Le parole chiare di Vincenzo Torti
(trascrizione dell’intervento a voce del Presidente Generale del CAI, avvocato Vincenzo Torti, all’evento per le 100.000 firme a difesa dell’Alpe Devero, 23 gennaio 2021)
a cura del Comitato Tutela Devero
CTD: Il CAI con il recente documento Cambiamenti climatici, neve, industria dello sci, analisi del contesto, prospettive, proposte ha preso una posizione molto chiara. Si tratta di un salto di qualità oppure di un percorso in atto verso un consolidamento dei principi contenuti nel Bidecalogo?
Torti: Si tratta di un passo importantissimo, fondamentale, per cui ho dedicato due pagine dell’editoriale della nostra rivista Montagne360 a questo tema, con il titolo Il futuro della montagna non passa da nuovi impianti di sci né dall’ampliamento degli esistenti. L’intervento porta la firma del Presidente Generale del CAI ed è epilogo di un iter di accertamenti, approfondimenti e verifiche al termine dei quali ci si è resi conto che la posizione del CAI fosse matura per essere definita in modo inequivoco.
Se in questo momento al Club Alpino Italiano viene chiesto che cosa ne pensi dell’Alpe Devero, è il Presidente Generale che ha affermato che “non è in quel senso, in quella direzione, che si deve guardare al futuro della montagna”. Anzi abbiamo argomenti per spiegare perché non è quella la strada, perché sarebbe destinata al fallimento e perché quindi dobbiamo imboccarne altre.
CTD: Come pensa di diffondere i concetti contenuti nel documento fra i tutti i Soci , le Sezioni, i Gruppi Regionali in modo che siano patrimonio di tutti?
Torti: Nell’editoriale ho fatto un riferimento di terminologia. Quando si parla di “bene di tutti” normalmente si parla di “bene pubblico”, di denaro pubblico. Se sostituissimo alla parola “pubblico” la parola “comune” forse avremmo la percezione che stiamo parlando di qualcosa che è anche nostro. Mentre quando è “pubblico” lo distinguiamo da “privato”; se usassimo l’espressione “comune” avremmo la contezza che è qualcosa di cui non possiamo disinteressarci perché è anche nostra. Ora, relativamente a questo bene comune, a tutti questi beni comuni, ci siamo resi conto di alcuni dati inconfutabili.
Il primo: più di 300 impianti di sci abbandonati. Sul territorio montano ci sono delle strutture che sono ormai dei rifiuti. Rifiuti di un superamento di qualcosa che è stato mal concepito. Sicuramente avranno inciso anche i cambiamenti climatici, ma i glaciologi, come l’amico professor Claudio Smiraglia, parlano da più di 30 anni di questi cambiamenti che sono arrivati. Un po’ di lungimiranza avrebbe potuto far capire che non avrebbero avuto futuro. E così è stato. Però oggi abbiamo un inquinamento pesante perché questi impianti hanno lasciato sul territorio cavi, funi, piloni, quando non addirittura pezzi di seggiovia.
Muovendo dalla circostanza che anche di recente è stato dichiarato il fallimento di un grosso comprensorio sciistico in Lombardia che 25 – 30 anni fa attirava molto turismo- non è arrivata la neve, ma soprattutto è cambiato il numero dei frequentatori – il dato che ci ha colpito maggiormente è che in 10 anni non è minimamente cresciuto il numero dei frequentatori degli impianti di sci, anzi, è leggermente diminuito.
Ora, immaginare un “ecomostro”, come è stato definito, e avere la speranza di portare il turismo di massa, non solo è una cosa di cui dubitare, bisogna essere certi del no. Probabilmente quando una cosa è nuova attira. Ma questa pandemia sta lasciando un disagio economico estremamente diffuso. Se gli impiantisti per sopravvivere hanno bisogno di disporre di maggiori entrate vuol dire che: o ottengono risorse pubbliche per poter sopperire alle perdite, o devono alzare i prezzi. Alzare i prezzi con una diminuzione dell’utenza; perché molte famiglie prima di andare a sciare dovranno occuparsi di un contesto quotidiano molto preoccupante.
Esiste una serie di dati verificati che portano a far concludere in modo inequivoco che chi pensa – e non sono entrato nel tema ecologico o del rispetto di Natura 2000 – di fare un investimento remunerativo si sta illudendo. E la cosa che preoccupa molto i cittadini è che la montagna e tutti i suoi frequentatori possano beneficiare ancora di questa meraviglia che è l’Alpe Devero.
Chi si illude di fare un investimento e di mettere del denaro che verrà poi premiato da reddito, si illude. Non parliamo del fatto che la neve, nonostante questa anomala stagione di nevicate che statisticamente è un’eccezione, bisognerà crearla, e la neve che deve essere “programmata” è una neve che attinge a enormi risorse naturali a delle località che oggi hanno dei punti di equilibrio straordinariamente delicati. Quando questi equilibri saranno toccati, saranno irrimediabilmente perduti.
La domanda è: ma chi poi dovrà farsi carico dei costi di un investimento sbagliato? Io continuo a dire che se deve diventare un debito comune bisognerà continuare a fare presente il nostro punto di vista, diffonderlo il più possibile. Il CAI, dopo averlo condiviso totalmente nei suoi organi di vertice, cercherà in tutti i modi di rendere diffuso questo messaggio perché venga trasformato in una cultura consolidata in tutto il sodalizio e si appoggi sui numeri: il CAI aveva toccato alla fine del 2019 oltre 327.000 soci, che nei primi mesi del 2020 erano addirittura in aumento di quasi 5.000, poi con il CoViD-19 molte attività, se non quasi tutte, si sono bloccate; ciononostante abbiamo la rappresentanza di 306.250 soci.
CTD: Quale futuro per l’Alpe Devero, quanto può essere strategico con le sue molteplici attività?
Torti: L’Alpe Devero è giustamente definito come un paradiso, e lo è. Lo è per tutti coloro che hanno una visione di montagna che dovrebbe essere condivisa da tutti i soci del CAI. Nessuno di noi va in montagna per trovare la città o tutte le devianze che porta la vita di città. Vogliamo trovare “altro”, vogliamo trovare il silenzio che non abbiamo: disturba anche solo il concetto di eliski, contro il quale io presi posizioni inequivoche quando non ero ancora Presidente del CAI, proprio perché la montagna è tutt’altro.
Ho ricevuto tempo addietro la diffida da parte dei sindaci dei Comuni che propugnano il famoso “ecomostro” di cui parlavamo, ovviamente una diffida che non mi ha minimamente toccato perché quando un cittadino esprime un’opinione… Ma se qualcuno mi viene a dire che le popolazioni interessate sono le padrone di beni come l’Alpe Devero mi viene da sorridere: abbiamo dei beni che sono tutelati costituzionalmente e lo sono per tutti e non solamente per alcune piccole collettività.
Se vogliano aggiungere qualcosa di propositivo vorrei ricordare che negli ultimi anni il CAI ha condiviso con gli amici austriaci una nuovissima iniziativa che sono i cosiddetti “Villaggi degli Alpinisti”. Delle realtà di montagna che hanno presentato delle caratteristiche certificate che le rendono dei borghi particolarmente accoglienti, da tutti i punti di vista; perché offrono ospitalità, hanno un’accessibilità adeguata, ma perché tutto è moderato, ed è a misura di natura compatibilmente con quella dell’uomo. E’ iniziata con Forno di Zoldo, l’antesignano, poi altre due località sono state riconosciute nel 2020 “Villaggi degli Alpinisti” – mediante un iter molto severo – e sono Triora in Liguria e Balme in Piemonte, nella stessa regione di cui stiamo parlando. Balme aveva rimosso l’accessibilità ai mezzi motorizzati, sia per l’eliski, che per le moto sulle carrarecce e sui sentieri, ed è stata immediatamente annoverata. Abbiamo altre candidature. Questa è una visione che non solo può essere esportata e valorizzata , ma proposta come esempio.
Perché l’Alpe Devero, che qualcosa ha, nessuno vuole lasciarla a disposizione di pochi fortunati che stanno nel silenzio totale: la vogliamo come realtà viva. Queste comunità devono rendersi conto che l’errore che stanno commettendo è di prospettiva. Se oggi può far gola l’idea che arrivino 180 milioni di euro – in questo periodo si parla di miliardi di euro come fossero noccioline, ma nessuno regala mai nulla – io credo invece che se si riuscisse a fare intendere a queste comunità che la risposta sta nella qualità, nel contenimento, nell’offrire quello che la montagna ha di meglio da dare, ma non per non fare arrivare nessuno, ma per non far arrivare troppo, quando il troppo è devastante e soprattutto vanifica completamente. In montagna noi intendiamo guardare la bellezza, ci piace la fatica quando camminiamo nella natura: una dimensione umana in ambiente montano.
CTD: E cosa dice dell’utilizzo degli impianti per attività estive, come il downhill o anche solo l’accorciare le escursioni?
Torti: Chiedere al Presidente Generale del CAI se in montagna si sale con la seggiovia caricando la bicicletta in funivia? Io credo che la dimensione della montagna sia tutt’altro. Altrimenti qual è il senso per cui nel 2019 l’Alpinismo è stato dichiarato bene immateriale dell’umanità? Un bene immateriale deve essere qualcosa che ha a che fare con la cultura. La cultura non è una parola sterile, è una dimensione. Noi parliamo da tempo di “Montanità”, declinata in tutti i sensi, per dare voce alle popolazioni di montagna, per confrontarci, per capire quali siano le loro esigenze.
Siamo partiti dal presupposto: per il futuro delle popolazioni di montagna con il decrescere di frequentatori di impianti di sci, con la perdita della neve, con il clima che cambia totalmente, continuare sarebbe una forma di ottusità. Prenderei al balzo due cose. Andare verso una montagna che è quella che noi amiamo, che ci fa stare bene da tutti i punti di vista, ma che non vogliamo deserta, e vogliamo correttamente popolata, vissuta da chi ci sta legittimamente e ci accoglie. L’altra occasione è quella di non buttare denaro in qualcosa che è destinato a creare cattedrali in un deserto, rifiuti in località che prima erano da sogno.
Vi prego di annotare che il Club Alpino Italiano condivide totalmente la posizione di quelle 100.000 firme che stanno facendo un bene enorme: stanno tutelando qualcosa di prezioso in un modo corretto.
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Caro Marcello la risposta l’ho già scritta… ORECCHIE DA MERCANTE – (indica l’atteggiamento di chi, per proprio comodo, finge di non sentire o di non capire quello che gli viene detto). Mai nessuno ha risposto. Ciao
Pellegrini: e ti hanno risposto? Perché se la tua risposta fosse “si”, si tratterebbe della PRIMA VOLTA da quando venne in mente a Sella di fondare il Cai.
Caro AGH, (difficilmente rispondo ai SENZA NOME), MA QUESTA VOLTA FACCIO UNA ECCEZIONE. Hai fatto una ottima analisi, tutto vero! Quante volte ho scritto ai presidenti regionali del CAI e per conoscenza alla direzione centrale, affinché facessero rispettare il clima, l’ambiente. Dovevano esprimere la loro opinione, contro chi propone eventi catastrofici, PER L’ORMAI INARRESTABILE ecocidio del pianeta. A maggior ragione perché il CAI HA IL BIDECALOGO. ORECCHIE DA MERCANTE!
Il Cai ormai è schizofrenico, come la figlia Sat in Trentino. Certo Torti ha ragione. Ma ci sono sezioni Cai che promuovono “record” e altre valorizzazioni della montagna assai opinabili. La stessa cosa accade per certe sezioni locali SAT che appoggiano raduni motorizzati e concertoni, perfino nei parchi, e addirittura i loro dirigenti sono quelli che redigono le VIA, ovviamente favorevoli. Ma pure la SAT centrale è schizofrenica: si impunta su un pezzo di strada per difendere (giustamemente) il gallo credone, ma poi va a braccetto coi valorizzatori del Lagorai, la più grande wilderness del Trentino, per trasformare le malghe in ristoranti e dare il via all’assalto alla diligenza dei soliti appetiti (progetto provinciale Translagorai da 3,6 milioni di euro). Oppure invoca il “basta impianti in Marmolada” quando i buoi sono scappati da un pezzo e “la Regina” è stata violentata in tutte le maniere, e mentre costruisce lo spaventso mostro edilizio del nuovo rifugio Boé a 3000 metri nel cuore del Gruppo del Sella. Quanto inquinano l’ambiente gli storici sodalizi? Insomma la coerenza è passata di moda, degli statuti ormai tutti se impipano secondo convenienza del momento e dei quattrini pubblici disponibili.
Condivido le parole di Vincenzo Torti.
Non serve al Devero altro turismo, è un Paradiso .
Non distruggiamo la natura…..
Lottiamo !!!
queste assurde affermazioni di “essere i padroni della montagna” si sentono fare, da chi ci abita, anche in Apuane a proposito delle cave.
…”o ottengono risorse pubbliche per poter sopperire alle perdite, o devono alzare i prezzi. Alzare i prezzi con una diminuzione dell’utenza; perché molte famiglie prima di andare a sciare dovranno occuparsi di un contesto quotidiano molto preoccupante.”
Come far accettare un aumento di prezzi, a chi era abituato con uno skipass a sciare a buffet, ovvero abbassare il costo unitario di una discesa aumentando al massimo le discese con una frequenza ai limiti del frenetico e spesso oltre le energie psicofisiche?
Penserei ad incentivare col marketing uno skipass (gia’ per altro esistente nelle offerte di certi comprensori) a punti.Se poi nei corsi facessero praticare la risalita a scaletta o a spina di pesce anche di brevi e facili pistarelle..si capirebbe quanto vale una modesta discesa .
In normali palazzi dotati di ascensore, lo si usa anche per scendere una o due rampette di scale, da parte di corpi giovanili e a volte in sovrappeso ma viziati alla comodita’.Salvo poi lamentarsi nelle assemble dei costi eccessvi di manutenzione ed energia della comoda apparecchiatura.Poi magari i medesimi pagano corsi di fitness o si comprano gli stepper .