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Su Facebook diventiamo quasi tutti adolescenti bellicosi: ecco come funzionano le dinamiche di gruppo nell’era di internet.
I social network ci rendono più aggressivi?
di Susanna Raule
(pubblicato su esquire.com il 4 agosto 2018)
“Ma allora la gente non è davvero cattiva?” si chiedeva qualche giorno fa Dario De Marco su Esquire. E citava le confutazioni a famosi studi degli anni ’70 come lo Stanford Prison Experiment, nonché uno studio “informale” condotto non molto tempo fa dallo scrittore Paolo Di Paolo, che, dopo essersi preso la briga di contattare personalmente gli hater visti in azione su internet, scopriva come le loro reali opinioni fossero molto più moderate, talvolta proprio diverse da quelle che avevano espresso con tanta ferocia.
Permettetemi di fare un passo indietro. Nel 2011 avevo da poco partecipato al premio IoScrittore ed era uscito il mio primo romanzo. A quei tempi la community del premio era molto attiva e io mi trovavo a notare come le dinamiche di gruppo che si presentano normalmente in tutti i gruppi IRL (“In Real World”, opposto al mondo virtuale di internet) si presentassero puntualmente anche sul forum di IoScrittore.
Scoperta da poco, perché presto è diventato evidente che ovunque ci sia una comunità, per quanto virtuale, ci sono dinamiche di gruppo. Già nel 1999 Patricia Wallace notava più o meno le stesse cose nel suo libro La psicologia di internet. Un libro uscito in Italia, aggiornato, solo l’anno scorso.
Dinamiche di gruppo: cosa sono e come funzionano
Ma cosa (e quali) sono le dinamiche di gruppo? E come si declinano online? La seconda domanda non ha una risposta definitiva, o meglio, ha molte risposte diverse a seconda dell’angolazione da cui si guarda il fenomeno. Sull’argomento esiste una massa disomogenea di studi, i cui principali temi cercherò di riassumere più avanti.
In quanto alle dinamiche di gruppo, stilizzando al massimo, sono dinamiche psicologiche inconsapevoli che si presentano in qualsiasi gruppo umano, in modo maggiore o minore, e che coinvolgono tutti i partecipanti. Il gruppo, infatti, diventa presto qualcosa di diverso dalla somma delle sue parti.
Ovviamente, in gruppi come quelli che si creano in un ufficio o in un team di lavoro le dinamiche sono (dovrebbero essere) più attenuate di quelle che si creano in un gruppo terapeutico, ma delle dinamiche ci sono sempre, fanno parte della socialità umana.
La principale è senza dubbio quella regressiva. Gli appartenenti a un gruppo tendono a regredire, manifestando comportamenti infantili, se la regressione è forte, o adolescenziali, negli altri casi. Così avviene che le reazioni dei partecipanti a un evento X siano scoppi di pianto, rabbia o reazioni inconsulte, anche se l’evento in sé non è poi così carico a livello emotivo.
Un’altra nota dinamica di gruppo è la polarizzazione: se il gruppo è orientato in un certo modo, anche i suoi componenti tenderanno a farsi “trascinare” su quella posizione. Ne consegue che i gruppi assumono spesso posizioni più estreme dei singoli. Nei gruppi terapeutici succede spesso, per esempio, che vengano posti dei divieti e fatti rispettare con rabbiosa determinazione, anche in circostanze particolari, o che un partecipante in parziale disaccordo su qualcosa venga “convertito” e diventi ancora più radicale dei compagni.
Ma la dinamica che più si esprime nei gruppi è quella proiettiva. Nel gruppo si prendono parti di sé e si “incollano” all’interlocutore. Inoltre, si proiettano parti sé che di solito vengono espresse poco o anche per nulla. Il risultato? Nel gruppo spesso le persone assumono un ruolo, come su un palcoscenico. I ruoli tendono a essere stereotipati: quello bisognoso di attenzioni, la vittima, il saggio, l’audace, il vincente… si tratta di proiezioni, recite, maschere talvolta narcisistiche. Fino a un certo punto, è un segno di creatività e la creatività è un’energia positiva.
Ma se l’intero gruppo inizia a essere in sofferenza, queste dinamiche possono diventare malate. Il senso di fratellanza tipico dei gruppi può degenerare in omertà e cultura del non-detto. O il gruppo può individuare e creare un capro espiatorio su cui proiettare tutti i propri disagi e da espellere con violenza. Invece di essere luogo di integrazione – e prima di diventare brodo di coltura per l’individuazione dei membri – si fa luogo di emarginazione.
Quando un gruppo trasforma uno dei membri in capro espiatorio e lo espelle, raramente sopravvive – al di là della sofferenza che provoca nel capro espiatorio. Basta rifletterci due minuti per capire il motivo: se prendi tutto quello che non funziona in te, lo proietti su qualcun altro e poi fai fuori quella persona… i tuoi problemi non sono di certo spariti!
Cosa succede ai gruppi online
E come dicevo, è fin dagli anni 90 che gli psicologi notano le stesse dinamiche anche nei gruppi online. Con qualche differenza su cui è il caso di riflettere.
Per prima cosa, quasi tutti gli studi evidenziano come nella comunicazione online manchino quegli indici periferici che sono fondamentali nella comunicazione vis-à-vis: il tono della voce e tutti gli elementi non-verbali. Certo, in internet si usano gli emoticon, ma ognuno li adopera e li interpreta un po’ a modo suo. Dove interpretare è la parola chiave, perché questo è uno dei motivi per cui in internet si proietta così tanto. Non avendo indici periferici che ci aiutino a decidere se, poniamo, una persona è seria o scherza, attribuiamo noi alla sua frase un tono serio o scherzoso. Se quel giorno siamo arrabbiati è più facile che prendiamo sul serio uno scherzo e così via.
Anche nei gruppi IRL spesso ci sono delle incomprensioni perché uno dei membri interpreta quanto detto da un altro sulla base di una sua proiezione. Il primo fa un commento sul prezzo di un oggetto, il secondo risponde offeso “Non darmi dello spilorcio!”. Ripulire queste interazioni di solito è il compito del conduttore del gruppo – o del capo ufficio.
Ma, e questa è un’altra difficoltà, molto spesso nei gruppi online non c’è un conduttore. Talvolta c’è un moderatore, la cui autorità non è però mai molto solida, visto che spesso è un pari tra pari. Quindi nei gruppi online tende a emergere un leader, con delle vere lotte sotterranee per prendere il potere.
C’è poi il problema delle pareti trasparenti del contenitore del gruppo. Quasi tutto su internet è visibile da tutti o facilmente accessibile. Ciò nonostante le persone hanno l’impressione di trovarsi in uno spazio chiuso e riparato, in cui ci si può lasciar andare.
I ruoli dei partecipanti possono non confrontarsi mai con la realtà. Ognuno di noi, sui social network, assume un’identità più o meno simile a quella che ha nella vita di tutti i giorni. Da un lato può essere un esperimento salutare, un “provarsi addosso” caratteristiche desiderate per poi cercare di assumerle in pianta stabile. Ma a volte si tratta di semplici maschere narcisistiche, avatar su cui proiettiamo tutte le nostre ambizioni frustrate, o alter-ego che possono sfogare impuniti i nostri istinti più bassi. “Tanto è in internet, non è reale”.
Così ti succede di venir salutato con un sorriso per strada dalla stessa persona che il giorno prima ti ha bannato su Facebook.
In questo nostro diventare fiction, diventiamo anche narrazione. Se il resto del gruppo valida questa narrazione (ossia ci crede) il ruolo che interpretiamo finisce per intrappolarci, perché cambiare il proprio “personaggio” in internet è difficile come fuori da internet.
Non dimentichiamo che molti utenti cercano online, consapevolmente o meno, una forma di aiuto o supporto psicologico. Supporto che il formato gruppo sembra fatto apposta per fornire.
Per finire, i gruppi che si creano online sono spesso fluidi e durano lo spazio di poche interazioni. Dobbiamo quindi dimostrare molto in poche battute.
Anche escludendo i casi di aggressività, sui social network mi capita spesso di leggere interazioni il cui contenuto esplicito maschera malamente contenuti impliciti davvero adolescenziali. Lunghe discussioni su argomenti tecnici (tipicamente tra maschi, ma gli equivalenti femminili non mancano) la cui translitterazione onesta suonerebbe più o meno come: “Sai, ho degli organi sessuali davvero enormi”; “Nah, impossibile che siano grandi quanto i miei”; “Ti assicuro che i miei sono giganteschi”.
E quindi?
Riassumendo: perché in rete capita così di frequente di vedere posizioni estreme e assistere a veri e propri linciaggi virtuali?
Perché le persone che partecipano al linciaggio spesso seguono dinamiche gruppali distorte. Ossia sono portate dal contesto a comportarsi come un branco di adolescenti che recita una parte, che non ha i mezzi per interpretare correttamente quello che dicono gli altri, deve illustrare il proprio personaggio nel modo più veloce possibile, tende a farsi trascinare dal gruppo verso posizioni estreme, non si rende conto di essere in una situazione pubblica e quindi non si pone freni inibitori. Non solo si fa scappare di bocca tutto quello che pensa, ma anche molte cose che non pensa affatto, ma di cui vuole vedere l’effetto.
Ma siamo tutti così?
Non proprio. Tutti tendiamo a entrare in queste dinamiche, ma alcuni lo fanno solo in modo parziale o senza perdere la propria individualità. Che sia una caratteristica di personalità o una maggiore consapevolezza dovuta a fattori culturali, una percentuale di persone “resta se stessa”.
È una caratteristica desiderabile? Forse. Da un lato tiene al sicuro dai contagi emotivi e dalla regressione, dall’altro, però, ci lascia anche al punto di partenza.
Il senso dei gruppi terapeutici è il cambiamento che porta all’individuazione. Anche dai gruppi di lavoro dovremmo trarre elementi utili alla nostra maturazione, come da tutte le interazioni umane.
Come scrive Silvia Corbella nel suo Storie e luoghi del gruppo, “individuarsi comporta accettare i limiti alle fantasie di onnipotenza, sottoporsi a un doloroso esame di realtà e quindi anche divenire consapevoli di aspetti non ideali, ma addirittura negativi di sé”.
Provarsi addosso un’identità ideale può aiutarci a capire cose di noi e a sperimentare in sicurezza comportamenti che poi vogliamo mettere in pratica anche nel nostro contesto reale.
Se nella maggior parte dei casi questo si rivela un passaggio positivo verso l’auto-affermazione, non si può escludere che qualcuno, dopo essersi provato addosso il ruolo dell’odiatore e del fanatico, ne tragga una tale soddisfazione narcisistica da decidere di adottarlo anche nella vita reale.
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Social network e violenza verbale: perché siamo così aggressivi in rete
di Stefano Centonze
(pubblicato su stefanocentonze.it il 3 luglio 2017)
Non trovo immagine più adatta per descrivere a prima vista l’evidenza che porta molta, troppa gente ad avere comportamenti violenti in rete. Minori con i compagni a scuola, stalker con le proprie vittime, semplici account sui social network presi di mira e coperti di insulti. La cronaca è fin troppo piena di tragici epiloghi annunciati sul web o amplificati da internet. Parliamo, però, del quotidiano, dell’esperienza di tutti, senza cadere negli eccessi deviati. Perché, dunque, accade sempre più spesso che alcuni si presentino con il dente avvelenato e pronti a lanciare saette? Che cosa si nasconde dietro le frustrazioni che esplodono violente in comportamenti verbali di rottura?
Un problema di comunicazione
Nessuna novità. La conflittualità del nostro tempo non fa più notizia. Troppa poca attenzione che genera aggressività verso gli altri, egocentrismo dilagante, comunicazioni spesso degradate che degenerano in scontri verbali. Agevolato dal fatto di non avere di fronte degli interlocutori in carne ed ossa. Allora, basta premere un bottone e… fuoco! Siamo tutti Grisù in rete. Lo dico per quelli che, come me, ricordano il simpatico draghetto che aveva il sogno di fare il pompiere ma che finiva sempre con l’incendiare ogni cosa appena apriva bocca. Il resto è un gioco delle parti.
Le cricche e i trolls
Ho scoperto dell’esistenza di queste due categorie di profili social studiano digital marketing. Imbattersi in una cricca non è mai consigliabile se si è soli di sera per strada, Non lo è nemmeno sul web, dove l’atteggiamento da bulli segue la stessa logica: aggredire, screditare, offendere, infamare e umiliare. Non serve che esistano ragioni. In genere, è una condotta tacita e studiata da questi soggetti. Se, però, sono dei singoli ad assumere comportamenti simili, il termine tecnico è troll, come le mostruose creature mitologiche da Signore degli Anelli. Se vi imbattete in qualcuna di queste due specie, mi raccomando a non chiamarli mai così. Meglio piuttosto non cadere nelle loro trame, dare una risposta chiarificatrice che spieghi la vostra presenza e poi tacere.
La mia esperienza
Capita a tutti di imbattersi in questo genere di profili (e di persone). E’ successo anche a me e vi racconto in breve la mia esperienza.
Qualche tempo fa, ho pubblicato un articolo dal titolo Prova a non immaginare un elefante rosa. Immagino che qualcuno di voi lo abbia letto. Un articolo che era una semplice riflessione sul modo in cui il nostro cervello impara dall’utilizzo delle parole. Bene. Ho condiviso l’articolo nel gruppo La lingua batte – radio 3 e ho ricevuto un messaggio da quello che ora so essere stato l’esploratore della cricca. Attenzione! Non tutto il gruppo è composto da queste persone ma ci sono anche quelle. L’esploratore ha esordito chiedendo per chi fosse targettizzata quella comunicazione. Ho risposto che non c’era un target specifico, dato l’interesse trasversale. Peraltro, il gruppo ha nel nome l’eventuale target. Pian piano ha coinvolto altri membri, insinuando che io facessi spam, che rivendessi gli indirizzi a terzi, che ero a caccia di email a cui vendere i miei corsi.
Voi che leggete questo articolo, sapete che dal mio sito non parte nessuna mail commerciale. Io consiglio in coda agli articoli degli approfondimenti per chi ne senta il desiderio. Ma, per principio, regalo il mio lavoro ai miei lettori. In quell’occasione, peraltro, regalavo anche il mio ebook La comunicazione efficace a chi si registrava al sito. Per farla breve, una di loro ha scaricato il mio ebook, coperto dai diritti d’autore, e lo messo a disposizione di tutti, denigrandomi, mentre impazzava una delirante offensiva ai miei danni. Un atto di violenza inaudito e immotivato. Sono sicuro che anche voi avrete avuto esperienze simili. Se ne avete voglia, potete raccontarle commentando questo articolo.
Ho bloccato molti di quei membri e il giorno dopo ho presentato un esposto alla Polizia Postale.
Attenti alla rete
Casi estremi o specifici a parte, occorre sempre fare attenzione alla rete. Le trame possono diventare così fitte da lasciarsi irretire, appunto, come avvinghiati nella morsa di un ragno. Perché, dunque, la gente reagisce spesso in modo conflittuale sui social network?
Ecco alcune delle ragioni:
– La prima delle cause è che le persone, mediamente, non sono disponibili a credere che un testo scritto possa essere interpretato in diversi modi. Così, viene sempre assegnato un significato univoco, rispetto al quale chiarirsi in un contraddittorio diventa lungo e faticoso. E il web è il luogo delle comunicazioni a rapido consumo e spesso genera altri equivoci di cui non si riesce più a venire a capo.
– In secondo luogo, i social network sono il luogo elettivo degli equivoci. Secondo ricerche, proprio facebook sembra essere una delle cause principali di divorzio.
– La maggior parte della gente che frequenta i social è lì per farsi notare. Vuole, dunque, piacere. La natura umana è però guidata dalle passioni e quelle ancestrali sono l’orgoglio e il pregiudizio, poiché sono funzionali alla sopravvivenza. Chi è, dunque, dietro ad una tastiera è sempre sulla difensiva, molto più di quanto non accada faccia a faccia.
– Nella comunicazione scritta manca il paraverbale. Non poter attribuire un’intonazione alle frasi che si leggono fa sì che tutto venga interpretato in base allo stato d’animo del momento.
– Facebook è un social network generalista, E’ il luogo dello svago, come una grande festa a cui la gente partecipa per sfogarsi. E’ quello che dice la stessa indagine che ho citato prima, secondo cui il 30% delle persone sono sul popolare social network per dare libero sfogo ad ogni genere di frustrazione e per lamentarsi di tutto e di tutto.
Consigli per usare bene i social
Poiché, dunque, le persone (e qui non parlo dei profili fake) hanno spesso reazioni imprevedibili, occorre sapere che un contenuto carico di emozioni ne risveglia delle altre in chi legge. I motivi sono quelli già esposti. Aggiungo la solita mancanza di consapevolezza di sé su cui si dovrebbe lavorare. Ma questo prescinde da facebook. Cioè, certa gente sente come proprio un contenuto e non riesce a trattenersi dal proiettarci sopra le proprie miserie.
Che fare?
– Ricordarsi che dietro ad ogni profilo c’è una persona. Sembra scontato ma non lo è affatto.
– Prevedere sempre le possibili reazioni negative.
– Preparare le possibili risposte.
– Salutare e ringraziare. La buona educazione e la gentilezza sono ancora valori riconosciuti e apprezzati.
– Non entrare mai in ping pong con chi non vuole capire. Piuttosto, evitate di lasciare ulteriori commenti e abbandonate la discussione.
Insomma, distinguetevi dalla massa.
Per fortuna, va detto, non sono tutti così. Siate voi i primi ad essere diversi per dare un esempio agli altri.
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Perché siamo così aggressivi nelle reti sociali?
Aggressività e reti sociali: un binomio esplosivo!
a cura della Redazione di guidapsicologi.it
(pubblicato su guidapsicologi.it il 21 giugno 2017)
Dimmi quali tipo di commenti fai sui social network e ti dirò chi sei. Non è un mistero che le reti sociali siano diventati una valvola di sfogo per molti utenti. Politica, cultura o temi sociali vengono spesso utilizzati come scuse per sfogare l’aggressività. Basta guardare i commenti che appaiono sotto vari stati o articoli di giornale per trovare insulti e offese fra utenti. Perché spesso i social network vengono utilizzati in questa maniera? Come reagire?
Una delle principali caratteristiche che permette di dare libero sfogo all’aggressività è senza dubbio l’anonimato. Non a caso, è molto comune l’intervento dei cosiddetti “troll”, ossia utenti anonimi che sui social inseriscono commenti provocatori o aggressivi con l’obiettivo di disturbare la discussione. Anche la sensazione sicurezza che viene data dalla presenza di uno schermo fra noi e i nostri interlocutori fa spesso pensare che le proprie parole non abbiano conseguenza sugli altri. La sensazione di libertà nel poter mostrare una personalità completamente diversa dalla propria o, al contrario, una parte negativa del proprio carattere permette di provare un certo grado di soddisfazione attraverso l’umiliazione degli altri. Spesso, infatti, sono proprio il narcisismo e la voglia di protagonismo i sentimenti che sono alla base di questa aggressività.
La psicologia è ancora al lavoro per comprendere i comportamenti umani legati all’uso di internet. Patricia Wallace, esperta in psicologia delle relazioni e dell’apprendimento presso la Graduate School del Maryland University College e autrice del libro La psicologia di Internet (Cortina Editore) ha analizzato, attraverso le sue ricerche, i comportamenti umani online. Una parte del libro si occupa anche delle reti sociali.
Se da una parte gli utenti cercano di mostrare online la parte migliore di se stessi, la mancanza di un faccia a faccia, la comunicazione attraverso testi e immagini, l’anonimato e la difficoltà nel recepire il tono della risposta, rendono le conversazioni più aggressive.
Dietro a quest’aggressività, spesso si celano disturbi veri e propri legati per esempio al narcisismo e all’utilizzo compulsivo di internet. Nonostante in alcuni casi i social network diano la sensazione di essere un toccasana per la propria autostima, in realtà la stanno affossando: siamo costantemente preoccupati per la nostra immagine e per l’opinione che gli altri hanno di noi. Tuttavia, questa presunta sicurezza permette di sentirsi in diritto di essere arroganti e poco rispettosi. La non presenza diretta della vittima dei nostri commenti aggressivi, inoltre, ci farà sentire più sicuri del nostro comportamento.
Come reagire?
Sei vittima dell’aggressività di un troll o di un utente reale? A meno di non ricevere vere e proprie minacce o stalking, caso in cui è necessario avvisare immediatamente le autorità competenti, la regola numero uno per affrontare l’aggressività sui social network è quella di non rispondere. È indispensabile, infatti, non prendere sul personale questi commenti, lasciar perdere la situazione e non cadere nella trappola. Prendete anche in considerazione la possibilità di bloccare l’altro utente, in modo tale da non dover subire ulteriori attacchi inutili e di mantenere al sicuro il vostro profilo.
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Aggressività e social, come funziona l’odio sul web
di Antonella Gramigna
(pubblicato su affaritaliani.it il 23 febbraio 2018)
“Rete” intesa come intreccio di nodi e trame, tra input elettronici e dati personali, identità più o meno conosciute, ed anche ( perché no) “relazioni” seppur virtuali. Proprio per sua natura, del resto, la cosiddetta rete mette in relazione, favorisce di fatto la comunicazione, la interconnessione tra individui. Rete che rappresenta ormai una realtà per moltissimi di noi, ma che non si limita solo ad una dimensione virtuale, ma che di fatto ha reali conseguenze anche nella “vita vera”, quella di tutti i giorni, con ripercussioni talvolta devastanti.
Il mondo delle “tre W” nato per scopi militari, oggi, con l’avvento dei social, è di fatto una piattaforma delle prime agenzie di socializzazione: Il Social.
Gioia e dolore. Eh si, perché se da una parte con l’avvento di questi strumenti si è avuta l’ambizione di mettere in relazione più persone, dall’altra ne ha di fatto acuito anche l’effetto opposto, diventando disgregante a causa della eccessiva aggressività. Questo perché? Vi chiederete voi, perché la piazza telematica non è tutto oro, ma ha anche l’effetto di spersonalizzare e dematerializzare la comunicazione. L’identico messaggio riferito a voce o scritto in rete ha esiti diversi. Occupandomi di questo settore, mi sia consentita una riflessione in merito.
Al di là degli scopi commerciali per cui viene usata, che camminano su livelli diversi, più professionali e quindi meno inclini a fraintendimenti ed a battibecchi viaggiando in una unica direzione, l’uso della rete per i social network ha cambiato la forma di relazione tra gli umani. All’inizio hanno rappresento il “luogo”, seppur virtuale, dove poter parlare e potersi avvicinare a persone di tutto il mondo. Una sorta di Agorà ma telematica, quasi da sembrare persino più protetta di una pubblica piazza, di più facile accesso dato che si può tranquillamente digitare da casa, comodamente. Pioggia, neve o vento o solleone, lei c’è, è lì ad attenderci. E con essa tutto il mondo. Con il tempo, però, ciò che si è evidenziato, è l’aumento della necessità di esserci, di stare collegati, e assieme a questo, l’avanzare dell’aggressività verbale. Non fisica, ovviamente perché questo tipo di relazione che corre sul filo, o sulla fibra che dir si voglia, permette solo lo scambio (menomale) di vedute, solo in forma scritta. Ciò che vediamo, però, da un po’ di tempo a questa parte, è che molti usano la rete come sfogatoio personale, solo ed unicamente per attaccare, denigrare e minacciare qualcuno, per gettare nel mondo, come fosse un vomitatorio, le proprie frustrazioni represse, il proprio disagio interiore. Basti solo vedere alcuni video e foto di violenze, torture su animali, scene di incidenti, immagini macabre, destinate a catturare l’interesse di molti.
In base ai dati raccolti dall’ultimo rapporto del Censis, ciò che viene messo in luce, è una certa degradazione nella gestione e condivisione dei rapporti umani, per cui i legami sociali si fanno sempre più fragili e i valori si indeboliscono. Dai dati raccolti emerge che le minacce sono aumentate del 35,3% nell’arco di tempo che va dal 2004 al 2009, le lesioni e le percosse sono aumentate del 26,5% e i reati a sfondo sessuale sono aumentati del 26,3%.
Tale livello di aggressività, che sul web è ben visibile, come la tendenza ormai appurata ad offendere anche pesantemente chi non è in linea con i nostri (nel senso di chi scrive) pensieri e le nostre convinzioni, è molto diffusa anche nel mondo politico, tra i professionisti della comunicazione e personaggi del mondo dello spettacolo, visti spesso usare un linguaggio volto più a distruggere la reputazione dell’altro che a sostenerlo.
Indubbio è che l’idea di percepire lo schermo di uno smartphone, di un pc, od un iPad, come filtro tra noi ed il mondo, fanno di questo un palcoscenico idealmente più protetto e quindi la percezione è di oscurità e (quasi) anonimato. Solo apparente, però, perché alla fine siamo tutti riconducibili, se si rende necessario. Nei casi più gravi di utilizzo scorretto dei social e della rete, abbiamo ben visto che ognuno di noi ha un nome ed un cognome, un ID ben identificabile.
Ma l’aumento dell’aggressività nei social network è dovuto proprio al fatto che in molti siano convinti che solo alzando la voce ed esprimendo opinioni volte a distruggere l’idea dell’altro, diciamo gli avversari, riescono ad ottenere più consensi. E’ una soluzione contro tutto questo, l’utilizzo recente di algoritmi che cancellano o sospendono automaticamente gli account dove appaiono parole offensive? Non molto, perché abbiamo visto come non riescano nell’intento, proprio perché sono automatismi, nel distinguere tra un commento ironico, una foto innocente magari di un quadro artistico di nudo ed una minaccia grave. Quindi, alla fine, il Social è uno spazio di anarchia e libertà estrema, non controllato, non tutelato. Ed oggi quello più famoso, Facebook, intende addirittura aprire ai tredicenni. Non c’è molto da stupirsi, ed alla fine non è neppure una novità che tanti minorenni anche più piccoli siano iscritti e già abili frequentatori, basta solo iscriversi con generalità diverse, ed il gioco è fatto. Chi controlla? Chi dovrebbe, magari, non lo fa. Forse impegnati a fare altro. Ed i Minori, quindi, si trovano di colpo nel mondo dei grandi, spesso bersagliati proprio dai compagni di scuola, o vittime di depravati sessuali che, attraverso semplici account creati sui social, vengono presi di mira ed esposti, così, ad alto rischio. La cronaca, lo sappiamo bene, è fin troppo piena di tragici epiloghi annunciati sul web o comunque resi amplificati da internet. Parliamo di minori ma potremmo parlare di donne, uomini, gay, disabili… Che cosa si nasconde, dunque, dietro questa aggressività che esplode talvolta così violenta in rete? Non se ne parla mai abbastanza, non si fa più neppure attenzione al problema che sembra non toccarci, e non fa più notizia neppure il caso di violenza, a tutto evidentemente ci si abitua, e non va bene affatto. La voglia di esistere, di essere qualcuno, un egocentrismo dilagante, con una comunicazione spesso degradata, che degenera in accesi scontri verbali, agevolati, come già detto, dal fatto di non avere di fronte degli interlocutori in carne ed ossa. Ed allora, ecco che basta premere un bottone e fare fuoco sul mondo! Forse siamo tutti un po’ Grisù. Lo ricorderete quel simpatico draghetto che sognava di fare il pompiere, ma che alla fine, ogni volta che apriva bocca, finiva sempre con l’incendiare ogni cosa? Ecco, lui.
Quale siano le ragioni per cui la gente reagisce spesso in modo conflittuale sui social network, e quali le soluzioni da adottare, possiamo riassumerle in poche e semplici riflessioni. La prima è che le persone, generalmente, non sono portare a credere che un dialogo scritto possa venir interpretato in diversi modi. Ognuno di noi, ovviamente, assegna il “Suo” significato, univoco, la sua rappresentazione di realtà, rispetto alla quale, il voler chiarire in un contraddittorio in rete, diventa lungo e faticoso. Il web, lo sappiamo, è il luogo della comunicazione a rapido consumo, ed ha il demerito di generare infiniti altri equivoci rispetto ad una frase scritta, di cui non si riesce più a venire a capo. E diciamolo pure, i social network sono il luogo elettivo degli equivoci. La maggior parte dei frequentatori dei social, è lì proprio per farsi notare, per poter essere. Vuole, e cerca anche di poter piacere agli altri. L’essere umano è un animale sociale, ma la sua natura è però guidata spesso dalle emozioni, dalle passioni, anche quelle ancestrali che sono l’orgoglio e il pregiudizio, poiché sono funzionali alla sopravvivenza. Chi è, dunque, dietro ad una tastiera è sempre sulla difensiva, molto più di quanto non accada faccia a faccia. Ricordiamo, inoltre, che nella comunicazione scritta manca sostanzialmente il paraverbale.
Non poter attribuire ad una frase, un pensiero pubblicato, un’intonazione, rende tutto interpretabile su base personale, ed in base ovviamente allo stato d’animo del momento.
Facebook alla fine è una grande piazza, nella quale la gente partecipa per trovare uno spazio personale, forse quello spazio che altrove non trova, e che proprio per questo trascina al libero sfogo ad ogni genere di frustrazione.
L’aggressività non è di per sé negativa, fa parte dell’uomo, è sopravvivenza. E’ una forza vitale che ciascun essere vivente possiede e senza la quale l’uomo non riuscirebbe neanche a realizzarsi nella vita. E’ qualcosa che ci permette di far fronte a situazioni critiche o di grande impegno, che ci è persino utile per mettere in pratica il nostro potenziale, ma che nella maggior parte dei casi, come detto, viene mal veicolata, se non gestita, e sfogata in espressioni dannose come la rabbia sfrenata indirizzata verso gli altri.
Senza parlare, poi, dei casi limite, di quei fatti che oggi preoccupano maggiormente, come l’aumento dell’aggressività e la diffusione della violenza giovanile che investe il mondo degli adolescenti favorendo anche lo sviluppo della delinquenza. Sono forme di violenza psicologica, di prevaricazione e di irresponsabilità rivolte a chi è costretto a subire.
Ma di chi è la responsabilità di questo? Spesso ciò che manca è una positiva sfera familiare. Ed una educazione, presente, seria e severa. A volte i genitori stessi, anch’essi frustrati dalla vita o affettivamente, possono essere proprio “quell’assenza” grave nei confronti dei figli, tanto da non riuscire ad offrire loro l’amore che si aspettano.
La mancanza di calore emotivo, la mancanza di supporto e l’assenza di sistema educativo possono essere terreno fertile dello sviluppo, per i nostri figli, dell’aggressività negativa; e in tutte quelle famiglie, oggi più che mai, gravate da situazioni difficili, causa stessa di tanta rabbia e senso di frustrazione personale e di ruolo, c’è il rischio serio che un figlio cresca con la stessa identica convinzione di non venir accettato dalla società. Ed è proprio questo il punto, la mancanza di considerazione e stima porta indubbiamente ad un senso di frustrazione che si tramuta in aggressività verso gli altri o, talvolta, verso se stesso.
Per loro stessa natura, lo riconfermo, le relazioni sociali virtuali, proprio grazie alla mancanza di conoscenza diretta, permettono la caduta libera dei freni inibitori, favorendo così quella spavalderia, spudoratezza e villania altrimenti inibita. La svalutazione delle responsabilità, proprio in quanto soggetti incorporei, arroga a sé in qualche modo il diritto e il dovere di poter dire qualsiasi cosa, senza curarsi delle conseguenze per sé e per gli altri, come se non fossero cosa che ci riguarda, che ci appartiene.
Forse partendo proprio dalla mutazione della responsabilità, si potrà pensare di cambiare le cose. Responsabili e più consapevoli delle conseguenze. Questa potrebbe essere la chiave per sensibilizzare e cambiare le cose, per migliorare il nostro futuro iniziando da oggi? Possiamo pensare di introdurre “ l’educazione ai social” come materia di studio nelle scuole, esattamente come sono state introdotte sia l’educazione sessuale che l’educazione stradale, così da rendere i nostri ragazzi più responsabili e più consapevoli di quello a cui vanno incontro, è necessario oggi più che mai, rendere i ragazzi forti e responsabili, e ben consci del fatto che quello che viene scritto sui social è diretto ad altre persone, non a evanescenti fuochi fatui trovati per caso in rete. A persone come loro, degne di rispetto. Si parla spesso di punizioni, di sanzioni, di note disciplinari scolastiche come spettro negativo, che a poco servono se non accompagnate da altro. Non è corretto, ed è altamente pericoloso, trattare Internet come “altro da sé”, perché è miopia. Abbiamo ben visto come alcuni casi, forse i più eclatanti, riguardano persone licenziate per un tweet sbagliato, o ragazzi che hanno tentato il suicidio, ed alcune ragazze che sono addirittura (ahimè) riuscite nell’intento, dopo aver subito danni da atti di cyber-bullismo. Ciò ben dimostra che le conseguenze esistono, anche a livello fisico, non solo morale, e sono spesso violente. L’odio sul web nasce dalla realtà circostante, e nella realtà ritorna. Meditiamo, molto ed approfonditamente.
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@5 Sei completamente fuori strada, perché io non seguo assolutamente l’irragionevolezza né ho frustrazioni/infelicità da scaricare. Sono felicissimo e in equilibrio con la vita che conduco. Semplicemente le tesi che espongo a te danno “fastidio”, ma questo è un altro discorso. Probabilmente le mie tesi ti danno fastidio proprio perché hanno fondamento razionale e oggettivo. e la cosa ti “ruga”.
Ormai due anni fa ho abbandonato facebook proprio per via dell’inutile violenza diffusa.
Purtroppo anche nel banale scambio di sms ci si dimentica d’essere umani e delle buone maniere.
“vogliono insistere nell’irragionevolezza perché quest’ultima è il contesto in cui possono scaricare le loro frustrazioni/infelicità. Poveretti.”
@1. Ti sei descritto in modo magistrale, chapeau.
Una volta per scaricare le tensioni c’erano gli spettacoli cruenti nelle arene. Poi vennero le pubbliche uccisioni. Poi furono le risse nelle piazze e negli stadi. L’ uomo per sua natura ha bisogno di menare le mani. Ora che è tutto sicurizzato la violenza quando esplode è violentissima anche perché oramai armata. I giovanissimi si danno appuntamento sui social per prendersi a pugni….li lasciassero fare. Agli adulti non restano che i blog, è un vero peccato che una piattaforma di incontri e confronti possa divenire un esempio di maleducazione, parole volgari, offese e autoreferenzialità. Agli inizi si diceva che succedeva perché non si era vis a vis…..io credo che non sia mai stato così, si cerca solo una clap per le proprie ipotesi e si è chiusi, ciechi e sordi agli altri. Il confronto richiede ascolto, tolleranza e toni pacati…..utopie nella società del terzo millennio. Anche in questo blog al di fuori di articoli storici o personalissimi dove i commenti sono spesso pacati, quando l’argomento è di attualità o politico….scatta il “non capisci niente”, “hai la testa vuota”,….e organi genitali di vario tipo.
Pecà
La mia modesta opinione sull’eccesso di aggressività in rete…è che sono diventati il cestino della spazzatura delle frustrazioni individuali. In questi cestini si scaricano tutte le infelicità delle nostre reciproche esistenze: lavoro, famiglia, figli, soldi, stile di vita,…. ecc ecc ecc. Le persone sono molto infelici o quatomeno frustrate, perché la società odierna ci sbatte addosso ogni giorno modelli di successo: auto supertecnologiche e superlussose, vacanze da sogno, donne strafighe… Insomma la socuietà pgni giorno ci dice “Vedi quanto sei sfigato?”
vedi anche Lc 4, 23
“Il fatto è che questi “altri” non hanno nessuna voglia di esser ricondotti sulla strada della ragione: ”
Che naturalmente è SOLO LA TUA…
La mia modesta opinione sull’eccesso di aggressività in rete (Blog, forum, social…) è che sono diventati il cestino della spazzatura delle frustrazioni individuali. In questi cestini si scaricano tutte le infelicità delle nostre reciproche esistenze: lavoro, famiglia, figli, soldi, stile di vita,…. ecc ecc ecc. Le persone sono molto infelici o quatomeno frustrate, perché la società odierna ci sbatte addosso ogni giorno modelli di successo: auto supertecnologiche e superlussose, vacanze da sogno, donne strafighe… Insomma la socuietà pgni giorno ci dice “Vedi quanto sei sfigato?”, confrontandoci in automatico con i modelli di successo. In società pretecnologiche avremmo dovuto sfogare l’infelicità in altri modi, oggi è molto comodo (e spesso non comporta alcun risvolto negativi) farlo in rete. La gente scarica le proprie infelicità, a prescindere dall’argomento della discussione di quel giorno. Poiché queste infelicità/frustrazioni individuali sono oggettivamente insanabili, il problema dell’aggressività sulla rete è incorreggibile. Pe le persone sane e in equilibrio occorre quindi fare in modo di evitare di farsi prendere dal gorgo dei dibattiti, che tanto sono eventi senza una vera ragion d’essere, se non quella di funzionare da pretesto per scaricare l’aggressività individuale. Ci ho impiegato alcuni anni a focalizzare questa conclusione e riconosco che non sia facile stare ai confini delle discussioni “tossiche”, perché viene naturale farsi prendere e cercare di far ragionare gli altri. Il fatto è che questi “altri” non hanno nessuna voglia di esser ricondotti sulla strada della ragione: vogliono insistere nell’irragionevolezza perché quest’ultima è il contesto in cui possono scaricare le loro frustrazioni/infelicità. Poveretti.