Milano-Cortina, un corteo contro le Olimpiadi Insostenibili

Greetings from Milan: 2026 Winter Olympics are not welcome
a cura di off topic
(pubblicato su offtopiclab.org il 12 febbraio 2024)
Foto di Luca Magni e Luca Quagliato

Nonostante una pioggia battente, sabato 10 febbraio 2024 più di un migliaio di persone sono scese in piazza a Milano, nel corteo popolare convocato dal Comitato Insostenibili Olimpiadi al termine di una settimana di mobilitazioni e iniziative diffuse a due anni dall’avvio dei Giochi Olimpici invernali 2026. Contemporaneamente, sotto la Regione Veneto movimenti, associazioni ambientaliste e comitati locali hanno svolto un presidio per protestare contro le devastazioni che il grande evento porterà nel loro territorio: a cominciare dalla rediviva pista da bob a Cortina, la cui realizzazione è stata di recente assegnata alla Pizzarotti di Parma, nonostante il parere contrario persino del Comitato Internazionale Olimpiadi (CIO) e il fatto che, molto probabilmente, quello che è destinato a essere un nuovo impianto presto abbandonato in montagna non sarà nemmeno pronto per l’appuntamento olimpico. Una lunga lista di adesioni, a testimonianza del grande lavoro di relazioni e incontri, che ha portato a costituirsi una ampia piattaforma e comunità, appunto dalla montagna alla città, che vuole fermare, se non l’evento in sé, i suoi effetti più dannosi e nocivi.

La partenza del corteo da piazzale Lodi, 10 febbraio 2024, ore 15.30

Il corteo ha attraversato un quartiere-simbolo di quelle trasformazioni che il grande evento sta accelerando: partendo dall’irruzione nel “centro fitness” della Virgin aperto in quel che un tempo era il cinema-teatro “Italia” e denunciando l’operazione (“squalo Romana”, appunto) in corso sugli oltre 200.000 mq di area pubblica dell’ex scalo ferroviario, cementificata per farne una nuova area privata unicamente accessibile per turisti e redditi alti; ci si è mossi poi verso l’ex provveditorato agli studi di corso Ripamonti, comprato da Coima, di fronte cui sta sorgendo nell’ex consorzio agrario l’ennesimo studentato privato di lusso; da lì, in via Vezza d’Oglio, si è attraversato e sanzionato Symbiosis, il nuovo “business district” meneghino (tra gli altri, di Fastweb, Snam, Moncler, LVMH P&C Italia, Amplifon, Boehringer Ingelheim, Mars Group e Fratelli Orsero), realizzato da Covivio che insieme a Coima e Fondazione Prada è già impegnata all’interno di Scalo Romana. Si è poi infine entrati nel quartiere popolare, dove più pesante è la crisi sociale e abitativa: proprio qui infatti sono centinaia le persone che rischiano lo sfratto nei caseggiati ex ENPAM di via Sulmona, oggi acquistati da un fondo immobiliare USA che vuole rialzare i prezzi, mentre gli inquilini ERP di via Barzoni saranno forse spostati nei caseggiati di via del Turchino perché gli stabili dovranno essere abbattuti e ricostruiti – probabilmente a prezzi di mercato. Passando prima da piazza Gabrio Rosa, il corteo si è poi concluso in piazzale Corvetto, rilanciando la mobilitazione del C.I.O. nelle prossime settimane.

Lo abbiamo detto e lo ribadiamo:
– bloccare le opere non ancora partite, da Cortina alle infrastrutture viarie che stanno ulteriormente compromettendo paesaggio e sicurezza idrogeologica della Valtellina, passando per la sempiterna Pedemontana lombarda e l’annunciato allargamento dello svincolo A52 a Monza, che taglierà campi e abitato del quartiere San Rocco, fino alla tangenziale Vigevano-Malpensa che continua a minacciare la pianura agricola e la provincia a sud-ovest di Milano;

– sospendere il prossimo stato d’eccezione che le Olimpiadi invernali stanno già garantendo a cementificatori e costruttori, evitando valutazioni di impatto ambientale e una chiara disamina di utilizzo sul futuro;

– cambiare il futuro delle opere urbane, a cominciare dal Villaggio Olimpico nell’ex scalo di porta Romana, in via di realizzazione a Milano e in particolare nei quartieri popolari del sud-est, dentro e fuori il dossier olimpico, destinandoli all’emergenza abitativa, a servizi sportivi pubblici, al diritto allo studio garantito per gli studenti fuorisede e ad ambulatori medici di quartiere;

– dirottare i quasi 4 miliardi di fondi pubblici destinati alle Olimpiadi invernali sulle politiche sociali, sportivi, casa e servizi.

Tutto questo si può e si deve ottenere. C’è un modello di “sviluppo” ineguale e profondamente escludente, a servizio esclusivo che in particolare nel territorio metropolitano milanese sta mostrando ormai chiaramente tutti i suoi limiti e la sua violenza sociale, in queste settimane messo sotto inchiesta anche da voci differenti dalle nostre: se Expo ha lasciato solo 1 milione di metri quadrati di area agricola cementificata e privatizzata – nei profitti, ma non nei costi successivi, assunti invece dal pubblico – avallando l’utilizzo di manodopera gratuita e precaria nella città-evento e causando uno spopolamento di redditi medio-bassi e bassi dai quartieri periferici, siamo ancora in tempo per fermare privatizzazioni e devastazioni.

Ci rivediamo per le strade e sui sentieri, in montagna, pianura e città.

Milano-Cortina, un corteo contro le Olimpiadi Insostenibili
di Matteo Pugi
(pubblicato su monitor-italia.it il 12 febbraio 2024)
Foto di Marco Mancini

Già il punto di ritrovo per l’inizio del corteo del 10 febbraio 2024 alle ore 15 contro le Olimpiadi insostenibili Milano-Cortina 2026 è uno spaccato decisamente evocativo delle contraddizioni che il comitato che organizza la mobilitazione vuole far emergere: protetti per quanto possibile dalla tettoia dell’ex Cinema Maestoso (oggi in mano a una delle multinazionali dello sport elitario) guardiamo verso lo scalo di Porta Romana, simbolo della svendita del patrimonio collettivo alle real estate globali. Intorno a noi camionette e agenti della Digos, a ricordarci che cementificazione fa rima con militarizzazione.

Ci rassicuriamo a vicenda: la giornata non sarà piovosa come temevamo. Intanto arrivano le scenografie e le comparse. Sciatrici fuori contesto e slittini trainati sull’asfalto – spiegano gli interventi – evocano la neve che ormai sotto i duemila metri non cade più, rendendo “necessario” lo spreco di tonnellate di acqua (mischiata a prodotti chimici) per poter perpetrare un modello di sport insostenibile.

Foto: Marco Mancini

La prima sosta è di fronte ai cancelli del cantiere. Lo Scalo Romano diventa “Squalo Romano”, ribadendo il ruolo predatorio che le operazioni di gentrificazione hanno sui quartieri. Il panorama urbano, già dominato dalla scatola d’oro di Fondazione Prada, diventerà appannaggio di una minoranza privilegiata, escludendo tutti coloro che non riusciranno ad adeguarsi a un inevitabile aumento del costo della vita.

Sovrastati da mega cartelloni di agenzie immobiliari, viviamo poi la distopia dell’area Symbiosis, il community district dove non vi è traccia di “community”, ma solo di cattedrali di cemento che sembrano in battaglia con i testimoni edilizi di un’epoca in cui ancora si costruivano case di due piani.

Gli interventi e i cori che si susseguono durante il corteo mostrano il lavoro che è stato necessario per connettere i comitati cittadini, montani e quelli che fanno da collante tra i due contesti. La convergenza testimonia i differenti livelli su cui opera la speculazione in occasione dei grandi eventi e nella realizzazione di grandi opere. Cinque cerchi olimpici ospitano le parole: greenwashing, privatizzazione, sfratto, cementificazione, gentrificazione. A rappresentare la loro connessione e matrice comune, in questo caso, sono le Olimpiadi, ma in altre occasioni la Tav, la Pedemontana o il progetto di trasformazione di piazzale Loreto.

Il passaggio tra via Mincio e via Bessarione, di fronte a una delle ultime piscine comunali, è l’opportunità per ricordare l’approccio dell’amministrazione allo sport pubblico. Delle diciotto piscine che servivano la popolazione, ben dodici sono ora in mano ai privati, mentre le restanti, senza un’adeguata manutenzione, si degradano in vista di una futura consegna in gestione ad aziende che le riempiranno di opportunità di consumo, marginalizzando il valore comunitario dello sport.

Ci avviciniamo alla fine del corteo, in piazzale Corvetto. Gli ultimi interventi ribadiscono come i soldi destinati alle Olimpiadi potrebbero essere usati per agire su una crisi abitativa che lascia al momento duecentomila persone in attesa di un alloggio popolare. Un migliaio di “cuori in lotta, oggi un po’ bagnati” hanno attraversato le vie di una delle zone simbolo della speculazione immobiliare, con l’intento di aprire un percorso che si amplierà nei prossimi due anni convocando nuove mobilitazioni e rinforzando una rete che va dalla montagna alla città. Per ribadire la necessità di una sola grande opera: casa e reddito per tutti e tutte.

Dalla montagna alla città: in cammino contro le Olimpiadi invernali, in difesa delle terre alte!
a cura di Ape-Milano
(pubblicato ape-alveare.it il 12 febbraio 2024)
Foto di Luca Magni e Luca Quagliato

La popolazione indigena M’Bororo Fulani del Ciad applica la regola delle sette generazioni secondo cui “ognuno di noi deve agire pensando alle prossime sette generazioni”, a quali conseguenze potranno avere le scelte fatte oggi per le sette generazioni a venire. È l’approccio di popoli indigeni che hanno vissuto per centinaia di anni in armonia con la natura, senza saccheggiare e colonizzare il futuro dei loro (e di altri) popoli. 

Animati da questo spirito, sabato 10 febbraio 2024 siamo scesi e scese in piazza a Milano sotto una pioggia battente, insieme ad apeine e apeini da tutto il nord Italia, al fianco di decine di collettivi e comunità che hanno voluto manifestare la loro critica radicale verso le Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026. “Dalla montagna alla città: Olimpiadi insostenibili!” è stato il nostro slogan che, purtroppo, giorno dopo giorno, cantiere dopo cantiere, dimostra tutta la sua triste verità. 

Con il nostro stile, ironico e scanzonato, armati di bob (da asfalto), cartelli, tute, occhialoni e guanti da sci, abbiamo camminato domandandoci insieme a oltre un migliaio di persone: 

ha senso imporre la costruzione di nuove autostrade, di nuovi impianti sulle montagne, di bacini per l’innevamento artificiale o la realizzazione di interventi di ampliamento e collegamento tra comprensori sciistici già esistenti, mentre nel cuore dell’emergenza climatica non nevica più e le terre alte sono già in enorme e irreversibile sofferenza?

Ha senso buttare quasi 4 miliardi di euro per la realizzazione delle Olimpiadi invernali e di tutte le infrastrutture imposte con questa scusa, invece che destinare questi soldi alla sanità pubblica, a progetti e iniziative per lo sport popolare e non performativo e alla tutela dell’ambiente montano spopolato e delle sue comunità? 

Ha senso continuare a colonizzare il futuro delle terre alte, a vantaggio di pochi e a spese di tutti, con modelli di turismo inquinante, insostenibile, nocivo, che riproduce la frenesia e l’insostenibilità delle metropoli in ambienti fragilissimi?

La nostra risposta è NO, tutto questo non ha senso. 

Noi scegliamo di essere buoni antenati, di prenderci cura delle prossime generazioni, di non colonizzarne il futuro. Per questo, dopo Reimagine Winter (marzo 2023), Ribelliamoci alpeggio (ottobre 2023) e il corteo di sabato a Milano, proseguiremo il nostro cammino, continueremo a mobilitarci e a costruire reti e relazioni con comunità e territori in lotta, perché gli errori e le imposizioni di oggi avranno impatti profondi e devastanti per migliaia di anni: un futuro radicalmente diversoslegato da logiche socio-economiche anacronistiche e devastanti, è assolutamente necessario e urgente per la Terra, per le terre alte, per noi e le generazioni future.

C.I.O. – Cos’è?
a cura di Comitato Insostenibili Olimpiadi
(pubblicato su cio2026.org)
Foto di Luca Magni e Luca Quagliato

Chi siamo, chi vorremmo essere, cosa vorremmo fare
Qualche mese fa a Milano sono nati i semi di una rete, speriamo in espansione, che ha messo insieme diverse collettività della metropoli e che vorremmo rimanesse aperta. Tante realtà eterogenee che hanno al centro della loro azione ambiti diversi e differenti pratiche; siamo principalmente realtà dello sport popolare, collettività politiche di spazi occupati, collettività che si occupano delle trasformazioni della città, soggetti e gruppi che frequentano la montagna da una certa prospettiva, reti e organizzazioni di intervento politico, sociale ed ecologico. Lo scopo è quello di contestare l’operazione Milano-Cortina 2026, consapevoli che la questione delle Olimpiadi Invernali 2026 è evidentemente complessa e tocca una molteplicità di aspetti: da quello sportivo a quello abitativo, passando per lo sfruttamento lavorativo, il cambiamento e la gentrificazione della città così come il consumo di suolo, ma anche quanto accade all’ambiente e contesto montano. In sostanza, le Olimpiadi sono paradigmatiche di un modello di sviluppo che quotidianamente proviamo a contrastare e modificare, in quanto insostenibile sul piano economico, climatico, ambientale e sociale.

Per affrontare e lottare contro un processo che impatta in maniera così vasta e a differenti livelli, riteniamo necessario innanzitutto lo scambio di saperi e pratiche che le varie collettività hanno sviluppato finora, senza dimenticare l’esperienza di chi in passato ha già vissuto una trasformazione simile nei propri territori, così da sviluppare un pensiero e un’azione critica, una narrazione che smonti la propaganda mediatica. Parimenti crediamo che solo la costruzione di un fronte ampio, intersezionale, che coinvolga tutti i territori e tutte le popolazioni che già oggi sono interessate e danneggiate dalle opere realizzate o in via di realizzazione per i Giochi – o con la scusa di questi -, dalle infrastrutture connesse e dalle loro conseguenze sociali, possa opporsi alla macchina olimpica.

Chi vuole le Olimpiadi?
Le Olimpiadi 2026, come tutti i mega eventi, sono figlie di una prassi consolidata che vede utilizzare questi eventi per creare una sorta di “ambito protetto” e stato d’eccezione in cui concentrare opere e progetti (anche non necessariamente indispensabili all’evento stesso e altrimenti spesso non realizzabili), beneficiando di finanziamenti pubblici straordinari, deroghe alle norme che regolano appalti e cantieri, procedure semplificate e governance d’emergenza. Il tutto generando di fatto una gestione privatistica di risorse pubbliche che sfugge ai normali organismi di controllo amministrativo, contabile e ambientale. Nel caso di Milano-Cortina 2026, le spinte sono venute soprattutto dal blocco di potere economico-finanziario che, da oltre un decennio, sta beneficiando della trasformazione di Milano e della sua corsa sfrenata allo sviluppo immobiliare, alimentato da politiche urbane attente solo ad attrarre capitali e nuovi abitanti ad alto reddito e a far crescere i flussi turistici e il posizionamento globale della città a colpi di eventi. Esaurito l’effetto Expo serviva un nuovo volano; mancando a Milano l’elemento indispensabile, le montagne, si è allargata a Cortina l’organizzazione, alimentando sul piano del turismo montano le stesse dinamiche che caratterizzano oggi le metropoli globali nel modello neoliberista, estrattivo e predatorio, del capitalismo fossile, noncuranti della insostenibilità sociale ed ambientale di queste politiche. A supporto sono arrivati i blocchi sociali e di potere che da decenni governano Lombardia e Veneto e che trovano nello sviluppo di infrastrutture viabilistiche e autostradali (funzionali a un sistema economico e di imprese che sta trasformando la Pianura Padana in un enorme polo logistico) il loro sbocco di interessi da garantire. Attraverso un modello di sviluppo tipicamente urbano, le Olimpiadi Milano-Cortina 2026 alimentano un rapporto sempre più conflittuale fra città e montagna. La montagna come fabbrica del divertimento, concepita per soddisfare esclusivamente l’attrattività turistica, è l’essenza del pensiero uniforme di chi sta governando questo processo, secondo logiche impattanti, esclusive ed escludenti.

Chi non le sostiene?
Non le sostiene lo sport popolare che da anni cerca di sottrarsi alle logiche di un certo tipo di sport, quello dei grandi eventi, a scopo prevalentemente commerciale, uno sport che sfrutta i lavoratori e le lavoratrici e che ci sottrae spazi in città.

Non le sostiene chi dice basta all’attuale modello di sfruttamento turistico della montagna e pensa sia necessario una nuova prospettiva per le Terre Alte.

Non le sostiene chi pensa che la città sia in primis uno spazio pubblico, che deve includere e ampliare diritti sociali e civili, e non un territorio da spartire fra gli interessi dei grandi investitori e da cui estrarre valore a discapito della collettività.

Non le sostiene chi ritiene necessario un radicale cambiamento di rotta e di sistema a fronte dei cambiamenti climatici e della crisi ambientale che l’attuale modello di sviluppo neoliberista ed estrattivista, basato sul “capitalismo fossile”, sta rendendo irreversibili.

Non sosteniamo la narrazione, che spesso accompagna i Giochi olimpici, di un momento in cui si propone la retorica dell’avvicinamento di nuove persone agli sport, anche nuovi. Un momento magari tramite cui coinvolgere bambini e bambine (oggetto politico metafora di orizzonte futuro, un orizzonte di benessere) o chi non ha possibilità di accedere alle strutture per via di barriere architettoniche, sociali o economiche. Gli sport che ci lasciano in eredità le Olimpiadi invernali sono al contrario inaccessibili ai più, svolti in impianti economicamente cari nella costruzione e con elevati costi di accesso o fruizione (skipass o biglietti che siano), che escludono la maggior parte delle persone. Ma anche nella metropoli Milano, lo sport per tutte e tutti è sempre più negato dalla privatizzazione dei centri sportivi e ricreativi comunali. A questo ci opponiamo e rivendichiamo invece uno sport accessibile da diversi punti di vista, prima di tutto quello economico.

Vogliamo sottrarci anche a una narrazione delle Olimpiadi come un evento di “orgoglio nazionale” e allo stesso tempo un momento di pace, si diceva koinonia tra le nazioni, e di grande armonia. Come già abbiamo visto solo nelle più recenti vicende dei giochi di Rio e Londra, espulsioni e sfratti di massa e repressione delle proteste hanno mostrato il lato violento del grande evento sportivo. Ci sottraiamo a quella narrazione di un’Olimpiade pacificata e pacificante, “la pace per fare quello che voi volete”: non la stavamo aspettando, non batteremo le mani al passaggio della fiaccola olimpica, non saremo parte dell’olimpiade diffusa, non accoglieremo i turisti, non lucreremo sulla città e chi vi abita. Non saremo ingranaggio della macchina del consenso.

Sin dalla candidatura il tandem Milano-Cortina si è distinto per l’assenza di trasparenza e condivisione dei progetti con le popolazioni locali e per la mancanza di qualsiasi tipo di dibattito pubblico. Una narrazione accattivante, nel solco della solita “economia della promessa”, infarcita di retorica green e social, per costruire il consenso e far passare nell’opinione pubblica che i miliardi stanziati dai vari decreti legge siano “spesi a fin di bene”. Nell’ipocrisia di un evento venduto come “a costo zero”, abbiamo ormai superato i tre miliardi di euro di fondi pubblici allocati (fine novembre 2023); sebbene promosse sin dall’inizio come le “Olimpiadi della sostenibilità”, la maggior parte degli investimenti riguardano invece consumo di suolo, spreco di acqua in tempo di siccità sistemica, cementificazione e incentivi al traffico su gomma – non è un caso che Eni sia tra i maggiori finanziatori dell’evento. Il “pacchetto olimpico” esplode così di opere calate dall’alto, là dove i bisogni e i desideri di chi vive realmente quei luoghi sono tutt’altri e restano inascoltati. Un esempio su tutti è Cortina, dove si era scelto di espropriare e abbattere un lariceto secolare e spendere oltre 120 milioni di euro per ricostruire una pista da bob, in un’area montana con servizi pubblici in crisi e le unità socio-sanitarie che chiudono i bilanci con perdite milionarie. Un’eredità di debiti e opere inutili si distribuisce così sul territorio, per rispondere a nient’altro che un istinto predatorio di consumo della montagna.

E cosa dire della continua promessa di benefici mirabolanti sul piano economico (siamo arrivati a 4,5 mld di euro di ritorni economici a detta loro), quando di fronte abbiamo ancora l’esempio dei debiti delle Olimpiadi di Torino 2006 che hanno destinato il capoluogo piemontese a una depressione economica e sociale permanente? O della retorica sul piano occupazionale, quando sappiamo benissimo quali lavori e a quali condizioni l’organizzazione del grande evento genera: precari e malpagati nelle filiere del turismo e della ristorazione, con scarsa sicurezza e tutele nei cantieri e nella logistica, gratuito per chi presterà servizio nelle settimane dei Giochi nei vari staff per biglietti, ricevimento, stewards e hostess secondo un modello di volontariato per i grandi eventi privati, sdoganato con Expo 2015 e destinato a intossicare in modo permanente il mercato del lavoro.

Che cosa sosteniamo?
Oltre la monocultura dello sci su pista: reimmaginare l’inverno

La vorace macchina olimpica non trova dialogo con le comunità, lasciando in eredità opere costose da gestire e destinate all’abbandono, come già accaduto per i Giochi invernali di Torino 2006. Tra gli interventi, oltre all’ampliamento di impianti e piste da sci, si assisterà all’aumento di altre strutture funzionali alla pratica dello sci di massa (alberghi, parcheggi, impianti a fune, ristoranti, strade…). Tutto questo in un contesto di crisi profonda dell’industria sciistica, ormai giunta a un punto di non ritorno e incapace di stare in piedi dal punto di vista ecologico, energetico e non ultimo economico. Trovare una risposta alla crisi della montagna come divertimentificio non è semplice ma di sicuro sosteniamo un ripensamento del turismo invernale montano. Il modello proposto dal ticket Milano-Cortina ricalca invece traiettorie opposte, insostenibili e indesiderabili.

Al culmine di una crisi idrica senza precedenti, il 2023 ha visto la prima grande mobilitazione diffusa contro la opere nocive e imposte dalle Alpi agli Appennini: per “reimmaginare l’inverno”, in diversi territori sono nati comitati per opporsi alla costruzione di nuovi impianti a fune, bacini per l’innevamento artificiale e altri interventi di ampliamento e collegamento tra comprensori sciistici esistenti. A fronte di un cambiamento climatico, che rende sempre più insensato sciare al di sotto di certe quote, e che anche ad alte quota palesa la sua insensatezza con piste tracciate scavando ghiacciai perenni, desideriamo un futuro diverso per la montagna, mettendo in discussione l’offerta di servizi e divertimento ad ogni costo che non possiamo più permetterci, rivolta per lo più alle classi più ricche della popolazione urbana. L’opposizione e la critica ai Giochi olimpici invernali pone dunque le basi anche per un cambiamento non solo economico e ambientale, ma anche culturale del nostro sguardo sulle Terre Alte.

Dalla città a misura di eventi (privati) al diritto alla città
La Milano a misura di Olimpiadi è la versione amplificata e futura della città che già viviamo da due decenni a questa parte, che alimenta se stessa in maniera bulimica con eventi per rimanere attrattiva a chi non vi abita, ma sempre più insostenibile per chi deve viverla nella quotidianità. Sosteniamo una città diversa: sosteniamo gli spazi dello sport popolare e, attraverso questa pratica, sosteniamo la costruzione di uno sport inteso come socialità, come benessere psicofisico, come pratica antifascista, antirazzista e transfemminista. Sosteniamo uno sport accessibile a tutti, sosteniamo la pratica dell’autogestione e della costruzione di collettività resistenti. Mentre continuano gli sgomberi in città, sosteniamo il moltiplicarsi di questi spazi liberati.

A Milano le Olimpiadi stimoleranno i già preoccupanti processi di privatizzazione, finanziarizzazione e cementificazioni di grandi aree pubbliche verdi. A livello di nuovi servizi e nuove strutture pubbliche e accessibili, per esempio nel campo della pratica sportiva, non vi sarà alcuna integrazione a quanto già presente. Anzi, la privatizzazione di ex strutture di MilanoSport, la partecipata del Comune di Milano che dovrebbe garantire un’accessibilità diffusa alla pratica sportiva a basso costo, è divenuta una realtà sempre più rilevante con cui confrontarsi (in particolare richiamiamo alla memoria il Lido, la più grande piscina all’aperto ora non più di MilanoSport). Il PalaItalia è un’operazione di privati che stimolerà i circuiti commerciali di questi e come lascito ci porterà non sport, ma extracosti (di denaro pubblico) e grandi concerti, su cui ad essere positivi possiamo sperare si calino nuove orde di autoriduttori.

Ciò che più spaventa, poi, è la prospettiva per il diritto all’abitare e l’accessibilità più in generale alla vita urbana in un contesto in cui il valore immobiliare delle zone che vedranno svolgersi gran parte delle attività urbane dell’evento sportivo sta aumentando, con una ricaduta a livello metropolitano e conseguente espulsione di abitanti a medio e basso reddito. Corvetto, quartiere popolare del sud della città, e tutto il quadrante della periferia sud est che scende fino a Rogoredo, è la zona che promette di acquisire valori inaspettati (ad oggi si parla di una crescita di circa il doppio della media cittadina), sfruttando il basso valore iniziale rispetto al resto della città. Nuovamente lo sfruttamento del territorio offerto in pasto a finanza e costruttori peserà in maniera ancora più drammatica sui costi dell’abitare ormai insostenibili per chi vive attualmente in questi quartieri. Sullo sfondo l’approssimarsi di una possibile bolla immobiliare con prossima ormai nuova crisi che in questo contesto avrebbe effetti esplosivi. A chi quindi il grande evento fa comodo, se non agli interessi del settore turistico e quello delle grandi società del settore immobiliare che sempre di più si impossessano della città? Le Olimpiadi a Milano sembrano rientrare oggi a pieno in quel modello che produce grandi narrazioni e nuove immagini, promuovendo marketing e spettacolarizzazione, i cui costi saranno pagati da tanti a favore dei pochissimi.

Siamo consapevoli che a poco più di due anni di distanza dalle Olimpiadi 2026 chiederne l’annullamento e l’azzeramento di tutte le opere previste, per quanto resti l’opzione più logica e sensata, è concretamente molto difficile; ma allo stesso tempo riteniamo necessario e possibile mettere in campo a Milano, in Valtellina, nelle valli dolomitiche, tutte le iniziative e le azioni possibili per ostacolare, bloccare, cancellare la realizzazione di tante opere inutili, siano infrastrutture o impianti di gara, previste dal dossier olimpico, evitando inutili sprechi di denaro (come per i palazzetti del ghiaccio temporanei in Fiera a Rho o la ristrutturazione della pista da bob a Cesana), ulteriori devastazioni ambientali o consumo di suolo. Così come riteniamo necessario che si attivi nella città di Milano un moto di rivolta verso il modello urbano che le Olimpiadi contribuiscono ad alimentare e che nega il diritto all’abitare e alla città ai suoi stessi abitanti. E, guardando al futuro, nel solco di quanto già sta accadendo in altri Paesi con Olimpiadi in fase di organizzazione o appena svolte, riteniamo importante che cresca e si consolidi un movimento globale che superi l’attuale modello organizzativo non più sostenibile dei grandi eventi sportivi. Che da qui al 6 febbraio 2026 e per tutta la durata delle Olimpiadi i territori interessati dalle opere per i Giochi Milano-Cortina rompano la “pax olimpica”: ribadiamo che le nostre vite non sono un gioco e diciamo basta allo sfruttamento senza limiti di montagne, territori, acqua, beni comuni urbani e ambientali per estrarre profitti a beneficio di pochi.

Rassegna stampa pre e post-corteo (in aggiornamento)
Un ringraziamento particolare ad Alberto Abo Di Monte.

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Milano-Cortina, un corteo contro le Olimpiadi Insostenibili ultima modifica: 2024-02-17T05:01:00+01:00 da GognaBlog

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11 pensieri su “Milano-Cortina, un corteo contro le Olimpiadi Insostenibili”

  1. Giro d’Italia 2024 con arrivo e ripartenza da Livigno: risultato nuovo asfalto e cemento sulle piste del Mottolino. È la stessa situazione delle olimpiadi ma solo più in piccolo. 

  2. Ciao Marcello, grazie per il contatto, ma non vorrei disturbare inutilmente, se davvero esiste un comunicato pubblico.

  3. 5# per l’appunto testi e teoria, la realtà e le maestranze sono sotto gli occhi di chi sa osservarla,oltre che a tutti gli altri ovviamente .
    Rigore nelle qualità, percentuali e campioni cls se ne vede davvero poca.
    A parte il ferro ovviamente a  percentuale…il resto pare scarseggi.
     
     

  4. A PARIS, c’est la même folie.
    Ces J.O. n’ont rien à voir avec  le sport.
    Ils ne profitent qu’aux riches et aux excités.

  5. Sig Mereu si legga i testi di tensione e compressione dei materiali in cls e via discorrendo poi vi sono anche parti prematuri…ma non dovuti al risparmio economico

  6. Nel frattempo cemento a go-go, purtroppo.
    E anche di scarsa qualità, purtroppo. 
    Vedi Firenze ieri .

  7. Buongiorno Franco,
    c’eri anche tu in manifestazione sabato scorso a Milano?
     
    Hai un link alla comunicazione del presidente delle guide (suppongo alpine) riguardo al servizio in elicottero?

  8. Aderisco alle proteste e alle manifestazioni. Aggiungo che ogni anno cè un grande evento che il grande pubblico lo segue da casa, mentre esiste una Elite ricchissima che va direttamente sul posto: pretende eliporto,areoporto,hotel 5* super,ristoranti stellati, ecc. Nel 26 accadrà a Cortina che sarà trasformata in una super giostra, ma con la Elite che starà pochissimmo e benissimo,e che non sa nulla della Tofana o della pista da bob.
    Intanto da due anni funziona l’ elicottero taxi che decolla da 5 croci o fiames e vola a Arabba e viceversa (siamo in veneto è legale) oppure ti porta con le GUIDE (vedi sito web o dichiarazione recente del Presidente nazionale guide a favore) sulle cime più ardite : Pelmo,Civetta,Antelao,Cima nera.
    Penso che dobbiamo premere la regione per modificare la legge.
    Penso che siamo gli ultimi a protestare,ma dobbiamo farlo.
    Grazie a tutti voi  , franco tosi

  9. I vari articoli, sopra esposti, ripetono più volte: 4000 miliardi buttati. La cifra all’incirca è quella. La cifra stimata, beninteso, perché a consuntivo non si sa e sicuramente NON sarà inferiore, anzi…
     
    Stornando quella cifra da un obiettivo beota come le Olimpiadi 20226, quanti finanziamenti in più si potrebbero fare per il sistema sanitario? Quanti asili nido nuovi? Quali politiche di sostegno alla famiglia e alle madri-lavoratrici? Quanta decontribuzione lavorativa per rilanciare le assunzioni? Quante iniziativa di acculturamento dei ragazzi delle aree degradate (Caivano, borgate romane periferiche, ecc)? Potrei continuare all’infinito.
     
    Con tutte le magagne che abbiamo, come paese, e nell’impossibilità di finanziare le rispettive iniziative con nuovo deficit (per il pesantissimo debito che già ci opprime), distogliere cifre così “rotonde” (per investirle nelle Olimpiadi)  è contro ogni buon senso. Il soddisfacimento dello spirito olimpico lasciamolo a chi può permetterselo (monarchie arabe, Cina ecc), per noi è togliere pane dalle bocche affamate (immagine metaforica, che rende bene l’idea). In più ci sono tutti i danni ambientali per la miriade di scempi cementificati che resteranno nel tempo come scheletri di dinosauri (vedasi pista di bob di Cesana, abbandonata da 15 anni…).
     
    Le mie prese di posizioni, molto severe (perché sono anti eventi sportivi macroscopici, ormai ricercati solo per distribuire soldi), rappresentano la dimostrazione che queste battaglie non sono solo di “sinistra”. La destra sociale è sensibile al tema. Purtroppo i già citati beoti consumistici sono anche elettori e ciò fa leva sui politici. le Olimpiadi sono state volute e deliberate negli anni scorsi, con una convergenza bipartisan (ovvero è interesse sia della destra che della sinistra strumentalizzare ipocritamente la domanda di spirito sportivo per concretizzare la distribuzione di sghei).
     
    I primi che “esigono” le Olimpiadi 2026 a casa loro sono veneti e lombardi, salvo rare eccezioni illuminate. Tutti si nascondono dietro lo scudo ipocrita dello “spirito olimpico”, ma la realtà che interessa è la distribuzione di sghei. Andate dai cortinesi a dire loro: “Cari amici coritnesi, state tranquilli, lo spirito olimpico lo tuteliamo lo stesso, ma anziché fare la ricostruzione della pista di bob qui a Cortina, faremo una cosa alternativa. per esempio recupereremo uno stabilimento abbandonato in quel di Pioltello (hinterland milanese), lo alzeremo come fosse un palazzo di 30-40 o forse 50 piani e, dentro, in perfetto clima refrigerato, faremo una pista di bob eccezionale. Vedrete, cari amici cortinesi, che saranno tutti contenti: atleti, allenatori, giornalisti e spettatori”.
     
    Pensate che, dicendo cose del genere, i cortinesi vi baceranno per la contentezza? Ma ‘sto pesce! Vi tireranno dietro le pietre! Infatti se la pista da bob si fa a Cortina, i relativi soldi sono distribuiti a gente del luogo o quanto meno a veneti (imprese e privati). Se la pista si fa a Pioltello, incasseranno aziende lombarde e relativi residenti.
     
    Inoltre se le gare specifiche si fanno a Cortina, la mole di atleti, allenatori, massaggiatori, dirigenti, giornalisti, cameramen, alimenterà il settore turistico-alberghiero della zona (tutti mangiano, bevono e dormono per 10-15 gg in area). Se le gare si fanno a Pioltello, quel business specifico andrà nelle tasche di lombardi.
     
    Ebbene, altro che “spirito sportivo”! Ciò che muove il desiderio di queste ipocrite manifestazioni sportive è solo la voglia di arraffare denaro. Si strumentalizza la propensione degli spettatori (sia di persona che in TV) per dare una giustificazione a un arraffa-arraffa, cui contribuiscono, dal loro lato, anche i politici che devono farsi eleggere o ri-eleggere (vedi Veneto, bagarre sul terzo mandato ecc ecc ecc).
     
    Giustissimo protestare contro questo modello aberrante. Mi associo e ideologicamente sfilo con i manifestanti di Milano di sabato scorso. Ma le proteste otterranno dei risultati concreti? Purtroppo temo di no, almeno nell’immediato. Il modello (il già citato triangolo maledetto: imprenditori affaristi-beoti consumisti-politici in campagna elettorale) si è incancrenito profondamente nella società consumistica, ne fa ormai parte e temo che non ce ne libereremo mai più. Per cui anche se riusciamo a vincere una singola battaglia (può essere, a titolo di esempio, quella sul rifacimento della pista di bob di Cortina), la guerra è persa, a meno di una crescita di consapevolezza generale della popolazione. 
     
    Questo è l’obiettivo strategico: puntare a educare l0opinione pubblica affinché, in futuro, siano gli stessi cittadini a distogliere ogni ambizione perversa espressi da imprenditori e politici. Quanto i cittadini-elettori non saranno più consumatori beoti di sport “artificiale”, il triangolo maledetto potrebbe finalmente rompersi. Ma… tempi lunghi, lunghissimi. Nel frattempo cemento a go-go, purtroppo.

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