Profili – 06 – Maurizio Pellizzon
di Elio Bonfanti
Avendo frequentato a lungo le valli dell’Ossola sia d’estate che d’inverno mi sono spesso imbattuto nel nome di Maurizio Pelli Pellizzon. Quasi tutte le cascate portavano la sua firma e questo personaggio iniziò ad incuriosirmi. Poi quando ebbi la fortuna di stringere amicizia con Francesco Cecco Vaudo ebbi modo di avvicinarmi un po’ di più a questo alpinista, che di lì a poco ebbe un grave incidente che lo mise fuori gioco per un po’. Ma nonostante questo venni a sapere che appena rimessosi in piedi, girava in auto per le valli a vedere le condizioni delle cascate per riferirle ai suoi amici. Lo sfiorai un pomeriggio quando in un bar di Domodossola, gestito da due graziose signorine, incontrai un personaggio tanto simpatico quanto corpulento, il quale mi raccontava di mirabolanti avventure (da me non creduto) sulle cascate di ghiaccio della zona. Alla fine gli chiesi “maa… come ti chiami?”. Livio Croppi fu la risposta ed io rimasi di sale nell’immaginarlo impegnato su cascate come Buon Compleanno. Era tutto vero, ma Pellizzon era sempre un ectoplasma. Un giorno Cecco mi disse “vorrei andare a richiodare una via che avevo aperto con il Pelli, Madame Babette, che è bellissima ma è troppo ingaggiata e non ci va nessuno a ripeterla: andiamo insieme?”. Poi la cosa cadde nell’oblio per un po’ sino a quando non andai a ripeterla con due amici torinesi. Effettivamente era chiodata decisamente luuunga e in alcuni punti una caduta poteva avere delle conseguenze gravi. Il dado era tratto e fu l’occasione per chiamare Pellizzon e per sapere, dato che Cecco non poteva, se era d’accordo che andassi io a richiodarla. Così, ottenuto il suo assenso, con il Doc e il Payola procedemmo con l’opera.
Da quella telefonata però mi si accesero molte altre curiosità, perché ebbi modo di capire che si trattava di un uomo che all’apparenza preferiva la sostanza e questo era un punto enorme a suo favore.
Ravanando qua e là ho scoperto che dopo solo due anni di arrampicata aveva già salito alcune vie sulle big-wall dello Yosemite e che da allora la sua passione lo ha portato a percorrere sulle Alpi molti difficili itinerari.
Ha arato in lungo e in largo le “sue” valli che sono quelle dell’Ossola, ricche di grandi pareti di ottimo granito sulle quali ha aperto decine di itinerari sia di montagna che di falesia, mescolando questi e quelli ad una intensa attività sulle cascate di ghiaccio. E’ Istruttore regionale di alpinismo del Club Alpino Italiano ed è membro accademico del CAI. Poi, avendo tenuto a battesimo molte nuove falesie e molte vie di più tiri, ha redatto con cognizione di causa guide come Ossola Rock e Giardini di Cristallo che sono punti di riferimento per l’arrampicata locale. Il suo solo segreto è quello di seguire la logica naturale del fare quello che lo diverte. Così quando sente che alcune sue vie sono apprezzate, trova una ragione per tutto quello che ha fatto e questo lo ricarica di nuove energie per continuare.
Insomma, ora che ho capito qual è il tuo segreto e come apritore di nuovi itinerari ti sei fatto conoscere e apprezzare per l’intuito e la bellezza delle tue vie, vediamo se riusciamo a conoscerti un po’ di più. Raccontami un po’ di te, della tua vita al di là della montagna.
Mi chiamo Maurizio Pellizzon e sono un artigiano lavoratore autonomo, vivo a Domodossola con mia moglie Anna, mia figlia Marta e tre gatti: la montagna e l’arrampicata sono le passioni del mio tempo libero, come per la maggior parte delle persone che scalano.
Quando hai iniziato ad andare per monti?
Ho iniziato ad andare in montagna sin da piccolo, con mio padre, ma solo per camminate su sentiero. Crescendo e raggiunta la maggiore età, mi sono sentito attratto ed affascinato dall’alpinismo e curioso di praticarlo, così nel 1985 ho trovato l’occasione partecipando ad un corso di alpinismo organizzato dalla Sezione CAI di Villadossola. Questa esperienza mi ha fatto provare grandi emozioni, e da allora è cominciata la mia attività alpinistica, che dopo quasi quarant’anni mi trasmette ancora molta passione e motivazione…
Chi, se c’è, ti ha ispirato?
Mi hanno ispirato i molti libri di alpinismo che mi venivano regalati, i filmati della trasmissione Jonathan Dimensione Avventura trasmessa negli anni Ottanta e diretta da Ambrogio Fogar.
Quali itinerari di alta montagna hai percorso e in che anni?
Le mie prime salite sono state sulle montagne dell’Ossola. Quelle in roccia sono state all’Alpe Devero con “lo spigolo della Rossa”, le pareti del Cornera, le gole di Gondo nella vicina Svizzera, lo Joderhorn a Macugnaga e poi le vie di misto sulla parete est del Monte Rosa, con la cresta Signal, il canalone Marinelli, la cresta Santa Caterina.
Successivamente ho cominciato a conoscere il massiccio del Monte Bianco, che da subito mi ha stregato per così tanto splendore. Vi ho salito parecchie vie di tutti i tipi, ghiaccio, misto, roccia, ecc…
Le numerose salite effettuate nel corso di vent’anni mi hanno portato a ricevere il titolo di “Accademico del CAI”.
La tua attività si è limitata alle Alpi o hai spaziato anche in giro per il mondo?
Queste sono state le mie esperienze all’estero: sono stato tre volte in Yosemite; ho salito le vie classiche delle pareti del Capitan, l’Half Dome, la Washington Colum, la Sentinel Rock. Nel sud America ho visitato la Bolivia e ho salito due cime di circa 6000 metri : Huayna Potosi e Illimani che si trovano nella Cordigliera Real. Come ultimo viaggio sono stato in Patagonia con l’amico e guida Donato Nolè, per tentare il Cerro Torre lungo la via Maestri, ma la cattiva sorte, dopo due vani tentativi, non ci ha lasciato raggiungere la vetta.
Dall’inizio della tua attività ad oggi cosa è cambiato di più?
Credo sia cambiata la tecnica e la velocità nell’alpinismo. Per quanto riguarda l’arrampicata credo sia una disciplina ancora in pieno sviluppo. Il “grado” salirà ancora e ne vedremo delle belle!
Oggi che va di gran moda il “trad”, nelle tue valli ci sono falesie trad. Cosa ne pensi, sono propedeutiche alle vie di montagna o sono fini a se stesse?
Dell’arrampicata trad sono contento, è sempre più praticabile in contesti anche non alpinistici, ha portato nella valle Ossola numerosi scalatori da tutto il mondo… Occorre ringraziare i ragazzi di Varese e Milano (non faccio nomi per non rischiare di dimenticare qualcuno), ma nell’ambiente dei climber sono molto conosciuti: sono stati loro a crederci ed a sviluppare il potenziale di Cadarese e Yosesigo.
Per quanto mi riguarda, inizialmente c’era stato qualche attrito con il loro “stile trad” e il nostro stile fix con piastrina anche sulle fessure… Ora che sono passati parecchi anni dalle contestazioni della falesia di Cadarese, ho comunque capito che la ragione era dalla loro parte… (avevano una visione moderna!).
In quei tempi la mia idea del trad era fossilizzata solo per salire le vie lunghe o le grandi pareti.
Quando hai iniziato ad aprire vie nuove e con che stile?
Ho iniziato ad aprire nuove vie esattamente nell’estate del 1998, con la via Cumba Mela al Pilastro Grigio, nelle Gole di Gondo, nella vicina Svizzera.
Era una idea del grande alpinista di Gravellona Toce Mauro Rossi (purtroppo deceduto prematuramente nel settembre 2023), che mi propose di salire questa inviolata parete di circa 200 m.
Non avevo ancora esperienza ma la voglia di provare e la tenacia erano tante. Mauro aveva solo un trapano e pochi fix necessari per salire le placche compatte del pilastro (fessure quasi assenti nella roccia) e la tecnica era portare il trapano in spalla e forare nel punto più comodo possibile la roccia per fissare i fix di protezione. Andava tutto abbastanza bene fino quando le difficoltà rimanevano sotto il 6c, oltre diventava un’azzardata, non si riusciva ad usare i cliff e il peso del materiale era comunque molto alto (circa 8-10 kg). Devo ringraziare molto Mauro che mi ha introdotto in questa nuova frontiera. Era da pochi anni che si usava il trapano a batteria per aprire nuove vie. I pionieri indiscussi sono stati gli svizzeri Michel Piola e i fratelli Remy.
Sono circa vent’anni che non apro più vie lunghe, ora mi dedico solo all’apertura di nuove falesie qui, in valle Ossola.
Vuoi parlarmi di qualche tuo compagno di cordata che ricordi con particolare affetto o simpatia?
I miei compagni di scalata in questi anni sono stati tanti, sicuramente tra i più affiatati annovero Andrea Bocchiola e Giorgio Dell’Oro per le salite in roccia e ghiaccio del Monte Bianco.
Per quanto riguarda le cascate di ghiaccio ricordo Livio Croppi (Bud Spencer) con cui scalavo spesso, dal fisico robusto ma che scalava con grazia nonostante il suo fisico imponente, poi Stefano De Luca, Mauro Rossi, Francesco Vaudo, ed ovviamente Roberto Pe, il mio mentore.
L’avventura sulle cascate di ghiaccio quando è iniziata e qual è la cascata che più ti ha dato soddisfazione?
Negli anni Novanta fermentava nelle vallate dell’Ossola la febbre dell’effimero, tutti erano a caccia di prime salite su cascata… Così nacque un gruppetto di appassionati scalatori che ogni sabato o domenica mattina si ritrovava al bar di Iselle, al confine con la vicina Svizzera. Dopo una colazione veloce e due parole tra amici, si entrava nelle Gole di Gondo in Svizzera, le condizioni ottimali erano gli autunni piovosi e gli inverni freddi, era la miscela perfetta per ” le Ice Fall”, spesso erano nascoste dai para-valanghe che coprivano la strada del Sempione. Quando si saliva da Gabi con sci e pelli ad Alpien (CH) ti si gelava il sangue nel vedere i ripidi canaloni nascosti completamente ghiacciati, con muri, candele, goulotte. Erano dei veri “Giardini di Cristallo” alti fino a 400 m… uno spettacolo! Delle vere Ice Big Wall!!!
Così in circa dieci anni le cascate sono state tutte scalate e “battezzate” con il loro nome. Nel 2001 fu pubblicata la guida “Giardini di Cristallo”, edizioni Versante Sud.
Gli autori sono stati il sottoscritto, Giorgio Dell’Oro e Stefano De Luca…. Si chiuse un epoca di avventure gelate!
So che hai avuto un incidente. Cosa è cambiato dopo questo fatto?
Nel dicembre del 2004 sono precipitato mentre scalavo una candela di ghiaccio al Passo del Sempione: la candela si ruppe improvvisamente mentre ero all’uscita della stessa e sono precipitato per più di venti metri!!
Non ricordo nulla della caduta… ma solo del risveglio avvenuto dopo quattro giorni all’ospedale Chuv di Losanna (Svizzera). Ero in stato confusionale e con fratture multiple, sono stato ricoverato in terapia intensiva per circa un mese tra Svizzera e Italia. Col ghiaccio ho smesso da diciannove anni, il dolore fisico e il trauma psicologico mi hanno tormentato per anni e portato a questa decisione…. con l’alpinismo sono andato avanti ancora una decina di anni ma solo per vie classiche. Ora mi dedico totalmente all’arrampicata sportiva, tracciando vie e falesie nuove in Val d’Ossola (Piemonte).
Hai qualche aneddoto divertente da raccontare?
Direi le castagnate che organizzo e preparo nei week end da ottobre a dicembre, a fine giornata nella falesia di Croveo… Oramai sono diventate un classico, una tradizione, qualcuno porta il vino, formaggio, salame, ecc… e la giornata finisce all’imbrunire con allegria, dopo aver condiviso una bella giornata di sport all’aria aperta.
Tra le vie che hai aperto a quali sei più legato?
Per quanto riguarda le falesie aperte, sono più legato sicuramente alla valle di Devero o Antigorio, le considero “l’Eldorado della valle Ossola” per la qualità della roccia, ricca di appigli, muri, strapiombi, fessure.
In circa cinque Km di strada sono nate in pochi anni una dozzina di falesie, ed è proprio qua che passo la maggior parte del mio tempo libero.
Per cui se dovessi consigliare a qualcuno di ripetere delle le tue vie quali suggeriresti?
Le vie lunghe che a mio parere posso consigliare sono: al Pizzo Marta, la via Il Gipeto, 250 m, 5c-6b (6a+ obbl.), RS2, nella val Formazza. Sempre nella zona, ma sulla parete del Clogstaffel, la via Anime Ribelli, 280 m, 6a-6c (6b obbl.), RS3. Questo itinerario si trova in un grande ambiente ed ha un carattere molto alpinistico. Come ultima, metto la parete est della Rossa, all’Alpe Devero, la via Nuovo Millennio, 380 m, 6a-6c+, (6a+ obbl.), RS2.
Queste sono tra le mie vie preferite.
Hai sempre fatto tutto a spese tue o qualcuno ti ha aiutato?
Abbiamo un gruppo di local che ogni anno organizzano “la cena climbers” che serve appunto per raccogliere fondi da destinare al materiale. Inoltre proprio quest’anno Stefanone, un amico del posto, utilizzando un gruppo Whatsapp, ha raccolto una bella cifra.
Anche se naturalmente ci devo mettere del mio (ma lo faccio volentieri), andiamo avanti con questo “modus operandi”.
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A proposito d’la Rossa senz’altro t’avrè conosciü l Angelo dal Devero stam ben
Sig.Pellizzon ma sà tanto che s’trova poch a riguardo l Ossola,le faccio i miei sentiti auguri e complimenti d’an paciàn che conosceva il grande Vannini,L Ossola non è solo il Paleari bravo si,ma anche molti altri