Un altro sindaco, questa volta quello di Triora (IM), Angelo Lanteri, ha emesso un’ordinanza che vieta lo sci fuori pista e la pratica dell’escursionismo nelle zone innevate del territorio comunale, quindi con particolare riguardo alla stazione invernale di Monesi. Ordinanza n. 8, 21 gennaio 2014.
Le motivazioni sono sempre le stesse, l’alto rischio di valanghe dopo le precipitazioni dei giorni scorsi, spontanee e provocate dal passaggio sci o snowboard, ben specificato comunque dal pericolo 3 (marcato) stabilito dal bollettino. Questa volta il sindaco allega alla peraltro scarna ordinanza una descrizione di cosa s’intende pericolo 3, inclusa l’osservazione che la metà degli incidenti mortali avviene statisticamente con questo grado di pericolo.
Tra le disposizioni che fanno parte della presente ordinanza ci sono il relativo comunicato stampa e la pubblicazione della stessa sul sito del Comune. C’è poi l’avvertenza che la violazione all’ordinanza sarà punita ai sensi del Codice Penale.
A oggi, l’ordinanza è ancora valida. Contrariamente a quanto è successo a L’Aquila, probabilmente nessuno è andato a indagare se, prima dell’emissione dell’ordinanza, fosse stato fatto il preventivo invio all’Autorità di Governo nei termini disposti dal comma 4 dell’articolo 54 del T.U. 267/00″ (18 agosto 2000), che recita: “Il Sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta con atto motivato provvedimenti, anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione”.
A L’Aquila la carenza di questa comunicazione e l’opinione pubblica decisamente contraria hanno determinato il ritiro dell’ordinanza. A Monesi, stazione sciistica con un passato drammatico e a rischio definitivo di chiusura, difficilmente avremo lo stesso movimento di opinione.
Non dimentichiamo che per fortuna nessuno vuole impegnarsi nella costruzione del tronco di seggiovia biposto tra la località Tre Pini e Cima della Valletta, quasi quattro milioni di euro che rischiano seriamente di essere buttati via per una causa persa. Per un tardivo intervento a favore di una località che non potrà che rinascere con altre regole ambientali ed economiche rispetto al passato, quindi con progetti di altro genere.
Poteva bastare l’avviso delle pericolose condizioni del manto nevoso, ma si è preferito ricorrere al divieto. Questo divieto non fa che accelerare il processo irreversibile di degrado dell’offerta turistica di Monesi e nello stesso tempo l’amministrazione stessa si auto-segnala impotente a gestire le nuove tendenze e le esigenze dei cittadini. Non è con il solito paternalismo che si gestisce un territorio e una comunità, bensì con informazione seria, che distingue ciò che è vera responsabilità dell’Amministrazione da ciò che invece è responsabilità solo del cittadino e dell’individuo.
Mappa del piccolo comprensorio di Monesi. Da notare gli itinerari segnati in giallo, tutti fuoripista pubblicizzati dal depliant
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Cara Paola, se leggi attentamente il post vedi che concordiamo nel dire che è giusto apporre adeguata segnaletica di pericolo, sia sulle strade di transito sia sui percorsi cosiddetti di fuoripista.
La discussione è infatti sui divieti. Su una strada, che normalmente si percorre pensando sia sicura, è giusto andare oltre il divieto: se vi è pericolo di frana si può anche sbarrarla. Non c’è nessun guidatore che controlla lo stato del versante montano prima di traversarlo su una strada a bordo di una macchina!
Su un pendio innevato invece uno sciatore DEVE in ogni momento controllare, oltre che aver presenti tutte le informazioni meteo-nivologiche. Uno sciatore sa che è lì a proprio rischio e pericolo. Uno sciatore sa (o dovrebbe sapere) che se qualcuno ti sconsiglia di andare un motivo ci sarà pure.
Rifiutando il divieto per il fuoripista si cerca di percorrere la strada della responsabilizzazione dell’individuo, del rifiuto di una società paternalistica e di un’amministrazione che trova comodo deresponsabilizzarsi con un divieto. Quando per di più nessuno dovrebbe pensare che l’Amministrazione abbia la responsabilità di un cittadino che fa delle libere scelte.
La società civile ha regolamentato, giustamente, tutta una serie di situazioni: lavoro, scuola, strada, codice penale. Dove non arrivano i codici, arrivano le religioni. L’uomo, per valorizzare le norme che lo vincolano e i dettati morali, ha bisogno di conservare un piccolo spazio di libertà in cui auto-gestirsi. Pena l’immiserimento della propria condizione umana, vincolata, asservita, inespressiva. E questo piccolo spazio non può che essere la montagna.
E alla fine: se uno sciatore è così sovraeccitato da impegnarsi comunque in un fuoripista sconsigliato con pericolo 3 è perché dentro di lui è scattato un meccanismo che non si fermerà neppure di fronte a un divieto. Anzi, per lui fregarsene del divieto sarà motivo di ulteriore e probabilmente funesta soddisfazione.
Le montagne non galleggiano nell’aria ma fanno parte di un territorio.
Se nel territorio comunale montano vi è un pericolo, perchè un sindaco non può emettere un divieto?
Se su una strada di montagna esiste il pericolo di frana vengono apposti segnali di avvertimento e di divieto.
Trovo giusto quindi in caso di pericolo valanghe che vengano apposti segnali di avvertimento e di pericolo per salvaguardare l’incolumità pubblica!