia. Però proprio per questo, posso parlare senza peli sulla lingua. I soci che frignano sono solo un fastidio e non un arricchimento per l’associazione: siccome non è obbligatorio essere soci del CAI, non si comprende perché continuiate a restare soci, pur disprezzando il CAI. Dirò di più: se io fossi il PG, non solo direi queste cose apertamente, ma quelli che rompono li farei proprio andar via a pedate. Quindi ringraziate che il PG in carica sia morbido-zerbinoso e “senza schiena dritta”, perché è fin troppo accomodante nei confronti dei soci fastidiosi.
     
    A chi mi domanda se fosse questo il CAI voluto da Quintino Sella, rispondo che il solo fatto che poniate una domanda di questo tipo conferma che non conoscente niente, né della nascita del CAI (che, essendo il CAI immutato dal 1863, è come dire che non capite niente del CAI attuale) né di Quintino Sella. Sella, piemontese tutto d’un pezzo (“sabaudo”, anzi “sabaudissimo”, seppur biellese di origine, ma risiedente a Torino al momento del varo del CAI), a lungo leader della destra storica a livello nazionale, ministro delle finanze del Regno d’Italia, pur di rimettere in sesto il bilancio statale, varò la celebre tassa sul macinato. Chi non sa cosa sia tale tassa (e quali sacrifici impose alla popolazione…), se la vada a cercare, almeno imparate un po’ di storia. Certo, la sua mentalità va inserita nell’Italia di fine Ottocento, ma uno così voi vi aspettate che avesse “in testa” un CAI democratico e inclusivo come lo intendete voi? Siete completamente fuori strada.
     
    Giusto per non lasciare equivoci, preciso che tutte le procedure del CAI sono, fin dall’origine, assolutamente legittime e democratiche. Ma il principio di fondo è che il CAI è una libera associazione, cioè non c’è l’obbligo di esserne soci. Per cui chi si trova bene è il BENVENUTO. Chi si trova male (per i più disparati motivi) e frigna continuamente, dà solo fastidio. Molto meglio, sia per il CAI che per i singoli insoddisfatti, che questi ultimi prendano la loro strada.

  15. Agnese 74, kebabbari, sushi, negozietti cinesi (in realtà possiedono catenevdi supermercati) …
    Vedrai che quando tanti cagoni scopriranno che Audi, Bmw e Mercedes sono il risultato di pezzi d’acciaio e plastica fabbricati in Cina e poi assemblati in Germania, si sentiranno toccati nel profondo del patrio orgoglio e…nel portafogli. Allora ci sarà un cappottamento ma sarà tardi.

  16. Certo che questo Cai di pongo tanto caro a Crovella non è che sia così edificante.
    Descritto così fa pensare che ne facciano parte elementi davvero spregevoli. Figuriamoci il presidente… 
    Erano davvero quelli gli ideali di Quintino Sella?
    Se Crovella avesse ragione c’è da rabbrividire.
     
    Ma è uno scherzo, daaaiii.

  17. 18.000.000 di Euro in tre anni (36.000.000.000 miliardi delle vecchie £).

  18. Tutto questo non c’entra nulla con l’essere soci “ “veri” o meno.

    Il P.G. è il presidente di tutti: di chi l’ha votato e  chi non l’ha votato.
    Se il presidente fa un errore, o una mancanza, voluta (sarebbe molto grave)  o non voluta, è giusto che all’interno di una associazione ci sia chi glielo fa notare. Crovella si chiama democrazia. Ma te sei tutto meno che democratico.

  19. Pasini, hai assolutamente ragione, l’errore di comunicazione è evidente a chiunque non parta per posizione ideologica dal Principio di Autorità (Fuehrer Prinzip). 
    E quello non lo convincerai mai

  20. Bastava fare un comunicato di quattro righe, pulito e secco, che chiarisse: 1.Non c’è stata finora nessuna presa di posizione ufficiale del Cai sul tema simboli religiosi di vetta come asserito da alcuni organi di stampa 2. Singoli soci e persone che operano all’interno del Cai hanno espresso la loro personale opinione sul tema nell’ambito di un normale e libero scambio di opinioni e di confronto.  Punto. Si smontava la falsa notizia e si ribadiva la libertà di opinioni e confronto. Il resto era ridondante. Nessuno si sarebbe sentito scaricato e non si sarebbe dato luogo ad equivoci a prescindere dal nome del ministro in carico, fosse stato anche un Beato o un Santo. Ribadisco: un errore di comunicazione e manageriale che ha creato più danni che vantaggi per l’organizzazione. Tutto questo non c’entra nulla con l’essere soci “ “veri” o meno. Se pensi che i dirigenti di un’associazione a cui aderisci commettano un errore lo dici e basta. Normale dialettica e libertà di opinioni. Non esiste più il PCUS da tempo nel quale bisognava stare zitti, altrimenti “compagno” la causa ne risulta danneggiata se critichi una scelta del Segetario e lo stesso valeva dall’altra parte come disse un alto dirigente di CL ad un mio amico fervente cattolico che aveva criticato una presa di posizione di Don Giussani “Il tuo problema amico caro e fratello amatissimo non è che critichi il Don ma che non ami Gesu’”.  Un’associazione democratica non è una setta, anche se ci sono tante sette travestite da associazioni democratiche.

  21. Crovella guarda di avere rispetto di chi non la pensa come te.  Ancora non siamo in una dittatura, chi è  socio del cai e si impegna nelle attività del cai,  non ha il dovere di essere sempre d’accordo con quello che pensa e dice il P.G.
    Non hai nessun diritto di dire di adarsene a coloro che non sono d’accordo con le scelte della direzione del cai. 

  22. Per quanto riguarda le “dinamiche interne”, io sono abbastanza convinto che le cose si ricuciranno, quanto meno questo è il mio auspicio, ma ho la sensazione che possa davvero andare così. Fra un mese nessuno si ricorderà più nulla di tutta questa storia, specie i soci, i collaboratori e i dirigenti del CAI.

  23.  … “un grave errore di comunicazione”…. ma dai. Se davvero pensate così, siete proprio fuori strada. Il PG ha fatto quello che, a quel punto (cioè post “roma per toma” dei giornalisti) era necessario fare da parte della sua carica istituzionale  L’unica sua cosa che io trovo un po’ stonata è stato chiedere “scusa” alla Ministra. Ma in questa mia valutazione incide il fatto che ho una idiosincrasia cronica (da sempre) verso quella persona (la ministra) e il mondo consumistico e affaristico che rappresenta. Cmq si tratta di una sbavatura da niente. Non giustifica tutte ‘ste scemenze tipo “zerbino”, “schiena dritta”… ecc ecc ecc
     
    Per il resto, ripeto che il PG ha detto quello che, a quel punto, andava detto: chi si trova bene nel CAI, si è sentito ben rappresentato dalla comunicazione del PG e l’ha apprezzata.
     
     
    Va da sé che chi non si sente rappresentato da tali prese disposizioni (oggi su questo tema, domani magari su un altro, dopodomani su un terzo tema ancora), è perché non è in sintonia generale con il CAI. Ma, ribadisco, se non vi trovate bene, andate per la vostra strada: non è obbligatorio essere soci del CAI.  Le libere associazioni sono “libere” e non hanno l’obbligo di essere inclusive, correndo dietro a tutti. Chi si trova bene, è ben accetto. Chi non si trova bene, è meglio che faccia la sua strada. Buonanotte.

  24. In tema con “no a nuove croci e nuovi bivacchi/installazioni varie”
    Se non lo fa il CAI c’è sempre l’alternativa. Ora comprendo il desiderio dei genitori di lasciare qualcosa di definitivo a ricordo del loro figlio, quello che non comprendo è assecondare questi desideri. Non dovrebbe essere difficile da comprendere che non è sostenibile dedicare un bivacco a tutti coloro i quali muoiono in montagna.
    https://www.planetmountain.com/it/notizie/alpinismo/inaugurato-ufficialmente-il-bivacco-camardella-ghiacciaio-rutor-valle-aosta.html

  25. Croci di vetta utili per poter fare la foto in cima. Utili per consentire a chi le vorrebbe togliere di inneggiare alla loro rimozione con la consueta intolleranza del tollerante. Utili per consentire di travisare (?) un pensiero e scrivere un mare di articoli. Utili ai politici per prendere lo spunto per fare del populismo a buon mercato. Insomma delle croci di vetta non si butta via nulla. 

  26. @62 beh, se gli articoli sulle croci di vetta hanno scatenato così tante reazioni xenofobe online allora siamo ancora in argomento direi.
     
    Io non ce la vedo questa sostituzione culturale che tanti temono. Non penso che kebabbari, negozietti cinesi o ristoranti di sushi soppianteranno la cultura italiana, così come non mettere delle croci in cima alle vette delle montagne non significa fare spazio all’islam come sosteneva tal Stefano qualche commento fa

  27. Via tutto dalle vette delle montagne, ognuno va su e immagina tutto quello desidera per star meglio.

  28. E io che pensavo che le croci sulle cime fossero fatte per attaccarci gli adesivi!!!
     
    Cara Millesimi, quel tuo malgrado fa un sacco di pubblicità al tuo libro.
    Mica l’avrai scritto per non venderlo, no?!

  29. Brava Ines, hai precisato con pacatezza molto bene la posizione di buon senso sul tema simboli e manufatti di vetta che molti condividono con te e gli altri relatori del famoso convegno. Sul versante Cai non facciamo ulteriore confusione. Nessuno si aspetta rivoluzioni copernicane. Per carità. Penso ci sia piena consapevolezza dei condizionamenti e dei vincoli derivanti dalla storia e dall’assetto istituzionale ed economico. Era ovvia la necessità di rispondere alla speculazione che era stata montata impropriamente. C’era tuttavia modo e modo di rispondere. Quel comunicato e’ stato secondo alcuni, e io sono uno dei tanti, un grave errore di comunicazione che ha avuto conseguenze negative sul fronte dell’immagine esterna e sul fronte delle dinamiche interne. Tutto qua. Una cantonata manageriale, che ha creato delusione anche in chi ha apprezzato alcune azioni della nuova dirigenza. Come sempre la valutazione riguarda un comportamento specifico, non la persona. Si può rimediare? Forse, ma bisogna mettere in campo più capacità di ascolto, più controllo emotivo e perché no anche un po’ più di mestiere in chi occupa certi ruoli. 

  30. Ottimo resoconto di Alessandro Gogna su un caso diventato – mio malgrado – internazionale. Ma alla fine penso sia giusto aprire questo vaso di Pandora senza offendere nessuna sensibilità. Siamo nel 2024, non nel 1800 quando il pittore Friedrick dipinse la sua prima croce di vetta senza figure, dando più importanza al paesaggio Sublime che alla presenza del Sacro. La croce risultava stilizzata e assolutamente proporzionata tra le rocce e gli alberi. Fu criticato aspramente perché quel quadro non oteva stare su un altare di cappella, benché privata. Possuamo lanciare una proposta costruttiva nel CAI? Se proprio è necessario apporre una nuova croce su una cima al posto di quella che un tempo c’era ed è stata abbattuta dalle bufere, si potrebbe proporre un disciplinare, COME FECE LA PASTORALE DI TRENTO PRR FRENARE IL FENOMENO DI MADONNINE IN GROTTE E SULLE CIME DI FRONTE ALL’IMPROVVISO PROLIFERARE DI PRESUNTE APPARIZIONI MARIANE. Pensiamo questo caso. Succede che non si trovi più la croce storica, oppure è in pezzi nel vallone; bisogna inviare un elicottero con i vigili del fuoco per asportare il traliccio di ferro che magari è diventato un rifiuto solido urbano da smaltire, non più un simbolo, e questa è un’operazione costosa. Come pure rifare una croce grande, dove era e come era. È necessario per proteggere la comunità? Se proprio non si vuole tornare all’omino di pietra per indicare il punto più alto, con il toponimo scritto sulla pietra, magari si può chiedere al Comune di apporre una croce di legno sotto i 50 cm. Ma dovrebbe essere un’azione condivisa, non anonima, né un gruppo di amici in memoria di qualcuno. Può essere forse una soluzione più sobria ed ecologica. D’inverno sarà seppellita dalla neve? Pazienza. Intanto prendiamoci cura delle cime, togliamo gli ammannicoli e gli adesivi che appiccichiamo alle croci, sistemiamo la segnaletica, sospendiamo nuove croci pseudo-artistiche e nuove targhe. Sono necessari davvero tutti questi apporti personali a futura memoria? Credo di no. Neanche alla montagna. Secondo me, dobbiamo essere più responsabili e dialoganti. Brevini nel libro sui simboli della montagna non ha mai annoverato la croce. È il tempo di riflettere su come vogliamo lasciare le cime per le nuove generazioni. La nostra invadenza di lasciare sempre un’orma umana tutta nostra è davvero esagerata secondo me e fuori dal nostro tempo. 
     

  31. Concordo con il 62 di Enri. Se per nuove croci intendiamo due piccoli bastoncini in legno che si mettono per ricordare qualcuno cui si era affezionati, questo non danneggia l’ambiente. La mia contrarietà è verso NUOVE croci di ampie dimensioni o particolarmente invasive (acciaio ecc): peraltro la contrarietà la estendo a nuovi rifugi, bivacchi, impianti (proprio in questi giorni è stata inaugurata la nuova e demenziale funivia del Piccolo Cervino!), strade, piste da bob….ecc ecc ecc
     
    Le croci che ci sono già, fanno ormai parte del paesaggio, della storia e della cultura comune di tutti noi (credenti e non credenti). Per esempio sarebbe pazzesco (come ha sottolineato tra l’altro perfino quello “zerbino” del Presidente CAI…) togliere la croce in vetta Cervino, abbracciando la quale perfino un uomo d’acciaio come Bonatti, uscito dalla Nord, si inginocchiò e pianse.

  32. Sarà anche tutto un equivoco, ma se le persone alle quali è demandata la gestione della cosa pubblica, la cosiddetta “politica”, non è in grado di leggere i dati così come sono, ma in malafede inventa o distorce la realtà, allora c’è da chiedersi se non ci stiamo infilando in un mondo dove il Minculpop era solo un modesto tentativo di uniformarsi al potere in atto. Questo è purtroppo l’idea che uno si fa leggendo le affermazioni del presidente del CAI, con un atteggiamento da “zerbino” del potere, senza un minimo di dignità. Che pena, e che deriva pericolosa!
     

  33. In sintesi, credo che il nocciolo della questione delle croci di vetta stia nelle dimensioni.
    1) Due metri o due e mezzo possono essere accettati dalla stragrande maggioranza (da tutti è impossibile); dodici o quindici metri, no.
    2) Le croci di legno sono piú suggestive di quelle di metallo e forse riescono a indurre alla meditazione (non ho detto alla preghiera) anche atei irriducibili.
    3) Le pochissime cime senza croci lasciamole cosí come la natura le ha fatte.
    4) Infine, (quasi) nessuno vuole abbattere le croci esistenti.
    Va bene cosí?
     
    P.S. Sull’Appennino a cavallo tra Emilia-Romagna e Toscana, terre notoriamente abitate da esagitati, bolscevichi (ma fascisti durante il Ventennio), anarchici, miscredenti, mangiapreti (sto scherzando! ma non troppo), finora sono state abbattute nottetempo “solo” le croci del Corno alle Scale, del M. Cusna e credo pure del M. Spigolino, poi erette di nuovo.
    P.P.S. Quella del Corno è davvero eccessiva, forse persino per un clericale pronto a partire per la riconquista del Santo Sepolcro.
     

  34. In mezzo a tutto questo casino assurdo possiamo solo ringraziare Alessandro Gogna per essere stato l’unico a metter insieme un riassunto chiaro e super partes.

  35. Io abito in pianura, ma come posso vado in montagna. Ho sempre ammirato il CAI.  Posso esprimere la mia contrarietà contro questa posizione del CAI verso le croci.  A me stanno bene, mi identifico e mi rammarico che il CAI non ne voglia mettere altre.  Viva le croci sulle vette.

  36. Penso che quello che dice Crovella purtroppo si avvicini molto alla realtà e che rappresenti anche ciò che avviene sulla scena politica . Un pensiero unico  , dove destra e sinistra ( si fa x dire ) sulle cose più importanti alla fin fine fanno la stessa cosa, come già fanno da decenni negli USA. 

  37. Da sempre mi suscitano tenerezza tutti quelli che “non sanno” cosa sia davvero il CAI e pretendono di farlo virare in questa o in quella direzione,  blaterando il loro “diritto” per impegnarsi in una battaglia che considerano sacrosanta e magari “esigendo” anche le  dimissioni di tale o tal altro, per i più svariati motivi, vuoi per le vicende personali o per dichiarazioni pubbliche o qualsiasi altra cosa… Il CAI ha lo stesso statuto dal 1863 e, come natura del sodalizio, è immutato da allora. Per cui il CAI é “questo lì” che  avete sotto gli occhi. Se non piace, basta starne lontani. E’ una “libera associazione”, non c’è nessun obbligo di associarsi. Se uno si associa e verifica che non si trova bene, tanto vale che se ne vada.
     
    Al di là del fatto che io mi ci trovo benissimo in “questo” CAI, ripeto: volete provare a cambiarlo? E provateci! Quello che non vi è chiaro è che non lo si cambia procedendo a capocchia. Le norme per fare i cambiamenti  sono scritte negli stessi regolamenti del CAI, che a loro volta sono “blindatissimi”. Non basta avere una presunta maggioranza in assemblea (maggioranza che, tanto per essere chiari, non c’è:  il malcontento alimenta solo una minoranza chiassosa, ma numericamente si tratta una sparutissima minoranza).  Cqm, impegnatesi e poi stiamo a vedere. Mi siedo comodo e assisterò al film che metterete in piedi…
     
    A parte statuto e regolamenti (che cmq non sono scavalcabili), il CAI ha elaborato un meccanismo difensivo che io ho chiamo la “palla di pongo”. In 54 anni  di mia consecutiva associazione al CAI, ne ho visti di personaggi che sono partiti lancia in resta “Cambieremo il CAI!”. Poi la palla di pongo li ha avviluppati, ha dato loro l’illusione di esser stimati e coinvolti i e intanto li ha manipolati fino a marginalizzarli e poi a sminuzzarli completamente. Tutti questi ” presunti riformatori” non esistono più e invece il CAI continua a esistere. Sempre con le stesse caratteristiche. Vorrà ben dire qualcosa, no?
     
    Protestate perché l’attuale Presidente non ha dimostrato di avere la “schiena dritta”… ma cosa credete che avrebbe fatto, nel caso di specie, il suo competitor nelle ultime elezioni associative (maggio 2022)? Se non ricordo male è tal Carrer. Ebbene, su questo episodio, se Carrer fosse PG avrebbe fatto esattamente le stesse cose che ha fatto Montani. Perché nel CAI, salvo rarissime eccezioni, non è la persona che domina, ma la carica. Il CAI è fatto così.
     
     
    Non vi piace Montani, in quanto zerbino, e “minacciate” di non votarlo nelle prossime elezioni associative (maggio 2025)? Che che rilievo pensate che abbia il vostro voto? Intanto nel maggio 2025 nessuno si ricorderà più dell’affair croci di vetta del giugno 2023… Poi cosa vuol dire “gli voterò contro”? vuol dire che voterete per uno degli altri candidati. Scelta legittimissima, peccato che tizio o caio o sempronio, una volta eletti, faranno esattamente le stesse cose perché, ribadisco, quello che domina NON è la persona, ma la carica. Una volta che hai il timone del CAI in mano, i margini soggettivi di manovra sono davvero limitatissimi. Chi si ostina a non voler capire questo, di fatto non capisce nulla di cosa sia il CAI e allora farebbe bene, se non si trova a suo agio, a staccarsene.

  38. @55
    prima di rimanere basita fatti un giro nel centro storico dì Genova. Io non ho nulla contro persone provenienti da altri luoghi e con altre culture e religioni ma in alcune aree geografiche un italiano nel senso culturale del termine non si trova più e questo è’ un fatto non un timore. Tutto bene tranne che non ci mettiamo poi a piangere se fra qualche anno la pizza le trofie al pesto le chiese i negozi della zia dell’amico sotto casa saranno spariti.
    Detto questo, che ha poco a che fare con l’articolo, penso che se in futuro qualcuno vorrà’ piantare due pezzi dì legno in cima ad un monte non ci sia nulla dì male ne’ dal lato culturale religioso ne’ da quello dell’impatto ambientale, per cui mi preoccupa dì più la nuova funivia plateau rosa’ piccolo cervino. Diverso e’ il caso in cui si costruiscano croci enormi, in acciaio ecc.. Quindi in fin dai conti ne farei una semplice questione dì sobrietà’. 

  39. Un presidente zerbino e mediocrissimo è riuscito nella non facile impresa di scaricarli e contemporaneamente alimentare l’equivoco e la polemica.. (trato da un commento di Nadal).
     
    Visto che il  mio parere su destra e sinistra al commento 5, veniva giudicato di una certa pochezza di spirito e che io medesimo insultavo chi non è della mia idea politica, direi che anche il Nadal non scherza.
    Io non so se questo presidente del Cai sia bravo o cattivo ma penso, alla luce di questa storia, che uno come Ferrari sia finito nel posto sbagliato. Affari suoi, per carità, ma la sua posizione al vertice delle pubblicazioni istituzionali del Cai la paragono al mettere Roger Waters (non ti basare Marco, eh) a dirigere il coro dell’Antoniano.  Visto che Waters è apparso anche qui nel blog poco tempo fa, cito la strofa di una sua recente canzone che dice:
     
    …The trout in the streams are all hermaphroditesYou lean to the left, but you vote to the rightAnd it feels like déjà vu…
     
    C’è dentro il tema ambientale tanto caro a queste pagine e anche quello politico che è emerso proprio dalle parole di Ferrari intervistato, e non solo, sulla stampa di destra che avrebbe strumentalizzato una sua affermazione normalissima ed equilibrata. E i ministri che poi hanno buttato benzina sul fuoco non mi sembra che avessero la tessera di Lotta Continua.
     
    Poi, sullaunghezza di certi articoli ognuno ha i suoi gusti.  Personalmente non riesco a leggere per bene quelli troppo lunghi. Il buon Gogna non ha colpe, ma preferisco, e penso di non essere il solo, cose più stringate, ideali da leggere assieme al caffè prima di uscire di casa. 

  40. Non conosco i vertici del Cai, pero’ Alberto l’intervento di Montani mi è sembrato ponderato. Ha detto quello che era da dire ovvero che l’articolo era stato scritto esprimendo idee personali. Inoltre ha detto che PER LUI le croci non sono da togliere dimostrando onesta’ intellettuale nel fare quelle affermazioni.

    Anche Albino Ferrari non ha mai detto di togliere le croci. Montani non l’ha difeso dalle accuse false, era suo dovere farlo. Dimostrando che per vari tornaconti si possono sacrificare le persone, anche se molto valide.

  41. il signor Crovella oramai è un vero “disco rotto”
    vuol far fuori i “falsi soci” (qualunque cosa voglia dire) ?
    alle prossime elezioni partecipa, fatti votare e fatti eleggere, cosi potrai mettere in atto il tuo fenomenale piano di selezione culturale. 
     
     

  42. Con buona pace …eterna …il vescovo di pignerolo ..su famiglia ubzeka…dice  mettiamoci una croce sopra..amen..meglio. a tapioca a tapioca 
    P.s rilegersi D’Artagnan o il quarto escluso… di Reinhard Brandt. A tapioca

  43. Quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro.
    Ah be’, se questo è un intervento ponderato! Questo è semplicemente e vergognosamente, per la carica ricoperta, affermare il falso, punto.

  44. Aaahhhh che bello non vedevo l’ora che Gogna pubblicasse la bagarre sulle croci di vetta!
    Spero di non essere arrivata troppo tardi ?
     
    Una cosa mi ha colpito alquanto andando a leggere i commenti su Fb: ma davvero c’è questa idea che verremo invasi dai musulmani? che le croci di vetta verrano presto sostituite dalla mezzaluna?io giuro, rimango basita da questa fobia dell’Islam.
     
    Ma è razzismo o questa teoria è basata su qualche fatto reale?
     
    Ps. Io atea, le croci o altri simboli religiosi non li voglio in luoghi pubblici. Sono perfettamente in linea con l’idea di lasciare quelle esistenti perché c’è della storia, ma a parte quelle… anche basta.
     
    pps. il CAI (o meglio, Montani) ha fatto una figura IMBARAZZANTE scusandosi per una notizia falsa, invece che prendere le parti dei propri collaboratori. poi hanno provato a metterci una pezza che è stata ancora peggio. Qualcuno dovrebbe metterci un addetto stampa competente.
    Ah no , aspetta, quelli competenti se ne guardano bene.

  45. 51 apprezzo la tua ironia verso me. Invece di usare le parolacce fai un’ironia simpatica ma anche pungente. 
    Sei nonostante siamo all’opposto, una bella persona
    Buona serata
     

  46. Non conosco i vertici del Cai, pero’ Alberto l’intervento di Montani mi è sembrato ponderato. Ha detto quello che era da dire ovvero che l’articolo era stato scritto esprimendo idee personali. Inoltre ha detto che PER LUI le croci non sono da togliere dimostrando onesta’ intellettuale nel fare quelle affermazioni.
     
    Per Paolo: do molta probabilita’ che quello che dico accada perché ho studiato parecchio le connessioni tra le varie materie e quel che salta fuori è quello che esprimo qui. Sara’ il futuro al 100%? Con alta probabilita’ si (intendo all’80-90%) ma la certezza non ce l’ho. Se l’avessi sarei un cialtrone (si va bene Matteo, per te lo sono, ti anticipo così non fai gli interventi del c….)
    Onestamente e personalmente non avrei nulla da dire sulla laicita’. Se uno crede bene per lui, se non crede gli auguro ogni bene. Intendo dire: vivi e lascia vivere. Sei di una religione? Ok praticala pure ma se c’è chi non la pensa come te non romperli l’anima.
    Pero’ la storia va avanti diversamente. Dovete capire che LE RELIGIONI ci si creda o meno fanno da collante alla civiltà e questo è stato per tutta la storia.
    Solo le dittature comuniste (ma anche naziste) volevano andare OLTRE le religioni per imporre la LORO DI RELIGIONE. Questo per sradicare completamente l’individuo e assoggettarlo alla nuova dittatura (comunismo, nazismo o meglio alle figure di Stalin e di Hitler).
    Per questo reputo la reazione al togliere le croci una bella reazione: non per la religione in se, ma perché ci sono ancora degli anticorpi che legano le persone, una forza di reazione al nulla.
    Gia’ le persone in questi ultimi 40 anni hanno perso un sentire sociale, di comunita’, esaltato dal consumismo che ha messo L’INDIVIDUO AL CENTRO. Ora avendo sradicato il senso di collettivita’ in buona parte, stanno cercando di sradicare il senso dell’essere umano al centro (lo si vede quando per esempio muore quel povero giovane sbranato dalla belva, con le persone a frignare in difesa della belva nemmeno fosse loro figlio).

  47. Il presidente Montani si dovrebbe ricordare che se il cai funziona, non grazie a certi politici , ma grazie a tutti quelli che prestano la loro opera, siano essi dipendenti, siano essi volontari . Questi hanno il diritto di essere difesi,  invece di ossequiare chi non se lo merita .

  48. Dopo il rilancio dell’idea di perseguitare chi non la pensa come noi sul piano religioso quale atto di forza doloroso ma necessario per evitare il crollo della nostra civiltà cristiana da un lato e la rimozione delle Madonne di vetta perché simbolo della sottomissione femminile e oggetto di arcaici gesti scaramantici dall’altro, direi che i commenti hanno raggiunto vette che sono al di sopra delle mie capacità alpinistiche. Putroppo non posso più permettermi di affrontare questi livelli di difficoltà. Bisogna riconoscere i propri limiti e quindi io scendo in doppia e auguro buona domenica, suggerendo solo, con grande rispetto, di non eccedere con il Vin Santo. 

  49. Bruno, è stata la sinistra per due decenni a sbandierare il vessillo dell’integrazione.
    La prima fase (i primi 10 anni) sono andati bene almeno qui in Italia. Ora pero’  la nuova ondata dell’ultimo decennio o  ultimi 7 anni non è sana e su questo va detto che l’Italia  (e i governi di sx) hanno fatto di tutto per peggiorare la situazione.
    Anche qui l’ideologia crea grandi problemi. E’ tutta la colpa della sx che pensava nell’integrazione e invece si trovera’ con il caos come la Francia sta bene dimostrando e come tempo qualche anno passera’ anche in Italia. Anche perché questo serve per poter imporre misure ancora piu’ restrittive, telecamere (si sempre per il tuo bene, ma intanto il cerchio si sta chiudendo sempre piu’), fino all’intervento dell’esercito.
    C’è poco da fare voi non vi accorgete, ma tra eventi (per nulla casuali come queste rivolte che sono create per portare avanti la fine della liberta’) che si susseguono alla fine l’unica risultante è la vostra liberta’ che sta per finire.
    Va detto cmq, Bruno, che la destra attuale non sta facendo NULLA perché tutto questo accada: se andro’ al governo faro’ i blocchi navali… si quelli del risiko!.
    Aggiungo leggendo il testo di Emanuala… la Madonna come simbolo di servitu’ e di sottomissione della donna? se non la Madonna, la religione cattolica? non avete ancora capito nulla, ma proprio nulla. A questo ci da una mano la Boldrini che è un pezzo grosso che sa tante cose. Gia’ faceva parte di organizzazioni legate all’Onu (che sara’ il fultro del nuovo ordine mondiale) e lei gia’ 5 o 10 anni fa aveva anticipato tutto… i mussulmani saranno il nostro futuro, il nostro modello. Bene Emanuela, per la tua non schiavitu’ non devi guardarti dalla Madonna, ma dalla nuova religione imperante. 

  50. Il presidente Montani si è comportato come Ponzio Pilato, se ne è lavato le mani. Invece di difendere i suoi validissimi collaboratori, da accuse false, li ha scaricati consegnandoli hai grandi sacerdoti, con i quali si è anche scusato!! Di cosa poi?!?!

  51. @37 Mi scusi sig. Stefano, ma “barbarie del laicismo”, è almeno un po’ “fuori3dal vaso” lo tanto.
    a) mi pare molto grave la sola idea che esista una fazione croci in montagna (come lo sarebbe quella smontiamole tutte)
    b) ma che cavolo di test è stato fatto, non scherziamo
    c) la laicità, non il laicismo, è un modo di concepire lavita, i rapporti personali e sociali, avere valori che non sempre coincidono con le mistificazioni della chiesa (minuscola voluta), ecc. Credo nella religione dell’Uomo,  molto diversa da quella che ci ha guidato e comandato per 2000 anni.
    @41 Ignoranza mia, ma non ho studiato Pareto. Preparazione tecnica, un rimpianto non aver avuto quella umanistica. 
    Non conosco la profezia di Malachia, mi dispiace soltanto che papa Francesco durerà troppo poco per rivoltare la chiesa di Bertone e Sodano.

  52.  
    A sinistra la polemica contro le croci in vetta implica una visione anacronistica del cristianesimo contemporaneo e provoca l’identità della destra patriottica, ugualmente anacronistica. In Italia e in Europa, in Francia per esempio, la convivenza sociale viene compromessa dal fanatismo delle minoranze etniche e religiose estranee ai valori della democrazia e della tolleranza, che invece il cristianesimo ha finalmente condiviso.

  53. La croce non è un simbolo universale e non dovrebbe conferire alcuna identità culturale. Non vedo perché il Cai non possa e non debba esprimere una preferenza per le ‘cime libere’ e schierarsi per la rimozione di quelle esistenti. Oppure dare un criterio: piccole e di legno evitando obbrobri in ferro e cemento.
    Quanto alle madonne, sarei ancora più severa. All’obbrobrio del manufatto in materiale non idoneo, si aggiunge un’aura mistichegginate di donna servizievole e pura alla quale è bene che nessuna e nessuno si ispiri. Si evitano inoltre atti di ignorante superstizione come quello di toccarla ad indicare la ‘buona sorte’. 
    Amen. 

  54. Cela fait partie intégrante de la culture de la montagne.
    Il n’y a pas à polémiquer à ce sujet.
    Il y a mieux à faire.
    Les grincheux, allez vous coucher !

  55. “A me sembra che abbia vinto il MinCulPop.”
    Batman, a me veramente pare più Parculcrap (e vediamo chi ci arriva…)
     

  56. Nel mio commento non mi schieravo affatto politicamente né a destra né a sinistra.
     
    Però lasciatemi dire che la figura degli idioti l’hanno fatta quelli di destra.
     
    Io sono anarchico e apartitico se mai questa notizia possa interessare a qualcuno. Cosa su cui ho molti dubbi.
     
    Pace e bene.

  57. Scusate ho riletto l’ultimo intervento. Si capisce, ma scrivo veramente da cani. Scusate

  58. Fantastico Pasini!!. Mi hai giusto dato lo spunto. PARETO!!.
     Ora riporti il Vescovo di Pinerolo e mi dici (giustamente) “ehi Stefano” svegliati che non siamo negli anni 50.
    E infatti hai proprio visto giusto. 
    Peccato che ne te, e ancora piu’ grave, il Vescovo di Pinerolo, non capisce che la “sua religione” è alla fine, al lumicino.
    In questo senso si prenda l’opera di Pareto, la teoria delle elite (poi non apporto contenuti e non apporto contenuti scientifici…ma andate dove so ben io!).  
    L’elite decadente, presa da buoni principi apre le porte alla nuova elite entrante, che la sovvertira’ e diventera’ la nuova elite dominante.
    Pareto ha ben capito che la storia non va avanti con il buonismo ma con la forza (vi è la legge darwiniana) che vince il piu’ forte, e il piu’ forte è il piu’ furbo, il piu’ violento (lo so, è triste ma è così). Quella del buonismo attuale è non altro che il sintomo di debolezza del sistema, sistema che è in totale decadenza (a breve lo vedrete con i vostri occhi anche finanziariamente). 
    Anche guardando i mercati finanziari si capisce (chi li studia attentamente come me) che sono solo una truffa legalizzata. Vince chi ha tra le mani l’opinione pubblica che ti fa entrare come nel 2000 nel Nasdaq, e di casi ne abbiamo a milioni…chi ha la forza, la spregiudicatezza. 
    Possiamo affermare che la religione Cristiana è stato il perno di 2 millenni? possiamo dire che (nonostante la crudelta’) l’opera delle crociate siano state il simbolo della forza e della dominanza della Chiesa e della religione Cristiana?.
    Certo sono fasi storiche in cui si andava a convertire l’ateo o chi di altra religione “forzatamente”. E’ brutto per la nostra sensibilita’ odierna…il dover PERSEGUITARE chi non la pensa come te. 
    Ebbene pero’ è guardando da un punto di vista oggettivo un punto di forza. Capisco che non arrivate a comprendere perchè siete “immersi” nel contesto attuale e anche quel Vescovo. 
    Ma la Chiesa è DEBOLE, DECLINANTE. L’apertura verso le altre religioni non è altro che la fine della Chiesa. Accade con la circolazione delle elite, accade nell’opera magistrale paretiana dei residui e deriviazioni in cui la persistenza degli aggregati (il popolo) quieto e timoroso viene manipolato e sovverchiat0 dall’istinto delle combinazioni economiche (grandi speculatori, grandi industriali, etc). 
    Da qui si innesta la mia considerazione: il laicismo dovrebbe avere vita breve e poi si instaurera’ la religione mussulmana. Perchè si instaura? perchè hai i geni della forza (anche della brutalita’) per estendere il suo credo. 
    Tale credo ci fara’ fare un salto indietro. E’ una finestra temporale, un salto non per sempre, ma un reset della liberta’ sfrenata senza regole e senza etica, dove la cultura gender ne è un’esempio…una sfida alla natura e a Dio. Quando l’uomo si sente Dio, si sente arrivato, poi la Natura, il corso della storia gli fa ben capire che non è così. 
    E’ così che va la storia. Voi potete anche non essere d’accordo ma andra’ così. 
    Altra cosa che mi fa pensare questo? I mussulmani integralisti che minacciano l’avanzata verso Roma. E tale avanzata puo’ solo avvenire se l’occidente collassa economicamente (cosa che mi torna con tutti i debiti ingestibili che ci sono). In piu’, ok qui andiamo sulla fanta religione sono d’accordo, Il profeta Malachia aveva fatto una profezia. Tale profezia prevedeva un tot numero di Papi e poi l’ultimo che avrebbe decretato la fine di Roma e del Vaticano. Ora corrisponderebbe o con Francesco o chi lo seguira’.
    Ovviamente l’ho letto su internet, riportato piu’ volte anche in altri siti non ho la benchè minima idea se è un fake.

  59. Stefano. Leggiti l’intervista del vescovo di Pinerolo su Famiglia Cristiana. Appassionato alpinista. È riportata da Ines Millesimi nella sua pagina FB. Forse dovresti rinnovare un po’ le tue visioni della religiosità contemporanea. Non siamo più negli anni ‘50 e il partito che aveva la croce nel simbolo non c’è più, come quello che aveva la falce e il martello. Anche se ci sono ancora tanti nostalgici, come il famoso soldato giapponese sullisola. Tra l’altro monsignor Olivero fa un riferimento interessante al valore simbolico delle croci precristiane. Spiritualità e propaganda appartengono a due dimensioni diverse della vita sociale e individuale. Non facciamo confusione. 

  60. Alla parola laicismo dovresti sovrapporre o forse sostituire la parola capitalismo. Io proverei prima a togliere la variante capitalismo poi vediamo. Se non quadra togliamo l’altra variante 

  61. “La notizia splendida è che le croci in montagna hanno VINTO.”
    A me sembra che abbia vinto il MinCulPop.

  62. La questione Croci in Montagna è molto interessante. Personalmente credo di essere stato il primo a fare un commento in tale senso e Pasini mi ha aiutato nell’elaborazione.
    La notizia splendida è che le croci in montagna hanno VINTO. 
    Si, la reazione è stata degna di nota, dai social alle personalita’ politiche (Cominetti, lungi da definire la destra perfetta, ma tutti i nostri mali provengono da sinistra). 
    Un fiume, uno sbarramento contro la barbarie del laicismo. 
    Sono dell’opinione che
    a) la fazione croci in montagna ha vinto, anzi stravinto
    b) che questo non è altro che un test che è stato fatto verso la popolazione per testare il gradi di resistenza… ed è stato molto alto.
    c) il laicismo è la morte dell’occidente. La religione, ci si creda o meno, ha permesso la prosperita’ dell’occidente, perchè ha saldato la collettivita’ verso una simbologia, verso un’ideale, verso la divinita’. 
    Il laicismo ha lo scopo di sgretolare tutto questo (ripeto, ci si creda o meno, si sia praticanti o meno). 
    Anche nell’antica Roma in piena decadenza vi era il pullulare di sette, poi sono arrivati i barbari. 
    Beh accadra’ anche questa volta perchè siamo nello stesso punto della storia. Questa volta i barbari moderni sono i mussulmani (questo non è una connotazione negativa sia chiaro). 
    Il fatto che sara’ l’estendersi di tale religione a mettere un nuovo sistema religioso, e quindi di governo non piu’ basato sulla laicita’ lassista e falso liberale, ma su un regime di leggi ferree di emanazione religiosa. Mi attendo nel giro di 10 max 20 anni un ritornare indietro con i tempi.  

  63. Quando assumi posizioni “contenitive” anche moderate tocchi degli interessi. A volte persino strappalacrime. In questi giorni è uscito su FB il caso di una mamma furibonda a cui avevano tolto la foto del figlio morto che aveva messo su una croce di vetta e che ora vuole metterla su tutte le croci dove riesce ad arrivare. Da un lato provi empatia ma dall’altro ti chiedo: ma se tutti facessero così? Sicuramenti i portatori di interessi ti attaccheranno, in buona o cattiva fede. Anche duramente. E qui si pone per un gruppo e per i suoi media il tema della libertà di toccare anche temi “sensibili” e di reggere agli attacchi senza andare nel panico. Tema sollevato da questa vicenda. Sul ruolo dell’indipendenza economica e della dotazione testicolare io penso che dipende dal grado di dipendenza/indipendenza. Se da solo ti puoi comprare il pane e i contributi ti servono per la marmellata anche testicoli nella norma ne risentono positivamente. Ma se i contributi servono per comprare anche una delle due fette di pane bisogna avere una speciale dotazione e allora il gioco e la selezione si fanno duri. 

  64. @33:
    Bene, Carlo Crovella, allora spiegami quali sono gli ideali e lo spirito del CAI che intendi tu. Perchè forse abbiamo in mente due cose diverse.
    Per capirci: se un Socio non si trova d’accordo con una linea della dirigenza talmente cerchiobottista, o talmente accondiscendente nei confronti di pratiche modaiole, quando non totalmente diseducativa nei confronti di un eticamente corretto comportamento o approccio verso l’ambiente montano, e decide di allontanarsi,  non è lui ad essere un “falso socio”, ma è il CAI o meglio la sua dirigenza ad aver tradito lo spirito dell’associazione.
    Per frequentare la montagna servono coraggio ed etica alpinistica. Se nei fatti il presidente mi dimostra di non avere nè l’uno nè l’altra, come in questo caso specifico, non sono io ad essere un cattivo socio se me ne vado, ma è lui ad aver tradito i valori di base del CAI.

  65. Di una cosa sono certo: una volta depositata tutta la polvere sollevata da questa vicenda, il Cai continuerà ad innalzare nuove croci, ad installare nuove ferrate, a posizionare nuovi bivacchi, con l’approvazione dei suoi soci. Come si è sempre fatto in Italia.

  66. Per “veri” soci intendo i soci che si riconoscono in modo genuino nello spirito tradizionale del CAI, spirito che è codificato da sempre nello Statuto e nei Regolamenti.
     
    Quando ci si iscrive, anche oggi, si sottoscrive tali regole di base. Cioè non ci si iscrive a casaccio a una qualsiasi agglomerato umano, pensando che, se poi non mi piace com’è, cerco di cambiarla.
    A parte che per cambiare le norme “sigillate” sono necessari tempi tecnici così lunghi per cui facciamo tutti tempo a non vedere gli eventuali cambiamenti, il CAI ha elaborato in 160 anni un particolare sistema difensivo che io ho definito “palla di pongo”. Non ne rifaccio la descrizione, perché ora non ho né tempo né voglia. E’ agli atti (devi fare un po’ di ricerca per trovarla in qualche commento del passato), ma è un’immagine che rende molto bene il meccanismo. Sta di fatto che tale meccanismo esiste ed è spietato, cioè non lo si scalfisce dio un millimetro.
     
    La storia è costellata di cavalieri che sono partiti lancia in resta “cambierò il CAI!” e sono stati sminuzzati dalla palla di pongo.
     
    Buon week end!

  67. Questa cosa dell’indipendenza e autonomia del CAI è ridicola. Il CAI è un’associazione come tante, e come tutte le altre gode del sostegno economico pubblico previsto e regolato da precise normative. Non è che se è più bravo a leccare il profilo migliore del ministro o del politico di turno riceve più soldi.
    Non serve essere indipendenti economicamente per prendere una posizione moralmente ed eticamente corretta.
    Non serve l’indipendenza economica per dire che la stampa ha travisato completamente il senso del discorso o ha scritto qualcosa inventandolo di sana pianta. Nè per dire ai ministri di stare al loro posto, di informarsi meglio e attraverso fonti un po’ più affidabili e serie dei social o del mondo giornalistico italiano prima di prendere posizione.
    Basta solo schiena dritta e una dotazione di palle che raggiunga almeno il minimo sindacale. 

  68. @17:
    Carlo Crovella, scusa tanto ma chi è che stabilisce quali sono i “veri soci” e quali i “falsi”? E casomai, secondo quale criterio?

  69. Cominetti:
    Non esiste più né la destra né la sinistra, esiste solo il centro e poi il sopra e il sotto.
    Questa gallina ha sempre 3 gambe, una al centro una sopra e una sotto

  70. Aspetto con ansia il convegno “Antenne di vetta”.
    Ma potrebbe essere interessante anche il convegno ” Pale eoliche di vetta”. 

  71. Matteo. Il “caso” non è banale e ha sollevato un tema chiave sottostante:  la libertà e l’autonomia del Cai e dei suoi organi di stampa. Più scottanti diventeranno le tematiche a livello locale e nazionale più la questione diventerà importante. A meno che il Cai si riduca ad essere un organizzatore di attività per i soci e sul resto silenzio o melina. Chiacchere e distintivo. Il Direttore editoriale che deve indirizzare gli organi di comunicazione dell’Associazione non poteva non sollevare il problema con le sue dimissioni.  Non è un contrasto di personalità o di ego. Poi deciderà lui cosa fare e ognuno ne trarra’ le sue conclusioni perché dimissioni ed eventuale ritiro sono un fatto pubblico e un atto di comunicazione.

  72. Condivido e sottoscrivo in pieno l’intervento di Matteo Fumagalli al 6. Per parte mia, ho inviato una nota di protesta contro il PG Montani alla Sezione di Firenze, di cui faccio parte, senza avere risposta. Per fortuna c’e’ qualcuno in una posizione istituzionale che parla chiaro, senza lasciare i normali soci a confrontarsi con il ‘Ministero vigilante’ (?!) di sua maesta’ il Presidente Montani. Paolo Nastati.
     

  73. Quoto 7
    La suddivisione salomonica del Cominetti fa un po’ ridere. Ho conosciuto straordinari coglioni da entrambe le parti e viceversa. 

  74. @21 Il comunicato “finale” uscito in data 29.06.23 su Lo Scarpone ( e riportato nell’articolo odierno), seppur espresso in “politichese”, induce a concludere che tutto dà l’idea che le divergenze siano in fase di riassorbimento. Personalmente è il mio auspicio.

  75. @22 Appunto non c’è la volontà. Non è un limite di QUESTA Presidenza,  ma del CAI in toto e da sempre. Non mi addentro in un discorso storico che, seppur interessantissimo, è completamente fuori tema rispetto all’argomento del post, ma il CAI è “nato” istituzionale, cioè filogovernativo (a prescindere dal governo in carica), quella è la “sua” natura congenita. Non credo che tale DNA sarà mai estirpabile, a maggior ragione dopo 160 anni in cui è sempre stato così.
     
    Cmq tutto ciò non c’entra con il caso di specie, se non incidentalmente.  Buona domenica.

  76. Marò, che sbrodolata! E tutto per una polemica “culturale” nata da una “notizia” interpretata con la consueta obbiettività e buonafede da Il Giornale e chiosata dalla Santanché, nota per la sua morale cristallina…
     
    Dire che la Presidenza del CAI ne esce bene è un po’ come sostenere che nel novembre del ’17 gli Alti Comandi del Regio Esercito hanno fatto tutto il possibile!
     
    L’unica buona notizia è che bisogna passare sul corpo di Salvini per togliere le croci dalle vette: potrebbe rappresentare lo stimolo necessario.

  77. Se si analizza il bilancio si vede che gli spazi ci sono per ridurre le dipendenze esterne. Un esempio: la rinegoziazione degli oneri assicurativi che si mangiano quasi tutta la quota iscritti e di fatto coprono solo le attività sociali e con un massimale per infortunio di 2000 € con i quali non ti paghi neppure i costi di una distorsione alla caviglia. Per vuoi una copertura fuori dalle attività sociali e con massimali più elevati devi pagare 250 €. Un prezzo di mercato. Un altro terreno e’ quello delle proprietà immobiliari e degli stipendi. Se c’è la volontà le cose si possono fare, certo bisogna fare un po’ di sacrifici, esattamente come succede ad ognuno di noi se vuole essere un po’ più libero dai condizionamenti. 

  78. La stima non c’entra con la divergenza di opinioni e atteggiamenti e con la fermezza nel sostenerle. Si può stimarsi e avere linee diverse e ricavarne le conseguenze quando si hanno ruoli manageriali o istituzionali.  Diverso il caso dei soci. Uno può anche non condividere una linea e rimanere socio conducendo le proprie battaglie.  I segretari passano e gli iscritti restano si diceva in politica. Personalmente ho apprezzato l’esempio di Cottarelli, a prescindere da ogni valutazione politica delle sue posizioni. 

  79. @15 Gran bella idea quella di un CAI totalmente indipendente. Se lo si vuole, occorre che le uscite di bilancio siano fronteggiate esclusivamente dalle quote dei soci, senza alcun finanziamento pubblico. Per il triennio in corso mi par di ricordare che il finanziamento totale sia di 18 milioni. Se i soci desiderano che sparisca ogni rischio di condizionamento pubblico, occorre che si carichino tale importo. equamente diviso sulle spalle di ciascuno. Ovviamente in aggiunta rispetto alle quote che già vengono pagate da soci. siccome in giro )a prescenidere dal fatto di specie) si percepiscono diffuse lamentele sull’onerosità delle quote in essere, non vedo le condizioni per fare a mano dei finanziamenti pubblici e, di conseguenza, per liberarci dal relativo giogo col potere di turno.

  80. La polemica, a mio avviso sterile e piuttosto infantile (ci sono cose ben più importanti da discutere) non è nuova. Nel 1981 il film di Bernard Germain “Un Pic pour Lénine” venne rifiutato dalla Commissione di selezione del Film Festival di Trento ufficialmente perché non rientrava in nessuna  categoria, in realtà perché faceva riflettere sul significato delle croci cristiane sulle vette e su quello analogo dei simboli dell’ideologia comunista, come ad esempio il grande busto metallico di Lenin in cima al picco omonimo. Attraverso  giochi di animazione le montagne venivano trasformate in un grande circo in cui gli alpinisti-clowns si esibivano, sotto i simboli identificanti la  grandezza delle diverse ideologie. Con la fine dell’Unione Sovietica il busto di Lenin fece una brutta fine: venne sradicato e gli alpinisti che raggiungevano la vetta si facevano fotografare in modo blasfemo con il busto fra le mani.  Il  film, ancora oggi attualissimo, ricco di metafore intelligenti, lo feci proiettare nell’aula magna di sociologia durante il Festival del 1981 ed ebbe un meritato successo. Per chi volesse saperne di più consiglio la lettura di Dico Vertigo dello stesso Bernard Germain,  dizionario della montagna al cinema in 500 film.

  81. @16 Dovrebbe esser già avvenuto, con reciproco riconoscimento di stima

  82. @13 Hai fatto benissimo a non rinnovare, se la pensi così. Da moltissimo tempo (e molto prima di questa scemenza mediatica) sostengo che sono troppi i soci CAI: non è realistico che esistano “veri” soci in numero di 327.000.  Molti sono dei “falsi” soci: si sono iscritti non si sa perché, ma in realtà non condividono  gli ideali e il senso di appartenenza al CAI e, quando i nodi vengono al pettine, se ne vanno. E’ fisiologico, anzi io sostengo che sia positivo. A naso il numero soci “genuino” è circa la metà, forse anche meno, molto meno. Per cui se si innescano dei meccanismi per cui il numero soci si screma, va benissimo. Chi non si riconosce nel CAI (per questo o per quel motivo), prenda pure la sua strada: io personalmente non lo trattengo. Un associazione non ha l’obbligo di essere inclusiva a tutti i costi. Chi ci si trova bene in modo genuino, è ben accetto; chi si sente a disagio, piuttosto vche sta a frignare, alzi la vela e faccia il suo itinerario di vita.

  83. Consiglio vivamente a Montani, Ferrari e Lacasella di sedersi intorno a un tavolo, guardarsi negli occhi e parlarsi.

  84. Ognuno correttamente e liberamente esprime le sue valutazioni. Io penso che quel comunicato della Presidenza, partendo da un dato di fatto oggettivo  (non c’è mai stata una presa di posizione formake del Cai sul tema simboli religiosi sulle montagne) ha preso poi una direzione inopportuna, nel tono e nella sostanza, verso l’alto e verso il basso. Sarei profondamente deluso se le dimissioni venissero ritirate. Se tutto finisse nel nulla sarebbe un’ulteriore dimostrazione della stile melodrammatico e poco serio con cui spesso da noi vengono trattate le divergenze. Nel rispetto interpersonale e con pacatezza, chi rompe paga e i cocci sono suoi. Aggiungo che finché il Cai dipenderà in modo vitale dall’appannaggio governativo (rosso, bianco o verdone) non sarà mai veramente indipendente. In un monento come questo dove i temi della difesa dell’ambiente montano sono caldi e critici ci vorrebbe una grande associazione veramente libera e autonoma dai condizionamente. Dubito possa esserlo il Cai attuale, almeno a livello di organi centrali. Più spazi ci sono forse a livello locale, dove non bisogna dire grazie a nessuno per il pranzo gentilmente offerto. Meglio pagarsi un semplice panino coi propri soldi. 

  85. I tre Ministri avrebbero fatto bene a stare completamente zitti. La tematica non è tale da giustificare addirittura le dichiarazioni dei Ministri della Repubblica. E’ evidente che non si sono informati a puntino. Nel caso del Ministro degli Esteri c’è l’attenuante che nei giorni passati  era in atto il finto golpe russo. Ma proprio per questo poteva benissimo starsene zitto sul tema croci. Con la grana russa in divenire, cosa si preoccupa delle croci sulle vette italiane? Gli altri due Ministri parlano abitualmente a vanvera e lo hanno fatto anche in questa occasione, ma non è un’eccezione ai loro standard abituali. Darei poco importanza alle dichiarazioni di tutti e tre, innescate da una bagarre che, nella migliore delle ipotesi, deriva da superficialità dei giornalisti e nella peggiore è stata addirittura strumentalizzata ad arte dal mondo mediatico.

  86.  
     
    Non sono d’accordo con il commento 10, che trovo incredibile. Chiaramente il presidente non era al corrente di quanto era stato espresso al convegno, né con ogni evidenza ha interpellato Ferrari prima del comunicato stampa, dal momento che ha preso le distanze da cose mai dette. A livello comunicativo e rappresentativo il presidente ha sbagliato tutto e non mi pare abbia fatto marcia indietro. Dall’altra parte si è forse affrontato un argomento delicato con troppa superficialità, con articoletti poco argomentati su Lo Scarpone che hanno generato un bel po’ di confusione. In realtà il Cai e soprattutto la sua dirigenza ne sono usciti malissimo, e non lo dico io, basta leggere i tantissimi commenti negativi dei soci sulla pagina Facebook del Cai. Quest’anno non ho rinnovato la tessera e ne sono contento.

     

  87. Il signor Marcello Cominetti si reputa talmente intelligente da potersi permettere di elevarsi a giudice sommo dell’intelligenza altrui, in particolare di chi si schiera politicamente dalla parte opposta alla sua. 
    Il problema è che così facendo dimostra solo la sua pochezza sia intellettiva che come persona nel suo complesso, dato che, in una polemica di tutt’altro argomento ne inserisce una di tipo eminentemente politico, riuscendo ad insultare gratuitamente chi non sia di sinistra e pure l’ottimo Alessandro Gogna; che non ha preso nessuno per idiota, ha solo fatto egregiamente il suo lavoro fornendo un’informazione completa e corretta, raccogliendo articoli e dichiarazioni in modo che ognuno potesse capire le reali posizioni dei vari protagonisti di questa vicenda, farsi un’idea sua e soprattutto cogliere in pieno il desolante quadro dell’informazione giornalistica italiana, della mediocrità assoluta della politica e del vertice della principale associazione alpinistica italiana.
    Detto questo: piena solidarietà da parte mia nei confronti di Marco Albino Ferrari e degli altri dimissionari, che hanno fatto benissimo a rimettere i loro incarichi. Un presidente zerbino e mediocrissimo è riuscito nella non facile impresa di scaricarli e contemporaneamente alimentare l’equivoco e la polemica. Complimenti.

  88. Certa stampa ha distorto completamente l’intervento di Marco Albino Ferrari, riferendo l’otto anziché il diciotto.
    Chi poi lo ha attaccato (per esempio, i ministri) probabilmente si era informato in questo modo. Da lí è scaturito tutto l’ambaradan.
     
    N.B. Si badi bene: non giustifico gli attacchi, ma tento di capire come è nata tutta la storia. In ogni caso, un ministro ha il dovere di informarsi in modo corretto.
     

  89. E’ sbagliato affermare che la presidenza del CAI ha abbandonato direttore editoriale e redattori alla gogna mediatica (non quella di questo blog, ma quella generica e superficiale che ha fatto partire tutta la sarabanda).  Dopo che la sarabanda si è innestata al seguito della manifestazione di una legittima idea individuale (di Ferrari, idea che a titolo personale condivido da tempo), è stato il mondo mediatico generalista a mescolare tale dea individuale con una non meglio precisata presa di posizione ufficiale del CAI.
     
    A quel punto ha fatto benissimo Montani a precisare che il sodalizio non ha mai neppure affrontato il problema e non ha assunto delibere in merito. E’ la constatazione della realtà oggettiva.
    In tutto questo guazzabuglio, è umana la reazione di Ferrari, ma sono certo che i due sapranno ricucire. Anzi, l’ultimo comunicato stampa mi pare proprio che si inserisca in tale direzione. Il CAI ha bisogno tanto di un Presidente dinamico e innovativo come Montani quanto di in direttore editoriale capace e affermato come Ferrari. E soprattutto abbiamo bisogno della loro stretta collaborazione.
     
    Quanto ai Ministri coinvolti (per alcuni dei quali NON ho elaborato né stima né simpatia personale, e mi pare di averlo detto – in passato – anche in questi spazi) non c’entra nulla che siano di destra o di sinistra. Sono stati coinvolti nella bagarre  complessiva creata dai giornalisti generalisti che hanno preso “roma per toma” cioè hanno confuso l’idea personale di Ferrari come delibera ufficiale del CAI.
     
    Viviamo nella società  della  “fretta elevata a sistema”, per cui si deve fare tutto “correndo” ed è chiaro che, superficiali da una parte  i giornalisti con il loro roma per toma, dall’altra sono stati superficiali anche i Ministri, forse (ma vale principalmente per quello degli Esteri) “distratti” da eventi e problemi ben più rilevanti, come ad esempio il “finto” golpe in Russia.
     
    Pur dispiaciuto per l’episodio in sé, io affermo che il CAI (sia come Sodalizio che come singole persone) ne è uscito bene. Ha detto e fatto quello che andava detto e fatto nella situazione che si è creata. La bagarre non è minimamente imputabile né al CAI come istituzione, né al Presidente Generale, né al direttore editoriale. 
     
    Ora, voltiamo pagina e andiamo avanti.

  90. Da barot (dialetto piemontese) culturale, non credente e amante della montagna quale sono, mi è chiaro e penserei lo possa essere per tanti, che sulle vette ci sono tante (e in alcuni casi troppe perché vicinissime) croci e che possano essere tollerate anche da atei, cultori di altre religioni, di pelle diversamente colorata, quale simbolo di sacrificio, del credere in qualcosa, forse in un messaggio di umanità. Anche se è vero che le croci sono “figlie” di una religione, di una chiesa, che trascinava i ragazzi delle parrocchie a “elevarsi”, a dare una meta a una fatica. Toglierle avrebbe nessun senso, metterne altre anche (specie in questo momento storico, multiculturale e distruttivo dell’ambiente).
    Molto discutibili le croci monumento, di dimensioni spropositate, quasi un simbolo del (non vuole essere blasfemo) “io ce l’ho più grosso”, tipo sul Bric Mindino o sul Bric Costa rossa per restare alla provincia di Cuneo. Indiscutibili cazzate (spero non intervenga il presidente CAI, è parere personale).
    Chiudendo condivido la posizione dei 3 responsabili della cultura e comunicazione CAI e che il presdente si sia mosso molto male dando benzina al fuoco di una politica e dei politicanti del livello inqualificabile di Santanchè e del devotissimo Salvini.
    Aggiungo, di striscio, che ci sono anche innumerevoli madonne sulle cime e che, a breve proliferanno le panchine giganti. Bulimia cervellottica.

  91. Marcello, la tua opinione è la seguente:
    1) Gli imbecilli si schierano a destra.
    2) Gli intelligenti all’inizio si schierano a sinistra, ma poi, grazie alla loro intelligenza, diventano ricchi e cosí si schierano a destra.
    3) A sinistra non rimane piú nessuno.
    Ho capito bene?
     
    P.S. Il GognaBlog non ha scritto un lungo articolo come se i lettori fossero idioti. Lo ha scritto cosí lungo per completezza di informazione e per dare spazio alle varie campane.

  92. Ci sarebbero tante cose da dire su una vicenda come questa, da dove noi del CAI, dall’ultimo socio al PG, ne usciamo molto male. Innanzitutto vorrei esprimere solidarietà ai nostri due validissimi collaboratori Marco Albino e Pietro perchè sono stati implicitamente “scaricati” dalla presidenza e lasciati soli di fronte ad un assurdo linciaggio mediatico. Chiedo però loro di ripensarci, perchè, a parte il fatto umano, stanno svolgendo un lavoro lodevole ed efficiente di rinnovamento della stampa e della comunicazione del sodalizio. L’altra cosa che vorrei sottolineare è la malagestione della situazione da parte del presidente Montani. Fino a questo momento il Presidente Generale, nonostante un inizio burrascoso per le note vicende, stava conducendo il sodalizio in maniera decisa, con proposte e necessarie novità per il sodalizio (riproporre l’alpinismo a livello sezionale e atti concreti per la tutela della montagna), oltre che il rinnovamento dell’informazione sociale con la collaborazione di stimati professionisti come appunto Marco Albino Ferrari e Pietro Lacasella,  il tutto molto apprezzato dalla maggioranza dei soci. Incomprensibile quindi ora questa nota di scuse verso la ministra, vero quid della questione, che ci ha lascito tutti basiti (a parte qualche partigiano delle croci a tutti i costi che si è schierato a testa bassa anche contro il proprio sodalizio). Durante la scorsa Assemblea di Biella, il Montani non aveva lesinato critiche alla ministra, a causa di alcune sue dichiarazioni sulla morte di due alpinisti sul Gran Sasso. Ricordiamo poi tutti l’atto simbolico della rimozione di Mussolini dal libro dei soci onorari, mossa che non penso sia stata presa benissimo negli ambienti governativi. Ora invece ci troviamo questa supina e NON dovuta sottomissione al ministro. Perchè NON DOVUTA oltre che letale per il rapporto con i due ottimi collaboratori? Perchè, contrariamente da quanto affermato dal PG, non c’era necessità ne’ procedurale ne’ politica: il ministero può intervenire nella vita di un ente di diritto pubblico quale è il CAI solamente per questioni organizzative, finanziarie, di democrazia interna, e tutto ciò insomma che riguarda la sfera politico amministrativa dell’ente. Non era questo il caso. L’ingerenza è stata compiuta dal ministro, ed è questo è il fatto grave. A parte la grande bugia su cui si è basata la ministra per intervenire, ma la querelle, anche fosse stata posta come posizione ufficiale, rientrava comunque nella sfera delle opinioni, in quanto il CAI non ha alcuna autorità verso terzi o altri soggetti per autorizzare o vietare installazioni o rimozioni di manufatti sulle vette, al massimo poteva essere una linea di condotta da indirizzare ai soci, un po’ come il Bidecalogo. Quindi di che cosa stiamo parlando? Capite perchè è grave questa sottomissione al ministero? Il tutto per cosa? Per avere l’unico risultato di perdere i nostri due validissimi collaboratori, creare un malcontento generale e perdere la fiducia di tutti coloro i quali stavano sostenendo la presidenza nel tentativo di rinnovamento del Club. Credo che ora occorra fare una riflessione generale, la scarna nota del Comitato di indirizzo e controllo non basta. Se Montani vuole tronare ad essere credibile deve avere il coraggio di tornare sui suoi passi, scusarsi con i collaboratori (e con tutti i soci) e ripristinare la schiena dritta nei confronti di una politica che ha utilizzato squallidamente la vicenda per il solito fango social e mediatico che purtroppo alimenta il loro consenso. Altrimenti tra due anni, in occasione dell’elezione del Presidente Generale, noi presidenti sezionali e delegati sapremo bene come esprimere democraticamente con il voto questo malcontento.

  93. Stampa di destra, giornalisti di destra, ministri di destra…
    Ho sempre pensato che si schieri a destra chi ha un cervello limitato e molta energia da dedicare a questa sua naturale mancanza. Me l’hanno sempre confermato i fatti. Incluso questo lunghissimo articolo ripetitivo sullo stile attuale che ama ripetere la stessa cosa decine di volte come se il lettore fosse idiota. Un po’ come spiegare le barzellette dopo averle raccontate.
    Allo stesso modo penso che si schieri a sinistra chi è intelligente di natura ma poi accade che chi ha un buon cervello inevitabilmente si mette a fare soldi. Ritrovandosi ricco inizia, anche inconsciamente, a guardare a destra, confermando l’inesistenza di una vera sinistra convinta. Probabilmente il tutto finì con le BR, che non dico con ciò  che facessero bene ad ammazzare la gente.
     
    Il povero Cai sembra alla deriva nello stesso mare che si è creato attorno e spero che Ferrari (ciao Marco) si trovi un posto di lavoro più dinamico e adatto alle sue indubbie capacità giornalistiche e letterarie. E che magari gli lasci il tempo per continuare ad andare in montagna.
     

  94. Non credo proprio che il GognaBlog abbia messo qualcuno alla gogna.
     
    Tutt’altro.

  95. Un’esaustiva copertura informativa su una vicenda piccola ma emblematica. C’è dentro di tutto: l’antropizzazione  dell’ambiente montano, il significato e la storia delle simbologie di vetta, il ruolo dei media e dei social, le dimamiche organizzative, le strumentalizzazioni politiche, la gestione della comunicazione istituzionale, il deragliamento delle relazioni personali……valeva la pena raccoglierne i pezzi. Per lasciarne traccia e non dimenticare. Purtroppo, come già tante volte emerso, anche il mondo della montagna e la comunità che gli sta intorno non è esente e protetta dalla natura spesso non propriamente luminosa delle vicende umane. Spiace ci siano andate di mezzo persone serie.  È il prezzo che si paga quando si cerca di affrontare i problemi con professionalità, passione e ragionevolezza. Chi doveva capire ha comunque capito e questa raccolta è utile per farsi un giudizio a chi magari non ha avuto modo di seguirne gli sviluppi in dettaglio. 

  96. Caro Alessandro, il tuo è un ottimo servizio giornalistico: hai dato spazio alle diverse voci.
    Certamente, come ciascun essere umano su ogni argomento della vita, hai la tua opinione in merito, ma ciò non ti ha impedito di ignorare quelle differenti.
     
    P.S. Non credi che avresti dovuto diventare giornalista, anziché dedicarti all’alpinismo? ???

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