Metadiario – 167 – La via dei Fiorentini alla Nord del Pizzo d’Uccello (AG 1992-004)
Dopo le vacanze a Cimolais fu ancora tempo di Levanto, visto che avevamo la casa affittata ancora per settembre. Il 28 agosto 1992 andai ancora in Apuane con Mauro Curzio, che veniva da Loano in moto. Volli tornare al Solco d’Equi, e questa volta salimmo Gaetano Bresci, Eroe dell’Anarchia, una via a spit abbastanza insulsa, dove neppure Mauro riuscì a salire come si sarebbe voluto. Dopo quattro lunghezze ricche di artificiale approdammo alla congiunzione con Aquila Solitaria. E da lì, rinunciando alle ultime due lunghezze, scendemmo a doppie. La via, aperta da Paolo Cosseddu nel 1987, avrebbe voluto rendere omaggio a Gaetano Bresci, colui che assassinò il re Umberto I il 29 luglio 1900. A prescindere da qualunque giudizio storico su quel regicidio, la via non è all’altezza, per come è stata chiodata, di celebrare alcunché. Peccato, perché per il resto della sua attività Cosseddu si è distinto. Quando il 28 novembre 2020 morì di CoVid, il CAI di Massa scrisse: “Ciao Paolo, in questa tua ultima scalata vogliamo guardarti dal basso, leggero come sempre, con il tuo sorriso e le tue battute sempre pronte. La montagna era il tuo mondo, sulle pareti di tutta Italia e nelle forre hai lasciato il tuo segno, hai permesso ad altri di poter amare le varie attività a cui ti eri avvicinato. E tutto questo in silenzio, senza protagonismi, senza quel clamore che anche tu sapevi avrebbe disturbato la montagna. Per gli amici e le amiche eri un punto di riferimento, eri la persona a cui chiedere, sapendo che sempre sarebbe arrivata una risposta, precisa, puntuale, documentata […]”. Con l’attuale chiusura all’arrampicata del Solco d’Equi, Gaetano Bresci, Eroe dell’Anarchia è caduta definitivamente nel dimenticatoio.
Il giorno dopo ci dirigemmo al Monte Bardaiano 1409 m, l’estrema propaggine occidentale della parete nord del Pizzo d’Uccello. La parete di questa sommità fu l’ultima ad essere salita delle pareti apuane. Non tra le più alte (350 m) ma di una verticalità quasi assoluta, compatta, perfino leggermente strapiombante nella metà inferiore. Dopo la salita della parete sud-ovest del Monte Nona (primavera 1966), rimaneva appunto la Nord del Bardaiano ancora da salire. Mario Piotti s’intestardì e chiodò a più riprese la prima parte di parete assieme a Marco De Bertoldi, usando parecchi chiodi a pressione. Poi terminò l’apertura assieme a Gianni Calcagno, il 27 maggio 1970. Con Mauro non avemmo difficoltà a ripeterla: dopo i primi metri in cui tentammo di salire in libera, prevalse il buon senso e ci limitammo a percorrere le orme dei nostri illustri predecessori con gli stessi sistemi. Anche se loro avevano scarponcini rigidi e staffe con gradini di metallo mentre noi salivamo con scarpette e staffe di larga fettuccia. La parte alta offre delle belle lunghezze in arrampicata libera. Triste destino di questo genere di vie. Nella guida Toscana pareti (giugno 2021), la Nord del Bardaiano viene appena citata di sfuggita, perché, data la presenza di vecchi chiodi a pressione, giudicata non meritevole d’essere proposta. Ma è in bella compagnia: anche la via Licia (Agostino Bresciani e Mario Piotti, 1969), la via dei Fiorentini (o via Direttissima, Giovanni Bertini, Emilio Dei, Michele Lopez e Mario Verin, 1971) e la via della SUCAI Genova (Eugenio e Gianluigi Vaccari, 1966), cioè le vie storiche della parete sud-ovest del Monte Nona, non sono descritte.
La settimana dopo il Bardaiano mi misi d’accordo con Marco Marantonio per andare a salire il 5 settembre la via dei Fiorentini alla parete nord del Pizzo d’Uccello. Prima che Roberto Vigiani e Federico Schlatter aprissero (1985) il mitico Muro delle Ombre sulla stessa parete, via temutissima per gli estremi passaggi in arrampicata libera, era proprio la via dei Fiorentini ad essere considerata la via più difficile delle Apuane. Responsabili di quel capolavoro erano stati Mario Verin, Giovanni Bertini e Leandro Benincasi nel 1969. Salirono diritti tra la classica via Oppio-Colnaghi (Nino Oppio e Serafino Colnagni, 2 ottobre 1940) e la via Diretta dei Pisani (Elso Biagi, Angelo Nerli e F. Zucconi, 1966).
Ecco come Benincasi racconta questa salita: “La partenza è quella classica della via Oppio, ma già dopo il primo tiro Mario abbandona la facile fessura che porta all’inizio del traverso e sale su una liscia placconata. E’ già un inizio pesante, ma il meglio viene dopo, quando, giunti sulla cengia del traverso, Mario tira dritto per un diedro strapiombante molto difficile. Poi la salita prosegue con un lungo tratto facile che saliamo quasi di conserva. In tutto questo tratto ci alterniamo al comando. Più in alto arriviamo all’altezza della fessura diedrica della Oppio. Qui ci portiamo alla base del lungo camino che caratterizza la parete alta della parete. E’ da qui che inizia la parte più difficile e ardita della salita. Dopo aver superato vari muretti verticali di roccia liscia e talvolta di dubbia stabilità, solo nel tardo pomeriggio arriviamo sotto il tratto finale del camino, che ricordo essere costituito da roccia finalmente buona ma molto difficile, con passaggi atletici quasi strapiombanti. Credo che in quei tratti di camino si siano affrontati passaggi di difficoltà fino al 6a. Ho letto qualche tempo fa che durante la prima ripetizione della via, la cordata ha trovato sulla via degli spit (la cordata di cui parla Benincasi è la nostra Gogna-Marantonio, NdR). Se non li hanno messi loro, questo è un po’ un mistero, perché noi certamente, durante la prima, non li abbiamo messi, anche perché a quei tempi gli spit non esistevano. Ma non abbiamo messo neanche chiodi a pressione, avendo usato solo chiodi normali. A parte questo interessante interrogativo, la via tracciata prenderà il nome di Direttissima, anche se nella Guida dei Monti d’Italia è erroneamente chiamata via dei Fiorentini”.
Era parecchio tempo che non arrampicavo più con Marco. Lui nel frattempo si era trasferito in Versilia, ed è per questo che abbiamo potuto reincontrarci. Purtroppo mi disse subito che non era molto allenato e che, se volevo andare a picchiarmi nella prima ripetizione della via dei Fiorentini, lui avrebbe fatto solo da secondo.
La via fu all’altezza della fama. E, considerato che noi al contrario dei primi salitori arrampicavamo con le scarpette e avevamo friend e nut, alla fine della salita ci fu chiaro che la prestazione di Mario Verin nel 1969 era stata eccezionale. Più volte, nella parte finale della salita, mi ero trovato su passaggi molto difficili con l’ultima protezione assai distante: è una roccia che non si presta molto all’uso dei nut e dei friend, ma senz’altro ne potei mettere qualcuno, a differenza di Mario… In quei momenti, come rapido flash, mi apparve la domanda “che ci faccio io qui?”. E rimane comunque il mistero dell’uno o due spit (non ricordo bene), che certamente non mettemmo noi e che incontrammo, probabilmente piantati durante un tentativo di ripetizione.
Il weekend successivo, sabato 12 settembre 1992, con Bibi e Petra sulle spalle ci facemmo il sentiero n. 2 delle Cinque Terre, da Riomaggiore a Vernazza. Fu una gita rilassante su un sentiero che non avevo mai percorso integralmente. Le mie amate mi diedero tutto il bene che potevo desiderare ed io mi lasciavo emozionare dai loro sorrisi. Sì, perché anche Petra sorrideva, a meno che non dormisse o avesse fame.
Il giorno dopo avevo appuntamento con Roberto Vigiani, che mi portò a fare la via Fantastica sulla parete sud-ovest del Monte Nona: nove lunghezze di puro piacere arrampicatorio, specie se si è pienamente all’altezza delle difficoltà. Questo non si poteva dire di me, specialmente sul 7b del secondo tiro… In ogni caso un capolavoro, sia pur aperto dall’alto (1990), quello di Stefano Funck e Fabrizio Convalle.
Il fine settimana seguente mi recai da solo ai festeggiamenti che Cimolais faceva in occasione del novantesimo dalla prima salita del Campanile di Val Montanaia. La mattina dopo, 20 settembre, assieme a Mauro Corona salii la via normale del Campanile. Lui era vestito da alpinista dei primi del Novecento: mentre come guida faceva la sua bella figura, con quei capelli e la barba, con la signorilità dei primi salitori Viktor Wolf von Glanvell e Günther von Saar non ci azzeccava molto…
Poi fui preso dalle mille menate del lavoro. Un ottobre denso, faticoso, forse eravamo cresciuti troppo in fretta e avevo difficoltà a trovare lavoro adeguatamente remunerativo. In quel periodo imparammo tutti a usare le e-mail. Microsoft Outlook aveva elaborato in modo commerciale il proprio sistema ed eravamo assai meravigliati nel vedere con che facilità si poteva comunicare, con lo scambio di testi e di immagini. Era la morte accelerata del fax, che sempre ci aveva fatto penare con le caratteristiche intermittenze e le fragili stampate. Certo, il fax era meglio del telegramma, del telex e soprattutto delle poste italiane, ma non se ne poteva più.
Trovai il tempo, il 18 ottobre, di salire da solo fino quasi in vetta alla Cima delle Dune 1417 m partendo da Albònico (dove avevo lasciato Bibi e Petra) e passando per l’Alpe dell’Oro. Questa cima è un arrotondato rilievo che domina il Lago di Novate Mezzola. Lo scopo era quello di indagare posizione e logicità delle vie di Ivan Guerini, allo scopo di riportarle nella guida della Mesolcina e dello Spluga che stavo lentamente mandando avanti assieme ad Angelo Recalcati (avevamo incominciato nel 1983 ed eravamo ancora ben lungi dall’aver finito…).
Il primo di novembre mi unisco per la prima volta agli amici di Marco Milani, in particolare Matteo Pellegrini, Elena Orlandi e Luigi Canali. Facciamo una sola macchinata da cinque e ci dirigiamo, oltre il tunnel del San Gottardo, al Lago dei Quattro Cantoni. Per tutto il viaggio il tempo faceva veramente schifo, dopo il San Gottardo con pioviggine persistente, ma le previsioni svizzere davano sereno in quota e dunque non demordevamo. Giunti a Sisikon, cominciammo a salire verso Riemenstalder, piccola frazione ancora immersa in un grigio scoraggiante. Soltanto all’ultimo tornante prima del posteggio a 1160 m scoprimmo che forse la meteo aveva ragione. Pochi metri al di sopra c’era un cielo blu novembrino con una luce fantastica. Al ritorno all’auto, in discesa ci ritrovammo ancora nella pioviggine, ancora fino al San Gottardo. Al di là di questo nitido ricordo, non ho altri particolari da raccontare se non che abbiamo fatto una bellissima via in un’atmosfera amichevole di cui conservo ancora il piacevole ricordo. Purtroppo il 5 giugno 1993 Elena ci avrebbe lasciati in circostanze tragiche, scivolando dalla Gengiva del Dente del Gigante. Aveva solo 31 anni. L’itinerario che avevamo scelto era la via Schelbert-Anderrüthi alla parete sud-est dell’Holzerstock 1772 m. La via (160 m di V, VI e VI+) era stata aperta nel 1968 da Albin Schelbert (sì, quello della via degli Svizzeri alla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo) e Franz Anderrüthi.
Le previsioni per il 14 novembre non erano incoraggianti, ma l’amico Andrea Savonitto ci aveva invitati per una festicciola al rifugio Motta 2142 m, del quale aveva preso da poco la custodia. Questa costruzione è situata poco sotto al Monte Motta, su un bellissimo terrazzo panoramico sull’Alpe Palù, in Valmalenco. Presa la funivia che da Chiesa Valmalenco porta a circa 2000 m nei pressi dell’Alpe Palù 2007 m, ci rendemmo conto che le condizioni erano abbastanza proibitive: tirava vento gelido, il cielo era grigio pesante ma non poteva promettere neve, dato che la temperatura si aggirava sui -15°. Il problema era naturalmente di fare in modo che la povera Petrina non avesse da soffrire: non è che potessimo coprirla così tanto da impedirle di respirare… Per fortuna il dislivello non era tanto e, dopo una ventina di minuti, potemmo arrivare al rifugio. Questo era stato chiuso per qualche settimana e, quando Andrea (il Gigante) ne aprì la porta, ci trovammo di fronte a uno spettacolo sconvolgente: l’intero pavimento del rifugio era completamente ghiacciato di un verglas spesso al minimo una decina di centimetri.
Meno male che eravamo una decina di persone: tutti si attivarono con picconi e piccozze per cercare di spaccare la superficie ghiacciata e quindi poter camminare all’interno senza ramponi (che peraltro nessuno aveva portato). Nel frattempo il Gigante si affannava per accendere la stufa, l’unica fonte di riscaldamento del locale. Ma anche quella faceva le bizze e fu attivata solo dopo grandi sforzi e bestemmie. Nel frattempo Bibi, con in braccio Petra, batteva i piedi per cercare di scaldarsi… Dopo due ore si sforzi finalmente la stufa cominciò a funzionare, mentre gran parte del ghiaccio era stata gettata fuori. Naturalmente il calore così faticosamente guadagnato provocò un fastidioso picio pacio sul pavimento. Cercammo di arginarlo con l’uso di stracci da strizzare fuori sul terrazzo (dove il termometro era a -18°), e questo voleva dire aprire continuamente la porta e non riuscire ad avere una temperatura interna decente. Insomma, una tragedia. Per alleggerire la situazione, non trovai di meglio che ricordare a Bibi la famosa domanda che lei mi aveva fatto anni prima nel rifugio del Toubkal in Marocco: “Ma, Ale… i rifugi sono tutti così?”. Il disagio ebbe pausa solo all’ora di cena, che il povero Gigante riuscì ad allestire tra mille sigarette e imprecazioni. Ma non era finita: immaginate in che condizioni erano le brande e le coperte. Per fortuna avevamo portato i sacchipiuma!
Ugualmente rigida, ma senza tutte quelle complicazioni, fu la gita che facemmo, sempre noi tre, al Monte Mottarone, il 28 novembre. Il giorno dopo salii con Marco Milani alla Cima delle Dune (anche chiamata il Balzùn) per una via di Ivan Guerini sullo sperone est, Gambe da un milione di dollari, da lui aperta assieme a Tiziano Capitoli, Alba Preda e Paola Ravarelli il 31 maggio 1981.
Ringrazio Alessandro Gogna di avere pubblicato la relazione che Alessandro Bertagna , alpinista camaiorese, scrisse nel 1993 dopo la ripetizione della diretta dei Fiorentini assieme a Giancarlo Franceschi di Viareggio. Un bel documento storico in ricordo di Alessandro Bertagna, dalle sue parole si può percepire la sua forte passione alpinistica.
da buon camaiorese un pò di campanilismo non guasta…????
se vogliamo essere precisi i fratelli Ceragioli sono di Camaiore nati nel paese di Metato dove c’e una piazza a loro dedicata. Poi trasferiti a La Spezia.
È vero fu loro il grande tentativo prima di Oppio e Colnaghi, a dimostrazione della loro visione e abilità.
@ MG al 3. Fatta l’altro ieri, vedendo appesi qua e là tre Freccia Rossa, due Italo e un Locale! Teribbbile!!!
@17 è vero. Sergio e Vinicio Ceragioli, originari del camaiorese; Sergio che ho conosciuto quando ero un bambino, faceva il calzolaio a La Spezia e aveva una bottega con foto e racconti che mi incantavano, una persona umile – come tutti i grandi veri – ma di incredibile capacità (sua la capanna Ceragioli, la ovest del procinto lo spigolo del sumbra, la so del contrario, per dire le più rilevanti).
In quella bottega c’era anche il manico del martello che si era rotto sulla nord, credo poco sotto la fessura diedrica, obbligandoli a rinunciare (almeno questa era la storia narrata).
Gente che partiva da spezia in bici e faceva salite che ancor oggi incutono rispetto.
Senza nulla togliere al valore della salita effettuata per intero dai milanesi Oppio e Colnaghi credo sarebbe opportuno ed onesto ricordare che metà di questa via era già stata aperta anni prima dai fratelli Ceragioli di La Spezia. Lo stesso Oppio fa cenno in una sua relazione ad un piccolo ometto di sassi incontrato lungo la via a metà parete lasciato probabilmente nel punto massimo raggiunto in precedenza dai fratelli Ceragioli.
Se è per questo anche la ovest del Drù con, aimè, gran parte del pilastro Bonatti è franata. Quindi non bisogna avere dei pregiudizi ma obiettività e buon senso. Ad esempio sul Corchia ci sono tante vie di buona se non ottima roccia.
@barbolini – ho premesso che la questione è soggettiva.
certamente esistono vie più rotte, anche in Apuane (sw contrario, ONO pizzo saette, molte vie al corchia, SUmbra, Roccandagia), anch’io ho salito la nord una trentina abbondante di volte per varie vie e in diverse stagioni e configurazioni, sapevo cosa andavo a trovare e me la sono gestita
ciò non toglie che – pur amando quel luogo – si possa recuperare un margine di obiettività e rappresentare a chi ci va per la prima volta che si va a infilare in un posto assai particolare che, a me pare, negli ultimi anni è peggiorato.
Magari anche la livanos alla su alto sembrava buona, prima che venisse giù.
La vita, come diceva qualcuno, è tutto un quiz.
Carlo, è vero anche questo.
Infine, nel 2011 ho “ristrutturato” le due scritte “lotta continua” e “potere alle masse” che risultavano un po’ sbiadite. Sono risalenti agli anni ’70. Rappresentano dei punti di riferimento ormai essenziali e storici.
@Sandro (capo) … ricordo un tentativo al Muro delle Ombre (Vigiani-Schlatter) finito prima di cominciare, nella notte sotto il diluvio, con te e Popi (i vecchi) che dormivate in auto e io e Daniele Fiorelli (i giovani) che dormivamo sotto l’auto per ripararci… Mi spiace non essere riuscito a toccare la via di roccia più “ingaggiosa” delle Apuane!
Ho salito la nord del Pizzo d’Uccello 58 volte (la prima a 16 anni) divise tra oppio, biagi nerli, via della gola, biagi di sinistra, ratti martini, gran diedro piotti, d’estate, d’inverno, con la pioggia, sotto il temporale, con la neve, con allievi dei corsi, amici, amiche, da solo (compreso la Biagi Nerli), mai bivaccato, ma non mi sono mai lamentato della qualità della roccia. Anzi, ho trovato molte vie in dolomiti ben più “rotte” .
Molte grazie MG e Alberto.
Faccio tesoro dei consigli.
Buone salite
Benassi “anche se anche lì non bisogna allentare la guardia soprattutto si si ha qualcuno davanti.”
considero la oppio come le cascate. se ho qualcuno davanti giro i tacchi
ho scritto a sinistra, ma era orografia, guardando la via della gola è a destra 🙂
ma anche quello che si vede a sinistra salendo non è confortante quanto a solidità
@6 la oppio è sufficientemente ripulita e presenta, a mio avviso, la pericolosità di tutte le vie classiche Apuane. I camini in alto, per arrivare in cima al pilastro, sono la parte più a rischio perché quel che cade li dentro è più difficilmente scansabile.
Ciò che a me ha colpito molto, però, nelle ultime ripetizioni è un generale peggioramento della parete (tanto che a sinistra, verso la via della gola ci sono stati crolli significativi), non so se dovuto al passare del tempo, al lavoro del ghiaccio sulla roccia, ai terremoti che negli ultimi anni qualche scossone lo hanno dato, sta di fatto che dalla sosta in vetta al pilastro, per uscire in vetta (gli ultimi due tiri), c’è un pò di roba appesa (dalla borsa frigo alla vettura di media cilindrata), che a me ha fatto del tutto passare la voglia di ripassare di lì.
anche il tiro per alzarsi dal pilastro l’ho trovato notevolmente peggiorato rispetto a solo venti anni fa. un marcione poco piacevole.
E’ ovvio che poi l’apprezzamento del marcione, del rischio e della pericolosità sono dati relativi e soggettivi e ognuno ha i propri. La oppio e in generale le vie sulla nord (quando ero scemo, o comunque più scemo di adesso, feci la via dei genovesi in estate per vedere come sarebbe poi stata d’inverno e ne trassi spunti per invocazioni divine nei mesi a venire) non sono mai state vie verdoniane e un pò di attenzione un po di rischio e un pò di cautela gli sono sempre stati connaturati.
L’ambiente è grandioso la via, nel complesso, un giro lo merita.
Just my two cents
magari sono peggiorato io invecchiando, ma 40 anni fa non mi ricordavo le corriere appese qua e la, soprattutto sugli ultimi due tiri.
Da anziano quale sono,mi è rimasta una voglia: salire la Oppio Colnaghi alla Nord del Pizzo d’Uccello.
Ammesso e non concesso che per giugno riesca ad allenarmi,davvero è tanto pericolosa?
Domanda che rivolgo a tutti i forti apuanisti del blog.
Grazie
AG
Negli ultimi anni la parete nord ha avuto qualche crollo. Il più grosso quello sopra il giardino pensile della via della Fessura obliqua a destra della Biagi-Nerli.
Efettivamente la roccia sulla diretta dei Pisani (Biagi-Nerli-Zucconi) non è delle migliori, occorre stare molto all’occhio, sopratutto se si percorre la via originale evitando la variante diretta di attacco. anche per la qualità della chiodatura. Sulla vivina Oppio – Colnaghi la qualità è migliore, perché più ripulita dalle ripetizioni, anche se anche lì non bisogna allentare la guardia soprattutto si si ha qualcuno davanti.
Concordo con cominetti. Ho salito la oppio decine di volte. La biagi una per non metterci mai piu piede piu alcuni altri marcioni sparsi e qualche invernale.
È stata la parete dei miei sogni e ardori giovanili e per quello la amo, ma due anni fa all’ennesima oppio, mi sono detto mai piu. Il rischio non vale la candela.
magari sono peggiorato io invecchiando, ma 40 anni fa non mi ricordavo le corriere appese qua e la, soprattutto sugli ultimi due tiri.
Beh…diciamo che su quell’IMMERITEVOLE ci sarebbe da ridire. Spesso queste sono delle sentenze totalmente ingiuste, dettate da una forma di pregiudizio.
La via Piotti-Calcagno al non del Bardaiano è una signora via di grande impegno alpinistico. Di sicuro non ha nulla a che vedere con le vie in artificiale del Nona, come la via Licia, la Vaccari, ect.
Stessa cosa come la Diretta dei Fiorentini sempre sulla nord del Pizzo d’Uccello , altra via di grande impegno alpinistico.
Due vie che mi hanno regalato intense giornate alpistiche.
Senza nulla togliere alla bravura degli alpinisti che hanno aperto queste vie sul Pizzo d’Uccello, considero la Biagi Nerli una delle più brutte vie che ho salito.
Ricordo che il Pizzo d’Uccello era soprannominato l’Eiger delle Apuane ma dopo qualche via sull’Eiger posso tranquillamente dire che bisognerebbe chiamare l’Eiger il Pizzo d’Uccello del Berner Oberland.