Lionel Terray e Friedrich Nietzsche

Vi invitiamo a scoprire in questo testo particolare e interessante i riferimenti e le riflessioni di entrambi i personaggi, dall’approccio di Terray a Nietzsche nella sua autobiografia e alle citazioni dalle opere di quest’ultimo legate al rapporto tra l’uomo e le sfide e i pericoli della vita.

Lionel Terray e Friedrich Nietzsche
di Lucas Roberto López
(pubblicato su culturademontania.org.ar)

Nonostante la sua breve vita, Lionel Terray (1921-1965), celebre alpinista francese, ha lasciato un’eredità gigantesca. Fu lui a compiere le prime ascensioni del Fitz Roy in Patagonia, del Chacraraju in Perù, del Makalu in Nepal e del Mount Huntington in Alaska. Il suo libro, I conquistatori dell’inutile (1961), è una vera testimonianza dell’epoca in cui visse. In quest’opera recupera il filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Nietzsche (1844-1900) dal quale sviluppa quello che potremmo definire “alpinismo nietzschiano”. Questo articolo si propone di affrontare il riferimento che Terray fa alla figura di Nietzsche nella sua opera, sessant’anni dopo la sua pubblicazione e cento anni dopo la nascita dell’alpinista francese.

Lionel Terray e Louis Lachenal di ritorno dall’Eiger

La presente presentazione non intende essere inquadrata nel formato di una particolare storia di vita o di una ricostruzione biografica dei principali argomenti menzionati. Chiunque conosca anche solo un po’ la storia dell’alpinismo saprà chi era il francese Lionel Terray (1921-1965): lo stesso che partecipò alla spedizione francese che realizzò la prima ascensione in vetta a un Ottomila metri (Annapurna, 1950).

D’altro canto, se tu, lettore, fossi mai stato interessato ad avere un resoconto dei vari riferimenti filosofici degli ultimi centocinquant’anni, è probabile che il tedesco Friedrich Nietzsche non ti sarebbe sfuggito da tale elenco: filologo e filosofo, nonché musicista, punto di riferimento per molti intellettuali del XX secolo, nonché assiduo frequentatore delle Alpi. Pertanto, l’intento della presente pubblicazione non è quello di accumulare riferimenti circa l’importanza che ciascuno di questi personaggi ha dimostrato nei rispettivi ambiti di lavoro. Lo scopo è piuttosto quello di evidenziare il legame tra Terray e Nietzsche sulla base dei riferimenti che il primo fa al secondo nella sua opera letteraria autobiografica I conquistatori dell’inutile.

In questo modo, per commemorare il contributo di Terray alla storia dell’alpinismo, cercheremo di presentare il legame che Terray stabilisce con Nietzsche, non solo indicando la comparsa di Nietzsche nell’opera di Terray, ma anche tentando di svelare il Nietzsche di Terray o, potremmo dire, l’alpinismo nietzschiano.

Terray si impegnò in attività militari in montagna durante la seconda guerra mondiale
Al Fitz Roy, da sinistra a destra: René Ferlet, Louis Depasse, Lionel Terray, Marc Antonin Azéma, Guido Magnone, Francisco Ibáñez (Arg) e Louis Lliboutry. Foto: www.cumbresmountainmagazine.com

Terray diverso in I conquistatori dell’inutile
All’interno dell’opera di Terray, che risponde a una certa narrazione biografica dell’autore, possiamo descrivere diversi Terray e i loro diversi rapporti con la montagna. Potremmo riferirci, tra le altre cose: alla sua infanzia, alla sua formazione di monitore, alla sua attività militare durante la guerra, ai suoi viaggi in America, al suo passaggio attraverso l’Himalaya e la Patagonia, alla sua attività di guida, ecc. Terray esprime persino diverse emozioni a questo proposito, come quella di essere un francese meno abituato al Canada che all’Argentina, al Brasile o al Cile, ad esempio.

La differenza di valore si tratta soprattutto di prendere le distanze dall’omogeneità. Un sentimento simile si ritrova nelle sue espressioni quando annuncia la possibilità di tornare “sul ring”, cioè di poter nuovamente accedere a un’attività in montagna, contrapponendo questa esperienza a una vita – o a una realtà – piccola, brutta e mediocre. Terray ha addirittura fatto commenti su: la provvidenza, l’uso di droghe in montagna, l’estetica nell’alpinismo (“la tecnica uccide l’avventura”) e persino una certa “dolce filosofia” del popolo nepalese.

Lionel Terray è stato il leggendario uomo dietro alle prime scalate del Fitz Roy in Patagonia. Foto: Desnivel.com
L’autobiografia di Lionel Terray, una magnifica opera letteraria: I conquistatori dell’inutile.

La presenza di Nietzsche ne I conquistatori dell’inutile
Nella sua opera, Terray ci presenta diversi riferimenti alla sua lettura di alcuni personaggi come: Lammer, Balzac, Musset, Baudelaire, Proust, Schiller, Rabelois, Montaigne, Ronsord, Kipling, ecc. Fa anche considerazioni sull’Islam e su alpinisti come Mallory e Herzog. Spiega il suo status di lettore e conoscitore di un’ampia gamma di filosofi del XIX e XX secolo.

Prendiamo in particolare la figura di Friedrich Nietzsche, poiché Terray la ritrova più volte nella prima parte della sua opera, intitolata “Prime conquiste”. Analizziamo alcune scene…

È interessante notare che il riferimento a Nietzsche in quest’opera avviene nel periodo delle prime imprese alpinistiche di Terray: Nietzsche come elemento fondamentale nella formazione dello spirito della montagna! E, in particolare in quel periodo di costante progressione, accanto a Gaston Rébuffat, noto alpinista e guida francese, celebre per la sua partecipazione alla spedizione francese all’Annapurna.

Da un lato, dopo aver completato il corso dea capocordata, ha sottolineato che:

“Nonostante i nostri brillanti risultati al corso per capocordata, eravamo buoni scalatori, ma non ancora eccellenti. Entrambi possedevamo già alcune delle qualità necessarie per portare a termine con successo ascensioni importanti. Ma queste erano ampiamente compensate da significative debolezze. Gaston (Rébuffat) si distingueva per la sua sicurezza di sé e il suo spirito imprenditoriale. Credeva senza dubbio, come Nietzsche, che ‘nulla riesce dove la presunzione non ha fatto la sua parte’. Grazie al suo ottimismo, affrontava la montagna con straordinaria serenità e compostezza”.

Punto numero uno: Terray recupera il Nietzsche della presunzione, dell’entusiasmo ottimista, della fiducia in se stessi, della ricarica emotiva per avanzare verso l’ignoto, della sicurezza per navigare su terreni accidentati.
Poi, basandosi sull’attività al Col du Caïman, annota:

“Una cosa è certa: a quel tempo, né Gaston né io avevamo abbastanza esperienza come alpinisti, soprattutto nell’arrampicata su ghiaccio, per poter completare con successo una salita come questa in condizioni di sicurezza. ‘Ma chi vive ha ragione (Friedrich Nietzsche)’. E noi eravamo sopravvissuti”.

Ritratto di Nietzsche
Casa di Nietzsche a Sils Maria, Svizzera. Foto: www.nietzschehaus.ch

Punto numero due: appare il Nietzsche del superamento, dell’aldilà, della ragione fondata sui fatti e sulla vitalità, della sopravvivenza.
D’altro canto, nello stesso resoconto “contorto” che Terray scrive di questa salita del Col du Caïman, afferma:

“Siamo pazzi, o no, per essere saliti in un luogo inaccessibile, sopportando sofferenze e pericoli mortali che si sono ripetuti più e più volte? ‘Cosa cercano lassù?’ chiederanno i Filistei. Gloria? Chi se ne importa degli stolti che, lontani dagli occhi del mondo, sprecano la loro giovinezza in battaglie senza fine? Fortuna? I nostri vestiti sono stracci, e domani, per cena, torneremo alla vita da schiavi… Ciò che cerchiamo è il piacere di quella gioia enorme che ribolle nei nostri cuori, che ci penetra fino all’ultima fibra quando, dopo aver a lungo sfiorato i confini della morte, possiamo di nuovo abbracciare la vita con tutte le nostre forze. Altri lo hanno detto prima di me: ‘Il segreto per raccogliere le esperienze più feconde e i più grandi piaceri della vita è vivere pericolosamente (Friedrich Nietzsche)’”.

Punto numero tre: espone il Nietzsche della follia, della sofferenza e del pericolo, della morte, delle grandi altezze, del confronto con i filistei e gli schiavi, dei cambiamenti della giovinezza, della frugalità, del piacere, del godimento e della gioia, dell’anatomia e della fisiologia umana, delle forze e delle energie vitali, delle esperienze fruttuose. Di fronte a questi riferimenti nietzschiani di Terray, possiamo pensare a una certa necessità provocata nell’alpinista francese di citare Nietzsche, poiché questo filosofo gli consente di raffigurare alcune esperienze e vissuti in montagna.

Non è un caso che la comparsa di Nietzsche in quest’opera autobiografica di Terray sia presentata in un periodo giovanile dell’alpinista francese: nelle sue ‘Prime conquiste’. L’impulso energetico che le parole di Nietzsche sembrano trasmettere a Terray converge nella costituzione e nella formazione dello spirito alpinistico: presunzione-fiducia-sicurezza, sopravvivenza-vitalità, piacere-rischio-pericolo. Inoltre, serve a spiegare altre condizioni che egli riconosce come necessarie per un alpinista, come l’acquisizione di fiducia e sicurezza in se stesso, l’istinto di sopravvivenza e l’impulso alla vitalità sopra ogni altra cosa, la comprensione riflessiva e l’adattamento cellulare a ogni piacere e a ogni gioia derivanti dal disagio, dal rischio e dal pericolo.

Ora, considerare questi riferimenti ci permette di stabilire un ponte tra Terray e Nietzsche, considerando l’attività alpinistica e, principalmente, i comportamenti etici e/o estetici che in essa si possono individuare, e le forze e le energie vitali che possiamo percepire in tali spazi selvaggi e in tali routine.

Questo collegamento può essere rintracciato o spiegato poiché anche Nietzsche manteneva un legame con l’ambiente montuoso. Come è noto, Nietzsche era un assiduo frequentatore delle Alpi a Sils Maria (Svizzera). Anche il suo personaggio più emblematico, Zarathustra, della sua opera più nota Così parlò Zarathustra, visse a lungo in ambienti naturali e montuosi, lontano dagli agglomerati umani. Evidentemente la sua filosofia è, in un certo senso, influenzata dal carattere orografico e da tutte le emanazioni emozionali ed estetiche che esso veicola.

I conquistatori dell’inutile, l’edizione originale in francese
Ritaglio dal quotidiano La Nación due giorni dopo la morte di Lionel Terray (1965). Archivio CCAM.

D’altro canto, nella sua opera Al di là del bene e del male (1886), possiamo osservare, ad esempio, alcuni segnali che caratterizzano l’ambiente roccioso, nonché certi comportamenti etici che possono essere ricollegati a determinate virtù dell’alpinista.

Nel capitolo sulle nostre virtù, Nietzsche condivide con noi:
“L’apprendimento ci trasforma; fa ciò che fa ogni nutrimento, che non si limita a ‘sostenere’ – come fa il fisiologo. Ma nel profondo di noi, completamente ‘laggiù’, c’è davvero qualcosa di ribelle a ogni insegnamento, una roccia granitica di destino spirituale, di decisioni predeterminate e risposte a domande predeterminate e scelte. In ogni problema radicale, parla un immutabile ‘questo sono io’…”.

La particolarità e l’unicità dell’“sé” di ogni persona è rappresentata da una determinata roccia granitica. Un’immagine che evoca il plutonico e il geologico, nascosto e irriverente in ogni persona fin dall’aspetto più inorganico della natura: segno del carattere genuino e autentico di ciascuno, che nel terreno pietroso assume un percorso di delimitazione più profondo e, per questo, più personale.

Cosa significa aristocratico? Nietzsche dice:
“Vivere con immensa e orgogliosa negligenza; sempre oltre. Avere e non avere, a piacimento, i nostri affetti, i nostri pro e contro, condiscendervi per ore; cavalcarli come cavalli, spesso come asini: – dobbiamo sapere come trarre vantaggio, in effetti, sia dalla loro stupidità che dal loro fuoco. Conservare le nostre trecento ragioni avanzate, e anche i nostri occhiali scuri: perché ci sono casi in cui a nessuno è permesso guardarci negli occhi, e ancor meno ai nostri ‘fondi’. E scegliere come compagno quel vizio birbone e gioviale che è la cortesia. E rimanere padroni delle nostre quattro virtù: coraggio, lucidità, simpatia, solitudine. Perché la solitudine è una virtù in noi, in quanto costituisce una sublime inclinazione e impulso alla pulizia, che intuisce che nel contatto tra uomo e uomo – ‘in società’ – le cose devono accadere in modo inevitabilmente sporco. Ogni comunità ci rende in qualche modo, da qualche parte, a volte – ‘volgari’”.

Le quattro virtù nietzschiane ci permettono di pensarle anche come eccellenze dell’alpinista. Il coraggio, come misura tra la codardia e l’incoscienza, è di per sé una virtù insita in chiunque si dedichi ad attività rischiose. Pertanto, valutare le circostanze e agire di conseguenza con decisione e compostezza è un comportamento prezioso. A questo si aggiunge, da un lato, la lucidità, come qualità che consente di risolvere in ogni momento situazioni impreviste, l’immediatezza nella soluzione e nella lettura delle circostanze (terrestri, meteorologiche, condizionamenti umani, ecc.) per una buona gestione del rischio e, dall’altro, la simpatia, come stimolo all’entusiasmo e alla vivacità dello spirito, cioè l’empatia con l’ambiente (naturale e umano) e la riduzione della possibilità di demoralizzazione.

La solitudine, infine, è legata a quel viaggio che ogni alpinista compie ogni volta che si addentra in montagna da solo o comunque non concepito come un viaggio interiore. Quest’ultima virtù può riferirsi alla distanza dall’ambiente urbano, dalla comodità, dalla folla, dagli affetti, dall’assistenza medica, dalle diverse modalità di comunicazione, ecc.; cioè con tutto ciò che costituisce la nostra vita quotidiana e da cui decidiamo di separarci per qualche istante. Questo tipo di solitudine e distanza è talvolta associato alla libertà, una libertà che deriva anche dalla capacità di apprezzare noi stessi. La coltivazione della solitudine praticata in montagna comporta la solitudine virtuosa proposta da Nietzsche: una formidabile espressione spirituale, non solo ‘formidabile’ nel suo significato spagnolo, ma anche in quello latino, cioè ‘temibile’, che ci permette di ritrovare e riscoprire noi stessi nelle nostre forze e nelle nostre energie, considerando bisogni e piaceri dalle loro più pure emergenze. Permetterci di provare ad avvicinarci il più possibile a quel flusso ipercinetico è un’esperienza benedetta dalla divinità naturale. Il viaggio è già stato compiuto. La solitudine, invece, comporta l’isolamento dell’alpinista e, con esso, la necessità di sviluppare al meglio tutte le proprie capacità per sopravvivere in un ambiente in cui la sicurezza non è assolutamente garantita.

Nietzsche (a destra) a Sils Maria, Svizzera. Foto: www.nietzschehaus.ch
Paesaggio innevato di Sils Maria, Svizzera

Parole finali
Evidentemente, lo spirito nietzschiano predominante ci invita a pensare in termini audaci. Naturalmente, nell’alpinismo ciò violerebbe tutti i principi di gestione del rischio. Perciò è importante trarre spunto da ciò che certe affermazioni e riflessioni provenienti dall’ambito del pensatore tedesco possono offrirci. “Non dovremmo prendere tutto in modo così estremo o semplicistico”, direbbero alcuni. È chiaro che l’ottimismo non deve portarci a trascurare il terreno selvaggio, ma è importante capire che senza un certo grado di fiducia in se stessi è impossibile addentrarsi negli spazi naturali. Qualcuno potrebbe anche dire che a volte è meglio non essere né pessimisti né ottimisti, ma piuttosto miglioristi. Va bene, sono d’accordo, ma possiamo parlare di un ottimismo “limitato”, cioè consapevole dei limiti e dei rischi, che rimanda a un certo tentativo di miglioramento, più propriamente legato al migliorismo.

D’altro canto, molti sottolineano che considerare certe virtù e modi di essere di un certo gruppo di persone può comportare un certo atto di vanità. Ma parlare della vanità del filosofo e dell’alpinista potrebbe essere ritenuto incompatibile. Tuttavia, nelle loro espressioni più intime di libertà, sia la filosofia che l’alpinismo trasudano divinità, dissipazione, espropriazione e deriva: le quattro “d” (in spagnolo, “espropriazione” è “despojo”, NdR). L’essere vano dipende permanentemente da un altro, e per il filosofo e l’alpinista l’altro è relativo; non costituisce il suo essere. Pensare ai bisogni degli altri crea dipendenza, e sia il filosofo che l’alpinista condividono una costruzione personale e individuale, evidentemente contagiosa e incoraggiata dagli altri, ma sapendo che il cammino è autonomo. Entrambi costruiscono la solitudine e dettano agiografie sulla libertà; questo carattere vanitoso non è caratteristico di nessuno dei due. È importante apprezzare il sentimento di superbia o di orgoglio in essi contenuto: un orgoglio o una superbia che non hanno necessariamente bisogno di essere dimostrati, ma agiscono da lontano, da una consapevolezza distante, rendendo il disprezzo un ingegnoso criterio di selezione per la costruzione estetica dell’agente.

Di ritorno dall’Annapurna, Terray aiuta Lachenal. Foto: Desnivel.com.

Ecco perché Terray andò in montagna per sfuggire alla mediocrità della vita. Forse Nietzsche fece lo stesso quando visitò Sils Maria. In ogni caso, è proprio quell’aria di montagna nella concezione nietzschiana a sedurre Terray, spingendolo a incorporarla nelle sue emozioni e nelle sue nozioni. Ed è per questo che Terray ce lo fa sapere nella sua opera, evidenziando la connotazione presente tra alpinismo ed esistenzialismo nietzschiano, che forse non è l’unica, ma è una delle più importanti.

Le considerazioni su queste figure di montagna possono invitarci a riflettere su vari aspetti etici ed estetici dell’alpinismo: quali comportamenti, valori e/o condotte possono essere espressi o promossi nella nostra attività? Quali elementi sensoriali vengono intensificati e/o stimolati quando si entra in ambienti montani? Come possiamo pensare a ciò che è buono e bello in relazione all’alpinismo? Insomma, alcune domande che ci permettono di metterci alla prova per plasmare uno spirito più complesso ed espansivo, uno spirito che sappia accedere alla sperimentazione alpinistica in modo sempre più olistico per la montagna.

Per concludere, e non potrebbe essere altrimenti, ripercorriamo questa composizione di Nietzsche con cui egli chiude l’opera Al di là del bene e del male. Una composizione che, come giustamente sostiene Nietzsche, deve essere espressa “dall’alto dei monti”.

Lionel Terray in Himalaya. Foto: da I conquistatori dell’inutile di Lionel Terray.
Lionel Terray con uno Sherpa all’Annapurna. Foto: da I conquistatori dell’inutile di Lionel Terray.

Dalle alte montagne.  Epodo.
Oh, meriggio della vita! Epoca solenne! Oh, giardino estivo! Beatitudine inquieta dell’ansietà dell’attesa: gli amici aspetto, giorno e notte: dove siete amici miei? Venite! È tempo, è tempo!

Non forse per voi oggi il grigio ghiacciaio s’adorna di rose? Voi cerca il ruscello, dal desio sospinti il vento e le nubi si sollevano oggi più in alto, per spiare la vostra venuta, gareggiando col più sublime volo degli uccelli.

Nel mio santuario per voi ho apparecchiato il desco: – Di me chi abita più vicino alle stelle, chi più alle orribili profondità dogli abissi? Del mio regno – qual regno fu più esteso? Ed il mio miele chi lo ha mai assaggiato?

– Qui siete alfin, amici! – Ahimè, ma non di me cercate? Voi esitate, vi mostrate sorpresi, – oh, vorrei piuttosto che mi teneste il broncio! lo – non son più io? È mutata la mano, son mutati il passo, il volto? Ma chiunque io mi sia, per voi amici – non son forse io?

Divenni un altro? Ed a me stesso estraneo? Da me stesso evaso? Un lottatore che troppo spesso sé stesso ha vinto? Che troppo spesso ha lottato contro la propria forza, ferito, paralizzato dalle vittorie riportate su sé stesso?

Io cercai dove il vento soffia con maggior veemenza? Io posi la mia dimora dove non c’è nessuno, nelle zone deserte dove l’orso bianco impera, io appresi a disconoscere l’uomo e Dio, la bestemmia e la preghiera? Mi cangiai nel fantasma dei ghiacciai?

Oh, vecchi amici miei! – Ecco! Voi mi rimirate pallidi di affetto e d’orrore! No, andatevene! Non serbatemi rancore! Qui – voi non potreste dimorare! Qui nel regno del ghiaccio eterno e delle inaccessibili rupi vuolsi esser cacciatori, agili come i camosci.

Ed io diventai un cacciatore maligno! – Guardate come è teso il mio arco! Il forte tra i forti lo tese in tal modo. – Ma ora, guai! Pericolosa è questa freccia, come nessun’altra, – scostatevi! Per la vostra salute!   

Voi ve n’andate? – Oh, cuore, troppo sopportasti, ma la tua speme non venne meno: la tua porta resta aperta ai nuovi amici! Bandisci i ricordi! Se fosti giovane, ora – lo sei meglio di prima!

Di ciò che ci avvinse un dì, in una speme sola – chi legge ormai i caratteri impalliditi impressi dall’amore? Io rassomiglio alla pergamena, che la mano schiva di toccare – e al par di lei ingiallito, adusto dal tempo.

Non son più amici costoro, – come devo chiamarli? Spettri d’amici antichi! Che di notte busseranno ancora al mio cuore ed alla mia finestra, e mi guarderanno sussurrando: «eppure eravamo noi!» – Oh, vizza parola, fragrante un dì al par d’una rosa!

Oh, desii giovanili incompresi! Quelli, che riveder bramai, che sognai affini a me e al par di me mutati, per esser invecchiati – furono costretti a partirsene: sol chi si muta, resta affine a me.

Oh, meriggio della vita! Oh, seconda gioventù! Oh, giardino estivo! Inquieta beatitudine nell’ansietà dell’attesa! Gli amici aspetto, giorno e notte, i nuovi amici! Venite: è tempo, è tempo!

La canzone è finita. – Il dolce grido del desio ardente mori sul labbro: un mago il troncò, l’amico dell’ora opportuna, l’amico del meriggio – no! Non mi chiedete chi sia. – Era il meriggio, e l’uno divenne due.

Ora, congiunti, sicuri della vittoria, solennizziamo la festa delle feste: l’amico Zarathustra è arrivato, l’ospite degli ospiti! Ecco, or sorride il mondo, l’atra nebbia si squarcia, l’ora dell’imeneo tra la luce e le tenebre è alfin giunta…

Lionel Terray durante la spedizione al Fitz Roy. Foto: da I conquistatori dell’inutile di Lionel Terray.
Lionel Terray
Lionel Terray sul Chacraraju, Cordillera Blanca. Foto: da I conquistatori dell’inutile di Lionel Terray.
Lionel Terray in arrampicata. Foto: da I conquistatori dell’inutile di Lionel Terray.
Lionel Terray scava quella che sarà la grotta bivacco ai piedi della parete sud-est del Fitz Roy. Prima salita del Cerro Fitz Roy, spedizione francese.
Lionel Terray alla ricerca di un passaggio tra i crepacci profondi.
Prima salita del Cerro Fitz Roy, spedizione francese.

Lionel Terray e Friedrich Nietzsche ultima modifica: 2025-04-22T05:11:00+02:00 da GognaBlog

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6 pensieri su “Lionel Terray e Friedrich Nietzsche”

  1. Qualunquismo 
    Secondo me è  un po lo spirito dei tempi che tende a trasformare qualsiasi tensione etica  in un afflato emotivo che, sulla distanza, da esiti inconcludenti.

  2. Ludwig Hohl dopo46 anni di ritocchi e modifiche estrae finalmente dalla cantina dove vive e  scrive “La salita” un libro che chi ama la montagna deve assolutamente leggere.
    Tra le  righe troverà risposte a domande mai poste.

  3. È possibile che un certo superomismo  fosse diffuso e associato ad una idea, o ideale, di virilità ormai defunto e già al tempo, fine anni 60, in crisi.
    Oggi l’alpinismo, come tutte le attività che hanno un risvolto social, paga il prezzo ad altre ideologie main stream: ecologismo, ambientalismo, animalismo, femminismo.
     

  4. L’autore è un alpinista?
    Me lo chiedo perché spesso nelle sue parole si avverte un senso di sottomissione che tra alpinisti non c’è. 
    Ho da poco riletto I conquistatori dell’inutile e l’ho trovato simile ai suoi contemporanei, perché l’alpinismo degli anni 40-60 era quella roba lì, perlomeno per tutti quelli che ne raccontavano e scrivevano. Desmaison, Bonatti, Maestri, e persino Rolly Marchi, sono i primi che mi vengono in mente tra quelli che ho letto. 
    Forse Marchi in Le mani dure, è un po’ più originale degli altri.
    Che si rifacessero tutti a Nietzsche?
    Sarà un caso, ma si sa, i filosofi aggiustano ogni verità facendola confluire abilmente nel loro credo, come per farsi accettare.
    Anche per fare l’oroscopo bisogna essere capaci di trovare per tutti la combinazione accettabile.

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