Metadiario – 100 – Principiante d’eccezione (AG 1981-006)
Tornare a casa dopo una lunga trasferta significa doversi occupare di un mucchio di cose, in genere grandi menate: riallacciare i fili del lavoro, provvedere a tutto ciò che era stato rimandato.
Ma, quel giugno 1981, fu per la maggior parte dedicato ai lavori in casa nostra, in via Alessandro Volta 10. Ce l’avevamo fatta a comprare l’immobile, a dispetto di un padrone di casa burbero, inaffidabile ma, alla resa dei conti, abbastanza umano. Avevamo deciso di soppalcare tutta la casa che, essendo al secondo piano (chiamato anche “piano nobile”) si prestava bene per l’altezza (superiore ai 4 metri). Grazie all’amico Ettore Pagani, già avevamo costruito nel 1976 un soppalco nella nostra camera da letto. Trasferendoci al di sopra per dormire avevamo conquistato quasi una quindicina di metri quadri, ma ora non ci bastava più per via dei libri, dei tappeti e di altro. Così avevamo deciso di ricavare un unico ambiente da quello che erano la cucina e il soggiorno, buttando giù il muro divisorio, quindi costruire sui tre quarti della superficie un grande soppalco di circa 35 mq, dotato di una libreria come si deve e di una grande tavolata adibita a studio, scrivania, ecc.
Naturalmente da lì era previsto il passaggio diretto (altro pezzo di muro da abbattere) al soppalco in camera da letto e la costruzione di un secondo bagno proprio sopra a quello esistente. Insomma, un grande lavoro che richiedeva il non rivolgersi a imprese qualunque ma il selezionare gli amici che potevano svolgere gli stessi compiti alla metà dei costi. Tutto giugno se ne andò in questa progettazione, ma alla fine riuscimmo a partire. Erano i primi di luglio e ricordo ancora con grande emozione il mattino in cui, ormai svuotata la casa e traslocato il tutto un po’ di qua e un po’ di là, incominciò l’immane lavoro di demolizione. Naturalmente io ero parte integrante della forza lavoro, costituita dall’idraulico Vittorio Tamagni, due operai specializzati, i bresciani Giacomo e Sandro Pedersoli (non fratelli e neppure parenti) e dai due magütt, Luca Roverselli ed io. Tutti alpinisti, meno Sandro… Completava la squadra la saltuaria supervisione dell’architetto-falegname Ettore Pagani.
Stremati dal duro lavoro, la domenica 5 luglio con Vittorio Tamagni e Marco Lanzavecchia ci concedemmo un’uscita arrampicatoria. La forma era quello che era, però ci lanciammo sulla via dei Diedri, con variante diretta, allo Scudo di Valgrande sopra Ballabio. E la domenica dopo (12 luglio) Ettore accompagnò me e Vittorio, ancora più stremati, alla Sentinella di Gondo, dove salimmo la bellissima via delle Rondini sanguinarie.
Vittorio era fidanzato con una delle figlie dell’amico Ernestino Fabbri, il “chimico” proprietario del Mirage con il quale avevo corso il rischio di naufragare almeno tre volte. Un tipo tanto simpatico da essere travolgente: occorreva solo stare attenti che il travolgimento non costituisse anche l’abbandono di qualunque punto certo… con lui era essenziale tenere i piedi per terra, a volte afferrandolo per le ali che batteva con entusiasmo e violenza. Sul lavoro era bravo, forse un po’ troppo “creativo”, a rischio di un’efficienza non del tutto garantita. Con lui, il 20 luglio, andai a ripetere la mia Sfera di Cristallo allo Sperone della Magia in Val di Mello.
Con Ettore avevamo cominciato a condividere la casetta delle Fate Nere a Champoluc, in modo da suddividere l’affitto e le spese. Una soluzione riuscita, perché con lui e con la moglie Mary era davvero facile mettersi d’accordo sui turni, e anche sulla possibilità di convivenza.
Con Nella, Ettore e Alberto Schiavoni il 2 agosto salimmo lo spigolo inferiore della via Crivellaro alla Rocca di Verra, inaugurando così una bella serie di salite su quella montagna “diffusa”.
Lavorando come dannati parlavamo anche di montagna. Sandro Pedersoli, che non aveva mai messo mano su roccia o piede su neve, ci stava a sentire e s’incuriosiva giorno dopo giorno. Il ragazzo aveva un fisico assai robusto e di certo aveva una forza eccezionale. Abituato “ad essere il più forte” non riusciva a comprendere come l’abilità nell’arrampicare potesse essere quasi completamente disgiunta dal vigore fisico. Da qualche giorno ci prendeva un po’ in giro, punzecchiandoci sul fatto che lui di sicuro poteva fare tutto quello che facevamo noi. Alla lunga, decidemmo di lanciargli la sfida.
Il 4 agosto salimmo in cinque al rifugio Allievi, una sgammellata che avrebbe ucciso chiunque non abituato a camminare. Vittorio, Luca, Giacomo ed io ci eravamo detti di non essere per nulla premurosi: magari giunto al rifugio, dormito poco di notte e alzato molto presto la mattina, Sandro avrebbe desistito dal progetto. Che era quello di salire tutti e cinque la via Taldo-Nusdeo al Picco Luigi Amedeo.
Sandro non solo arrivò all’Allievi caricato del suo bello zaino (prestato), ma ci arrivò fresco come una rosa. Ronfò quelle poche ore il sonno dei giusti e alla sveglia prima dell’alba era pronto come noi. Andammo perciò all’attacco. Si era deciso che io sarei partito per primo, legato con lui, e gli altri tre avrebbero seguito assistendolo. Occorreva la decisione se poteva continuare oppure no non oltre la seconda sosta, da cui potevamo calarlo e proseguire in quattro.
La sera prima avevamo fatto un minimo di scuola di arrampicata su qualche sasso vicino al rifugio: nulla da dire. Osservammo che, in effetti, non usava più di tanto la sua forza bestiale, ma seguiva il nostro consiglio di cercare sempre l’equilibrio e la spinta sui piedi. Insomma, un principiante ideale.
Il mattino dopo il sole ci trovò che stavamo legandoci alla base della parete. Sul primo tiro di 30 m c’erano già delle difficoltà di VI (in diedro); il secondo era di trasferimento (IV e V) a una piccola sosta alla base di alcune fessure molto strapiombanti, dove la relazione parlava di A2, A3 e di VI. Sandro superò con tranquillità la prima lunghezza, non ci fu neppure bisogno di tenere la corda molto tesa. Il problema stava ancora nel vedere come se la sarebbe cavata sull’artificiale, alle prese con staffe e manovre sconosciute. Mentre salivo il tetto gli facevo scuola. Chiaro che, quando gli toccò seguirmi, fece un po’ di casino: ma alla fine, aiutato da quelli sotto che lo radio-dirigevano, se la cavò con sufficiente onore.
Ma era ancora ben lunga, si fa presto a dire 380-400 metri… Ma di mano in mano che salivamo non finivamo di stupirci: Sandro saliva tranquillo, a volte faceva un po’ di fatica, ma senza mai farci perdere troppo tempo. A metà salita ovviamente nessuno pensava a calarlo, dunque tutti e quattro lo lodavamo e lo incitavamo, nella speranza che avrebbe continuato così fino in vetta. Cosa che in effetti successe: alla fine era un po’ affaticato, ma ciò che perdeva perché era un po’ stanco lo recuperava con l’acquisizione rapida e continua della tecnica di arrampicata, che migliorava a vista d’occhio.
Insomma, uscimmo in vetta gloriosamente ancora nel primo pomeriggio, tanto da non fermarci a dormire ancora al rifugio come invece ci saremmo aspettati.
Dopo la fine dei nostri lavori casalinghi non rividi più Sandro. Non credo abbia mai più arrampicato o fatto esperienze del genere. La mia però è solo una supposizione.
Il grosso dei lavori, intendo lo sgombero macerie indi la costruzione del secondo bagno e del soppalco, nonché il soffitto, con la prima settimana di agosto era terminato. Riportammo un po’ di roba in casa, sì da poterci vivere e dormire. Rimanevano la libreria da fare, il nuovo impianto idraulico, la lucidatura del soppalco e l’imbiancatura, che però rimandammo alla fine di agosto. Perciò potemmo concederci un due settimane di “ferie” alle Fate Nere.
Il 9 agosto con Ettore affrontammo la parete est del Monte Oscuro 2786 m, uno dei tanti grandi risalti che compongono la Rocca di Verra. Salimmo così Sogni smarriti, una bellissima via nuova che purtroppo non ebbe successo, anche se debitamente relazionata sulla nuova guida del Monte Rosa, quella di Gino Buscaini. Non credo infatti sia mai stata ripetuta.
La Corma di Machaby da Champoluc è abbastanza comoda, e va bene con tempo instabile. Con Ettore Pagani e Alberto Schiavoni il 10 agosto salimmo Bucce d’Arancia e il 12 agosto la via Jaccod con variante finale Giordano (Marco Giordano si era unito a noi per l’occasione). Il 13 era ancora tempo bruttarello, così ancora una volta con Ettore andammo alla Corma di Machaby per salire la via del Diedro (Bue Muschiato).
E finalmente il 14 agosto, sempre con Ettore, tornammo al Monte Oscuro per salire una linea che avevamo visto pochi giorni prima: l’evidente diedro che corre sulla parete est. Ce la cavammo in neppure tre ore e chiamammo la via Cori di Silenzi, impressionati dalla solitudine e dall’isolamento in cui ci trovavamo.
Nella ed io avevamo invitato Giacomo Pedersoli e Vittorio Tamagni alle Fate Nere. Questi arrivarono nel pomeriggio del 14 agosto: dopo un’allegra serata, il giorno dopo ci andò di andare a risalire il lunghissimo vallone di Chasten che porta all’Alpe Merendiù Superiore 2184 m. Faceva un caldo esagerato, e allungammo le già tante ore di cammino con almeno due prolungati bagni nel torrente di acqua gelida. Speravamo di poter dormire in qualche modo, ma i malgari (che per tutta l’estate vedevano raramente qualcuno, data la distanza) furono gentilissimi e ci offrirono di dormire sul pavimento del piano superiore della costruzione. Peccato che al piano inferiore, ben visibile attraverso larghe fessure tra le assi di legno, c’era la grande stalla con una decina di mucche.
Dire che il nostro fu un buon riposo è impossibile. Per tutta la notte fummo sollazzati dagli spiacevoli odori di stalla non pulita e soprattutto dai rumori continui che le bestie producevano, come se il loro ruminare si traducesse in lavoro di fabbrica.
La mattina dopo, 16 agosto, un po’ intontiti facemmo colazione con latte appena munto e ci apprestammo a partire. La nostra meta era la Becca di Vlou 3032 m, che volevamo salire per l’evidente e non difficile cresta nord, una via che Ottavio Bastrenta aprì in solitaria. Nella non ebbe alcun problema a seguirmi: dietro di noi, ridendo e scherzando, salivano anche Vittorio e Giacomo.
Il 18 agosto Ettore ed io continuammo l’esplorazione della Rocca di Verra spingendoci ancora più lontano, cioè andando ai Due Denti di Rocca di Verra 2722 m per salire la parete est-nord-est. Anche qui, una bellissima via nuova su roccia rossastra e con poco più di tre ore di arrampicata: la chiamammo Astro alpino.
Approfittando del tempo un po’ più stabile, il 19 agosto salimmo a dormire al rifugio Mezzalama in quattro, con meta la parete sud del Castore per la via Frachey. Il giorno dopo ci divertimmo assai a salire quell’itinerario, con bella arrampicata su roccia e anche bei tratti di neve e ghiaccio. Peccato che, ormai nella parte finale, fummo sorpresi da un fitto nebbione che c’impediva di avere le dimensioni di dove eravamo. Psicologicamente questo non giovò a Nella, ormai un po’ provata per via della quota. Fummo costretti a una marcia penosa verso la vetta, lentissima, tanto che pregai Ettore e Alberto (Schiavoni) di andare avanti e fare traccia. Comunque alla fine arrivammo al punto dove non c’era più da salire e questo fece stare Nella subito meglio. Anche se arrivò stanchissima al Mezzalama, per non parlare di quando raggiungemmo la nostra auto ai Piani di Verra (allora si poteva…).
Il 22 agosto feci la mia prima uscita come guida, accompagnando Felice Riva su Bucce d’Arancia alla Corma di Machaby. Fu così contento che mi pregò di portarlo il giorno dopo su qualcosa di più “alpino”. Decisi che sarebbe stato bello andare a ripetere Cori di Silenzi al Monte Oscuro, che avevo aperto con Ettore una decina di giorni prima. Una bella esperienza quella di portare un “cliente”, ancor più di fargli conoscere un angolo della montagna di Ayas davvero sorprendente nella sua stupenda solitudine.
C’era un problema che da tempo osservavo e aspettavo solo il momento buono per metterci le mani sopra. Avevo scoperto la parete ovest del Rothorn 3152 m, a sud del Monte Bettaforca e a nord della Testa Grigia: mi sembrava una bella parete. Alta 230 metri, si qualificava tramite un evidente pilastro di roccia rossa sito subito a destra dell’evidente canale che taglia verticalmente la parete fino a dividere la cima dall’Anticima Sud. Una via che non arriva direttamente in vetta ma che di certo rappresenta la più bella linea. Peccato che la roccia fosse decisamente ostile. Era il 24 agosto 1981: ci trovammo a lottare con lunghezze di V e di VI su roccia estremamente friabile, tanto che chiamammo la via Crollo generico.
I giorni dopo facemmo ritorno a Milano. C’era tanto da fare nella nostra casa, ma soprattutto nei primi dieci giorni di settembre avremmo dovuto ripartire per il secondo round di Mezzogiorno di Pietra: Sud Italia e Sicilia.
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Umberto, non ho capito bene: Rampik è circonciso? Lui, proprio lui, che credevo fosse un alpinista cosí a modo…
Rampik, conferma o smentisci! 😂😂😂
Raccontarono della via e di chi aveva condotto in un’intervista fatta da Popi Miotti su un vecchio numero di Alp, se non ricordo male tutti i tiri aperti da Nusdeo capocordata a parte uno solo salito da Vasco Taldo. Nel mentre in Valmasino una nota guida alpina cominciò a chiamarla la “Taldo-Nusdeo”, a volte abbreviandola in solo “Taldo”, con Nusdeo che addirittura spariva. Da qui il dilagare dell’imprecisione storica.
Grazie Rampik, sempre preciso e circonciso (cit.).
Aggiungo che sino a non molto tempo fa, quando lo vedevo in falesia, Nusdeo chiudeva ancora molto bene il braccino.
Hai ragione, Rampik… In effetti ci sono delle imprecisioni storiche che riescono a sopravvivere per quanti sforzi si facciano per risolverle. Si vede che la modestia del Nandino Nusdeo si è rivelata ancora superiore a quella già grande del Vascone Taldo…
Sono anni che mi preme correggere la “Taldo-Nusdeo” in “Nusdeo-Taldo” per due motivi: 1) ordine alfabetico 2) tirò Nusdeo quasi tutta la salita.
Felice Riva è quello che fu AD del cotonificio Vallesusa, presidente del Milan, nonché fuggiasco in Libano?
Per un alpinista la casa in montagna resta un sogno, oppure tra gli innumerevoli posti esplorati, non si vuole fare preferenze?Oggi in borghi bellunesi ( Agner , Tajbon e dintorni)semi abbandonati se ne vedono con cartelli VENDESI e pure annunci nei siti immobiliairi, mai un REGALASI. ANCHE perche’ poi bisognerebbe spenderci un capitale per ristrutturare,. Si trovano bene i lavoratori importati abili nell’arte edile e carpentiera fai da te, acquistano per poco,hanno i camion e le attrezzature, si arrampicano come gatti sui tetti , fanno pure edilizia acrobatica, per cui dalle pareti alle paretone per loro non c ‘e’stacco eccessivo.
Marcello, il pastore tedesco era un sacerdote della Germania, vero? Il tale del Fitz Roy, un marziano. E al Petit Dru scalava Superman sotto falso nome.
Dimmi di sí, altrimenti mi metto a piangere.
E poi sono sicuro che il brasiliano, da uomo saggio, al momento della rinuncia se ne uscí con una frase destinata a passare alla storia dell’alpinismo patagonico: “Al ghiaccio del Cerro Torre preferisco le calde ballerine poppute del carnevale di Rio”. Olé. 🤩🤩🤩
Situazioni che accadono.
Giorgio Rosasco dopo un sabato mattina d ‘arrampicata a Finale (prima volta che toccava roccia) salimmo di notte al Rognon des Drus da Chamonix e il giorno dopo facemmo la diretta americana al pentit dru. Oppure, il Fitz Roy con uno che non aveva mai messo i ramponi e un tentativo al Torre con un brasiliano che non aveva mai visto la neve, una via a cima 9 in dolomiti con un pastore tedesco…. cose che succedono.
Alessandro, ho letto bene? Portaste un tizio che non aveva mai toccato roccia sulla via Taldo-Nusdeo?
E per la prima “gita” su ghiaccio dove sareste andati? Sulla via Hiebeler-Pokorski al Lyskamm Occidentale? 😂😂😂