Prevedo, dunque sono

Nel libro Come il cervello crea la nostra coscienza, il neuroscienziato Anil Seth sgretola i misteri della coscienza alla luce di una prospettiva integralmente naturalistica. Ne emerge un quadro complesso, in cui viene meno anche il “me stesso” che siamo abituati a pensare.

Prevedo, dunque sono
(la difficile arte di essere se stessi)
 di Andrea Valdambrini*
(pubblicato su saperambiente.it il 26 settembre 2023

Con la testa dentro la natura: così si spiega, meglio ancora, si dissolve il mistero della coscienza. Parola di Anil Seth, ricercatore nel campo di quella che lui stesso definisce scienza della coscienza, professore di neuroscienze cognitive all’Università del Sussex e autore di Come il cervello crea la nostra coscienza. Il lavoro di Seth, diciamolo subito, è complesso, come d’altronde è il tema affrontato. Ma per fortuna, questo volume, pubblicato da poco in italiano ma uscito in inglese nel 2021 e divenuto un bestseller, rappresenta il precipitato della frequente presenza mediatica dell’autore: dai Ted talk ai podcast, ai molti interventi su quotidiani e alla presenza ai festival, quale ad esempio Pordenonelegge il 16 settembre 2023, presenze che ne fanno una star della pop science, come si può vedere anche dalla sua pagina web.

Un libro complesso, dunque. Ma sebbene gli strumenti messi in campo siano quelli, anche sperimentali, delle neuroscienze, l’impianto di fondo è fortemente filosofico. Ovvero, le domande di partenza sono quelle classiche – perché emerge la coscienza dal cervello? Cosa vuol dire essere un sé? – in un costante confronto con grandi autori, da Kant a Cartesio.

Ci vuole un fisico bestiale
In realtà, la tesi principale del libro, quella della “macchina bestiale”, è plasmata sulla definizione di homme machine coniata in origine da un pensatore francese, meno noto dell’autore del Discorso sul metodo, come Julien Offray De La Mettrie. Nella prospettiva di Seth, noi tutti siamo, in quanto esseri in carne ed ossa – ovvero animali, quindi bestiali in senso buono – e con una struttura mentale che fa presa costante sulla realtà, in questo senso macchine, costantemente guidati dall’istinto di sopravvivenza. Siamo soprattutto esseri per cui tutte le percezioni ed esperienze, sono una sorta di costruzione mentale. E questo ribalta l’idea ingenua e comunemente accettata di come si verifica la conoscenza della realtà: vedendo, ascoltando, toccando qualcosa lo introduco nella mia testa , che ne elabora i dati in un secondo momento.

Il neuroscienziato Anil Seth

Ma la testa (cervello e mente che ne è il prodotto) è tutt’altro che vuota in partenza, non foss’altro per la materia che contiene fin dalla propria origine. Cosa significa che la struttura biologica che noi stessi siamo pensa il mondo “prevedendolo”?

Seth prende in prestito e adatta alla propria la felice teoria, formulata dallo psicologo britannico Chris Frith delle “allucinazioni controllate” (anche il lavoro di Frith Inventare la mente è stato pubblicato in italiano da Cortina nel 2007, sempre nella collana Scienza e Idee, che fu diretta dal filosofo Giulio Giorello). Noi formuliamo ipotesi plausibili sulle cose, un po’ come succederebbe se avessimo allucinazioni, appunto, e di solito ne riceviamo conferma, in un continuo processo di rimando e adattamento dei dati sensoriali, il che corrisponde al livello del controllo. Se la conferma non dovesse arrivare, cambiamo ipotesi, riadattandola. Ma il fatto che pensiamo che una tazzina di caffè abbia una certa forma anche nella parte di essa che non vediamo, si possa rompere se la lasciamo cadere, sia adatta a contenere liquidi, ci permette di usare questo e altri oggetti. E sopravvivere agevolmente.

L’io a pezzi
È un po’ così anche per il concetto che va sotto il nome di coscienza. E qui arriviamo davvero al cuore del ragionamento di Seth. Per varie ragioni (piscologiche, evoluzionistiche) siamo abituati a pensare che la percezione del nostro essere noi stessi, in prima persona, sia un’idea spontanea, immediata. E quindi vera. Un po’ come accade nel cogito Cartesiano: penso, dunque sono. E sono me stesso. Chi altri dovrei essere, sennò?

Invece no. Tirando il filo della sua teoria della percezione, Seth presenta il sé in prima persona come a sua volta frutto di costruzione mentale. La quale, di nuovo, è utile al nostro organismo biologico per sopravvivere nel mondo, come di solito riusciamo a fare benissimo. Ecco che anche l’essere sé stessi, la prospettiva di percepire le cose in prima persona, rientra nel novero delle allucinazioni controllate. E con questa mossa, quello che Seth definisce il “vero problema” della coscienza – che un altro filosofo, contemporaneo, David Chalmers, enunciava così: non come ma perché mai dalle cellule del cervello nasce qualcosa come coscienza – è risolto. Anzi, forse è disgregato. A vederla da vicino, la coscienza si compone sia di diversi livelli misurabili che di forme multiple. Se la intendiamo come “vigilanza”, andrà dallo zero di coma e anestesia, fino ai sogni e alle esperienze psichedeliche (che sono forme differenti di allucinazioni senza riaggiustamento, ma comunque coscienti). Sotto il profilo dell’identità personale, si andrà dalla percezione di essere corpo, alla prospettiva in prima persona, fino al sé narrativo e a quello sociale. Ed è proprio la narrazione continua di noi stessi che facciamo attraverso la memoria, a darci un’impressione di identità personale. Falsa, se seguiamo queste ipotesi teoriche, ma comunque imprescindibile per non andare in pezzi.

È così che Anil Seth ci accompagna in un labirinto di riferimenti e di problemi teorici. Quando ne usciamo, possiamo anche non essere convinti di tutte le soluzioni proposte. Ma di sicuro, avremo capito qualcosa in più.

Andrea Valdambrini*
Giornalista, laureato in Filosofia, ha cominciato sbagliando tutto, dato che per un quotidiano oggi estinto recensiva libri mai più corti di 400 pagine. L’impatto con il reportage arriva quando rimane bloccato della polizia sotto la Borsa di Londra con i manifestanti anti-capitalisti. Da allora è rimasto nella capitale britannica per tre anni, raccontandola per Il Fatto Quotidiano. Poi è arrivato a Bruxelles, dove ha seguito le elezioni europee del 2014 e del 2019. Non è detto che ripeta gli stessi errori anche con quelle del 2024.

Prevedo, dunque sono ultima modifica: 2024-01-11T04:48:00+01:00 da GognaBlog

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11 pensieri su “Prevedo, dunque sono”

  1. penso ke tutto possibile, risultati di ricerke e deduzioni, però bisogna prendere in causa pure il fatto da poco constatato del funzionamento cerebrale anke a livello quantico, di cui nn siamo coscienti, ma interferisce e va oltre in varie dimensioni dell’essere totale…

  2. Nella Cina antica un vecchio saggio cosí raccontava:
    “Una volta Chuang Chou sognò di essere una farfalla. Era una farfalla felice. Non sapeva di essere Chou.
    All’improvviso si svegliò, e allora fu Chou.
    A quel punto non capiva se era Chou che aveva sognato di essere una farfalla o se era una farfalla che stava sognando di essere Chou”.
     
    “Ed io che sono?”, si chiese un giorno un pensieroso Giacomo Leopardi in preda allo sconforto. Il mistero è impenetrabile; al confronto, riuscire a oltrepassare la porta della legge di Kafka pare quasi una passeggiata lungo un viale alberato. 
    Tu, Antonio, che ora stai leggendo, sei proprio sicuro di essere Antonio?
     
    Forse non siamo né uomini né farfalle. Per dirla con Shakespeare, siamo un sogno.
     

  3. #9 niente è più misterioso? Non solo non sappiamo definire di cosa sia fatta la “materia” dell’esperienza soggettiva che chiamiamo coscienza (per non parlare di quella dei sogni, per dirla con Shakespeare); ma neppure siamo ancora riusciti a definire i correlati neurali della coscienza. Per aver scommesso su ciò, il neuroscienziato Cristopher Koch ci ha pure rimesso una cassa di vino pregiato:
    https://www.wbur.org/onpoint/2023/07/12/a-25-year-old-bet-on-human-consciousness-gets-settled

  4. Anil Seth sta facendo un lavoro eccezionale nello smontare il problema della coscienza. 
    È successa la stessa cosa nei due secoli precedenti con il mistero dell vita. Finché l’umanità non aveva idea di cosa fosse, la vita era considerata una specie di fluido a sé. Poi, un passo alla volta abbiamo capito i principi alla base della vita biologica e ora, pur essendo ben lungi dall’aver capito tutto, niente è più misterioso.
     

  5. Vorrei smontare la questione a partire da un concetto espresso con una sola frase, ma è un concetto che non si può pronunciare. Il linguaggio non ha il pregio del dettaglio. Oltre al definizionismo scientifico o di altra natura, se c’è n’è, l’essere umano sopravvive. Non so bene perché e per quale origine. E se l’oracolo di Delfi diceva conosci te stesso, io direi dimenticalo e costringiti a vivere. Ciò non significa che non sia necessario sapersi distinguere da altri ecc… Tre parole. Mente, Materia e Tempo. Tre concetti intrecciati in modo indissolubile secondo il mio modesto parere. Per conoscere se stessi serve uno specchio o che qualcuno ti smonti il cervello? Potrebbe diventare un movente per atti criminosi. Ve lo immaginate?

  6. Come per ogni ideologia e religione ci sono i fanatici del materialismo che, inoltre, coltivano il loro ego con citazioni storiche. Se, p.es.,pensiamo all’oggettiva sicurezza di quelli che, in buona fede e basandosi sull’evidenza sensoriale, sostenevano l’impossibilità che fosse la terra a girare attorno al sole possiamo renderci conto del fatto che i paradigmi apparenti hanno un valore molto relativo.

  7. Diversamente dall’articolista, vedo la posizione del neuroscienziato  altrettanto scettica come quella di Cartesio.  Il ”cogito ergo sum” cartesiano’ può essere trasposto in un aforisma simile ma non uguale, che nulla toglierebbe al pensiero del filosofo francese, appunto così: ‘dubito, quindi sono’. Il neuroscienziato sopracitato ne spiega le dinamiche meccaniche (l’uomo come una ‘machina’ è, tra l’altro, già presente nell’atomismo greco-romano di Democrito e Lucrezio, quanto nella filosofia moderna di Hobbes):  dinamiche legate ai numeri, alla matematica, alle scienze che lo scienziato ne dà poi contezza dal punto di vista filosofico. Credere che il sé si costruisca nel tempo e possa disgregarsi è connaturato alla filosofia stessa, ed anche alla letteratura, all’intendere questa come un’insieme di questioni aperte, dubitare sempre, in maniera costruttiva, senza mai abdicare al dubbio. Mi viene in mente Hume e la sua concezione dell’io come’ ‘fascio di percezioni”. L’io, la concezione del sé e la coscienza nel corso dei secoli sono stati temi sviscerati dalla filosofia dovizia di particolari sulle loro possibile conseguenze, attraverso diversi tipi di narrazione (parafrasando Seth). La scienza ci ricorda che la saggezza dei filosofi non è estranea alle regole numeriche,  cui anche il cervello ne è oggetto.
     

  8. Tendo a essere d’accordo con Antonio.
    Mi pare una costruzione un po’ complicata per dire in sostanza nulla.

  9. Confesso che questa tesi mi appare un po’ tirata per i capelli, per quanto sostenga che la realtà sia più semplice di quel che appare.
     
    D’accordo che siano mente e spirito a creare la realtà che ci circonda e che la mente crei un io che, io credo, essere in toto distinto dalla nostra vera essenza.
    Nella mia visione, la nostra identità è una somma di entrambi ed è in continua trasformazione, modellata anche dal riflesso di chi ci vede e ci circonda. Diverso è, invece, per la nostra essenza che anche noi fatichiamo spesso a raggiungere e illuminare, nascosta così bene sotto spesse coltri di maschere e corazze.

  10. Oh ! la, la !… les mystères de la vie !
    Quelle prétention que de vouloir les résoudre.

  11. Pretendere di “sgretolare” il mistero della coscienza negandola, o definendola in un ennesimo modo (stavolta “allucinazione controllata”), non sposta di una virgola l’insondabile mistero del come si produca e soprattutto di che cosa sia fatto (l’hard problem di David Chalmers)  il pensiero interno (se non lo si vuol definire coscienza) che stabilisce la relazione degli esseri viventi con l’ambiente.

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