Madre Roccia. Un nome che non rappresenta solo una via, ma un’esperienza raccontata magistralmente nel documentario realizzato da Matteo Della Bordella e Cristiana Pecci per Sky. Un nome che vuole unire quattro generazioni diverse, con un unico comune denominatore: quella inossidabile, tenace passione per l’avventura in verticale, sulle pareti più belle del mondo. Madre roccia è l’elemento che dobbiamo ringraziare e preservare, Madre Roccia è la nostra connessione con la montagna, Madre Roccia è uno sguardo che parte dai problemi del presente e porta una speranza verso il futuro.
Madre roccia
(la via nuova sulla parete sud della Marmolada aperta tra il 2022 e 2023 da Iris Bielli, Matteo Della Bordella, Massimo Paletti e Maurizio Giordani)
di Matteo Della Bordella
(pubblicato su Uomini e sport n. 38, dicembre 2024)
Agosto 2003. Avevo diciassette anni la prima volta che guardavo questa parete col naso all’insù. Poca esperienza, ancor meno allenamento, ma tanta motivazione e voglia di mettermi alla prova. Al mio fianco allora c’era il miglior compagno che potessi immaginare: mio papà.
All’alba dei primi siti web e ancora liberi dalle mode dei social, la guida di Maurizio Giordani della parete d’argento era diventata una sorta di bibbia su cui avevo passato mesi a sognare ad occhi aperti.
Una mattina come tante, la Sud della Marmolada risplendeva di luce, ignara di come un pezzo di roccia potesse intrecciarsi in maniera così profonda alle nostre vite.
L’inesperienza di quel primo approccio, alcuni errori tattici, il freddo intenso del mattino ci fecero perdere un sacco di tempo e sbagliare linea di salita. Era già quasi mezzogiorno e non ci eravamo che alzati di poche centinaia di metri. Perciò quella prima volta non fu che un assaggio, perché decidemmo di calarci e tornare a casa.
La via? Non era certo una via estrema, ma la classica combinazione tra via Vinatzer e via Messner.
Ci sono sconfitte che ti danno di più di tante vittorie e per me quella batosta su una via così classica ha avuto l’effetto di un magnete.
Da quella esperienza iniziarono visite con cadenza annuale.
Nel 2005 fu la volta del mitico Pesce.
La “via attraverso il Pesce“: una via, un simbolo e mille storie. Era sempre stato considerato da me e mio papà qualcosa di mitico, qualcosa di impossibile sul quale mai avremmo potuto mettere le mani. Dopo un anno di allenamenti io avevo fatto un gigantesco salto di qualità in arrampicata ed il bello era che non me n’ero reso minimamente conto.
Alle 6 di mattina del 3 luglio 2005 ci ritroviamo insieme all’attacco di questa via. 13 ore e mezzo più tardi ci stringiamo la mano sulla cima: la parete sotto di noi salita tutta in libera e a vista, io da primo che scalavo con addosso il pile da istruttore di mio papà… ormai davo del tu a quelle placche argentate: quel giorno mi sembrava tutto facile! Mio papà arrancava dietro di me, con lo zaino giallo e nero, salendo veloce e deciso. Nonostante avesse passato i cinquanta aveva una resistenza fisica invidiabile. Fu un sogno realizzato, uno dei ricordi più belli della mia vita.
La salita della via attraverso il Pesce per me non è stata tanto una performance in sé, quanto un punto di svolta nella mia vita che ha aperto la strada a tante altre salite ed avventure: l’inizio di un viaggio che mi ha poi portato negli anni successivi su tante pareti bellissime in tutto il mondo.
Settembre 2022. Mi trovo ancora qui con davanti la Sud della Marmolada ed il pensiero corre subito a quel giorno di luglio di diciotto anni fa: ma chi ci avrebbe mai creduto se un giorno mi avessero detto che avrei anche aperto una via nuova sulla Marmolada?
In parete, ogni nuova linea, ogni via nuova, deriva da un’idea, da un’intuizione.
Può essere rivoluzionaria oppure normale, ma sempre necessita di intuito, fantasia, dedizione per essere realizzata.
La proposta arriva da due amici: Maurizio Giordani, una vera e propria leggenda della Marmolada, scala su questa parete da oltre quarant’anni e la conosce come nessun altro al mondo; Massimo Faletti, guida alpina di Trento, conosciuto quasi per caso cinque anni fa, momento dal quale sono nati un sacco di progetti assieme ed una bella amicizia.
Parallelamente vengo contattato da due registi, Matteo Maggi e Cristiana Pecci, entrambi romani e, seppur appassionati sportivi, totalmente a digiuno di alpinismo. Senza troppi giri di parole mi dicono che vogliono realizzare un film su di me, impegnato nell’apertura di una nuova via, e quando faccio il nome “Marmolada” subito ho la loro totale attenzione. È l’estate del 2022 e quell’anno la “Regina delle Dolomiti” è tristemente alla ribalta delle cronache nazionali per la grande tragedia appena occorsa, la prova concreta degli effetti devastanti che il cambiamento climatico può avere, non solo sulle montagne, ma anche su chi le frequenta.
Il colosso televisivo Sky abbraccia totalmente l’idea del nostro progetto e nonostante io metta bene in chiaro che noi scaleremo sulla parete sud e non sul ghiacciaio teatro della tragedia (cosa non affatto scontata per persone estranee alla montagna), si impegna nel supportare nel migliore dei modi i due registi e seguirci passo passo in questa grande avventura.
Partiamo da un vecchio tentativo futuristico nato alla fine degli anni ‘80, dall’entusiasmo di Stefano Righetti (un amico di Maurizio) che coinvolge alcuni compagni per tentare una linea ardita nel lato destro del pilastro di Specchio di Sara. Ottenuto il via libera da Righetti, che si era arenato dopo circa 100 metri su placche difficilissime, Max, Maurizio ed io andiamo ad assaggiare la parete alla ricerca di una linea che ci permetta di proseguire.
Arriviamo velocemente nel punto dove il tentativo si era arrestato e da lì troviamo una soluzione con un traverso verso destra. Fino a qui le difficoltà sono state alla nostra portata, ma adesso ci troviamo di fronte ad un muro di roccia compattissimo, disseminato qua e là da sporadici buchetti dove infilare una o al massimo due dita, e profondi non più di una falange.
Non si può evadere dalla storia della grande parete sud della Marmolada, e proprio per questo motivo scegliamo uno stile di apertura tradizionale, che non prevede l’utilizzo del trapano a batteria, ma solo il pianta-spit a mano.
Il nostro ritmo di salita rallenta bruscamente e tra voli, tagli sui polpastrelli e attese in sosta, siamo comunque felici per ogni metro che riusciamo a salire in verticale su questa roccia fantastica.
L’azione è costantemente ripresa dalle telecamere e le nostre voci sono registrate per ventiquattro ore al giorno dai microfoni: a prima vista tutto questo ci mette un po’ a disagio, ma poi ci abituiamo e non ci facciamo nemmeno più caso.
E’ Maurizio, con grande pazienza, a spiegare per filo e per segno alla troupe televisiva ogni nostro movimento ed il brusco rallentamento dei progressi in parete.
Ero partito con l’entusiasmo alle stelle, ma dopo queste due giornate, forse per la stanchezza, forse per le difficoltà incontrate, sono un po’ preoccupato: la linea che vorremmo salire sembra estremamente difficile, forse troppo e temo di non avere tempo ed energie a sufficienza per fare un bel lavoro. Inoltre, la produzione cinematografica aggiunge pressione ai miei dubbi, continuo a chiedermi “ma se non riusciamo ad aprire questa via cosa racconteremo nel film?”. Per fortuna arriva l’inverno e mettiamo temporaneamente in stand-by il progetto fino alla stagione successiva.
Marzo 2023. Inizia un nuovo ed entusiasmante progetto, non solo alpinistico, che mi sta impegnando a fondo anche adesso: il CAI Eagle Team. Su incarico del Club Alpino Italiano e grazie all’aiuto di tanti altri alpinisti esperti ed amici, mi occupo di creare e coordinare un gruppo di giovani ragazzi e ragazze, che hanno già dimostrato il loro talento in montagna e che sono determinati a crescere come alpinisti e raggiungere prestigiosi traguardi in montagna, portando con loro i valori del nostro sodalizio.
Dopo una dolorosa, ma necessaria, fase di selezione dei candidati (sono arrivate circa 250 richieste), arriviamo ad avere un gruppo di quindici ragazzi di età compresa tra i 19 ed i 28 anni. Davanti a loro ci sono sei settimane di attività alpinistica e formazione in tutto l’arco alpino e poi, per sei di loro, il sogno di prendere parte ad una spedizione in Patagonia nell’inverno 2025. Una grandissima opportunità per i giovani, messa a loro disposizione gratuitamente dal Club Alpino Italiano, dove l’alpinismo è tornato protagonista. Una grande responsabilità e una sfida entusiasmante per me, che cerco di trasmettere loro quanto la montagna mi ha insegnato in questi anni.
Ognuno dei partecipanti ha il suo carattere, la sua personalità e la sua storia. Ognuno di loro è speciale, unico e troverà la sua strada, ma all’interno del gruppo, inevitabilmente, ci sono tante personalità spiccate e caratteristiche molto diverse tra di loro.
Iris Bielli, di Merate, con i suoi 19 anni è la più giovane dei quindici “aquilotti” del team. Timida ed introversa, non ama mettersi in mostra e preferisce i fatti alle parole. Quando la vedo scalare resto sbalordito da come si sa muovere in verticale sulla roccia. Lei viene dall’arrampicata sportiva, dall’agonismo ed è stata allenata per anni dal mio caro amico Fabio Palma.
Nella testa mi si accende una lampadina: un’idea, forse un po’ azzardata: quella di coinvolgerla nel nostro progetto di via nuova in Marmolada.
Ci penso un attimo sopra: uno degli obiettivi dell’Eagle Team è proprio trasmettere a questi ragazzi tutto il bagaglio di conoscenze che permetterà loro un giorno di aprire le loro vie. Quindi perché no?
Quando comunico a Matteo e Cristiana il nuovo ingresso nella cordata, accolgono la notizia con straripante entusiasmo, è come se avessero già la visione del fatto che il suo personaggio sarà determinante. Max e Maurizio all’inizio, invece, sono un po’ scettici sul fatto che una ragazzina con poca esperienza sia in grado di salire da prima in apertura su uno dei punti più difficili della Marmolada. Mi dicono che dovrò stare molto attento a lei e pensano che sia meglio farla scalare solo da seconda. Ma tutti i loro dubbi si dissolveranno presto quando la vedranno in azione.
Settembre 2023. Con l’aggiunta di Iris possiamo dividerci in due cordate ed alternarci al comando in apertura. Quando torniamo in parete, risaliamo le corde che avevamo lasciato fino al tratto difficile e iniziamo a procedere su terreno incognito. Ancora una volta i progressi sono lenti e richiedono un sacco di tempo ed energie. Ma questa volta abbiamo una marcia in più!
Quando Iris, con la sua vocina che nasconde una determinazione enorme, mi dice che vuole provare lei a terminare questo tiro, accolgo subito la sua richiesta. Anzi, forse non aspettavo altro. A posteriori penso sia una delle pochissimi volte che mi sono emozionato solamente nel vedere qualcun altro scalare. Dopo una serie di lunghi voli passa un tratto di 7b+ obbligatorio con protezioni molto distanziate tra di loro e poi si appende al piccolissimo cliff ed inizia con enorme pazienza a martellare con il pianta-spit.
Quando superiamo il tratto più duro, di fianco al famigerato “bucone”, la troupe di Coldfocus che non ci perde mai di vista scoppia in un’ovazione che sentiamo anche a trecento metri da terra!
In totale, passiamo ben quattro giornate per riuscire a superare i quaranta metri del tiro chiave della via. Ne esce una lunghezza che è veramente un capolavoro per estetica e difficoltà. È la prima lunghezza di corda in assoluto aperta da Iris: un 8b con spit chilometrici sulla Sud della Marmolada. Chi ben comincia…
A questo punto il tempo a nostra disposizione inizia a scarseggiare, mentre la strada per la vetta è ancora lunga. Ci dividiamo così i compiti: Iris ed io continuiamo l’apertura lungo la parte bassa della via, tornando in parete per due giorni di fila e bivaccando nella portaledge. Apriamo altre cinque lunghezze spettacolari su una parete all’apparenza liscia, ma che poi si rivela trivellata in maniera generosa da buchi e buchetti, i quali ci permettono di salire proprio nel mezzo del pilastro fino a raggiungere la cengia mediana.
Negli stessi giorni Maurizio e Max salgono per un’altra via più facile sulla cengia mediana e quindi aprono la parte alta della via: una linea logica, di stampo quasi classico, su roccia compatta e aderente, senza lasciare spit, chiodi o altre tracce del proprio passaggio.
Il 5 settembre 2024 nasce così Madre Roccia. Un nome che non rappresenta solo una via, ma un’esperienza raccontata magistralmente nel documentario realizzato da Matteo e Cristiana per Sky. Un nome che vuole unire quattro generazioni diverse, con unico comune denominatore: quella inossidabile, tenace passione per l’avventura in verticale, sulle pareti più belle del mondo. “Madre roccia” è l’elemento che dobbiamo ringraziare e preservare, Madre Roccia è la nostra connessione con la montagna, Madre Roccia è uno sguardo che parte dai problemi del presente e porta una speranza verso il futuro.
Marmolada. Madre Roccia
Il documentario segue, per un intero anno, l’emozionante impresa di tre noti alpinisti, coadiuvati da una giovane e aspirante climber, sulla parete sud della Marmolada, la leggendaria “Regina delle Dolomiti”. Matteo della Bordella, Maurizio Giordani, Massimo Faletti e Iris Bielli si uniscono per aprire una nuova via, sfidando i loro limiti e i pericoli di una montagna che è entrata nel dibattito sul cambiamento climatico dopo la tragica perdita umana del 3 luglio 2022. Il film esplora la passione e la consapevolezza ambientale, offrendo uno sguardo appassionante sul mondo dell’alpinismo e sull’importanza di proteggere e preservare i nostri ecosistemi montani, sperando di ispirare una maggiore consapevolezza e un impegno verso la conservazione della natura che ci circonda.
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Per pignola precisione, volendo si potrebbe anche scendere seguendo in discesa la ferrata della cresta ovest – a patto però di scendere dalla Forcella verso il Rifugio Contrin, perchè se invece si vuole passare per Pian dei Fiacconi bisogna comunque traversare sotto il ghiacciaio. E in ogni modo, non si può pensare che le persone che salgono per la normale siano in grado di percorrere la ferrata in discesa.
@10: Si, appunto. Bisogna scendere dalla normale, non ci sono alternative.
Tra tutti quelli che sono scesi e scenderanno dalla marmolada credo che solo lo 0,1% sarebbe in grado di fare la traversata Penia-Rocca.
Le attrezzature della guerra sono del tutto inaffidabili ed il ghiaccio venuto ormai a nudo rende la traversata riservata ad esperti……senza tante comitive al seguito
“Gli ‘esperti’ coinvolti non sapevano che non si attraversa un ghiacciaio di giorno, d’estate, nelle ore di punta? ”
No, per favore. Queste sono le stupidaggini che si lessero all”epoca nella stampa generalista e che ogni tanto riaffiorano, ma che non possono essere tollerate qui.
E’ certamente verissimo che, in linea di principio, è sconsigliabile attraversare un ghiacciaio nelle ore più calde di una giornata estiva. Però la frana di ghiaccio ha travolto il percorso della via normale alla Marmolada, che in quanto tale è percorsa non solo in salita (e sì, è meglio farlo nelle primissime ore) ma anche in discesa, e questo da parte non solo per chi è salit0 da lì, ma anche per chiunque sia salito da qualsiasi altra parte. Non esiste nessuna altra via di discesa da quel versante, a meno di traversare verso la stazione di arrivo della funivia. E’ quindi inevitabile, a meno di essere eccezionalmente veloci, trovarsi a passare di lì nelle ore calde.
Che poi il trapano è stato usato…
5@Luciano quella che c’è tra volare con un aliante ed un piper…per non parlare poi dei pesi che ti costringerebbe ad adottare sacco e recupero dello stesso con cordino extra.
Altra cosa ; avendo a disposizione un motore e quindi meno fatica la tentazione di forare dove non indispensabile ti viene…
Per quanto invece riguarda i diametro non si discute ma non sottovalutare un 8 ○ ben messo…un chiodo da carpentiere da 6 cm di lunghezza piantato su legno tiene in trazione verticale 5/600kg.
Ciao
P.S. Chapeau per l’ascensione e
la nuova promessa Iris.
Una cordata (quella piu forte?) completa la prima parte (la più difficile) fino alla cengia. L’altra cordata, arrivandoci da altra via, completa la parte superiore più facile.
Uno strano modo di realizzare una via.
Oppure sono due?
Esperienza immagino molto gratificante, soprattutto per la più giovane e promettente Iris Bielli. C’è solo un punto che non mi è chiaro di questa bella avventura, ed è questo: “Non si può evadere dalla storia della grande parete sud della Marmolada, e proprio per questo motivo scegliamo uno stile di apertura tradizionale, che non prevede l’utilizzo del trapano a batteria, ma solo il pianta-spit a mano.”
In realtà la storia dice che già altre cordate hanno utilizzato il trapano, ma a parte questo, che differenza c’è eticamente tra fare un buco con un trapano e fare lo stesso buco (ma molto più faticosamente) a mano? Sempre di forare la roccia si tratta! Senza contare che volare lungo su uno spitrock da 8 che lavora a 3 cm dal bordo della roccia non ti dà la stessa fiducia (a meno che chi vola non sia consapevole di ciò) dello stesso volo su un tassello da 10 che lavora a 6 o 7 cm dentro. In ogni caso, problemi non miei, visto il livello richiesto!
Non trovo che la prosa del testo sia così bella. La salita mi è apparsa un po’ un cantiere. Peccato poi, che la tragedia della Marmolada avvenuta sul ghiacciaio nel 2022, sia stata attribuita al cambiamento climatico. Gli ‘esperti’ coinvolti non sapevano che non si attraversa un ghiacciaio di giorno, d’estate, nelle ore di punta? Peggio ancora se avevano cognizione degli effetti del cambiamento climatico sulle montagne coperte da ghiacciai. Gli alpinisti hanno dimenticato le buone regole dell’andare per monti? Si è persa la conoscenza della relazione che esiste tra rischio e pericolo, ancor più necessaria da tenere presente in questo nostro tempo? Non vedo perché si debba ringraziare “Madre roccia”. Il modo migliore per preservare la montagna è quello di non andarci, non quello di intensificarne la frequentazione. Certo, così non si possono realizzare riprese cinematografiche in parete. Automobili, gas di scarico, pasticche dei freni, cineprese, materiale per scalare prodotto in quantità in fabbriche che inquinano e via dicendo. Voglio dire, se si vuole difendere l’ambiente bisogna essere coerenti con sé stessi. Altrimenti… volare basso piuttosto che sbandierare grandi principi.
Quasi quasi mi calo fino alla cengia e faccio la parete alta….sing
Proprio perché la via si svolge sul versante sud della montagna, perché andare a scomodare quello settentrionale dove si è svolta una recente tragedia?
E poi citare riscaldamento globale e cambiamento climatico per accontentare una più vasta platea possibile, rappresenta una caduta di stile che offusca inutilmente l’indiscusso valore della via e dei suoi apritori.
Non ce n’era bisogno.
Tutto molto bello. Prosa, stile, filosofia e parete. Peccato che la via sia un po troppo facile 😄☺️