Riserve indiane

Questo “sfogo” di Paolo Grisa trova origine in una delle tante discussioni al riguardo delle chiodature a spit di vie classiche o semplicemente della ristrutturazione delle soste: parliamo dell’itinerario d’arrampicata, aperto nell’estate del 1954 da Vincenzo Balicco e Vinicio Botta, che sale la parete sud della Presolana Occidentale partendo dalla grande cengia della via normale. La via fu dedicata a Raimondo Salvi, alpinista bergamasco morto il 6 luglio 1952 all’età di 26 anni mentre con Pino Masiero era impegnato a salire il canalone del Giogo Alto all’Ortles: ma tutti la chiamano la “Balicco-Botta”.

Riserve indiane
di Paolo Grisa
(dal suo profilo fb, 17 ottobre 2023)

Lasciamo qualche riserva indiana, per la miseria…

La superficie di roccia rampicante sul pianeta offre già un’ampissima scelta di vie plaisir dove possiamo focalizzarci (quasi) solo sul gesto tecnico atletico senza troppi pensieri riguardo alla valutazione dell’ambiente, degli ancoraggi e della loro costruzione… non c’è bisogno di eliminare anche quelle “piccole oasi” di formazione e crescita alpinistica.

Lasciamo qualche spazio anche a chi magari piace individuare la via osservando la parete da un punto lontano nella giusta prospettiva, cercando nella struttura i segni stilizzati di uno schizzo disegnato a mano, piuttosto che arrivare alla base e leggere varie scritte in vernice azzurra (povero Torrione Sud della Presolana, era proprio necessario?).

Lasciamo spazio a chi una volta all’attacco preferisce cercare una logica di salita e non una striscia di luccicanti piastrine.

Lasciamo spazio a chi una volta individuato il punto di sosta ama valutare se è da costruire di nuovo o è sufficiente rinforzare quanto c’è presente con creatività e cognizione di causa.

Lasciamo spazio a chi guardando il tiro successivo dalla sosta ama cercare di immedesimarsi nell’apritore per capire dove bisogna andare.

Lasciamo spazio a chi in via ama perdersi… per ritrovarsi.

Lasciamo spazio a chi per la discesa ama seguire un breve “récit d’ascension” e al massimo seguire qualche (rado, se possibile) ometto di pietra e non bolli di vernice.

Lasciamoci, anzi, lasciate, i nostri spazi. Lasciamoli, lasciateli ai nostri figli. Alle generazioni future. Perché possano vivere quella che a noi ancora è stata data, l’opportunità di vivere sulle montagne.

Lasciamo spazio a chi ha capito che in un ambiente outdoor non ha senso parlare di sicurezza, ma solo di mitigazione del rischio e che questa non può passare dalla de-responsabilizzazione dell’individuo.

Lasciamo spazio per la loro fantasia, lasciamo spazi bianchi sulle mappe e sezioni vuote su pareti (im)possibili… oggi.

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Riserve indiane ultima modifica: 2023-11-04T05:00:00+01:00 da GognaBlog

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8 pensieri su “Riserve indiane”

  1. Come non essere d’accordo con questo appello, con questa voce dal sen fuggita!
    Bravo Paolo, grazie

  2. Quelli che in vario modo imbrattano la montagna, evidentemente di montagna non hanno capito proprio un bel niente.

  3. Bravo Paolo Grisa, Passare in punta di piedi…
    è la migliore traccia che possiamo lasciare alle future generazioni…
     

  4.  
    Condivido l’idea di subordinare la frequenza della montagna alla competenza, ma non mi sembra sufficiente: il numero dei competenti è comumque destinato a crescere. Alla fine sarà necessario ricorrerere a qualche regola comune anche per garantire la convivenza tra competenti.

  5. Altro che limitarsi a lasciare solo qualche “riserva indiana”. Lasciamo tutta la montagna per pochi. In particolare l’andar in montagna, dalle arrampicate alle scialpinistiche. Via il Circo Barnun, di cui le spittature a manetta sono una delle manifestazioni (non la peggiore, forse, ma contribuiscono anche loro).  Quelli che davvero vogliono vivere l’avventura devono sapersi assicurare da soli, dalle soste ai punti intermedi lungo il tiro. Come dici? Che, se schiodata, non te la senti di affrontare quella specifica via? Bene, allora significa che non sei all’altezza di quella via e devi avere il coraggio di ammetterlo, ripiegando su una via di grado inferiore. Così, di grado in grado, fino al grado in cui te la senti di andar su anche se la via è completamente sprotetta. Scendere di grado: il tuo grado sprotetto è il III? Bene, arrampica sul III sprotetto. Come dici? Che fare una via di III non ti interessa perché è da sfigati? Benissimo, significa che non ha la “testa” giusta per andare in montagna. Fai che non andarci del tutto, in montagna, e dedicati a qualcos’altro.
     
    Meno gente c’è in montagna e più la montagna respira.

  6. Lasciare spazio alla fantasia? Certo! Ma impedire anche la chiodatura selvaggia  con un sistema razionale di soste e ancoraggi intermedi dove l’affollamento compromette la fantasia.

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