Les Spécialistes
di Jean-Baptiste Tribout
(pubblicato su livellozero.net il 28 novembre 2017)
Les Spécialistes è una delle vie più celebri di quella che fu l’età dell’oro dell’arrampicata sportiva. Uno strapiombo nascosto tra gli anfratti delle Gole del Verdon. Salito a fine agosto 1987, segnò l’avvento di un grado per quell’epoca quasi impensabile: 8c. E fu teatro di una memorabile battaglia personale fra Jean-Baptiste Tribout e Patrick Edlinger.
Tribout si aggiudicò la prima libera, con qualche stratagemma emblematico dello spirito competitivo degli anni ’80 (in Italia ci furono storie simili per vie assai meno quotate). Ma Edlinger si prese la sua rivincita facendo la prima ripetizione e aggiustando al ribasso la quotazione della via, ma soprattutto umiliando Tribout in una competizione ufficiale di poco successiva, a Snowbird, negli Stati Uniti, dove la posta in gioco tra i due era diventata, molto semplicemente, stabilire chi era il più forte. Le Blond salì ben 16 metri più in alto del rivale!
La via ha avuto diverse ripetizioni, tra le quali spicca la prima femminile di Nina Caprez, avvenuta solo nella primavera del 2013 (e cioè 25 anni più tardi). Nina, che ha fatto molti tentativi sulla via (su Youtube si trova un video in cui cade all’ultima presa…, vedi qui sotto), accoglie la quotazione di 8b+. Ma sottolinea che si tratta della via più dura che lei abbia mai salito. Più dura anche degli 8c. E non per questioni di stile, visto che quegli 8c erano soprattutto strapiombi.
Ecco il racconto di Tribout:
“Fu Pschitt, alias Jacques Perrier, a farne la scoperta durante i sopralluoghi per l’ambientazione del famoso film di Patrice Leconte Les Specialistes. Chiodai la via con l’aiuto di Didier Raboutou, fondamentale per attrezzare lo strapiombo, e ben presto cominciai a provarla. Capii immediatamente che avevo sotto le mani un vero gioiello, una via da sogno. La voce circolò in un baleno nel piccolo ambiente dei top-climber dell’epoca e giunse in breve a Patrick Edlinger. Nel frattempo io moltiplicavo i tentativi, e, poco a poco, cominciavo a crederci.
La sera, da Lou Cafetié per bere una birra, era immancabilmente l’argomento del giorno e tutti sapevano che ero vicino a farla. Quel bar radunava tutto il microcosmo dell’epoca e il Verdon era strapieno di arrampicatori. Era “the spot to be”. I camping avevano sempre il tutto esaurito, l’abbigliamento era iper-colorato, con i pantacollant più incredibili, e la marca più in voga di materiale aveva appena fatto uscire l’imbrago “Jump”, tutto rosa e giallo fosforescente. Ne avevano persino regalato dei campioni al belvedere de La Carelle: cofano aperto, e via, uno per ogni arrampicatore: una delle prime operazioni commerciali di quel tempo. I look erano deliranti: dal pantalone stracciato al pullover hippie, i capelli spesso lunghi e sporchi, l’orecchino e l’accessorio indispensabile: la sigaretta rollata col tabacco, poiché quasi tutti fumavano. E non solo tabacco, ovviamente.
Altra caratteristica dell’epoca: gli scalatori erano tutti magrissimi, ai limiti dell’anoressia. Io ad esempio passavo tutte le mattine quindici minuti immerso in una pozza d’acqua gelata, in uno degli affluenti del Verdon, per dimagrire e diventare più agguerrito. Spesso uscivo che ero blu. Idea quantomeno fantasiosa, direte voi, ma tipica dello sperimentalismo e della moltitudine di teorie di quel tempo.
L’estate era calda, e io me ne tornai qualche giorno a casa in attesa di un calo delle temperature. Ma al mio ritorno quale fu la sorpresa? Les Spé era piena di nuovi segni di magnesite: qualcuno la stava provando! Seppi quasi subito che si trattava di Edlinger e mi infuriai. Va detto che non correva affatto buon sangue e, in sintonia col gruppo dei “parigini”, reputavamo che il successo mediatico di Edlinger fosse del tutto sproporzionato al suo reale livello, visto che eravamo stati noi a salire i primi 8a, 8a+, 8b, 8b+, oltre ad aver ripetuto la maggior parte delle vie più dure al mondo. Insomma, fu guerra.
Questo episodio mi aveva dato la rabbia giusta, ero deciso a non schiodarmi più dal Verdon finché non l’avessi liberata. Sfortunatamente un evento imprevisto mi costrinse a tornare subito a casa. Che dilemma! Ma trovai la soluzione: la reglétte finale era un po’ instabile, e sapevo che avrei dovuto consolidarla. Da qui la mia idea di staccarla e portarmela a casa.
Che figata: la via non poteva esser fatta ed ero tranquillo! Anche se va spiegato che in quegli anni (spazi enormi di roccia ancora vergine, e niente trapano!), attrezzare una nuova via voleva dire che il chiodatore aveva l’esclusiva finché non faceva la prima libera. Era la regola.
Tornato qualche giorno dopo, un po’ di Sika e la tacca era di nuovo al suo posto. Ripresi i tentativi e finalmente la feci. La via divenne ancor più famosa grazie alla seconda salita di Patrick, il quale naturalmente la sgradò a 8b+. La guerra è guerra, e io al suo posto avrei probabilmente fatto altrettanto”.
In seguito Tribout ritornò sull’argomento e scrisse quanto segue (a cura della Redazione di GognaBlog, grazie a Enri):
«Ero stato a Parigi per qualche settimana ad allenarmi a secco ed ero tornato in Verdon con l’intenzione di lavorarmi la via. Ero allenato e motivato, in forma. Appena arrivato ai piedi de Les Spécialistes, mentre mi preparavo, notai subito che c’erano dei segni di magnesite sugli appigli, non erano i miei e non potevano essere stati poi in molti ad avere provato un 8c, parliamo per quell’epoca di una delle vie più difficili del mondo. Era il 1987, Les Spécialistes era un passo nel futuro, era l’inizio dell’arrampicata in 3D fatta di grandi movimenti dinamici in strapiombo usando il corpo e l’inerzia, come si fa nella ginnastica artistica. Non bastava la tecnica di piedi e avere forza nelle dita, serviva realizzare sequenze di movimenti dinamici usando anche la coordinazione e lo slancio. Il fatto che la via si trovasse proprio in Verdon, il regno di un certo tipo di arrampicata tecnica in placca era esattamente il segno che i tempi stavano per cambiare. Ci tenevo particolarmente a salire Les Spécialistes per primo, non soltanto per la questione del grado, era l’inizio di una nuova era. Mi informai in giro e venne fuori che ad avere provato il tiro era stato Patrick Edlinger.
Tra noi c’era sempre stata rivalità, non era tanto una questione personale tra me e lui quanto piuttosto una questione tra arrampicatori parigini e arrampicatori del Sud della Francia: noi di Parigi eravamo i fighetti di città, un po’ sbruffoni e scorretti – avevano ragione – e loro erano i locali che non perdevano occasione per rimettere le cose a posto e randellarci. C’era una piccola reglétte all’uscita dallo strapiombo di Les Spécialistes che si muoveva e stava venendo via. Invece che fissarla con della resina come bisognava fare, la levai facendo leva con un cacciavite e me la portai a casa a Parigi, in modo che nessuno potesse provare e liberare la via in mia assenza, senza quel pezzo di pietra era impossibile passare. Poi qualche settimana dopo tornai per i tentativi finali e riportai l’appiglio, lo incollai con la resina rimettendolo al suo posto. Salii la via in libera. Diedi il grado 8c, era la prima via al mondo di quella difficoltà. Il primo a ripeterla fu proprio Patrick Edlinger l’estate successiva, che la svalutò da 8c a 8b+. Mezzo grado in meno di quello che avevo detto io. Mi chiedevo in base a quale criterio, dato che Patrick era da un po’ che non si faceva vedere in giro e non aveva salito di recente vie di quella difficoltà e quello stile, a quanto si sapeva. Impazzivo di rabbia, era chiaro che lo aveva fatto apposta. Poco dopo la sua ripetizione andai a Snowbird, nello Utah, dove si disputava la prima competizione di arrampicata sportiva degli Stati Uniti (11-12 giugno 1988, NdR): si teneva su un muro artificiale montato sulle pareti esterne di un albergo alto dodici piani.
Avevano fatto le cose in grande stile a Snowbird, c’erano tutti i migliori arrampicatori del mondo, c’era la CBS a trasmettere la gara in diretta e c’era un bel montepremi da portare a casa. Patrick si era presentato in gara ed era la prima volta che tornava a partecipare a una competizione dopo la vittoria di Sportroccia del 1986. La nostra querelle per il grado di Les Spécialistes andava avanti da un po’ e la gara sembrava una specie di regolamento di conti per mettere fine alla questione. Io, sull’ultima via di finale, ero in testa alla gara. Avevo superato il primo strapiombo ed ero riuscito a fare qualche movimento in più di tutti gli altri concorrenti: Marc Le Menestrel – un altro parigino – era secondo in classifica. L’ultimo a partire era Patrick che salì apparentemente senza fatica fino al punto in cui erano arrivati più o meno tutti i concorrenti. Poi andò oltre il punto in cui eravamo arrivati io e Marc Le Menestrel e quindi proseguì oltre. Passò in testa alla gara, a quel punto aveva vinto. Il pubblico era in delirio, erano tutti in piedi sulle gradinate ad urlare ed applaudire. Da lì Patrick riuscì a salire ancora per altri sedici metri superando anche il secondo strapiombo che nessun concorrente era riuscito nemmeno ad avvicinare. Il distacco che ci aveva rifilato, visivamente, era siderale. Quella di Patrick a Snowbird non fu una vittoria, fu una randellata storica. E noi, zitti. Il grado di Les Spécialistes a quel punto restava 8b+. A detta di tutti quelli che lo hanno salito, è l’8b+ più duro del mondo».
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che bellezza leggere queste storie.
Sana competizione, rivalità e tanta umanità.
Chi crede che la mitica Simond sia una sottomarca è un ignorantazzo che merita di trascorrere le ferie a Milano Marittima.
Quelli che sta moschettonando Tribout nella mitica foto, sono dei Simond Panther detti allora (e anche dopo) i Principi dei moschettoni. Alla faccia di chi pensa che Simond sia una delle solite sottomarche di Decathlon. E mica mi pagano per dirlo!
A rivedere ( per l’ennesima volta) il video di Edlinger su Les Specialistes mi vengono sempre i brividi. Per alcuni motivi, solo apparentemente fra loro slegati. Lo stile con cui scala quella via e’ un misto della sua proverbiale grazia unita ad una tecnica di spinta e uso dell’inerzia che si consolido’ in quel periodo per salire le vie piu’ strapiombanti. Vederlo scalare mi ha sempre lasciato esterefatto. Ricordo che questo video venne trasmesso per la prima volta a Jonathan dimensione avventura ( che allora era l’unico canale social dove ogni tanto passava qualche filmato di scalata) noi genovesi eravamo i ragazzini del muretto ( non di Alassio beninteso…) ma di Punta Vagno ed il giorno dopo, tra una serie di trazioni e l’altra sui tubi delle doccia dello stabilimento balneare, ci chiedevamo che via fosse e che grado fosse visto che la saliva con impegno si ma con una apparente facilita’ sorprendente… La foto di Tribout mentre moschettona e’ rimasta comunque altrettanto iconica, anche per l’abbigliamento e i buchi sul viso al posto delle guance. Allora anche noi mangiavamo pochissimo e solo ogni tanto..Auguro ai giovani di oggi di vivere la scalata, in falesia come in montagna o su un blocco, con quella stessa passione un po’ visionaria e un po’ incosciente che c’era allora.
Storia bellissima! Di sport e umanità.