Per una Principessa
di Ivo Rabanser
Prima ascensione sulla parete nord-est della Torre Lisa sul Sassolungo
Ero preso dal lavoro di compilazione della guida del Sassolungo, che sarebbe stata edita dal CAI-TCI. Poiché in ritardo con la consegna del manoscritto, mi toccava sacrificare diverse giornate estive di un propizio cielo blu cobalto per concludere questo impegno. Dapprima mi ero trascinato in un’esuberante attività ed era mancato il tempo, successivamente cedetti alla pigrizia quando invece mi sarebbe stato possibile lavorare. Era insomma una giusta punizione e ora dovevo recuperare il tempo perso.
In particolare mi mancano ancora un bel po’ di fotografie. Decisi così di impiegare un fine settimana per catturare immagini da inserire nel volume.
Con le telecabine ero salito alla Forcella del Sassolungo e mi fermai brevemente al Demetz per salutare Franz e Stefania che allora gestivano il rifugio. Era proprio una splendida giornata. Il cielo blu cobalto iridava una luce ideale per modellare con efficacia la plastica delle pareti che dovevo ritrarre. Tuttavia mi rammarico di quel mio ruolo, relegato a fare foto invece di grattare dolomia verticale. Quell’estate si è già rilevata buona. Con compagni diversi ci erano già riuscite sei prime ascensioni. Ed eravamo soltanto a fine luglio.
Discesi il primo ripido tratto del Vallone del Sassolungo, poi deviai verso sinistra inoltrandomi nella suggestiva conca che un tempo conteneva un piccolo ghiacciaio. Adesso i residui del ghiaccio si potevano notare soltanto nelle alte terminazioni dell’insenatura.
Mi ero discosto di poco dal sentiero affollato, eppure ciò era bastato per isolarmi dal chiasso delle persone. Era proprio un posto suggestivo. Mi sentivo come in una grandiosa arena, circondato da alte e selvagge pareti rocciose.
Tirai fuori l’apparecchiatura fotografica e inquadrai la parete del Campanile di Venere. Girandomi, quasi d’improvviso, notai la parete giallastra alle mie spalle. Era una torre dalla caratteristica sommità squadrata. Tante volte l’avevo guardata, ma mai prima di allora veramente osservata.
Dallo zainetto recuperai prontamente il binocolo e misi a fuoco. Attraverso le lenti scrutai minuziosamente quella parete di verticale dolomia gialla, cercando di coglierne tutti i segreti. Mi prese un’ondata d’euforia. Inaspettatamente avevo intravisto una possibilità di tracciare una via nuova e per di più su una parete ancora inviolata. L’ottica del binocolo ingrandì il problema, permettendo d’ipotizzare una linea su quella trama di rocce verticali.
Che bel gioco quello di accostare passaggio dopo passaggio nella composizione di un itinerario di salita. Nello studio di un nuovo itinerario stabilisco preventivamente soltanto grosso modo il percorso da seguire, come in un progetto di massima. I passaggi nel dettaglio vanno scoperti una volta impegnati in parete. Queste prime ascensioni non sono certo necessarie, però sono possibili, come del resto avviene per tutte le attività creative. Pensai alle parole di Mummery: «Il vero alpinista è chi tenta nuove ascensioni. Non importa se vi riesce o no; egli ricava il suo piacere dalla fantasia o dal gioco della lotta».
Avevo come una musica all’orecchio, come un bambino che scopre un gioco che lo coinvolge. Trascorsi il resto della giornata fotografando le varie pareti del Sassolungo. In un solo giorno scattai oltre quattro rullini di diapositive.
Il 2 agosto 1998 attaccammo la parete. Avevo coinvolto Stefan Comploi in questo progetto, che come d’abitudine si era subito dimostrato entusiasta e ansioso di mettere le mani sulle rocce. Era una domenica e le condizioni del tempo poco propizie. Ugualmente decidiamo di provare. Traversando i pendii detritici verso l’attacco mi fermavo ogni volta che il respiro si faceva affannoso per scrutare la parete.
Dopo un breve zoccolo di erti gradini, la roccia s’inarca ripida sopra di noi. Per placche compatte ci alzammo verso sinistra, dove un diedro rovescio indicava la linea da seguire. Con quella lunghezza raggiungemmo una piccola cengia, dove iniziava il settore giallo della parete. Sulla sinistra intravvedevo la possibilità di continuare. Un muro di roccia verticale, striato da una colata nera, lasciava sperare in una prosecuzione.
Gli appigli si presentavano ruvidi sotto le dita, ma sufficienti per innalzarsi. Su una placca traversai poi verso destra, fermandomi per piantare un chiodo. L’operazione mi sfibrò oltremodo le braccia, poiché dovetti spessorare il foro nella roccia con zeppe di legno duro prima di infiggere a chiodo a colpi di martello. Ero soddisfatto del lavoro. Ora si trattava d’arrivare alla sovrastante grande lama di roccia, dall’aspetto un po’ malaticcio. La caricai delicatamente, facendo cadere nel vuoto alcune lastre instabili. Che i sassi sparissero nell’abisso, sibilando diversi metri al di là della sosta dove Stefan mi guardava divertito, palesava il fatto che la parete strapiombava e non solo in senso metaforico. Ero ansioso di vedere se quella riga più chiara, che nello studio preliminare della parete avevo adocchiato, fosse come speravo la soluzione del problema che avrebbe permesso di raggiungere lo spigolo terminale. Sì… Con un urlo di gioia comunicai all’amico la lieve notizia! Una provvidenziale rampetta si insinuava fra gli strapiombi e ci avrebbe permesso un’agevole continuazione.
Stefan iniziò a traversare su queste rocce concave verso destra, ripulendo gli appigli e gli appoggi mobili. L’arrampicata si svolse in massima esposizione. Superando un ultimo strapiombo raggiunse lo spigolo illuminato dal sole. Di ottimo umore salimmo le ultime balze rocciose verso la cima.
Desideravo intitolare questo monolite inaccesso al nome di mia figlia Lisa. E Stefan si disse generosamente d’accordo. Alla mia piccola Principessa, che in quel tempo indicava con il dito il Sassolungo dicendo: «montagna di mio papà».
Stefan Comploi e Ivo Rabanser (a ds) in vetta all’inviolata Torre Lisa
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Ivo è ancora un alpinista “romantico” che oltre ad avere un amore per la scalata a una grande cultura dell’alpinismo.
Splendide anche le immagini.
E’ bello leggere scritti come questo, grazie Ivo!