Musica nuova sulle Alpi Carniche

Il 10 agosto 2014 c’è stata una grande festa a base di disco music sulle Alpi Carniche, ai 2120 m del rifugio Giovanni Olinto Marinelli (di proprietà della Società Alpina Friulana), base di partenza per le salite al Monte Coglians, la più alta montagna della catena.

Come si vede dal video, con sonoro originale, l’accesso al rifugio era garantito a tutti, con i suv che scorrazzavano su e giù per la stradina di accesso al rifugio e pranzo “alpino” a base di “fiorentine” e champagne.

Il timore che questa nuova e moderna “fruizione” della montagna venga offerta anche da altri rifugi dell’arco alpino è abbastanza fondato.

Il rifugio G. O. Marinelli a Forcella Moraret
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Il primo a segnalare l’accaduto al Messaggero Veneto è stato Roberto Floreanini, il 20 agosto 2014:
Vorrei segnalare ai lettori del Messaggero veneto, e in particolare a coloro che frequentano le montagne della nostra regione, la grande “festa alpina” che si è tenuta domenica, 10 agosto 2014, sulle Alpi Carniche, a quota 2120 m in una zona in cui l’ambiente naturale risultava ancora incontaminato. Quella domenica, son salito per un’escursione al rifugio Marinelli, che sorge a Forcella Moraret, alle pendici del Monte Coglians, di proprietà della Società Alpina Friulana, Sezione CAI di Udine.

Era una bella giornata e assieme a molti altri escursionisti mi son incamminato lungo la stradina di accesso al rifugio. Subito son rimasto stupito, e assieme a me anche gli altri, nel vedere il traffico di grossi suv e fuoristrada che transitavano ad alta velocità avanti e indietro per la strada. Addirittura una giovane camminatrice scout si è vista aspramente redarguire da chi era al volante di uno di questi “mezzi” perché, a suo parere, non si era prontamente spostata sul ciglio della strada vedendolo arrivare: in effetti, il “mezzo” l’aveva anche urtata al suo passaggio.

Chieste da me spiegazioni al passare dell’ennesimo suv, il conducente mi ha risposto che faceva “volontariato” per le “persone che non possono salire” e che inoltre faceva “servizio di trasporto acqua” per il rifugio. In realtà, al rifugio di acqua ne ho vista poi ben poca, mentre si notava il fluire a profusione di ben altri liquidi! Giunto infine al rifugio, la sorpresa è stata infatti ancor più grande, visto il dispiegamento di griglie, birrerie, mescite all’aperto. Il menù a disposizione degli ospiti era tipicamente “alpino”, e includeva fiorentine, costate e champagne.

Ma era la musica a farla da padrona, selezionata da due professionali Dj alle tastiere di un grosso impianto di amplificazione. Il volume e potenza della musica erano tali che credo si potesse sentire distintamente fino al Pal Piccolo e Pal Grande, risvegliando i caduti della Grande Guerra che lì giacciono da quasi cent’anni.

È questa la nuova proposta di “fruizione” dell’ambiente montano della nostra regione? E ancora, raggiungere i rifugi alpini è diventato un obbligo per tutti, anche per chi ha indosso vestitini e sandaletti da città e non è disposto per nulla a usare le proprie gambe?

Certo, visto l’afflusso di gente suv-trasportata, il ritorno economico a fine giornata per gli organizzatori della “festa alpina” sarà stato notevole: temo però che questo risulti un incentivo per i gestori degli altri rifugi a organizzare analoghe “feste” ad alta quota rendendo la montagna del Friuli Venezia Giulia una grande discoteca a cielo aperto. Credo che il nostro ambiente alpino meriti ben altre attenzioni“.

 

Il video pubblicato su youtube

https://youtu.be/i5T5MEqyG04

Le feste con musica nei rifugi dividono chi ama la montagna
di Melania Lunazzi
(pubblicato su il Messaggero Veneto il 22 agosto 2014)

Feste nei rifugi alpini, sì o no? L’evento Scollinando organizzato al rifugio Marinelli il 10 agosto 2014 è sotto i riflettori dell’opinione pubblica a seguito di una lettera di protesta firmata da un escursionista e inviata al giornale, pubblicata ieri. La questione è di quelle da grande dibattito, con schieramenti opposti e polemiche al vetriolo da una parte e dall’altra.

C’è il parere di chi gestisce un rifugio e ha bisogno di far fruttare un’attività per definizione difficile, con la possibilità di rendimento concentrata solamente durante pochi mesi all’anno e in quei pochi mesi, come nel 2014, funestata da un clima da foresta pluviale. E dall’altra chi ama la montagna nella sua dimensione pura e incontaminata, senza folla e senza eccessivo rumore.

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Dal canto suo Caterina Tamussin, al telefono dal rifugio Marinelli, non rilascia dichiarazioni. Risponde David Pesce, dal rifugio Tolazzi: «Ricordo che siamo anche imprenditori e dobbiamo far quadrare i conti. In un’estate così difficile quest’iniziativa ci ha portato un beneficio incredibile. La gente dimentica che non siamo stipendiati, la nostra è un’attività economica senza agevolazioni dal punto di vista fiscale. E poi capita una volta all’anno! Un correttivo, forse, è pensare di avvisare che esiste un sentiero alternativo e che quel giorno c’è un evento particolare, così si può cambiare rifugio».

Anche Gino Caneva, della Staipo da Canobio, si dice favorevole: «Scollinando ha dato lavoro anche a tutti noi. La stagione è andata malissimo e si è risolta ora, in questi 15 giorni. Ho ricevuto 10.000 euro di tasse e devo pagarle anche se il tempo è brutto. Che provino a venire a Collina in novembre e a vedere come viviamo».

Sul gruppo Facebook dedicato al rifugio Marinelli, intanto, i toni si accendono e volano sopra le righe. Tra i difensori dell’iniziativa c’è chi porta ad esempio Lignano rivendicando il diritto al divertimento in quota e chi segnala le feste nei rifugi sudtirolesi.

C’è, di contro, chi ricorda l’articolo 15 del regolamento del Club Alpino Italiano: «Comportamento nei rifugi. Chi entra in un rifugio ricordi che è ospite del CAI: sappia dunque comportarsi come tale e regoli la sua condotta in modo da non recare disturbo agli altri. Non chieda più di quello che il rifugio (in quanto tale) e il gestore/custode possono offrire».

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Il Marinelli, rifugio CAI, è di proprietà della Società Alpina Friulana di Udine. Il presidente, Sebastiano Parmegiani, riferisce di proteste arrivate anche per il concerto di Remo Anzovino del 10 agosto al rifugio Gilberti e ci scrive su Scollinando: «L’iniziativa citata è della gestrice, non della SAF. Ho ricevuto solo la segnalazione del signor Floreanini, del quale non ho motivo di dubitare. Tuttavia, per correttezza ho chiesto una risposta alla gestrice e ulteriori riscontri, in modo da poter avere un quadro completo. In generale, non trovo nulla da eccepire alle iniziative musicali nei rifugi e a quelle che possono attrarre persone che altrimenti a un rifugio non salirebbero mai, ma est modus in rebus… Per questo accerteremo tutti i fatti contestati e ne trarremo le eventuali conseguenze. Se davvero il traffico motorizzato è servito a trasportare persone non disabili e con quelle modalità, se il volume della musica è stato tale da compromettere la corretta fruizione dell’ambiente, ciò sarebbe in contrasto con l’idea che abbiamo della montagna. Ribadisco che voglio accertare i fatti, non voglio farmi fuorviare dalle polemiche. La gestione dei rifugi non ha più i margini di un tempo e la stessa frequentazione è molto cambiata. Le stesse sezioni proprietarie sono strette fra l’aumento dei costi e la diminuzione – chiamiamola pure scomparsa – dei contributi pubblici che fino ad ora hanno consentito ai rifugi di esistere, senza doversi realmente preoccupare del bilancio fra costi e ricavi. Ora i rifugi devono stare in piedi da soli. Gli alpinisti tradizionali sono assai diminuiti, quando non scomparsi, per cui la necessità di generare ricavi in altro modo esiste. Altrimenti i rifugi saranno chiusi».

Allora agevolazioni fiscali per i rifugi o qualche eccezione alla regola una tantum? La questione è aperta. Magari, con toni civili, si troverà il giusto compromesso.

 

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Musica nuova sulle Alpi Carniche ultima modifica: 2016-05-08T05:57:11+02:00 da GognaBlog

26 pensieri su “Musica nuova sulle Alpi Carniche”

  1. 26
    Alberto Benassi says:

    “…..il rifugio non serve ai turisti quando c’è il sole, serve agli alpinisti quando le cose girano male. Anche se ho i viveri nello zaino mangio un piatto di pasta ed una birra,….”

    più che d’accordo.
    Anche io lo faccio. Ma non lo faccio solamente perchè mi sento in debito con il rifugista. Lo faccio anche perchè mi piace stare nel rifugio.
    Mi piace al ritorno di una scalata fermarmi al rifugio. E, mentre si mangia qualcosa, chiacchierare con i compagni e con il rifugista di quello che si è fatto e scriverlo sul libro del rifugio. Ma non per esibizionismo. Lo faccio per la cronaca alpinistica e perchè può essere utile agli altri.
    Chi ancora scrive sul libro del rifugio? Un tempo lo si faceva.
    C’è un rifugio in Apuane. Il rifugio Forte dei Marmi all’Alpe della Grotta sotto il Monte Procinto. A questo rifugio sono particolarmente legato. Ho dei ricordi bellissimi anche se oramai lontani.
    C’è stato un tempo, che per me , questo rifugio, è stato come una seconda casa.

  2. 25
    Lusa says:

    La soluzione per un buon “scollinando” sarebbe abbassare notevolmente il volume della musica.

  3. 24

    Scusa… DAVIDE… non Daniele 🙂

  4. 23

    Concordo appieno Daniele sul dare una mano… Facciamo così visto che iul blog è pubblico e se no ci legge lui di persona magari glielo riferiscono (son sicuro che succede… 😉 )
    Caro Sebastiano Parmegiani presidente della SAF di Udine che evidentemente è proprietaria del rifugio Marinelli… che ne dici di dare una mano tu in Primis alla montagna ed a chi tenta di viverci e trovi una soluzione per abbonare o magari abbassare al minimo (spese soltanto) il costo della gestione del rifugio per quest’anno e magari anche il prossimo vista la stagione andata a gambe all’aria ???
    Fa un piccolo sforzo su… daresti tu ed i soci della SAF prova che è l’interesse verso la montagna e l’ambiente in generale a spingervi e non certo i soldini per fare qualche bella spedizioncina o magari qualche serata al ristorante in valle… 😉

  5. 22

    X Stefano: non preoccuparti, non faccio di tutta un erba un fascio. Ci sono guide alpine che considero “amici” e di cui ho profondo rispetto. Il giro dei rifugi me lo ricordo! Per avere il timbrino feci il mio primo “spinotti” dal Lambertenghi al Marinelli, all’epoca ancora bianco e azzurro. Ero un bambino, mio padre mi teneva legato con una corda per la legna ed io non stavo zitto un secondo per la paura. Avevo anche un bastone in nocciolo su cui inchiodavo gli scudetti metallici dei rifugi. Deve essere ancora da qualche parte in casa. Davvero altri tempi.

    X Alberto: il rifugista è una vocazione ma il rifugio serve a noi. E tocca anche a noi darsi da fare perchè resti in piedi. Vi faccio un esempio. Da noi abbiamo il Brioschi, un rifugio posto sulla vetta della Grigna. Niente acqua, niente elettricità, niente strada, rifornimenti solo via elicottero. Dal punto di vista logistico un vero guaio. I ragazzi che lo hanno in gestione sono straordinari, stanno facendo un ottimo lavoro e tengono testa alle difficoltà. Un sondaggio tempo fa ha eletto il Brioschi come “il rifugio più amato degli italiani” nonostante spesso abbiano preso scelte impopolari e scomode. Ad esempio: in inverno, quando le condizioni della neve sono pericolose, tengono chiuso per scoraggiare la salita. Questo è solo uno dei tanti lungimiranti sacrifici che affrontano nonostante le critiche. Quando spazzato dal vento rotolo fradicio dentro il rifugio so quanto sono in debito con loro per aver scelto quella vita: il rifugio non serve ai turisti quando c’è il sole, serve agli alpinisti quando le cose girano male. Anche se ho i viveri nello zaino mangio un piatto di pasta ed una birra, mi impongo di trascorrere lassù una volta all’anno una serata romantica con mia moglie. Ma è una goccia in quel mare che serve a tenere a galla (in modo civile e corretto) la baracca. Da noi l’idea è ormai chiara e diffusa: vanno aiutati e sostenuti. Se fanno una giornata fuori dalle righe per batter cassa si chiude un occhio. Se organizzano una serata, una proiezione o un evento con qualche personaggio si cerca di far girare la voce. Se ci sono delle critiche le si fa arrivare in modo costruttivo. Se in una domenica di sole la saletta è invasa da milanesi che orgogliosi della normale estiva gozzovigliano occupando tutti i tavoli si strizza l’occhio al Capanat e si torna più tardi per mangiare quello che è avanzato. Un rifugio chiuso significa “nessun rifugio”, spesso significa guai.

    Coraggio gente, sto provando a dirvelo in tutti i modi: date una mano alla Kate e al Marinelli perchè “scollinando” diventi qualcosa di cui tutti possano essere orgogliosi. 😉

  6. 21
    Alberto Benassi says:

    Per me il rifugista è un pò come il prete o il medico. Più che un lavoro è una vocazione, una missione.
    E’ chiaro che i conti devono tornare altrimenti non si va avanti. Ci sono dei costi da coprire e si deve anche pur vivere. Ma non si può solamente tirare a fare ciccia. Pensare solamente a spremere il turista. Il rifugista deve essere un vero e proprio uomo di montagna, che sa di montagna, che può trasmettere dei valori.
    Nei rifugi si deve respire aria di montagna. Il rifugio deve essere un luogo accogliente. Non nel senso che ci vuole l’ acqua calda. Un rifugio non è certamente un albergo. L’accoglienza è misurata da quanto il rifugista è disponibile e attento verso chi soggiorna o passa nel suo rifugio.

  7. 20

    Daniele:
    Per sfatare un mito sbagliato che spesso è fonte di malumori:
    La Guida Alpina è una figura professionale senza eguali ed in questo campo specifico ed unico, è rappresentante esclusivo di una montagna a 360°. Ma… professionalmente non significa a tutto campo e quindi a livello personale parliamo di un piccolo universo di individui che ragionano ognuno per proprio conto ed ognuno vive la sua montagna come qualunque altro frequentatore.
    Se una Guida Alpina o un gruppo di Guide si fa carico di scelte che alla fine magari possono risultare impopolari (ne abbiamo già discusso varie volte anche qui sul blog) non significa che tutte le Guide ragionino allo stesso modo e spesso accade che tra noi non si vada in accordo.
    Ma le Guide sono singoli soggetti che rispondono personalmente per le loro scelte mentre invece chi gestisce un rifugio di appartenenza del CAI è soggetto al rispetto delle regole che il sodalizio stesso impone.
    Senza aprire divagazioni su bidecaloghi o norme spesso troppo restrittive che lasciano poco o nulla alla libera iniziativa dei gestori (grossa pecca del CAI che non è certo indenne da peccati di ogni genere…), direi che almeno le basi di quello che universalmente viene visto come rispetto dell’ambiente (in questo caso montano) dovrebbero essere ciò su cui si erge quella “vocazione” a gestire una struttura come i rifugi alpini che per loro caratteristica non saranno mai dei pozzi di San Patrizio… salvo alcune eccezioni sulle quali meglio sorvolare…
    Se penso al gestore della Cabanne de Valsorey, piccolo nido d’aquila alle pendici del Grand Combin che si può raggiungere solo con 4 ore di cammino, penso alla figura del rifugista per eccellenza… In primavera per lo scialpinismo ed in estate per l’escursionismo e l’alpinismo rimane isolato per mesi e malgrado il suo aspetto un po’ burbero è una persona simpatica e sempre disponibile (sapendo che eravamo un gruppo d’italiani ci ha preparato gli spaghetti al ragù…) .
    Certo non si può pretendere che tutti abbiano la stessa intensità di vocazione ma nemmeno tutti i rifugi sono uguali e la maggior parte permette uno stile di vita meno eremitico di sicuro…
    Credo se non ricordo male fosse il 1980 o ’81 quando per promuovere i rifugi carnici occidentali, ci fu un’iniziativa che fu molto gradita e porto un aumento del traffico escursionistico: il giro dei rifugi.
    Ogni rifugio metteva il suo timbro su una scheda ed alla fine ricevevi un qualche gadget che ora non ricordo bene quale fosse.
    Fu come detto, un’iniziativa che ebbe un buon successo, organizzata tra rifugi italiani ed austriaci.
    So che si replicò per qualche tempo ma poi venne abbandonata, riprendendo qualche anno più tardi con scarsi successi anche perché poco propagandata (oggi non so se esista ancora) . Il turismo alla fine rispose bene alla proposta, in molti dirottarono le loro vacanze in zona e ricordo benissimo i gestori tutti molto soddisfatti.
    Vi sono molti modi di fare turismo e se è vero come dici che “Spesso l’inaspettato nasce proprio da cose simili” è anche purtroppo vero che spesso cose simili lasciano alle spalle un nulla di fatto se non per una giornata di gloria e di degrado… Quanti dei partecipanti ha poi soggiornato o anche solo dormito la notte al rifugio o nelle strutture ricettive (poche) della zona??? Quanti torneranno a far vacanza da quelle parti???
    Domande che essendoci già molteplici esempi in materia non hanno bisogno di risposte…
    P.S. piacere reciproco!

  8. 19

    X Stefano: Se pensiamo al “Carrel” ci si accorge di quanto possano essere paraculo anche le guide alpine quando vestono i panni del rifugista. Non credo sia il tuo stile ma purtroppo l’opportunismo è trasversale alle professionalità ed alle istituzioni. Caterina, che è fondamentalmente il cuore di questa storia, mi è molto simpatica: è una donna forte e tenace che è letteralmente nata e cresciuta al Marinelli. Ha tutti i pregi e tutti i difetti per essere una straordinaria “Capanat”. Ha soprattutto una grande capacità di coinvolgere i giovani, di interagire con loro. Mio fratello più piccolo, un ventenne che ora studia musica Jazz in conservatorio, ha iniziato suonando Punk Rock in Taverna a Forni quando era lei a gestirla. E’ una donna coraggiosa, tosta, abituata e costretta a scatenare il terremoto in una mentalità che spesso preferisce abbandonarsi alle proprie scuse. La storia dell’alpinismo è stata scritta da anime inquiete che hanno superato le regole, che si sono spinti (a proprio rischio) dove era sconsigliato farlo. Questa sua iniziatiava, questo suo OpenDay della montagna, questo festone d’alta quota, può avere tanti difetti ma io non riesco ad ignorare il “buono” che vi intravvedo. Spesso l’inaspettato nasce proprio da cose simili. Per questo trovo giusto sostenerla.
    Ps: Stefano mi ha fatto molto piacere scambiare qualche idea con te

  9. 18

    MI fa estremamente piacere che il livello di discussione sia approdato ad una linea di espressione delle proprie posizioni senza sfociare in batti e ribatti assurdi e poco, anzi, per niente produttivi…
    Certo il Gogna blog non può e non si pone l’obiettivo di cambiare le cose (“Se succede ben venga!” ipotizzo possa pensare Alessandro…) ma permette uno scambio di idee, a volte anche forti, che ci permettono di aprire gli orizzonti e sentire diverse campane dandoci l’opportunità di formare le nostre personali opinioni…
    CAI, Bidecalogo e via discorrendo, concordo appieno che siano sparate di un istituzione che se, forse un tempo, ha avuto qualcosa da dire, è da molto che non dice più nulla…
    Ma è un istituzione che lo si voglia o no ed ha quindi il DOVERE ISTITUZIONALE di rispondere in prima persona per ciò che promuove e per come si muove… siamo ampiamente usciti dal Medio-Evo dove chi rappresentava comandava senza possibilità di replica, pena il rogo…
    Le carniche sono state per moltissimo tempo il mio giardino preferenziale e le montagne con le loro genti, tanto particolari rispetto ad altri territori, mi son rimaste nel cuore. Su quei calcari grigi si è formato il mio alpinismo, su quei pascoli ormai abbandonati la mia sete di montagna.
    Sapere che, seppur magari più difficili da mettere in piedi (bisogna crederci e darsi da fare perché si realizzino), ma esistono alternative al turismo “mordi, “sbrega” e fuggi” che necessitano di tempi più lunghi ma danno risultati meno impattanti e più duraturi rispetto al degrado causato da “ideone” puntate al guadagno immediato, mi fa contestare apertamente queste iniziative che non lasceranno altro che desolazione quando saranno fisiologicamente esaurite… e non ci vuole molto di solito…!
    Non credo serva essere specialisti né conoscitori del particolare territorio, per comprendere come molte stazioni montane che hanno tentato di optare per il “tutto e subito”, siano oggi scomparse o sempre alla caccia di nuovi sacrifici da tirare fuori dal cilindro…
    La Carnia e non solo la zona occidentale, ha un potenziale indiscutibile per quanto riguarda il territorio e sarebbe opportuno che se ne rendesse conto, tentando di approntare le risorse in vista della domanda del nuovo millennio (natura il più possibile incontaminata), abbandonando le frustranti invenzioni di quello passato…!

  10. 17

    PS: chissà, forse questo pandemonio servirà a puntare lo sguardo verso una zona a mio avviso straordinaria. Chissà, forse ne uscirà qualcosa di buono alla fine. Qui trovate, disordinati e scombinati, alcuni articoli che ho scritto su Forni Avoltri e le sue montagne. Roba semplice, lunghe ma coinvolgenti camminate in un ambiente magnifico: http://www.cima-asso.it/tag/carnia/
    Se non conoscete questi luoghi date un occhiate e fateci un pensiero =)

  11. 16

    …avevo 8 anni quando Canobio entrò “dentro” al bar del Sotto Corona con un Asino, gli diedi persino dello zucchero. Fino a vent’anni trascorrevo i tre mesi estivi ad Avoltri, ora (purtroppo) cerco di ritagliarmi una o due settimane all’anno per fuggire lassù e fare il pieno di quel calcare grigio che assomiglia alle miei montagne (ma tutto più grande e selvaggio!). Non serve portare oltre questa “gara” al curriculum, credo che entrambi parliamo mossi dall’affetto per quei luoghi che, giustamente, ci piacciono così come sono. Volevo spezzare una lancia a favore di amici e di questa iniziativa, tamarra quanto vuoi, che ciclicamente torna nell’occhio del ciclone. Non volevo certo sollevare un polverone. I rifugi sono posti strani: io mi ci sono persino sposato in uno di essi, proprio per il senso di libertà e condivisione che un “rifugio” rappresenta. Vedi, Io ho la fortuna di andare in montagna sopratutto in settimana, quando quelle strutture sono vuote, deserte. Forse è anche per questo che mi piace quando li vedo affollati: per me è un po’ un’eccezione. Certo, io detesto la gente in generale e li preferisco nelle giornate nebbiose, quando sono aperti ma deserti, quando posso sedermi e fare due chiacchiere in pace con il gestore (che da noi chiamiamo Capanat). Ma anche in questo c’è un certo egoismo di cui non farsi vanto. Dicono che l’eccezione rafforzi la regola: portiamo al limite l’eccezione e la regola diverrà assoluta. Io immagino migliaia di persone al Marinelli, affettati e bicchieri di birra che navigano tra la gente, musica, chiasso, risa, un pandemonio d’antologia. Poi immagino il giorno seguente, il silenzio. La valle nuovamente deserta, le mucche di Morareto che pascolano tra i cespugli di mirtilli. Arriverà l’autunno, l’inverno, la primavera, l’estate e poi di nuovo, un carnevale assordante prima del nuovo silenzio. Invece di dare retta alla bi-cagata del CAI, associazione mai come ora distante dalla montagna e prostituita all’opportunismo, credo convenga riflettete sulla poesia pagana di tutto questo. Certo, ci sono errori da correggere, aspetti da migliorare, ma se vi fermata a criticare la superficie delle cose non faremo molta di strada. Sai il territorio al centro del Triangolo Lariano, dove vivo io, curiosamente lo chiamiamo “L’isola senza nome”. Strenuamente ci impegniamo a “tutelarlo” ma dobbiamo fare anche attenzione anche a non “soffocarlo”…

  12. 15

    Qualche triestino benpensante… da dove arrivi la tua deduzione caro il mio comasco DAVIDE ‘BIRILLO’ VALSECCHI non si riesce a comprendere… Melania Lunazzi è friulana e Roberto Floreanini idem… e poi magari le diatribe locali lasciale ai locals che se pure hai visitato da turista quei posti sei appunto un turista e nulla più… !
    Gino Caneva lo conosco da quando era un bambino, conoscevo suo papà ed ho frequentato le superiori con sua sorella, ti basta come curriculum ?
    Ho girato quei posti in lungo ed in largo, passandoci le mie estati alla Colonia estiva poco distante, che guarda caso era una delle roccaforti dei figli degli operai triestini e nel ’79 ho compiuto la mia prima ascensione lungo la normale al Monte Volaja. Da bambino ho scavato tra le trincee della prima guerra alla ricerca di qualche resto sotto le tettoie crollate e mezzo sepolte delle caserme, dormito d’inverno a -28 nelle malghe compiendo la traversata dal Passo Monte Croce Carnico a Pierabech con gli sci, aperto in zona 10 vie nuove, ripetuto anche in prima ripetizione e/o prima solitaria diverse vie di Mazzilis e ripetuto le classiche e molte moderne, oltre ad essere stato iscritto per un periodo al CAI di Forni Avoltri… ti basta come curriculum?
    Che ti basti o meno conta poco!
    Gino Caneva non gestisce un rifugio ma un servizio di ristorazione sulla strada e di musica ne hanno sempre fatta e nessuno ha mai avuto niente da ridire e sono almeno quarant’anni che vendono polenta e frico senza che alcuno dica nulla, ripeto…
    I rifugi si chiamano così per qualche motivo no…?
    Se sono rifugi non sono discoteche e anche una volta all’anno che questa figura venga stravolta comporta un atteggiamento di sfruttamento del territorio assolutamente inadeguato sia appunto per le caratteristiche dell’infrastruttura, sia per quanto riguarda un’etica sancita, come mi pare ben evidente, anche dal Bidecalogo del CAI al quale il Rifugio Marinelli appartiene.
    Abituati a vivere nel Paese delle proroghe, dei condoni e delle sanatorie siamo sempre pronti a dire “ma per una volta!” solo che una volta, visto che ci sono altri rifugi là in giro, potrebbe diventare una di qua una di là e non si finisce più di trattare uno dei pochi ambienti ancora integri delle Alpi, alla stregua di un baraccone commerciale.
    Chi fa la scelta di gestire un rifugio con annessi e connessi, lo dovrebbe fare coscientemente, visto che annessi e connessi sono anche le stagioni che vanno male… Siccome sono anch’io un operatore del turismo montano che vive alla grande quando va bene la stagione ma quando come l’inverno scorso (ed in parte anche questo con l’erba a dicembre…!) si lavora a stento, vive sperando in quella prossima, cosa dovrei fare? Organizzare tour escursionistici col pullman sui sentieri montani per beccare una fetta di turisti che starebbero meglio al mare sulla spiaggia?
    La montagna non è mai stata un ambiente comodo e se non decidiamo di radere le cime al suolo per semplificarne la morfologia e renderla meno aspra non lo sarà mai…
    I luna park lasciamoli alle città che purtroppo non hanno più niente da raccontare a nessuno se non che storie di stress e stupidità umana e lasciamo questi ultimi fuori da quei circuiti ancora possibili di wilderness.
    I montanari son gente in gamba non c’è dubbio e lo so molto bene, visto che ci vivo in montagna, evitiamo che si “suicidino” alla ricerca di “un’isola che non c’è” e si pentano fra poco tempo di scelte che sono devastanti. Cortina docet!
    Alternative ce ne sono e molte, i rifugi del versante austriaco non mi risulta che se la passino meglio se la stagione butta male, ma nemmeno mi risulta che aprano discoteche e distruggano i sentieri scarrozzando babbei che cercano lo sballo diverso!

  13. 14
    Alberto Benassi says:

    gonfiare il petto?? guarda che io, di anni, ne ho 16 più di te, e di montagna ne ho masticata tanta e che nei rifugi non si canta più e che sono diventati degli alberghetti un pò fighetti, zeppi di gente marcata Decatlon lo so anchio.

    Tanto rispetto per la tenacia dei friulani e per l’attaccamento alla terra in cui vivono.

  14. 13

    Caro “Alberto”, all’età di 40 anni ho perso interesse per le discoteche ma anche i più giovani si sono stancati di essere presi in giro. Sulle tematiche trattate qui da Gogna rischio di passare come un’integralista talebano: quindi non hai bisogno di gonfiare il petto per farmi capire quanto sei “Okay”. Potremmo discutere di come nei rifugi si sia perso il gusto di cantare, di come spesso vi sia la stessa empatia di un viaggio in metropolitana da quanto l’alpinismo è diventato materia per mezzeseghe equipaggiate di fresco alla Decatlon. Potremmo, ma rischieremmo di divagare. “Scollinando” come idea mi piace, davvero molto. Forse è un po’ grezza, decisamente tamarra, ma ci vedo uno slancio autentico, vedo i bisogni, soprattutto umani, da cui nasce una giornata di pandemonio, di furore carnico. Conoscendo quei luoghi e quelle persone forse non mi piace nella forma, ma di sicuro mi affascina. Quello che mi stupisce è l’egoismo autoreferenziale di chi la osteggia. Parliamo di un giorno, per quanto apocalittico, su 365. L’equivalente di una giornata di temporale. Dubito che chi scrive qui sia preoccupato di perdere l’unica finestra di bel tempo per tentare la ripetizione di una via Mazzillis. Quelli che sono qui (forse io compreso) stanno solo dando aria alla bocca: imponendo le proprie idee con lo stesso peso del cemento. Potrebbero andare un giorno prima o un giorno dopo e l’equilibrio non sarebbe affatto infranto. Curiosamente se anzichè il DJ ci fosse la banda musicale con tromboni e tamburi, come accadeva in passato (ed accade tutt’oggi), il “casino” sarebbe lo stesso ma l’apparenza accontenterebbe tutti. Alla gente piace essere imbrogliata con il sorriso sulle labbra, farsi raccontare la solita favoletta per cittadini. “Scollinando” invece è grezza ma certamente autentica, figlia di un’esigigenza spontanea. Dannazione, un singolo grido che infrange il silenzio e scuote le cenge dal Cojans fino al mare. “Siamo qui, nelle terre selvagge e stiamo tenendo duro!” Un’istante effimero diverso ma identico dalla tradizione, dai fuoci notturni accessi sulle cime dai coscritti che si tiravano copertoni usati fin lassù. Contro natura? Forse, ma di sicuro meno della quotidianità cittadina. I friulani, diversamente da altre realtà sulle alpi, non hanno svenduto le proprie montagne. La strada che porta al rifugio passa per una malga (ci passa il trattore non solo le jeep). Lassù ci sono le mucche e casere, non solarium ed impianti di risalita. Se oggi sono un gioiello intatto è anche grazie ai loro sacrifici ed al loro caparbio orgoglio. Vogliono una gioranta di pandemonio? Bhe, forse se la meritano. Se volete potete aiutarli a migliorare, potete cercare di “integrarvi” in quest’iniziativa dando il vostro apporto, sostenerla affinchè non venga strumentalizzata e commercializzata oltre il dovuto. Diversamente stato solo abbiando e l’unica soluzione possibile diventa alzare di più la musica…

  15. 12
    Alberto Benassi says:

    caro “BIRILLO” un rifugio non è una discoteca.
    Che poi la montagna sia solo dei montanari e che per il solo fatto che ci vivono hanno il diritto di farci quello che gli pare è un bella panzana. Le montagne , come il mare, i deserti , la natura in genere, sono di tutti e di nessuno.
    Basta vedere l’esempio delle Apuane. Gli Apuani che ci abitano le stanno DISTRUGGENDO.
    Quanto a chiudere gli occhi su quello che avviene ad occidente. Molti li chideranno ma molti altri li tengono ben aperti.
    Su questo blog di troiani che avvengono ad occidente si discute puntualmente: heliski, piste da sci, impianti, nuova funivia punta Helbbronner, ect. se ne è discosso alla grande.
    Ma forse eri distratto e non hai letto.

  16. 11
    andrea dolci says:

    Non ho una visione sacrale della montagna ma credo che ci debba essere un limite dato dal buon senso e dal rispetto per gli altri.
    Sparare disco music a 100 dB in alta quota non mi sembra rientrare in tale limite perchè chiunque altro volesse fruire del territorio si troverebbe danneggiato nella sua libertá di trovare pace e tranquillitá.
    La stessa idea che sia un modo per permettere la sopravvivenza economica mi sembra sconclusionata perchè un rifugio é un rifugio e volendo allargare le possibiltá di introito può organizzare eventi più in linea o almeno compatibili con il proprio motivo di esistere.

  17. 10

    x Lusa la Saggia… se vuoi puoi far abolire la festa, abbattere il rifugio, cancellare la strada, rimuovere le segnaletica, interdire l’accasso alla valle per me va benissimo anche questo come “brodo”. Tuttavia l’esempio del rally servivia raccontare anche di altri episodi, apparantemente in totale contrasto con la montagna, che possono essere accettati come “stravaganza di un giorno” sia per quieto viveve sia per opportunità se non hanno un impatto permanente. Per un giorno lascia vivere, la felicità altrui può essere anche la tua. Di certo è meno invasivo degli impianti di risalita o del turismo idustrializzato che si vede ovunque (ma non in Carnia). Certo, la soluzione migliore sarebbe l’estinzione del genere umano o l’instaurazione di un regime repressivo di illuminati come te ma, ahimè, questo non è possibile. Io conosco bene i fornetti, hanno mani grandi come badili e pesanti come macigni: se, dopo che hanno preso un paio di taglietti ti credi abbastanza furba da spegnergli la musica nella mezzo della loro festa “speciale” tra ai monti, bhe, fai pure. Anche questo fa parte della natura…

  18. 9
    Lusa says:

    Si legge in un commento “Da noi, una volta all’anno, corrono un “rally” automobilistico in salita sulla strada che porta al rifugio. Auto, smog, rumore, casino. Mi da fastidio? No, accade una volta all’anno: è semplicemente un giorno diverso. Prima e dopo la corsa danno un’aggiustata alla strada e tanto basta perchè vada bene. Girano facce nuove, idee diverse: tutto fa brodo.”
    Che brodo….. Evviva alle idee diverse!!!!!!!!!!!!!!!!

  19. 8

    Io sono di Como ma conosco bene quella zona della Carnia ed anche i rifugisti del Marinelli. Ci ho passato la mia infanzia: è un territorio straordinario e selvaggio, ci sono periodi dell’anno in cui puoi essere l’unico essere umano per chilometri. Quelle montagne sono magnifiche. Ora il problema sembra sia che una volta all’anno fanno un festone, portano su la gente in jeep e fanno un sacco di casino con la musica. Ora, se conoscete un poco i carnici sareste stupiti da quanto si “trattengano” nel farlo. Già, perchè quelli di Forni Avoltri sono montagnini di prim’ordine: gente che lavora in cava o nel bosco tutto il giorno, gente che alla montagna “sopravvive” tutto l’anno e che potrebbe darvi qualche dritta concreta: appare ora davvero ridicolo che qualche triestino benpensante pensi di poter diro loro cosa possono o non possono fare sulle loro montagne. Che siate a favore o contro questa “festa” accade solo una volta all’anno. Probabilmente c’è qualcosa di catartico in tutto ciò, qualcosa che fa il paio con la tradizione, con il lancio delle “Cidules” (i dischi di legno infuocato) o con le altre feste “indigene” tremendamente alcoliche e liberatorie. Finito il trambusto si torna all’assoluto silenzio di quelle terre selvagge e di chi le vive (il paese più vicino fa 900 anime, non dimenticate l’isolamento di quei posti). Ridicolo sentire gente “abbaiare” allo scandolo per una giornata in un posto sperduto come il Cojans quando tutto l’anno trovi turisti giapponesi in sandali al Torino sulla punta Hellbrunner al Bianco? Perchè fate i moralisti per ciò che accade un unico giorno ad Oriente chiudendo gli occhi sulla consuetudine ad Occidente? Io abito nel Triangolo Lariano, sono geloso e possessivo delle mie montagne, i Corni di Canzo. Sono più piccoli ma hanno la stessa natura selvatica della Carnia ed io conosco le mie montagne come pochi altri da queste parti. Da noi, una volta all’anno, corrono un “rally” automobilistico in salita sulla strada che porta al rifugio. Auto, smog, rumore, casino. Mi da fastidio? No, accade una volta all’anno: è semplicemente un giorno diverso. Prima e dopo la corsa danno un’aggiustata alla strada e tanto basta perchè vada bene. Girano facce nuove, idee diverse: tutto fa brodo. Il giorno dopo tutto è esattemante come prima, la stessa solitudine, lo stesso silenzio: le stesse ferre regole non scritte. Eppure i turisti, quelli che non sanno nulla delle mie montagne, quelli che ci salgono si e no due volte l’anno per fare il pick-nick degli sfigati, urlano allo scandalo facendo polemica. Sono loro i primi veri egoisti, quelli che “pretendono” un’illusione che non esiste, che blaterano di ecologia con la stessa competenza di una rivista per parrucchiera. E più abbaiano forte più mi diverto ad insultarli perchè alle montagne serve gente simpatica, non rompipalle con lo zainetto pieno di presupponeza…

  20. 7
    Piero says:

    Al Marinelli hanno inziato a far feste danzanti ben prima, nel 2012 con mia moglie tornammo da una via sulla Torre dei Fiori con la testa che ronzava, per il volume sparato dalle casse acustiche…
    Mi trovo d’accordo con l’intento dell’articolo, preferisco anch’io il silenzio ai DJ…però Gino Caneva ha le sue ragioni, devono pur campare anche loro. Diversi rifugi sono riusciti con gli anni e l’impegno a conciliare e far coesistere queste due esigenze, con la cura della cucina, dell’ambiente circostante, con le proposte turistiche e la pubblicità. Si tratta però di pochi esempi, esistenti grazie alle capacità fuori dall’ordinario di certi gestori, dotati di grande fiuto e capacità imprenditoriali ed organizzative molto buone, e di uno staff all’altezza. Tutti ingredienti difficili da mettere assieme, specialmente a duemila metri, pressati dalla necessità di provvedere alle quotidiane necessità degli approvvigionamenti e dei servizi agli ospiti. La caratteristica di molti rifugi, di funzionare solo alcuni mesi all’anno, magari funestati dal maltempo, rende di fatto più fragili e precarie le soluzioni che, con gran fatica, i gestori a volte trovano per far convivere il silenzio proprio dell’ambiente con le necessità di un bilancio in attivo.

  21. 6
  22. 5
  23. 4
    Marco Berta says:

    la montagna è un luogo dove molti vanno ancora per godere del silenzio e della pace ormai spariti dalle città… lasciamoli per l’uso per cui sono stati creati.. chi ama la “dance” se ne rimanga in città e vada in discoteca o frequenti i tristissimi “apericena” con tanto di DJ. Sono favorevole a concerti in acustico (di ogni genere… non solo classica, pensiamo alla ricchezza della musica occitana delle montagne sud occidentali). Il problema economico della gestione rifugi è fortissimo ma va risolto con una offerta diversa, gite naturalistiche, corsi e seminari di vario genere, e appunto concerti ma rigorosamente nel pomeriggio. Chi usa il rifugio per effettuare una salita o una escursione il giorno dopo ha il sacrosanto diritto di poter dormire ad un’ora decente.

  24. 3
    Antonella Gali says:

    L’etica nella logica del guadagno o del profitto ( e il confine fra i due è molto labile ) ovviamente va sempre più messa in secondo piano …
    Un esempio fra i tanti mi viene in mente, in questo caso non è coinvolto un CAI ma una società di guide alpine…La più recente ferrata che porta al rifugio Monzino, tutta una “scala” nel vero senso della parola, per quale motivo ha sostituito la più difficile ( e selettiva) ferrata precedente, se non nella speranza di fare arrivare ” cani e porci ” ai 2600 mt . nel silenzio quasi sacrale proprio nel cuore del Bianco italiano ? Ormai la gente deve spesso mettersi in coda e aspettare il turno per salire , e che concerto di chiacchiere e grida in un ambiente così speciale , che dovrebbe rimanere selvaggio e incontaminato …

  25. 2
    luciano pellegrini says:

    Essendo un rifugio del CAI, di proprietà della Società Alpina Friulana di Udine, un PLAUSO al presidente, Sebastiano Parmegiani. Gli ambientalisti hanno fatto qualche commento? Le vetture, tante, sono state autorizzate a salire al rifugio, da chi? Se i gestori piangono miseria, che cambiassero mestiere. Che però li si voglia giustificare, anche dal presidente Parmegiani, non è accettabile. Che facesse le indagini… Questo è l’ambiente che vogliamo difendere. Povero papa Francesco che ci crede ancora!

  26. 1
    lentusiasta says:

    diggei non è esattamente musica… quanto al controllo dei volumi è molto semplice: concerti esclusivamente acustici!

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