Sedute del Parlamento in diretta, congressi di partito, processi (come quello a Enzo Tortora): in 72 minuti di girato Onde radicali racconta i quasi cinquant’anni dell’emittente che cambiò la politica. L’idea di Pannella per renderla riconoscibile: la musica? Solo messe da requiem.
Un altoparlante e un telefono: Radio radicale, il primo «social»
di Alessandra Arachi
(pubblicato su corriere.it del 19 ottobre 2021)
Mettetevi comodi e lasciate fluire le immagini. Poco importa se gli eventi li avete vissuti, il docu-film Onde radicali sarà comunque una scoperta, e accompagnerà soave i vostri ricordi della storia d’Italia. Se invece nomi come Giorgiana Masi o Giovanni D’Urso o Enzo Tortora non vi dicono nulla, mettetevi comodi lo stesso: dalla storia di Radio Radicale c’ è soltanto da imparare. Settantadue minuti di immagini per raccontare quasi cinquant’anni di battaglie radicali: non è stato facile per gli autori barcamenarsi tra l’enorme mole di documenti custoditi nell’archivio di una radio che, si può dire, ha registrato tutto quello che di politico c’era da registrare, dal 1976 in poi. Adesso, va detto, l’archivio è (quasi) interamente digitalizzato, ma immaginate voi cosa vuol dire scartabellare tra le seicentomila schede che conservano le registrazioni di sedute del Parlamento, i congressi di partito, i processi. Un patrimonio unico che non ha uguali in altre parti del mondo.
Il film di Gianfranco Pannone su Sky
Marco Dell’Omo e Simonetta Dezi per scrivere il film ci hanno lavorato due anni in quell’archivio, con la guida di Gianfranco Pannone che oltre alla sceneggiatura ha firmato la regia. Onde radicali è stato presentato venerdì 22 ottobre alla Festa del Cinema di Roma. Prodotto dalla Movimento film di Mario Mazzarotto con il sostegno del ministero della Cultura, in seguito si potrà vedere anche su Sky Documentaries. Ma adesso proviamo noi a srotolare il filo di questo racconto che va avanti e indietro nel tempo con un ritmo onirico, come i pensieri. Tutto comincia quando la deputata Emma Bonino ha ventotto anni e Marco Pannella ha superato abbondantemente i quaranta. Hanno conquistato tutti e due uno scranno a Montecitorio e rappresentano con fierezza il Partito Radicale insieme con Adele Faccio e Marco Mellini. Era il 1976 e troppi eventi dovevano ancora arrivare a far deflagrare il Paese. Nel frattempo ci pensarono loro, i radicali, a rivoluzionare la comunicazione.
Un filo per svelare Montecitorio
Non sono in molti a saperlo, ma la storia di Radio Radicale inizia con l’altoparlante usato sui banchi dei deputati. Collegato artigianalmente al filo di un telefono, fu usato per diffondere nella radio le voci di Montecitorio. Semplice come armeggiare qualche transistor. Impensabile fino a quando non ci hanno pensato i radicali. Immaginabili le proteste, dopo. Tante quanto inutili: le sedute del Parlamento erano, e ovviamente sono, pubbliche. Con quel telefono attaccato al megafono non era stato fatto altro che portare fuori dalle mura del Palazzo quello che i cittadini avevano tutto il diritto di conoscere. Non è stata la prima volta.
Dal Parlamento al tribunale
Dopo aver reso una consuetudine mandare in onda (e registrare) le sedute del Parlamento, i radicali hanno pensato che fosse arrivato il momento di portare fuori dalle aule dei tribunali anche i dibattimenti processuali. Era il 1984 e nell’aula bunker di Poggioreale, a Napoli, il calvario di Enzo Tortora stava raggiungendo l’apice della tragedia. Il presentatore di Portobello aveva conquistato in televisione il culmine del successo con quel pappagallo verde protagonista indiscusso della trasmissione. Bastò trovare il nome di Tortora (soltanto drammaticamente dopo si scoprì sbagliato) su un’agendina per far precipitare il giornalista tv nell’inferno. Fu imputato di camorra. Era il 1984 e Radio Radicale era diventata già da un po’ una radio nazionale sotto la guida di Paolo Vigevano. Nel 1976 era stato Pino Pietrolucci con Claudia Rittore a proporre a Marco Pannella l’avvio di una radio che mosse i suoi primi passi senza uscire dai confini del Lazio. Quella di Tortora fu una delle tante battaglie dei radicali sempre a fianco di chi annaspa dentro la propria vita. E la radio a dare loro voce.
Tante battaglie, una guerra
Ricordiamo le battaglie sui diritti, quelle per cui forse nemmeno i più giovani hanno bisogno di avere spiegazioni. Aborto e divorzio, giustizia, fame nel mondo: anche un cantante popolare come Claudio Villa si mise a lottare dentro quella radio, nata a Roma in un appartamento a ridosso di Villa Pamphili. Quindi la battaglia radicale del 1980 sui diritti dei transessuali. È stato il supporto della radio che ha permesso di sfondare nel mondo dei cattolici dove il ddl Zan oggi fatica non poco a fare. Nel film Onde radicali è Francesco Rutelli ai giorni nostri (ripreso più volte giovanissimo nei filmati d’epoca) che racconta quella lotta che portò nel 1982 ad approvare la legge sul diritto a cambiare sesso. È tutto un arrivare sempre e prima degli altri, quando si parla di Radio Radicale. E non si esagera a definirla un’antesignana dei social network. Basta ascoltare nel film il racconto di Roberto Giachetti sulla storia di quella che venne definita Radio Parolaccia.
Lo stratagemma
Questa volta siamo nel 1986 e Radio Radicale non ha più ossigeno finanziario per continuare a trasmettere. Marco Pannella ne pensa una delle sue: decide di sospendere tutte le trasmissioni per aprire il microfono agli sfoghi degli ascoltatori. Altro che Facebook. Altro che Twitter. Quei messaggi registrati sulla segreteria vennero montati sulle pizze da Giachetti e Rita Bernardini e trasmessi in radio a ciclo continuo. Il finanziamenti fu ottenuto. «Dio è grande e si serve anche di Radio Radicale per trasmettere» commentò una volta con la sua arguzia Giulio Andreotti. Pannella fu altrettanto arguto nel 1982 a decidere di conferire un’identità inequivocabile alla radio: avrebbe trasmesso la musica delle messe da requiem. Solo e soltanto quella. Nemmeno Radio Maria sarebbe arrivata a tanto. Chi girando per le frequenze sentiva il requiem non aveva dubbi di essere incappato in Radio Radicale. «Bello choc per noi abituati a Guccini» ricorda ridendo Giachetti ripreso ai giorni nostri. Va avanti e indietro nel tempo la macchina da presa del regista Pannone. E ci mostra una Emma Bonino contemporanea che commenta le battaglie della giovanissima Bonino: facile vedere come la sua grinta abbia attraversato indenne quasi mezzo secolo di storia. C’è anche Leonardo Sciascia nelle immagini di Onde radicali. Lo scrittore siciliano lancia appelli per la liberazione di Giovanni D’Urso. E alla sua voce per la liberazione del magistrato rapito nel 1978 dalle Br si sovrappone quella di Giovanni Paolo II.
La voce storica
C’è ancora molto di più in questo film che non poteva certo dimenticare Massimo Bordin, direttore storico (per quasi vent’anni) della radio che dal 2014 è nelle mani di Alessio Falconio. La voce roca di Bordin è stata l’identità di Radio Radicale dopo la musica delle messe da requiem. C’è ancora e molto di più da vedere, anche se quando sei lì a guardarlo vorresti che il film raccontasse ancora e ancora altri momenti di quella storia che ormai appartiene ad ognuno di noi. Noi, quando la visione in anteprima è terminata, la sensazione che il film stesse andando avanti ancora l’abbiamo avuta: si sono accese le luci e ci siamo trovati nella sede della Fondazione Coscioni, accanto a Maria Antonietta, speaker di Radio radicale e, prima ancora, moglie di Luca che per i radicali e la loro radio lottò fino all’ultimo respiro delle sue sempre più deboli forze.
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Quanto mi manca Pannella!