A fronte della nuova guida delle falesie di Verona, Rovereto e Trento ben fatta e pubblicata da Michael Meisl, per sopravvivere ho dovuto scrivere questo pezzo provocatorio, ma non più di tanto (Massimo Bursi).
Oral Trad: il vecchio come nuovo futuro?
di Massimo Bursi
(pubblicato su arrampicataverona.it e kingrock.it)
Devo stare attento… molto attento! La via non è difficile eppure sono teso come un violino perché l’arrampicatore sulla mia destra, incautamente partito dopo di me, ma su una via banale, comincia a tremare: il suo piede sinistro balla senza fine. Durerà? Riuscirà a riprendere il controllo del suo corpo? Non penso…ed infatti dopo pochi secondi piomba giù a peso morto, anche la sicura del compagno non mi sembra all’altezza… beh, subito dopo me lo trovo addosso avendomi sbattuto contro, lateralmente – ciao, piacere di conoscerti! – dico ironico al teutonico.
Non cado, ma gli impreco diverse parole i cui concetti comprendono quello di valutare bene la situazione prima di partire, di avere pazienza quando serve ma soprattutto di non starmi appiccicato! Capisco che sia abituato alla sola plastica dove si sale come polli in batteria, ma qui è diverso!
Allora mi sposto su una via-progetto che vorrei liberare: accidenti, è presa d’assedio fin dalla prima mattina e l’hanno “montata” come riscaldamento aiutandosi col beta-stick, ed ora hanno intenzione di passarci tutta la giornata o forse l’intero weekend per provare a liberarla, magari con la corda dall’alto.
La mia lotta giornaliera è iniziata prima, cercando un parcheggio, poiché l’area parcheggio è veramente limitata e non vorrei infastidire i proprietari dei terreni che gentilmente chiudono un occhio davanti alle nostre piccole ma fastidiose trasgressioni.
Si, è una piccola falesia del veronese baciata dal sole e spesso, d’inverno, ci si ritrova tutti lì. Tutti i climber della pianura padana prendono d’assalto i nostri territori. Anche d’estate le situazioni sono simili: ci sono poche falesie fresche e tutti i climber della pianura padana le affollano.
Ricordo una nostrana campagna pubblicitaria… “le montagne più vicine alla pianura padana”: davvero una bella cosa, davvero un incentivo ad ammassarci tutti quanti.
Noto che la situazione è peggiorata da quando è stata pubblicata la guida delle falesie di Verona. Mi chiedo quanto peggiorerà la soluzione quando uscirà, e uscirà di sicuro, la guida delle falesia edita dagli austriaci.
In realtà le cose sono peggiorate da quando il King Rock e le tante palestre indoor hanno aperto i battenti sfornando centinaia di aspiranti arrampicatori che arrivano dal crossfit, dal pilates, dal downhill… senza la corretta sensibilità ambientale e la conoscenza storica di questi luoghi. Onestamente non so se il danno maggiore sia stato fatto dalle palestre indoor o dalle guide pubblicate.
Il rischio qual è? Tralasciando la sostenibilità ambientale, cioè la capacità di accogliere una massa imprecisata di arrampicatori, il vero rischio irreversibile è il consumo della roccia che non è infinito, il rischio tangibile è che la roccia diventi troppo levigata, “unta” diciamo in gergo, precludendo così la possibilità e il piacere della scalata: abbiamo esempi tangibili nelle falesie della Valle del Sarca o nella nostrana Marciaga.
C’è un intero popolo tecnologico di climber, dotato di connessioni internet e furgoni, che appena captata la notizia sui social di un nuovo spot o di uno spot rimesso a nuovo, è pronta a salire o a calare in massa, come i Lanzichenecchi.
Lo so che io dovrei solamente stare zitto visto che ho contribuito alla stesura della guida, cosa di cui, dopo un anno di riflessione, mi sono davvero pentito, ma non solo, anche tramite il King Rock Journal, ho personalmente contribuito alla diffusione di informazioni su alcune falesie di Verona. Sono stati errori di comunicazione, forse inevitabili, che oggi si pagano cari.
Complice la diffusione dell’arrampicata – un vero e proprio boom, persone che oltre all’indoor vogliono capire cosa significhi scalare su roccia – le nostre falesie, ricche di vie di media difficoltà con gradi cinque e sei, sono diventate troppo piccole, troppo antropizzate, troppo invase da un popolo nomade.
Come fare allora per difendere le falesie?
Torniamo ad un rapporto semplice con le rocce. Recuperiamo lo spirito essenziale dell’arrampicata fra amici degli anni ‘70-‘80. Abbandoniamo le infrastrutture di connettività e social quando tocchiamo le rocce. Copiamo dai pellirossa… riprendiamoci un rapporto semplice e diretto con le diverse ed eterogenee comunità degli arrampicatori. Ritorniamo alla tradizione orale gelosamente passata di bocca in bocca. Diamo nuovo valore alla parola. Diamo nuovo valore all’amicizia, al gruppetto di adepti, al rapporto maestro-discepolo.
Recuperiamo il mistero, il senso di avventura, il gusto dell’ignoto, la gioia di lasciare uno spazio bianco anche per le nuove generazioni.
Arrampicare è conoscenza, è muoversi cauti in un ambiente ostile. Arrampicare è anche tornare indietro laddove l’incognito spaventa – una bella, difficile e significativa via in Marmolada si chiama proprio Terra Incognita. Tornare indietro… per ritornare più allenati, con maggiori conoscenze, più motivati.
L’incognita possiamo ritrovarla praticando l’Oral Trad, sì proprio la “tradizione orale”.
Lo so che vi sono falesie trad, cioè dove si arrampica proteggendosi con friend e altri attrezzi mobili. Ma qui è diverso. Qui parliamo di falesie Oral Trad, che passano, a volte di bocca in bocca, o che a volte rimangono nascoste, i cosiddetti secret spots.
Ovviamente ci saranno molte falesie, e saranno la maggioranza, che sono ampiamente relazionate sulle guide ma che avranno vie nuove, senza etichetta, senza grado… ed allora la falesia diventa anche scoperta, micro-avventura.
Non sarà facile fermare la vanagloria degli apritori o grafomani, come il sottoscritto, che difficilmente resisteranno alla tentazione di non mettere nero su bianco questa nuova via o questo nuovo settore.
Ma è un modo, a basso rischio, di ritornare allo spirito originario dell’arrampicata, quando si arrampicava in pochi, ci si conosceva tutti… e le guide non servivano, anche perché non c’erano.
Riprendo quindi la mia domanda: come fare allora per difendere le falesie?
Ci sono due modi: renderle repulsive con chiodature lunghe old-style – tipo Ceraino – o renderle invisibili o, meglio, meno visibili.
Delle due soluzioni la più accettabile mi sembra quella di mimetizzarle: nessuna indicazione, nessun nome alla base, nessuno schizzo pidieffe sui social, nessuna pubblicazione su nuove guide ma ovviamente solamente una giusta e rigorosa manutenzione.
C’è ad esempio la falesia … omissis… conosciuta da almeno quarant’anni, una struttura molto interessante, in un luogo altamente suggestivo, con roccia discreta, a pochi minuti dall’auto e che per una serie di ragioni non è mai stata oggetto di sfruttamento “arrampicatorio” intensivo: è chiodata, non esistono schizzi pidieffe, non esiste per le guide cartacee, raramente frequentata. Sono sicuro che un bel post su facebook potrebbe renderla di moda, sono sicuro che un bello schizzo invoglierebbe all’arrampicata diverse cordate… ma è meglio lasciarla così come è.
L’idea è quella di ritrovare il gusto dell’avventura e dell’incognita con l’obiettivo di scoraggiare i più pigri.
L’idea è quella di ritornare ad uno stato pre-boom-arrampicata o, se volete un futuro distopico, ad uno stato post-atomico.
Già vedo l’obiezione che mi viene posta: ma quando esci dalle falesie di Verona, anche a te fa comodo avere informazioni aggiornate e corrette per evitare di perdere tempo e di ravanare su pareti magari poco interessanti…
Vero! Ma a questa obiezione sensata, la mia risposta sintetica è di nuovo Oral Trad: cioè vuol dire che il nostro agire da turista delle falesie sarà meno mordi-e-fuggi, cercheremo di entrare in relazione con qualche local o comunque ci accontenteremo di informazioni meno precise e accetteremo che ci siano “spazi bianchi”: tutto questo mi sembra un accettabile compromesso, se la nostra esperienza verticale diventerà più selettiva e meno di massa.
Mi dicono che tutto questo è un puro sogno utopistico… è vero, io sono il primo che non ci crede o meglio, avendo usato la metafora dei Pellirossa, so benissimo che quest’idea, questa proposta di nicchia, oltranzista e controcorrente verrà schiacciata dal mercato dilagante e prorompente dell’arrampicata, esattamente come è avvenuta l’estinzione dei Pellirossa.
Ma a Verona ci sono già diversi apritori che agiscono così, sotto il pelo dell’acqua. C’è chi fa una massiccia opera di manutenzione, a regola d’arte, in diverse falesie ma raramente rende noto quanto fa. C’è chi agisce in silenzio, ma agisce senza nascondersi e garantendo altissimi standard qualitativi.
Penso che Arrampicata Verona APS possa farsi interprete, al di là del nome migliorabile dell’iniziativa, di un nuovo modo di non-pubblicizzare e di valorizzare le falesie di Verona che non passi attraverso i social, ma passi solo attraverso la costante azione collettiva sul territorio fatta di giornate sui sentieri, in parete, confrontandosi fra amici avendo a cuore la sicurezza degli arrampicatori e l’amore per il territorio verticale, lasciando come segno un semplice cartello comunicativo in cui si rivendica la paternità delle manutenzioni effettuate e magari si stende la mano per donazioni attraverso un QRCode…
E’ semplicemente un modo per difendere le pareti dalle invasioni. Funzionerà? Non funzionerà? Proviamoci!
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Peste ti colga, APS Arrampicata Verona! Peste ti colga se con i cinquant’anni di esperienza che hanno i tuoi soci, con le decine di migliaia di spits che hanno piantato, non sai far altro che mettere in sicurezza le falesie, quando invece dovresti occuparti più delle relazioni personali, di e con chi, realmente, vuole fare prevenzione. Prevenire, ad esempio, che le piccole falesie del territorio si riempiano di beneducati arrampicatori, pubblicandole su una guida; prevenire che i proventi delle vendite delle guide non vadano sprecati per mettere in sicurezza le falesie, ma piuttosto spesi per evitare filosofici vaneggiamenti promuovendo eventi culturali di considerevole spessore. E ancora prevenire che certi incapaci intasino le falesie: se, come me, non sanno arrampicare come si deve e, soprattutto, con protezioni lunghe, meglio che stiano a casa, evitando così sicuri incidenti.
E poi, cara la mia APS, lasciatelo dire ma proprio non ti sai umilmente confrontare con chi, realmente, sa come vanno fatte le cose, con chi vuole condividere con te tutte le sue conoscenze. Tu, boriosa e orgogliosa, ti permetti di contraddire.
Per concludere, cara la mia APS, hai tanto da imparare ma, per fortuna, finora hai evitato l’ascoltare insegnamenti che null’altro hanno di lungimirante, se non una sterile polemica condita di fantasiose creature che, trapano alla mano, volteggiano sulle rocce veronesi.
Paris, mi spiace ma non concordo. Oggi è difficile che qualcuno inizi ad arrampicare facendolo sulla roccia. Sono i muri d’ arrampicata che vomitano a getto continuo nuovi arrampicatori. Qualcuno poi va sulla roccia ma in ogni caso sono, per i miei gusti, sempre troppi. I muri è raro, tranne in pochi casi, che siano gestiti da guide o da istruttori Cai. Sono invece il regno delle ASD che hanno ai loro vertici, quasi sempre, dei secondolavoristi zelanti che credono che l’arrampicata salverà il mondo.
Invece il mondo si salverà con il calcio (specie se ben assestato) perché si pratica chiusi in uno stadio.
D’altronde Orwell sosteneva che il rugby è un ottimo sistema per tenere fuori dalla città una trentina di energumeni pericolosi. Ma almeno si rinchiudono in un posto ben preciso e delimitato.
L’arrampicatore, specie quando è cinomunito, è totalmente fuori controllo.
Non c’è niente da fare: l’arrampicata ormai è uno sport di massa, anche per merito (o colpa…) di molti di quelli che scrivono qui, guide o istruttori, con tutte le conseguenze, positive e negative. E nella maggior parte dei casi le falesie vengono attrezzate per la massa degli arrampicatori… facciamocene una ragione…
A Buoux negli anni 90 i primi due spit li mettevano per provare il martello.
Ach , dannaten falesien spuntano come funghen…non si riesce a starci piu dietren ,una volta ero di guardien al canonico bidone di benzinen ora a cassen di spit e magnesien e pioven!
Ach’!
Schen, purtroppo la tattica del “ritirarsi” può essere una soluzione personale, però è una pessima strategia, perché alla fine i 30 min rischiano essere azzerati da “un intervento di riqualificazione finalizzato alla sistemazione della viabilità di accesso “, “una infrastruttura volta al miglioramento della sentieristica pastorale esistente” completa “di interventi di contenimento delle scarpate, mediante …i necessari muri a scogliera” lasciando pure aperta la strada “alla prospettiva di una sua prosecuzione al fine di raggiungere gli alpeggi successivi”
I corsivi sono tratti dal tread odierno sul vallone di Sea.
Concordo con Faust, commento 18. Orgogliosamente ronchia, mi sono ritirato da anni alle pendici del Reixa in vallette lugubri e nascoste e con almeno 30 minuti di avvicinamento. Non c’è mai nessuno, nonostante esista anche una guida e siano relazionate su Gulliver.
Ciao
Skeno
A Buoux negli anni ’90 non c’erano di certo le scolaresche del DAV o gli scalatori VW California lucido con cane che infestano oggigiorno ogni angolo dove ci sia un tiro tra il 5c e il 6a+.
Su quei gradi la chiodatura ti imponeva di non cadere almeno fino al terzo spit perché la corda manco andava in tensione prima di arrivare per terra.
Imparavi subito a cadere solo dove serviva ed era bellissimo. Un po’ di rischio fa bene e, se superato, rende più felici del plaisir che dilaga. Provate, provate.
Chioda lungo cosi filtri.
Guide anche no…tedesche ancor meno.
E se pubblicano senza chiedere….togli gli spit
Roccia merce rara e la massificazione non aiuta…
Non credo che qui si voglia fare il solito Pippone. Credo che siamo tutti abbastanza lucidi nel capire che ogni generazione ha i suoi tratti distintivi e che non ha senso rimpiangere il passato. Solo che non guasta chiamare le cose con il loro nome, non fosse altro per precisione. Negli anni 80/90, per esempio, la figura dell’allenatore non esisteva. Esistevano i miti, da emulare, cosa ben diversa. L’allenamento faceva parte dell’avventura personale di ognuno perché, come ebbe a dire Edlinger, non esiste in arrampicata che uno ti dica cosa devi fare, quanto devi fare e come lo devi fare. Era la cosa migliore? Probabilmente no, forse avremmo evitato molti infortuni, forse avremmo fatto vie più difficili ma non avremmo vissuto quell’arrampicata ( che di sportivo aveva solo i chiodi già piantati, per il resto molto poco). I giovani di oggi sono peggio? No, qualcuno come me dice solo che non potranno ma vivere quello che si è’ vissuto 20/30 anni fa. Tutto qui. E quando vedo il manifesto che invita all’inaugurazione di una nuova superpalestra di arrampicata del ponente genovese non si provo ne’ critica ne’ approvazione, forse un filo di tristezza: penso solo che ha poco a che fare con quello che io penso della scalata. Quanto all’ affollamento in falesia, siamo in troppi come diceva qualcuno prima di me. E comunque nei posti “giusti” l’affollamento non ci sarà’ mai.
@16 caminetti for president. il dono della sintesi. l’ironia e il sarcasmo.
Pur essendo una pippa totale pontifico anch’io, ed apro con un assioma, che vale in ogni attività (mtb, alpinismo, corsa ecc): “per quanto uno sia una pippa, trova sempre qualcun’altro da poter guardare dall’alto in basso”.
E questo meccanismo è quello che, in modo innato, istintivo, ci fa escludere dal problema, e ci fa pensare che in fondo, il problema, sono gli altri.
“Che macello di traffico sabato sullo Stelvio!” / “Che unta la prima torre del Sella” / “Che bordello di mtb in Val Venegia ieri”.
Beh caro amico, il traffico eri anche tu! Sulla prima torre chi non c’è stato?! Beh, la tua molecola di unto ce l’hai lasciata anche tu nel 1984! E tu cosa ci facevi in Venegia? Occupavi posto come gli altri.
Anch’io vado per i 50, ed anch’io per vent’anni ho arrampicato, dalle mie parti, in falesie deserte dove i pochi li si conosceva tutti.
Poi hanno messo queste pareti su una delle tante guide del Sarca…e addio parcheggi, quiete, roccia ruvida.
Rimpiangere i bei tempi andati e guardare con disprezzo gli “ignoranti” che salgono comunque e si attaccano alla tua sosta non cambia le cose.
Una soluzione? Come hanno detto, salire, allontanarsi dalle falesie comode e *smart* (se e dove si può).
E se si chioda, uccidere i testimoni e soffocare il proprio ego in nome della fruibilità.
Commento 15:
Non credo che sia per il dio denaro che vengono sfornati centinaia di climbers ogni mese, ma semplicemente perché è un attività bella, stimolante e appassionante. Sicuramente la palestra aumenta il numero di persone che possono venire a contatto con l’arrampicata e quindi di conseguenza più persone che vanno su roccia, Ma dove sta scritto che deve essere una passione elitaria? Personalmente trovo sbagliato il tuo ragionamento. Io ho iniziato direttamente su roccia usando saltuariamente la palestra che non amo, se non voglio trovare gente in Falesia non faccio nient’altro che scegliermi falesie per un avvicinamento superiore a 20 minuti, credimi questo screma già parecchio. Che poi sia da vedere anzi da rivedere l’educazione di molte persone che frequentano le falesie Sono d’accordissimo, Ma il problema non è il divulgare bensì saper usare il cervello. Giusto ieri ero ad arrampicare a Rocca trincera sopra Cumiana, gneiss spettacolare, dieci monotiri belli da 30 m e 4 vie lunghe da 80/90 m, Esiste dal 95 e in rete si trovano le relazioni Eppure eravamo solo io e il mio socio, 40 minuti di camminata per arrivarci. Come mai secondo te?
Il problema reale di ogni falesia sono i cani.
Anche quelli a 2 zampe.
Un tempo c’era il CAI che faceva i suoi corsi, prevalentemente rivolti all’alpinismo, dopo i quali la maggior parte dei partecipanti abbandonava in quanto l’arrampicata è un attività impegnativa,non solo fisicamente
Poi sono nate le palestre,uh che bello potremo allenarci quando piove
Poi hanno iniziato a fare i corsi e ogni mese vengono sfornati centinaia di climber nel nome del dio denaro
E il fatto è che questi non abbandonano, anzi continuano portando a loro volta amici, parenti,cani….
E non c’entra la diffusione delle falesie on line, siamo diventati troppi e basta
volevo scrivere: a chi NON ha chiodato le vie.
Nel senso che non sono di proprietà di che le chioda. Non si può certo pretendere di avere un terreno d scalata riservato, vietandone la frequenza a chi ha chiodato le vie, anche se qualcuno vorrebbe farlo.
Il rispetto dei luoghi , dei tiri, degli stili, delle vie, della roccia, sta all’educazione di tutti. Ma evidentemente è chiedere troppo.
Qualche volta mi appare con maggior chiarezza perché non ho mai amato falesie e falesisti…
se volete avere un bellissimo esempio di incapacità di gestire relazioni personali e condividere uno scopo venite in val d’adige. sia con Monte Baldo rock, sia con verona Rock qualcuno c’ha provato scontrandosi con la dura realtà, ossia è molto più facile distruggere che costruire. detto questo la soluzione è semplice. tirare sui gradi e allungare le protezioni. in qualche commento è stato detto che le falesie non sono private? mai di più sbagliato. la parete ricade nel mappale della sommità o della base a seconda se sia strapiombante o appoggiato
Certo l’educazione sarebbe la via migliore ma lasciatemi essere pessimista. L’educazione perchè abbia successo passa per l’esperienza. Come si fa ad educare oggigiorno un neoclimber ai valori che qui descriviamo, se nascono in sale di plastica, che si fanno pubblicità a suon di web, dove lavorano allenatori e simili e dove nel we, alla presenza dei genitori, ci sono gare e garette e a volte si crea un’atmosfera più simile ad un torneo di calcio che alla scalata? Che tipo di esperienza possono fare in tali contesti? Io sono pessimista che questi possano essere educati. Molti di loro, non tutti, ma molti andranno in falesia con lo stesso spirito con cui entrano in palestra. E’ cosi. Ma fa parte della massificazione della scalata. A tutti i livelli e ovunque.
La valle dell’adige e molto lunga e tra la zona sud e la zona nord che una grandissima differenza.
In zona Verona si chiodano le falesie e subito si pubblica con certi casi con festa di inaugurazione
Zona nord diciamo Rovereto ci sono falesie chiodate da molti anni e mai pubblicate per volontà dei chiodatori
Poi Arriva questo austriaco dal c…o Meisl che pubblica falesie che sono su terreni privati,che hanno problemi di parcheggio, senza chiedere hai chiodatori e guadagna sul lavoro di altri.
Il mio pensiero è chiodatori e non pubblicare
Nessuno può impedire nulla, anche perchè le falesie non sono proprietà privata e tutti hanno il diritto di arrampicare.
Però bisognerebbe capire che la roccia dovrebbe essere rispettata e non essere trattata come se fosse un pannello di resina ad uso e consumo.
Enri:
Personalmente non vedo altre soluzioni che l’educazione (cosa che non rientra fra gli interessi principali dell’industria delle sale indoor), il buon esempio e, quando ci vuole, il rimprovero a chi “sbaglia”.
PS: a Finale, a mio modestissimo parere, la situazione non è esattamente quella descritta da Cominetti: dagli anni ’70/’80 le cose sono cambiate parecchio in termini di ospitalità (quanto meno come ampiezza dell’offerta), sui sentieri ormai (purtroppo) ci sono cartelli quasi dappertutto (ma tanto con il GPS ormai non servono più), i parcheggi continuano ad essere scarsi, ma di furgoni ce ne sono sempre parecchi, italiani come stranieri (vedasi la recente chiusura ai non residenti del vallone di Montesordo), e se i settori “storici” vengono richiodati col contagocce (con diverse eccezioni più o meno recenti: Superpanza, Placconata, Tempio del vento, Kattedrale, Ombre blu, …) negli ultimi anni ne sono nati decine di nuovi, spesso con tiri alla portata di tutti (sia come difficoltà che come distanza delle protezioni). In più c’è stato l’ “assalto” dei biker, che ormai numericamente forse sopravanzano gli arrampicatori.
A Finale, oltre a tutto quello che ha detto Cominetti, ci sono anche molte falesie “antipatiche” dove, per venire a capo dei tiri, devi impegnarti a fondo, piu che altrove. La prova di questo è che quando, ad inizio degli anni 2000, si apri la fase Albenga (esclusa la falesia di CastelBianco ancora in pieno stile finalese), molti fecero armi e bagagli da Finale per Albenga, visto che i gradi erano più a buon mercato. Questo per dire che la soluzione al possibile sovraffollamento creato dalle fabbriche di climber indoor è sempre solo una: migliorare le proprie prestazioni e frequentare falesie ostiche, perchè la roccia è strana (!), perchè l’aderenza non c’è sempre, perchè le vie non vengono al secondo tentativo ecc. ecc..
Detto questo, la moltiplicazione dei climber da plastica non si fermerà togliendo i pdf dal web. Le palestre indoor sfornano centinaia di climber, è un dato di fatto, per cui c’è solo da augurarsi che essi preferiscano frequentare la plastica piuttosto che la roccia, Ma se vogliono provare la roccia mica possiamo impedirglielo.
Si danno da fare per promuovere in lungo e in largo le falesie della loro zona (se volessi essere malizioso, aggiungerei che lo fanno anche per gonfiare il proprio ego), e poi si stupiscono se la gente ci va?
Questo di Verona non è l’unico esempio, ovviamente.
Che fastidio questa massa di incolti che pretendono di frequentare i miei spazi.
E cadono anche sulle vie banali.
Ma non la vogliono proprio capire che tra noi e loro, anzi tra me e loro, c’è una enorme differenza?
Che tornino nei capannoni, sulla plastica e lascino a noi, anzi a me, il resto. Non ne sono degni.
A mio parere visione molto miope! La realtà è che indietro non si torna: si potranno anche tenere segrete tutte le nuove falesie, ma cosa ne sarà di tutto il patrimonio verticale già ampiamente disponibile al mondo? Ho salutato la nascita di APS Arrampicata Verona con la speranza che finalmente ci fosse una realtà dai grandi numeri in grado di fare educazione, prevenzione e cultura, di creare collaborazione con gli attori sul territorio, per realizzare tra le altre cose una “rete di protezione” per le nostre pareti, e non solo di farci manutenzione e richiodatura. Ma sono profondamente deluso: bene le richiodature, ma per il resto stiamo a zero, se non saltuari vaneggiamenti filosofici e poco altro, un po’ poco per un’associazione con 200 iscritti e con cotanto statuto. Ma d’altra parte, questa linea di pensiero si è già concretizzata, in più di una occasione: nelle brutte vicende legate alla guida Verona Rock Falesie (alla cui stesura hanno collaborato molti elementi altolocati di APS Arrampicata Verona, e che con un voltafaccia è stata dagli stessi poi osteggiata o rinnegata), ma non solo, con comportamenti decisamente poco collaborativi e lungimiranti, pilateschi quando non apertamente ostili. Il colpo di grazia alla credibilità dell’associazione poi è stato quello di offrire ai soci in sconto convenzionato… proprio la nuova controversa guida di Meisl!!!
Ma perché dobbiamo SEMPRE chiudere la stalla dopo che tutti i buoi sono fuori d ad un pezzo ?!?! Questo vale non solo per l’arrampicata ma più o meno per qualsiasi campo dell’agire umano. Questo dimostra che rincorriamo sempre il problema, non lo anticipiamo mai. Abbiamo lo sguardo inchiodato all’immediato, non abbiamo neuroni deputati alla previsione, allo sguardo lungo. In una parola, meritiamo l’estinzione.
A Finale non si puliscono i sentieri, non si fanno parcheggi e i tiri vengono riattrezzati con mooolta parsimonia.
I locali non hanno mai visto di buon occhio i climbers perché comunque turisti. L’accoglienza è pessima o tipicamente ligure, scegliete voi.
Nei piccoli e scomodi parcheggi non ci sono quasi mai California 6.2 perché ogni tanto c’è qualcuno che passa a bucare le gomme.
Mentre penso: che culo che ho avuto a iniziare a scalare negli anni ’70, credo anche che funzioni.