Provate a immaginare uno dei posti più selvaggi delle Dolomiti, dove la natura è forte, dove esprime la grande capacità che ha di commuoverci. E provate a immaginarla deturpata dalla vernice.
La val dei Cantoni è una via d’accesso alla Cima dei Preti, bellissima vetta del gruppo Preti-Duranno (Dolomiti d’Oltrepiave): se, in seguito al prossimo scioglimento delle nevi andrete a percorrerla, vi accorgerete del danno fatto.
Paolo Beltrame (di Maniago) ha materialmente eseguito la prima verniciatura, ormai 5-6 anni fa, allo scopo di rendere fruibile un angolo incontaminato delle Dolomiti tramite una sistematica e oscena segnaletica, visivamente invasiva e onnipresente, nonché rozzamente realizzata.
Un gruppetto di appassionati, abitanti di Cimolais e dintorni, si sono subito attivati per “cancellare” quell’obbrobrio: in quell’occasione è stato rispolverato il termine bocciardare. La “bocciarda” è infatti una specie di mazzetta a testa zigrinata con la quale e con molta pazienza è possibile ripristinare il colore originale della roccia deturpata.
Val dei Cantoni – Cima dei Preti
Ma già nella stessa stagione il Beltrame provvedeva a ri-verniciare lo stesso percorso, peraltro descritto nel bel libro Preti-Duranno dello stesso Paolo Beltrame, uscito nel 2006 e primo di una collana fortunata dal nome 101% Vera Montagna. E nel frattempo, in altre zone delle Dolomiti Orientali, succedeva che il nostro soggetto si adoprava nella verniciatura sistematica di vie di salita puramente alpinistiche alle vette anche remote, dei valloni selvaggi e degli antichi viaz dei cacciatori. Apponendo sulla roccia enormi bolli, frecce e scritte, oltre il limite del vandalismo.
Gli stessi dunque che avevano già bocciardato l’itinerario la prima volta tornarono a rifarlo, ma questa volta non si limitarono alla resistenza passiva.
L’11 ottobre 2009 sul blog FuoriVia apparve, a firma di Luca Visentini, un post di una lucidità cristallina, dal titolo Io accuso, del quale riportiamo un brano significativo: “… (gli autori del misfatto hanno disatteso) il Bidecalogo o Documento programmatico per la protezione della natura alpina votato all’Assemblea dei delegati di Brescia nel 1981, le finalità della Commissione centrale per la tutela dell’ambiente montano costituitasi nel 1984, le speranze per un riscatto ecologico dell’alta quota sorte con la fondazione a Biella nel 1986 di Mountain Wilderness da parte del Club Alpino Accademico Italiano e dei migliori alpinisti internazionali, gli stessi intenti della Charta di Verona approvata al termine del Congresso nazionale nel 1990, le Tavole di Courmayeur o Norme di autoregolamentazione del CAI per la protezione dell’ecosistema alpino promulgate nel 1995, le disposizioni limitative contenute nel più recente manuale “Sentieri – Pianificazione segnaletica e manutenzione, vol. 1” e soprattutto il buon senso.
Val dei Cantoni – Cima dei Preti
Dopo aver promesso la bocciardatura a oltranza dell’opera di Beltrame, segue la conclusione: “Ma rimane per i gruppi più a nord una mina vagante e quindi un pericolo per le ultime macchie bianche nella topografia del nostro Paese, già brutalmente antropizzato. Imbratta ogni cima, lo ripeto, è seriale. Uccide l’avventura. Compromette la scoperta. Riduce l’autonomia. Si nasconde dietro al falso alibi che così facendo donerebbe a molti l’opportunità di non perdersi. Mentre invece contano il suo ego smisurato e lo zelo pseudomissionario e duro a morire dei suoi compari associati.
Nell’era nuova delle Dolomiti Patrimonio Naturale dell’Unesco io continuo a pensarla come sempre. Del mio passaggio sui monti cerco di lasciare meno tracce possibili”.
Segue un periodo di infocate discussioni, in cui appare chiaro che la filosofia verniciatoria è in netta minoranza. Paolo Beltrame è costretto a furore di popolo a chiedere pubblicamente scusa, impegnandosi a non reiterare azioni del genere.
L’attività però è continuata. La casa editrice del figlio Michele continua a promuovere i propri itinerari, premasticati (a questo punto non si sa da chi) con la vernice, nella brama di darli in pasto a tutti, anche ai meno preparati: gente che senza quelle segnalazioni mai potrebbe affrontare percorsi del genere (e forse neppure con quelle!).
Val dei Cantoni – Cima dei Preti
Anche la via normale della Cima dei Preti, quella che sale da Forcella Compol, è verniciata con enormi bolli viola: e così cadono anche la Cima Laste e l’intero anello alpinistico del Duranno, solo per rimanere in questo gruppo e senza mettere il naso in Marmarole e Sorapiss, dove vengono segnalati altri disastri.
Viene anche il momento del versante nord-est della Cima delle Ciazze Alte, nel territorio del comune di Cimolais e del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane.
Val dei Cantoni – Cima dei Preti
E’ la goccia che fa traboccare il vaso: il 21 novembre 2012 è stilata denuncia contro ignoti. Nella denuncia viene descritto il danno: “…Tale versante è stato vistosamente verniciato in rosso lungo una via alpinistica con difficoltà di I e II grado, segnalandone il percorso al di fuori di ogni controllo e responsabilità per la sicurezza, nonché modificando e pregiudicando il valore paesaggistico di una zona posta sotto tutela ambientale sia in ambito regionale che nazionale.
La “mano” appare la stessa che da qualche anno imbratta anonimamente e sistematicamente le rocce in particolare nel gruppo montuoso della Cima dei Preti e del Duranno… (le segnaletiche), che risultano oltretutto applicate con metodi improvvisati da sconosciuti senza autorizzazioni e non identificabili… al di là degli aspetti etici ed estetici pur necessari in montagna, possono indurre persone inesperte a seguirle, ignare che ciò può procurare grave pericolo a loro stesse qualora si trovassero di fronte a difficoltà per cui è richiesta una buona conoscenza della montagna e, per certi tratti, delle tecniche di progressione in sicurezza…”.
La denuncia è firmata da Antonio Zambon, presidente GR-CAI – FVG; Franco Polo, presidente CAI di Cimolais; Carlo Martini, presidente CAI di Claut; Pizzut Alleris, presidente CAI di Pordenone; Giacomo Giordani, capo stazione CNSAS Val Cellina; Luciano Giuseppe Pezzin, presidente del Parco Naturale Regionale delle Dolomiti Friulane; Fabio Borsatti, sindaco del Comune di Cimolais.
Forse anche per ripicca, la Val dei Cantoni e la successiva salita alla Cima dei Preti viene verniciata per la terza volta!
Cima delle Ciazze Alte
Nessuno vuole firmare questa serie di devastazioni, anche se il sospetto che i Beltrame siano i “mandanti” è venuto a ben più di un osservatore: vuoi perché su Facebook (e altrove) Michele Beltrame continua a difendere la necessità della segnaletica anche anonima, vuoi perché è più naturale pensare che, spontaneamente, non possano esserci altri fanatici così pervicaci e compulsivamente ossessivi.
Solo per la Val dei Cantoni, al momento siamo a tre verniciature e a due cancellazioni: non si è proceduto oltre con la bocciardatura proprio per non eliminare il “corpo del reato” in Valle dei Cantoni, in attesa dell’esito delle indagini o che qualcuno si tradisca.
La propaganda dell’editore Michele Beltrame intanto continua a gettare fumo negli occhi, in quanto sostiene che la montagna, anche quella più selvaggia, deve essere per tutti e le solite falsità, tipo che i ripulitori “cancellano i sentieri”, quando in realtà si tratta di vie normali alpinistiche, mai tracciate e con qualche difficoltà tecnica (I, II e a volte anche III grado).
Cima delle Ciazze Alte
E’ molto preciso il punto di vista, sempre preso a prestito dal blog FuoriVia, di tal Bu Hzz: “Trovo che il proliferare dei segni di vernice in montagna sia veramente deprecabile. Segno di un’urbanizzazione che apre il passo a facilitazioni di ogni sorta, dalle ferrate alle funivie, dalle strade ai rifugi-albergo. Questa mania di facilitare, nel nome di una sicurezza che uccide il vero rapporto con la natura è non solo un obbrobrio per la vista, per chiunque ami veramente la montagna per quello che è, e non come terreno di conquista su cui allungare l’ombra del proprio ego, ma è anche ciò che porta la gente a dimenticare la necessità, (e quella è la vera sicurezza) di comprendere realmente il territorio che si attraversa, le sue caratteristiche, la sua conformazione.
Seguire un sentiero appena segnato qua e là da qualche ometto ti porta a mettere il cervello in quello che stai facendo, a salire, anche se è una passeggiata, concentrato, e quindi a goderti metro per metro quello che stai facendo (anche). Seguire invece un’autostrada ultrasegnalata, chiacchierando del più o del meno e magari facendo casino, come spesso accade, ti porta ad attraversare quel territorio come se fossi in un tunnel.
E’ ovvio, che in questa società in cui conta il risultato, la tacca nel proprio curriculum, la giornata persa inseguendo un sentiero è insopportabile.
Allora si pretende o si propende alle segnalazioni chiare… e ci si incazza pure se per caso ci si perde. Ma che ci andiamo a fare in montagna, se non per perdersi, nel senso più ampio del termine, per poi ritrovarsi? Perché trasformare la montagna in qualcosa di simile alle nostre città, con miriadi di segnali in ogni dove? Ma allora restiamocene in città, no? oppure andiamo a goderci l’aria fresca in macchina… perché urbanizzare anche dove è rimasta qualche briciola di wilderness? Quando tutto sarà segnalato, cosa rimarrà all’avventura?
L’idea che passa invece, veicolata dal concetto della sicurezza, è quella populistica e demagogica, a facile presa, che l’ambiente è di tutti e che tutti abbiano diritto di usufruirne. In sicurezza.
E che chiunque la pensi diversamente sia un elitario che vuole tenere la massa fuori.
E’ terribile, questa logica. Micidiale.
E’ quella che ha provocato la distruzione ambientale, ovunque, a qualsiasi livello.
L’incapacità di fare un passo indietro, di fermarsi, ma anzi l’affermazione del diritto di poter fare quello che si vuole, egoisticamente.
Il che, vale per uno, ma ovviamente per estensione vale per tutti.
La sicurezza vera è nel conoscere il territorio in cui ti muovi, è nel fare il passo secondo la propria gamba. E non nel costruire dei corridoi di vernice”.
Cima delle Ciazze Alte
7 febbraio 2014
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La mia biblioteca di montagna conta all’incirca 1800 volumi, frutto di una vita di passione. Cominciai a diciotto anni, con i primi timidi acquisti alla storica e benemerita Libreria Alpina dei Fratelli Mingardi (Bologna), una delle piú importanti d’Europa (ma questo allora lo ignoravo). Da lunghi anni purtroppo ha cessato l’attività.
Non ho mai mancato di comperare le piú belle guide, all’inizio limitandomi a quelle di alpinismo, tra cui la leggendaria Guida dei Monti d’Italia. La sua soppressione mi provoca ancora male al cuore e va a vergogna dei responsabili del CAI che cosí decisero. Della collana mi manca solamente il rarissimo “Gran Sasso d’Italia” ed. 1943 (c’è qualche buon’anima che ce l’ha e me lo vende? Lo accetto anche in regalo… 😊).
Poi mi allargai alle guide di escursionismo, tra le quali primeggiano quelle della collana “Da Rifugio a Rifugio” del CAI/TCI, anch’essa soppressa con decisione scellerata.
Poi passai ai libri di storia dell’alpinismo (grazie Gogna!), alle biografie e ai resoconti di ascensioni, ai volumi della mitica collana “Montagne” della Zanichelli (grazie Zanichelli!), alla Guide Vallot du Mont Blanc, ecc. ecc. (tutti questi ecc. sono lí apposta per scatenare la vostra invidia 😉).
… … …
Tutta la lunga premessa serve per informarvi che a suo tempo avevo deciso l’acquisto di TUTTI i volumi, nella loro edizione piú elegante e quindi piú costosa, di una certa collana chiamata “101% Vera Montagna”. Quando poi imparai chi erano l’autore e l’editore, decisi che di quei libri non ne avrei comperato neppure uno.
I Beltrame dichiararono che le critiche portavano comunque pubblicità e quindi vendite. Ebbene, il mio caso è stato esattamente il contrario. Piuttosto che foraggiare la famiglia Beltrame ho preferito rinunciare a guide che erano davvero belle, secondo il giudizio di chi le aveva sfogliate.
La mia biblioteca può farne a meno, i sentieri possono esistere senza osceni segnavia, la montagna deve vivere senza vandali.
Segnalo un pessimo esempio sulle Marmarole, sul sentiero 262 dal rifugio Chiggiato al rifugio Baion
http://www.brunobarbieri.eu/wp-content/uploads/2016/07/Marmarole-sul-sentiero-262-dal-rifugio-Chiggiato-al-rifugio-Baion.jpg
Descrivere un avventuroso e bel sentiero in una guida porta ad essere apprezzati e a vendere di più tale guida e fin qui non ci piove.
Veramente non riesco a capire, invece, la motivazione di ripercorrere sentieri già percorsi e descritti con pennello e vernice ? Pensare che quei pochi che ripercorrono quei sentieri, venendo facilitati dai segni di vernice, siano portati a comprare altre guide dello stesso è da ignoranti (o facilmente si è consapevoli di non saper descrivere con accuratezza i vari percorsi – cosa peraltro palese leggendo quelle guide).
Consigli per quello li :
– andar meno per i monti con il pennello, ma con matite e imparare a fare qualche schizzo didascalico.
– imparare a far foto decenti
– imparare a scrivere in italiano
– vantarsi meno di aver eseguito passaggi di II con zaino grande, zaino piccolo, senza zaino,…nudo, senza scarpe, bendato, a testa in giù…(tutta questa vanagloria da strapazzo e da bambinoni complessati non giova certo nel trasmettere concetti di sicurezza che dovrebbero esser presenti in guide d’escursionismo)
– abbassare un po’ la cresta (superare passaggi di II con le mani legate dietro la schiena non è roba da vantarsi è da mone !!)
Credo occorra lasciar da parte i sospetti per il signor Paolo, ormai dismesso dai suoi propositi proprio dall’essere stato scoperto e rivelato, e concentrarsi attivamente sul figlio Michele, il quale per spirito di emulazione immette nelle teste dei suoi conoscenti la pulce del degrado.
Chi compie quegli atti osceni conosce a menadito la zona che prende di mira, tanto da andare a sporcarla nei momenti in cui altri mai si sognerebbero di andare in escursione (presenza di maltempo, forti nebbioni, prima di previste nevicate, ecc). Deve evidentemente essere sicuro che non vi sia nessuno in zona.
Queste segnalazioni selvagge e contrarie alle norme vigenti vanno deprecate e, per quanto possibile, represse. Altra cosa è dire che quando si segna un sentiero con tutte le regole e soprattutto quando lo si pubblicizza, occorre mantenerlo transitabile sempre, se si vogliono evitare spiacevoli e dolorosi incidenti. Per completezza occorre ricordare che la segnalazione e la manutenzione dei sentieri viene effettuata, nella stragrande maggioranza dei casi, da volontari che spesso devono anche autotassarsi per far fronte alle spese comunque necessarie.
La stessa cosa è stata fatta nel “selvaggio Blu” qui in Sardegna. Una sequenza di bolli blu anche laddove non c’era nessun bisogno, dove non sussiste nessun problema di orientamento.
Il problema è di fruizione assoluta e per forza di cose. Problema legato anche ad un altra pseudo-filosofia imperante in questi ultimi tempi: l’assoluta necessità di esistere appesi ad una corda, ad una ferrata, in un luogo comunque dove non si sarebbe potuti arrivare con i propri mezzi o attraverso le proprie capacità.
Basta guardare FB, youtube, per renderci conto che la domenica molti amano rivendicare il diritto all’adrenalina. Ma questo è OT. Fino ad un certo punto comunque, perché tornando al problema del segnavia, quello sbagliato, esagerato che provoca scempio e deturpa il paesaggio, i motivi sono gli stessi. Oggi chiunque vuole fruire dell’ambiente naturale anche senza l’aiuto di una guida esperta e per poterlo fare cerca di trasformare l’ambiente, rendendolo meno aggressivo o più semplice.
In Sardegna il segnavia meno impattante è quello che utilizzavano i pastori, millones, gli omini di pietra, pietre incastrate su un ramo, un sapiente taglio di roncola su un ramo – che poi ricresce – per liberare un passaggio che diversamente sarebbe invaso dalla vegetazione.
Oggi vediamo una freccia rossa, un bollo blu, addirittura un indicazione con il toponimo verniciata sul calcare.
A me non piace neppure il segnavia del CAI. Lo dico senza problemi. Sempre di vernice si tratta, non importa se le dimensioni sono contenute, mi importa il fatto che si tratta di un’aggiunta non necessaria e soprattutto indelebile.
Cartelli e targhette su paletti ad altezza ridotta dove non nevica bastano ed avanzano, sono visibili, sono in legno od altro materiale, non coprono la visuale, sono educati. Quando si rovinano si fa la dovuta manutenzione e stanno bene per altri 10 anni.
Segnare il territorio come un cane non è un diritto sancito per nessuno. Neppure per il CAI.
Il Comune del luogo, o per suo conto un ente autorizzato, un parco o una riserva, sono gli unici soggetti giuridici aventi diritto di regolamentare il segnavia. Laddove l’area non rientri ancora sotto nessuna regolamentazione specifica, avevano ragione i pastori a mettere due pietre nel punto giusto o a lasciare segni inequivocabili per l’occhio esperto o per la guida.
Bisogna finirla con questa corsa alla fruizione forzata dell’ambiente naturale; esistono le guide e altre figure professionali che non hanno bisogno di bollini per non perdersi.
I percorsi per tutti invece, basta segnarli in modo sobrio, senza vernice e soprattutto, soprattutto senza bisogno di una firma che identifichi chi per primo ha fatto il percorso. Perché per primo quel percorso lo ha conosciuto il pastore o chi per primo ha esplorato quelle zone per recuperare una capra.
Saluti
Pitturare anonimamente i sentieri rispecchia una scuola di pensiero berlusconiana, dove l’individuo si arroga ogni diritto e più di tutto ha diritto a far soldi con qualsiasi mezzo. Come dimostrano i fatti questi valori sono fuori dalla legalità, non per nulla colui che li propugna è stato condannato e ha numerose pendenze con la giustizia. L’ambiente naturale per il berlusconismo non conta niente ed è lecito piegarlo alle proprie esigenze. Posso fare un esempio che illustra bene questo concetto:
quando un ex sindaco alpinista e amante della montagna decise che era ora di scalare il Campanile di Valmontanaia si fece portare all’attacco con l’elicottero.
———purtroppo agiscono da vili , nell’ombra …….e dalla guardia forestale scarso impegno ………….. vigilare ed eventualmente reprimere 😉
Diversamente dai verniciatori più o meno ignoti io separerei le due cose, l’ambiente e i libri, evitando di penalizzare anche questi ultimi in un periodo di crisi in cui se ne vendono peraltro già pochissimi.
Per quanto riguarda il Parco e i sentieri, inoltre, la situazione è diversa da come alcuni sostengono, disorientati forse dal fumo negli occhi sparso sul web. Il Parco sta infatti facendo uno sforzo enorme per tenere aperti più itinerari possibili e i pochi dismessi, d’accordo con il CAI, nell’impossibilità di essere mantenuti sicuri per l’escursionista medio favoriscono almeno una wilderness maggiore. Puoi anche lavorare un mese di piccone, per esempio, per facilitare il tratto dirupato e detritico del Sentiero Marini, ma bastano 24 ore di pioggia per far sparire di nuovo la traccia. I sentieri, in passato, erano tenuti in ordine dai pastori, dai boscaioli e da tutta la comunità, con un’opera costante e gravosa di manutenzione. Si crede davvero che per mettere in sicurezza un percorso basti la bomboletta spray?
In ultimo, la questione dell’Alta Via n. 6. E’ stata creata, segnalata e divulgata da una pur brava persona, Toni Sanmarchi, con un’iniziativa però privata, personale, nel 1975. Chi ne ha adesso la competenza, chi dovrebbe gestirla? Boh! Il CAI, il Parco, prima o poi prenderanno posizione su questo percorso, ma nel frattempo non si deve loro imputare alcuna colpa. Tanto più che i segnali apposti dallo stesso Sanmarchi con criterio e rispetto, cioè non invasivi per dimensioni e quantità come quelli apparsi ultimamente, sono ancora lì, si riconoscono e ci guidano con discrezione, non sono stati affatto cancellati dai bocciardatori.
Basta bugie, quindi, sul fatto che noialtri si voglia mandare la gente a perdersi!
Onore ai bocciardatori.
Questi sono matti da internare, stanno facendo una devastazione senza precedenti…
è altrettanto vero però che il Parco sta perseguendo una politica di sistematica eliminazione di tutti i sentieri non praticabili dalla famigliola in costume da bagno ed infradito, vedasi 352 Arturo Marini, 354 di Forc. da Las Busas, 360 di Forc. Cimoliana, e l’ intero tratto di Alta Via delle Dolomiti da casera Laghet de sora al rifugio Maniago… secondo me se il parco non facesse tutti sti smantellamenti, certe menti disturbate avrebbero meno stimoli a fare le loro porcate estendendole poi a macchia d’ olio anche altrove…
La segnaletica in montagna è utile ma DEVE essere discreta, in quanto rappresenta pur sempre un’alterazione della situazione naturale; quindi ben vengano i classici rettangolini rossi e bianchi con il numero del sentiero, ma quei bolli e quelle frecce, oltre a tutto malamente disegnati, sono assolutamente da proscrivere.
Grazie a quanti si impegnano nel ben più gravoso lavoro di bocciardatura per cancellarli.
L.A.L.
Condivido e sottoscrivo.
Trovo davvero intollerabile questo scempio.
Chi ha davvero bisogno di frecce grosse un metro e visivibili da un chilometro forse dovrebbe starsene a casa, la montagna non fa per lui. Chi invece inbratta e rovina l’ambiente va punito.
se l’italia fosse un paese serio, esisterebbe una legge che punisce severamente questi crimini, ed esisterebbe un’organizzazione della giustizia che l’applicherebbe. ma… l’italia non è una nazione, quindi non c’è senso dello stato, quindi i politici sono corrotti, quindi i cittadini – pardon, i sudditi – si fanno i cavoli loro, quindi le caste tirano ciascuna l’acqua al proprio mulino, quindi…. i beltrame continuano.
Addomesticare la montagna ed in particolare alcuni dei luoghi più wild imbrattandoli al solo scopo di vendere qualche libro in più lo trovo deplorevole. Come trovo sbagliato e diseducativo per le nuove generazioni trasformare le falesie in luoghi senza vita, diserbando, tagliando alberi anche dove non serve come testimonia l’amico Ivo Buda di Trieste in un articolo scritto per il mio blog http://www.ilmountainrider.com/arrampicare/arrampicata-ed-ecologia/
La situazione è evidente. Per fortuna c’è chi continua a dire basta. Non ha senso continuare a scarabocchiare le rocce solo per non riconoscere una critica comportamentale. L’ orgoglio e la vendetta non hanno nulla a che fare con l’etica dell’andare in montagna, del rispetto dei luoghi, delle regole e dello spirito di avventura. Un frequentatore assiduo dovrebbe riconoscerlo, capire e confrontarsi sulle motivazioni di questi giudizi malevoli. Il CAI FVG chiede agli autori una semplice riflessione, lontana dai personalismi e auspica che promuovere l’andare per monti avvenga con spirito sereno e non con l’accanimento e la rabbia. Non si perda il significato storico del senso comune. Castigare tutto ciò con lo spray sulle rocce denota carenza di senso critico si tratta di un gesto forte che non annullerà mai i giudizi sugli autori, anzi divulgherà lo sconcerto fra i tanti che mirano a preservare il silenzio di quei luoghi, il senso logico della ricerca del percorso e dell’avventura per il raggiungimento della vetta.
Scrissi qualcosa al tempo su un sito di alpinismo,
che venne utilizzato per una sorta di petizione:
confermo adesso quanto dissi allora,
sottolineando la pericolosità e lo scarso rispetto per l’ambiente di chi compie questi scempi.
Chiunque sia, Beltrame o meno, spero paghi a caro prezzo i danni apportati all’ambiente.
E’ sempre triste vedere l’arroganza di chi deturpa la natura in nome della sicurezza o, peggio, dei propri interessi. Mi auguro che gesti come questi non si ripetano e che chi ha commesso questo scempio venga scoperto e ne risponda di fronte alla legge.
Buonasera, sono Cristina Bacci e vivo in Cadore. Parlo anche a nome di Angelo Zangrando.
Qualche anno fa abbiamo aperto una breve via su una sperduta cima nel gruppo dei Tre Scarperi: la Cima della Lavina Lunga.
Anche se siamo citati nel libro che il sig. Beltrame ha scritto insieme al sig. Cammelli (Dolomiti di Sesto – secondo volume)CI DISSOCIAMO TOTALMENTE DALL’ABITUDINE BOLLARE LE VIE ALPINISTICHE.
Noi siamo soliti lasciare solo rari ometti e un discreto bigliettino di vetta, affinché agli altri non vengano preclusi il piacere della scoperta e l’emozione dell’avventura. Solo così la montagna continuerà ad essere “vera al 101%”.
Cordiali saluti
Cristina Bacci e Angelo Zangrando
Che cazzo ci stanno a fare le guardie forestali e truppe alpine equiparate addette alla tutela dei monti…?
ovviamente d’accordo alla condanna e alla scelta di “pubblicizzare” la casa editrice.
“rob de matt”
Personalmente qui dichiaro che -pur con tutta la presunzione di innocenza- non acqusterò ed inviterò a non acquistare libri editi dai Beltrame, a costo di privare la mia biblioteca di montagna di testi eventualmente interessanti.
Se fossimo in tanti a farlo (e a dichiararlo pubblicamente) forse potrebbe servire.
Luca A. (del forum di Fuorivia e del forum di Planetmountain)
Firmai a suo tempo la petizione e scrissi anche qualche riga in merito…ma…dove va a collocarsi tutto questo? Credo non solo nell’arroganza individuale ma in una situazione di degrado culturale che ormai da ogni dove aggredisce la wilderness montana….
Cosa si può dire ad un invalido in sedia a rotelle che pretende di raggiungere le cime perchè..”E’ ANCHE UN MIO DIRITTO!” ??? Forse quel che ho risposto io…:”I diritti, e non quelli acquisiti, si devono guadagnare e siccome salire una montagna non è un diritto acquisito nè per logica nè per legittimità distruggere l’ambiente creando nuovi punti di sbarco sulle cime è oppostamente un delitto quindi volerlo è essere quantomeno complice attivo di ciò!”
Ergo, deturpare e modificare l’ambiente per scopi umani è un delitto, ma se oggi scansare un cane che tenta di morderti diventa questione di Stato, purtroppo, per convenienza, non lo è distruggere gli ammassi monolitici che per loro essenza non possono parlare e urlare il loro dolore…
Sottoscrissi la lettera aperta di Luca Visentini nel 2009, condivido ancora ogni parola.
Qui c’è un reato e pure l’istigazione che vanno perseguiti e puniti!
Non posso che condividere ogni parola.
E’ una dura presa di posizione e la condivido.